2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Ermanno Faccio
Critica dei fatti della storia economica contemporanea commentata, con appendici, documenti e considerazioni relative al “post colonialismo commerciale e bancario” e degli effetti sociali federali generati dalle “iniquità della moneta unica” imposte dalla Commissione Europea per agevolare gli incontenibili quanto inutili fini egemonici teutonici, durante il primo ventennio del secondo millennio a.c.
A Roberta
INDICE
pag. 2! - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
Astratto 10 Premessa 11 Appendice 14 Premessa all’appendice 14
Vittime invisibili ma reali! 42
Risposta al Cardinal Bagnasco. 45
Casa dolce casa 46
Giovani traditi dagli errori- orrori del monetarismo 46
I giovani allo sbando 47
Le giovani coppie dopo lo stop dei mutui 47
Nuove fabbriche e nuovi sindaci 49
L’inviolabilità bancaria 51
Illuminati germanici 53
“DIE” ovvero l’Istituto di sviluppo economico Tedesco
53
Dipartimento della Governance Globale 53
Progetti in corso 54
Dipartimento "Competitività e lo Sviluppo Sociale" 55
Progetti allora in corso 56 Modello di Klein-Monti 57
Indice del modello Klein- Monti 57
Ipotesi del modello Klein- Monti 57
Esposizione del modello Klein- Monti 58
@DonErman Conclusioni del modello
Klein- Monti 61
Critiche al modello Klein- Monti 62
Bibliografia del modello Klein- Monti 62
Considerazioni sul modello di Klein-Monti 63
Le soluzioni anticrisi 64
Il modello economico matematico della manovra di un paese 64
Agire sulla quantità di moneta immessa 64
Agire sulla leva della spesa pubblica 66
Agire sui tassi di interesse bancari66
Agire su aliquote fiscali proporzionali 66
Agire sulla spesa pubblica 67
Agenzie di Rating inaffidabili? 68
Matematici globali erronei 68
Ma la Credibilità Americana e le sue Agenzie di S-rating sui Lybor CHE DICONO ? 68
Come viene determinato il tasso di interesse? 69
Agire sulle leve della manovra 75
Economia e diritto 75
Modello matematico di politica economica 75
Global praecis 81
pag. 3! - di 2! 21
Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
L’abominio della svalutazione selvaggia del valore di un bene
84
Il deprezzamento dei beni per asta giudiziaria84
L’assenza dei giurati di ogni classe e rango sociale dalle
sezioni giudicanti dei tribunali 85
Alcune recenti sentenze pubbliche da alcuni assistite o subite risultavano palesemente inique 85
sistema statale della giustizia85
La casta illuminata 89 Tratto dal sito mistic.it 89
Il malfunzionamento e il sovranumero della superclasse dei giustizialisti 93
Le politiche delle immigrazioni 95
Doppio papato straniero uguale a doppia immigrazione indesiderata 95
Perché prima un papa Polacco e poi un papa Tedesco hanno coinciso con l’aumento delle immigrazioni? 95
Reazioni al crollo borsistico del 11 agosto 2011 96
Il commento web del 12 agosto 2011 96
Grecia non era un caso speciale 96
I timori debito raggiungere il nucleo 97
Il EFSF è stato progettato per una crisi periferica 98
Pericoli di applicare la soluzione periferia al centro
98
Come questa guida i mercati 99
La banca-governo-debito trappola 99
Cosa deve essere fatto100
Il contro commento del 12 agosto 2011 102
Nuove proposte da due commentatori che porta sulla crisi dell'euro: perché signori così tardi? 102
La riforma elettorale: confusione pilotata 106
Un possibile programma di riforme 112
Giustizia, riscossione e forze pubbliche 131
Crea un movimento 133
Revisione dei concetti economici errati, diffusi tra le credenze popolari e degli esperti aziendali. 137
Un falso proverbio 137
I derivati, un puro gioco d’azzardo 139
Guida per il nuovo giovane cittadino 141
Report storico degli anni 2008-2013 143
Lehman Brothers, icona di Wall Street, inghiottita dalla più grande bancarotta della storia. 143
I dati della allora situazione reale 145
Pil dei 150 Paesi a confronto145
pag. 4! - di 2! 21
Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
I nuovi valori per i clienti e la nuova parola d'ordine: "sobrietà" 149
Al servizio del cliente 151
La risorsa dei consumatori emergenti 153
L’alterazione degli equilibri di potere nella catena del valore e i nuovi concorrenti 156
Nuovo panorama competitivo 157
Nuove regole 157 Volatilità cronica 158 Accelerazioni degli asset 159
Investire in ricerca 161 Prospettive di crescita 162 Centri di eccellenza 163
Migliore gestione del rischio 164
Nuovi modelli di business 165
La ricerca di nuovi boom
@DonErman
LA BOMBA NANOTECH
175
Recessione e perdita di talenti 169
Il caso Aldi 171
Proiezione di 8 tipi di probabili crisi mondiali future 173
LE GRANDI MIGRAZIONI173 LA CRISI DEL PETROLIO174 LA FINE DEI GIORNALI 174
L'APOCALISSE CLIMATICA 175
167
IL CRACK DELL'OCCIDENTE 176
LA FINE DELLE RISORSE176
IL RITORNO AL BARATTO 177
Le esplosioni nucleari nel mondo 178
ll primo test nucleare 178
La bomba che viene fatta esplodere è al plutonio 178
L'esplosione 179 DETTAGLI ESPLOSIONI 181
Il QUINTO POTERE PERSISTE 191
Con le seguenti integrazioni in corsivo... 191
I FALLIMENTI BANCARI 193
Il più grande fallimento della storia. 193
FOTOGRAFIA DELLA SITUAZIONE VALUTARIA 2010 195
Cronaca delle 15.56 04/01/2010 195
Indici della Crescita valutaria internazionale 196
Delazioni sulla governance itnernazionale 199
Il “Monetarismo” bancario199
TASSE E DEBITO PUBBLICO 210
LIBERTA’ D’INFORMAZIONE E MANIPOLAZIONE DEL POTERE 211
pag. 5! - di 2! 21
Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
Clinton attended. 212
AFORISMI SULL’UMANITA’ 212
SCIENZA E SOCIETA’
Il Manifesto del partito comunista 215
Il Manifesto del partito comunista 215
Paternità 216 Storia testuale 217 Contenuto 218 Introduzione 218 I borghesi e proletari 218 II. Dei Proletari e dei
comunisti 220
III. Letteratura socialista e comunista 222
IV. Posizione dei comunisti in relazione con l'vari partiti di opposizione 223
La successiva accoglienza
223
La scala mobile è un concetto geniale 225
Una società deprecabile e depravata 227
Perché i Cinesi saranno sempre vincenti 230
Cosa fare 230
Esportare innanzitutto il nostro diritto del lavoro in Cina 230
Mantenere i giovani cervelli in Italia 232
Soluzioni per l’economia sociale 235
Decimare le aliquote e gli interessi 235
@DonErman
A - Lotta aell’Evasione
235 B - Soluzione della Crisi 235
Per fare questo serve 235
Agire sulle leve della manovra 237
Economia e diritto 237
Modello matematico di politica economica 237
CLASSIFCA DEI PRINCIPALI PIL MONDIALI 2010 243
Pedagogia sociale 244
Pragmatismo-Strumentalismo 249
Classifica debiti dei principali paesi 263
Rieducare alla famiglia creatrice del patrimonio, del matrimonio o dell’unione di fatto 267
Apologia tribale 267 Crescita sociale e civile 269
Famiglie o convenienze amorali? 272
Sviluppare agricoltura ed energia 275
Le vere ricchezze di un paese 275
Energia e agricoltura 276 Cura del territorio 280 Tipo di Energia 282 Ritorno dell’investimento
energetico 287 Ecologia energetica 290 Agri energia 292 Bibliografia Agri energetica293
213
pag. 6! - di 2! 21
Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
Espropriare le scommesse per pareggiare il costo previdenziale 295
La super classe dei managers 296
<<<<<<<<< 2020 Fuga dall’Italia
@DonErman
Alta classe sociale dei manager
296
Consulenti e managers
298
“Neither beast Nor Man” il mostro Normanno, dopo secoli di letargo riviveva i suoi istinti primordiali minacciando il suo stesso progetto europeo terrorizzando ancora i vicini latini, come ai tempi dell’impero romano
Le ambiguità Franco Alemanne spingevano i paesi del sud Europa verso l’ipotesi dell’alleanza strategica per la coniazione di una doppia moneta europea
Rassegna di fatti di storia economica contemporanea commentata, con appendici, documenti e considerazioni critiche del cosiddetto “post colonialismo commerciale e bancario” e dei suoi effetti sociali dettati dalle “ritorsioni monetaristiche strumentali” adottate dai tedeschi per i propri fini egemonici nel primo ventennio del secondo millennio d.c.
Astratto
“La conoscenza della storia è l’unica possibilità per un giovane individuo per collaborare con la propria collettività positivamente, onde porre nuove condizioni sistematiche atte ad evitare quelli che palesemente si sono rivelati difetti di funzionamento sociale generati da errori specifici, individuali o collettivi” - E.F.
“Si tende sempre a ragionare con il senno di poi. Pertanto, in caso di urgenza, è meglio scrivere un trattato in tempo passato” - E.F.
“Il racconto di fatti storici passati, è più proficuo per il lettore, il quale li studia più obiettivamente proprio poiché appare che siano già accaduti ” - E.F.
Questa raccolta racconta in tempo passato il quadro riassuntivo che uno storico potrebbe fare nell’anno 2020
( ma la sto scrivendo nel 2010 )
La raccolta di appendici commentate vuole costituire il supporto di dati di riferimento sui quali si basa l’analisi restrospettiva ivi narrata
Le osservazioni contenute sono riferite ad una più vasta teoria ipotetica della configurazione storica generale dell’epoca moderna
Premessa
“Herman fabulae huic ponit historiam observationes fecit vitae posteritatis”
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Fatto delle osservazioni della vita, dà la storia di questo racconto dai
posteri Herman - E.F.
Il presente lavoro è dedicato a chi vuole comprendere con occhi da osservatore semplice, non tecnico, i fatti e le conseguenze derivate dagli effetti della governance globale decisa dalla casta illuminata.
“In un epoca di menzogne universali, dire la verità è un atto rivoluzionario”
George Orwell
“Sono incazzato nero e domani tutto questo non lo sopporterò più”
Famosa frase tratta dal film “Quinto potere” (Network)del1976 diretto da Sidney Lumet
Questo libro, naturalmente, farebbe bene a leggerlo anche un ministro dell’economia di un paese, ed anche tutti gli esponenti politici, uomini e donne, che continuano a ripetere a pappagallo, “che dobbiamo crescere” perché lo hanno sentito in qualche lezione universitaria di qualche invasato dal monetarismo, o lo hanno acquisito come luogo comune dai mass-media.
In questo racconto-trattato si vuole dimostrare che non sono assolutamente salutari per il pianeta i seguenti modelli:
Modello economico della crescita frenetica tut-cour in tutti i paesi del globo
Il monetarismo impone alle banche di acquisire valori crescenti solo per poter raggiungere annualmente la propria autoliquidazione di bilancio. Le filiali bancarie, così eleganti, informatizzate, sorvegliate e moltiplicate a sproposito, sono una palese sicura perdita di bilancio perché il loro R.O.A., incassando i miseri interessi imposti dal monetarismo mondiale, li farebbe fallire istantaneamente. Ecco che quindi ogni banca di dota di un servizio di investimento basato sugli scambi borsistici, ovvero un sistema di scommesse come sisal o lottomatica, con cui proporre “prodotti” ai propri clienti.
Questi “prodotti”, essendo sostanzialmente delle scommesse, possono produrre frutti oppure possono produrre perdite.
Vi sembra giusto avere una legge che vieti i giochi di azzardo, e poi ammettere che le banche propongano prodotti borsistici che altro non sono che giochi di azzardo planetari?
Ma ecco che gli psicologi sociali entrano in scena a giustificazione delle male azioni monetaristiche globali affermando:” Ma al consumatore piace giocare-- è lui che vuole giocare!...”
Dove sono finite le religioni, i codici biblici, ebraici, arabi, musulmani, salomonici e Aristotelici tutti che deprecavano la speculazione sui mezzi di scambio? Nessuno se li ricorda più? Abbiamo dato via libera alla perversione sociale del modello romano “Panem et circenses?” Siamo d’accordo che le generazioni future ereditino un simile paese dei balocchi e delle gozzoviglie, mentre i colleghi esteri che abbiamo fatto
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
entrare nei nostri paesi ce li stanno silenziosamente conquistando
lavorando 24/24 7/7, mentre i nostri politici predicano “la crescita”?
Una banca deve guadagnare solo i propri stipendi e mai i muri dei propri clienti.
Il numero di banche e di avvocati in una località deve essere limitato per legge costituzionale.
Se a Francoforte è piaciuto il film di Totò ove stampavano soldi, deve ricordarsi che alla fine si sono dovuti fermare per forza.
Si ridimensionino i monetaristi di Francoforte, perché la loro smania di guadagno non deve costare simili effetto disastrosi per l’umanità globale.
Se per crescere si aumenta l’immigrazione e si ricorre ai mercati emergenti, non si fa che favorire questi ultimi, facendo morire i propri lavoratori il proprio mercato storico.
Se invece si vuole competere veramente con i mercati emergenti, bisogna trattenere i nostri giovani cervelli, ( che sono i migliori del mondo) ridimensionando l’inutile baronismo universitario italiano, e bisogna subito porre in cima alla scala sociale la classe imprenditoriale autoctona.
Se si vuole sanificare un paese bisogna eliminare i politici concussi e che accettano di essere corrotti dagli ingenti versamenti che entrano nelle loro casse ad opera delle multinazionali commerciali, che invadono il territorio di ogni comune uccidendo il mercato locale.
Se si vuole sanificare un’economia bisogna eliminare il tributarismo pazzo, il fiscalismo delirante, il sanzionismo folle, e il giustizialismo assassino. Una tassa sui rifiuti deve essere pagata per persona e non per metro quadrato, Un’azienda non deve essere obbligata a pagare il 142 per cento del propri reddito, Una sanzione non deve mai superare il dieci percento dell’importo originario, e un organo di giustizia non può ammettere che in una qualsiasi sentenza il costo complessivo di giudici, avvocati e periti gravi complessivamente per più del 50% dell’importo capitale.
Modello di vita stressata per i cittadini che tale precedente schema politico impone ai popoli e ai politici stessi
Ogni cittadino è importante soprattutto perché è un essere umano.
Il modello con crescita obbligaoria, e lavoro precario si è rivelato la realizzazione più destabilizzante della storia moderna.
Se questo modello è stato adottato a causa dell’eccessivo vampirismo dei sindacati verso la classe degli imprenditori, si ridimensionino i sindacati come lo si faccia per i monetaristi, i fiscalisti, i sanzionisti, i tiributaristi, i giustizialisti e gli altri becchini sociali.
Appendice
“Questa appendice contiene tabelle, dati e documenti che l’autore ha ritenuto utile compendio per il lettore, da considerare in ogni sua
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman valutazione economica complessiva futura.
Grandi eventi disastrosi, dannosi, epocali debbono essere tenuti d’esempio per ogni valutazione di successo”.
E.F.Aspettando i barbari Costantino Kavafis
Che aspettiamo, raccolti nella piazza? Oggi arrivano i barbari.
Perché mai tanta inerzia no Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?
Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori? Quando verranno le faranno i barbari.
Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono, alla porta maggiore, incoronato?
Oggi arrivano i barbari L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.
Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti? Perché brandire le preziose mazze
Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.
Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?
Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica e le arringhe.
Perché d’un tratto questo smarrimento ansioso? (I volti come si son fatti serii)
Perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?
coi bei caselli tutti d’oro e argento?
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2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? Era una soluzione, quella gente.
(Tratto da Poesie, Oscar Mondadori editori, Milano, 1961. A cura di Filippo Maria Pantani.)
Il modello “divide et impera”, terrorismi monetari, ingaggio di guerre, occupazioni, devastazioni planetarie, esperimenti atomici
America, Inghilterra, Francia, Germania e Russia hanno sempre cercato i cattivi tiranni nei paesi arabi e nei paesi di interesse geografico oppure ove sussistesse qualcosa da estrarre o da depredare, al fine di eliminare il tiranno ed impossessarsi diplomaticamente di tali paesi, creando in essi un ingente debito di guerra per essere stati liberati dal tiranno.
Tale politica militare ed espansionistica non ha fatto che seminare odio nei popoli sottratti inconsapevolmente del proprio territorio, e distruzioni ecologiche di una gravità sorprendentemente incalcolabile.
I tassi di radio attività che il sistema eco - biologico planetario ha assorbito in luoghi puri ed incantati come la polinesia o il deserto, per attività volontarie di sperimentazione nucleare attuate da vari paesi, è tuttora impressionante.
Le conseguenze fisiche apportate alla crosta terrestre dalle esplosioni nucleari, ha provocato e continuerà ancora a provocare reazioni di assestamento gravi come terremoti, cicloni, uragani e tsunami su tutto il nostro pianeta già sismico di suo.
Un modello economico che rispetti a pieno le priorità ecologiche, biologiche dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo, dell’erba che mangiamo deve essere la priorità di tutti i popoli e di tutte le nazioni per cui si ridimensionino tutti i programmi nucleari e bellici mondiali a partire da subito, per un colossale risparmio monetario immediato e un immediato guadagno ecologico e biologico collettivo
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Una catastrofe non ponderata
Monetarismo distruttivo dell’economia privata e pubblica
La casta illuminata, per mantenere i dettami monetaristici delle banche centrali, compiva azioni di concessione in uso, oppure distruzione ecologica del proprio territorio pensando di poter attuare l’utopia della “global governance” che non sarebbe mai stata realizzabile perché palese ed innaturale abominio delle distinte identità culturali dei popoli mondiali.
La ricerca contemporanea del significato del termine “governance” metteva in rilievo molti fattori strani, tra i quali il potenziarsi del ruolo svolto da certe istituzioni sovranazionali gestite appunto da tale “casta illuminata”, che sottraeva dall’alto alla sovranità statale funzioni e poteri, ed il progressivo strutturarsi di una rete di azioni pubbliche globali che costringevano le autorità statali in una maglia di rapporti e relazioni strutturate e formalizzate.
Grazie a questa invenzione sovranazionale della governance internazionale, gli Stati sembravano perdere autonomia decisionale (sia sul piano legislativo che su quello esecutivo) e il potere d’intervento in alcuni dei campi cruciali della politica:
l’economia, la moneta, la gestione delle risorse ambientali, i flussi migratori... ecc.
Certamente su altri aspetti fondanti la sovranità, quali l’integrità territoriale o il potere di dichiarare la guerra, poco sembrava fosse cambiato, anche se la costituzione di forze multinazionali d’intervento o la pressante ingerenza d’istituzioni internazionali nei conflitti tra stati erano indici importanti dei mutamenti in atto.
Quindi, nell’anno 2011 d.c., quando i popoli del pianeta terra stavano per essere totalmente dominati dalla cosidetta “casta illuminata” attraverso la “governance internazionale”.
Qualcuno definiva anche tali signori oscuri, anche “casta sovrana” che aveva rifondato le regole globali per continuare il suo dominio sul comune cittadino, detto anche “spettatore di televisione” o “ignaro contribuente”.
Ad opera delle nuove specie di “proconsoli” da essa forgiati quali “Gli intrattenitori”, “I nuovi Satrapi”, “I guru forever”, “Gli always terrorist”, e i “Ragiunat de Tremunt”, mantenevano abilmente la manipolazione delle masse.
Attraverso questi alfieri indotti nel loro lavoro quotidiano ignorante tutti i
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
lati umani del cittadino comune ed eseguente rigidamente tutte le fredde prassi aziendali, la casta globale, sottoponeva la società a continue
torture burocratiche, inquisitorie, vessatorie, ed infine mediatiche narranti catastrofi ecologiche o crescenti ed episodi di efferata violenza sociale.
L’obiettivo dei cronisti sembrava essere quello di guastare la quiete pubblica, perché altrimenti avrebbero potuto perdere il proprio posto non raggiungendo l’audience minimo atteso.
Pertanto il comune cittadino, che avrebbe potuto comodamente e tranquillamente restare nella propria casa davanti al proprio televisore con i popcorn e una aranciata a guardare le partite sulla nuova tv e con il nuovo abbonamento al digitale acquistati a rate... non poteva farlo perché i telegiornali allarmisti gli bloccavano la digestione ed ogni altra velleità.
Perché tutto questo? Non ci è dato saperlo, anche se qualcuno ha ipotizzato che in tal modo il cittadino, altrimenti tendente all’inerzia, innervosendosi e preoccupandosi per i disastri del pianeta, dell’economia e della società, avrebbe così creato azioni di reazione che avrebbero generato il “movimento economico” necessario al sostentamento del bilancio bancario perennemente deficitario in conseguenza del modello dell’espansionismo monetaristico imposto dalle banche centrali.
Alcuni descrivevano la “casta illuminata“ come una razza “non umana”, da sempre dominante, sviluppatasi silenziosamente e in modo strisciante nel corso dei secoli sin dai tempi dei Babilonesi ad allora.
Tale progenia pare provenisse da una genealogia non ben definita, ma da alcuni considerata addirittura ultraterrena che venne chiamata dai Romani “Neither Man” che signifca appunto “non umani”.
Ma veniamo ai fatti storici del tempo.
L’andamento delle economie aveva sempre avuto dei momenti di crisi profonda periodica anche prima di allora.
Tale inevitabile fenomenologia ciclica era insita negli stessi sistemi monetaristico e borsistico aggregati.
Il grafico degli andamenti economici dopo il 1800 dimostrava chiaramente che il ritmo dei crolli, faceva presumere l’avvicinarsi della crisi ciclica all’inizio del nuovo millennio, ma nessuno dava segni di preoccupazione o proponeva mezzi di prevenzione per tempo.
Come si sa, per il benessere portato all’ennesima potenza, l’elevato numero sociale dei consumatori di supermercato, degli ostentatori del lusso, degli spenditori del denaro facilmente guadagnato erano gli ultimi a volersi preoccupare per il proprio proprio avvenire, nonostante le avvisaglie che il sistema cominciava a lanciare attraverso i media.
Insomma la società del benessere non dava segni di cedimento morale o patrimoniale, finché la bolla speculativa continuava a tenere, e i mercati mobiliari ed immobiliari continuavano a prosperare.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Ma dopo l’ennesima crisi borsistica generata “dai contratti derivati” del 2008, la casta illuminata, decideva di interrompere l’idillio del paese dei
balocchi, seminando ondate di terrore progressive, onde far cadere nella totale sottomissione psicologica il popolo degli imprenditori e dei lavoratori.
Il progetto della governance internazionale
“Siamo alla vigilia di una trasformazione globale: ci serve solo la crisi giusta e le nazioni accetteranno il nuovo ordine del mondo”
David Rockefeller
Alla famosa ricetta dittatoriale dell’epoca Romana “Panem et Circenses” la casta illuminata a partire dall’ anno 1995 pensò e deliberò che si dovesse sin da allora aggiungere una ricetta letale per definitivamente far cadere i popoli nella più completa depravazione morale.
“OPIUM et COCAINAM” erano già una bella moda di consumo, diffusa abilmente e allegramente accettata da tutta la popolazione dei discotecari ma anche degli amministratori delegati o funzionari pubblici che dovevano raggiungere gli obbiettivi istituzionali imposti dalle rispettive alte dirigenze.
La miscela “Auctione, Alea et Meretricium” propria dell’allora vigente epopea “espropristica, borsistica, lotteristica e sessista” che la governance internazionale stava mantenendo in tutti i paesi del Globo, sembrava la più adatta per gettare i popoli di tutte le nazioni nell’ulteriore oblio della retta via, gettandoli così presto nella più completa perdita di fiducia nei valori istituzionale, civili e religiosi.
Fu così che presto si giunse alle soglie di una nuova grande e importante crisi mondiale, come quelle che in passato avvenirono dagli anni 1929 in avanti.
La crisi mondiale, veniva vissuta come una novità intangibile, e con una totale inconsapevolezza storica da parte dei nuovi immigrati, che agevolati al trattato di Shengen e dalle varie leggi degli Stati Europei, invadevano ormai liberamente tutti i Paesi, una volta loro coloni, ed allora loro ostellatori.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Gli effetti visibili della distruzione delle culture e delle tradizioni locali
Piazze storiche tradizionali deturpate.
Dall’avvento delle immigrazioni selvaggie, le piazze dei paesi e delle cittadine Europee, erano ormai piene di gente, coppie e carrozzine con
bambini di tutte le razze, tranne quella autoctona ormai in via d’estinzione e le genti nelle strade parlavano lingue sconosciute ai locali, che venivano via via sempre più isolati dal gruppo lavoratore e imprenditore attivo, sia come gruppo etnico che idiomatico.
Gli immigrati provenienti da paesi poveri, affamati e preoccupati solo ad ottenere un risultato, riuscivano infatti in pochi anni a formare e ad aprire anche tre o quattro aziende, senza difficoltà, ragazze che facevano le pulizie riuscivano in pochi anni a comprarsi un appartamento.
Ragazze peruviane che facevano le pulizie lavorando giorno e notte riuscivano ad accumulare un capitale, mentre le ragazze locali,
indottrinate sul giusto periodo di riposo settimanale fatto di due ben due interi giorni, vivevano alle spalle dei propri genitori, perennemente squattrinate ed in perenne attesa incazzata del famoso “principe azzurro”.
Così i residenti autoctoni, pur proprietari di abitazioni o aziende anche tramandate da generazioni, trovandosi colpiti dall’eccessiva onerosità
pretesa dai sistemi delle tasse e delle banche prestatrici di denaro, proprio perché ben conosciuti alle anagrafi come proprietari immobiliari, subivano gli effetti della crisi del debito, e chiudevano a raffica le loro ditte o vedevano chiudere le ditte per le quali lavoravano per i più svariati motivi tra i quali crisi settoriale, livello di produttività basso, clima aziendale pessimo, macchinari e attrezzature obsolete, scarsa organizzazione, canali di vendita inadeguati, insufficienza delle vendite, insolvenza grave dei clienti, evoluzione della domanda, incapacità manageriale, legislazioni destabilizzanti, mancanza di tutela da parte dei pubblici amministratori, demotivazioni personali dei titolari, alti indebitamenti, fallimenti, ecc..
Lectio Magistralis
L’intervento della Chiesa
La Chiesa attuava varie iniziative a sostegno dei popoli invitando i
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
principali esponenti sociali e politici di spicco a presenziare e ad
intervenire. Una di queste fu la seguente.
TESTO INTEGRALE Con note critiche di E.F.
Roma, 18.11.2011
Convegno di Scienza e Vita
“Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia” Cardinale Angelo Bagnasco - Arcivescovo di Genova Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
“La Chiesa, al di là dell’ambito della sua fede, considera suo dovere difendere, nella totalità della società, le verità e i valori, nei quali è in gioco la dignità dell’uomo in quanto tale”. A ribadirlo è stato oggi il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, aprendo a Roma l’VIII Congresso nazionale di “Scienza & Vita” con una “lectio magistralis” sul tema “Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia” “Una società è veramente umana soltanto quando protegge senza riserve e rispetta la dignità di ogni persona dal concepimento fino al momento della sua morte naturale”, ha affermato il cardinale citando il Papa, e ha aggiunto: “Non abbiamo diritto di giudicare se un individuo sia ‘già persona’, oppure ‘ancora persona’, e ancor meno ci spetta manipolare l’uomo e voler, per così dire, farlo”. “Non si tratta – ha precisato – di voler imporre la fede e i valori che ne scaturiscono direttamente, ma solo di difendere i valori costitutivi dell’umano e che per tutti sono intelligibili come verità dell’esistenza”. “Poiché appartengono al Dna della persona – ha proseguito il cardinale – non possono essere conculcati, né parcellizzati o negoziati attraverso mediazioni che, pur con buona intenzione, li negano. È questo il ceppo vivo e solido che costituisce l’etica della vita”, e su cui “germogliano tutti gli altri necessari valori che vengono riassunti con l’etica sociale”.
Dignità inviolabile.
“Tra questi – ha sottolineato il card. Bagnasco – la vita umana, dal suo
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concepimento alla sua fine naturale, è certamente il primo”. Se “la questione sociale è divenuta radicalmente questione antropologica”, ha
argomentato il presidente della Cei sulla scorta delle affermazioni di Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”, “i cattolici non possono tacere circa la concezione dell’uomo che fonda l’umanesimo integrale”, poiché “non tutti gli umanesimi sono equivalenti sotto il profilo morale: da umanesimi differenti discendono conseguenze opposte per la convivenza civile”. Per dissipare questa “tragica confusione”, la tesi del cardinale, occorre chiedersi “su che cosa si potrà poggiare la sua dignità inviolabile, e quale il fondamento oggettivo e perenne dell’ordine morale”. In particolare, secondo il card. Bagnasco, “ci dobbiamo chiedere: chi è più debole, più fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto? Vittime invisibili ma reali! E chi più indifeso di chi non ha voce perché ancora non l’ha o, forse, non l’ha più?”. “La presa in carico dei più poveri e indifesi – ha ammonito il cardinale – esprime il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento”, e “modella il costume di un popolo e di una nazione”. Quella affrontata da Scienza & Vita, ha precisato il card. Bagnasco, è “una questione quanto mai delicata e ineludibile non solo per ogni singola persona, ma anche per la società, sapendo che dalla responsabilità e dai modi di affronto della vita nei suoi vari momenti si ha una prima decisiva misura del livello umano della convivenza”. Di qui la “delicatezza dell’argomento in gioco, così come delle visioni diverse che spesso si confrontano, tanto da essere considerata – la vita umana – uno di quegli argomenti ‘divisivi’ di cui è meglio non parlare, come se l’ordine sociale, basato sulla giustizia, potesse reggersi sull’ingiustizia che deriva dal non affrontare ciò che è fondamentale”. In un clima culturale in cui dominano lo “scetticismo” e il “nichilismo di senso e di valori”, che “si alimenta dello spettro ridente del consumismo che porta a concepire l’esistenza come una spasmodica spremitura di soddisfazioni e godimenti fino all’estremo”, ma da cui deriva “una immane svalutazione della vita”, occorre porsi di nuovo la domanda “cos’è la verità”. “Oggi – ha sottolineato il cardinale – si tende a pensare che, sul piano dell’etica, ognuno è costruttore di ciò che per lui, soggettivamente, ha importanza e significato; che il nostro compito è quello di comporre i diversi, a volte opposti, valori; che l’importante – quando va bene – è disturbare il meno possibile”.
Due questioni. Per il card. Bagnasco, “la tendenza diffusa è rendere la libertà individuale un valore assoluto”, poiché c’è “una certa allergia per ciò che si presenta come assoluto, cioè oggettivo, universale e definitivo: sembra di sentirsi come in una gabbia insopportabile”. Ma la libertà non è autodeterminazione, ha obiettato il presidente della Cei, secondo il quale occorre invece “una verità che crei appartenenza e generi una comunità di vita e di destino”. Per questo è urgente porsi due questioni: la prima deriva dal fatto che, secondo la nostra Costituzione, “il bene della salute e quindi della vita, ma dovremmo dire di ogni uomo, è un bene non solo per sé ma anche per gli altri; e questi altri non sono solo i familiari e gli amici, ma la società nel suo insieme”, e ciò comporta che “nessuno deve sentirsi abbandonato nella società-comunione, né nei momenti di gioia né negli appuntamenti del dolore, della malattia e della morte”. La seconda questione da porsi è l’urgenza di “recuperare il senso
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del dolore che è sistematicamente emarginato, nascosto nella sua naturalità, oppure è esorcizzato”. In altre parole, ha concluso il card.
Bagnasco, “la cultura contemporanea deve riconciliarsi con il dolore e la morte se vuole riconciliarsi con la vita, poiché i primi fanno parte della seconda. E quindi dobbiamo recuperare la capacità di portarlo insieme”.
Saluto i partecipanti al Convegno sul tema “Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia”, e ringrazio l’Associazione “Scienza e Vita” per questa iniziativa che affronta una questione quanto mai delicata e ineludibile non solo per ogni singola persona, ma anche per la società, sapendo che dalla responsabilità e dai modi di affronto della vita nei suoi vari momenti si ha una prima e decisiva misura del livello umano della convivenza. Siamo tutti consapevoli della delicatezza dell’ argomento in gioco, così come delle visioni diverse che spesso si confrontano, tanto da essere considerata – la vita umana – uno di quegli argomenti “divisivi” di cui è meglio non parlare, come se l’ordine sociale, basato sulla giustizia, potesse reggersi sull’ ingiustizia che deriva dal non affrontare ciò che fondamentale: “ come Chiesa e come credenti – abbiamo scritto nel Documento conclusivo della XLVI Settimana Sociale – siamo chiamati al grande compito di servire il bene comune della civitas italiana in un momento di grave crisi e allo stesso di memoria dei centocinquant’anni di storia politicamente unitaria” ( Documento conclusivo, Reggio Calabria ottobre 2010, n.2). E’ questo lo spirito e l’intendimento dei cattolici consapevoli che, storicamente, “se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza” (CEI, La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese, 1981, n.13).
Tutti ci rendiamo conto che siamo dentro ad una crisi internazionale che non risparmia nessuno, e che nessuno, nel mondo, può atteggiarsi da supponente maestro degli altri.
I grandi problemi dell’economia e della finanza, del lavoro e della solidarietà, della pace e dell’uso sostenibile della natura, attanagliano pesantemente persone, famiglie e collettività, specialmente i giovani.
Su questi versanti, che declinano la cosiddetta “etica sociale”, la sensibilità e la presenza della Chiesa sono da sempre sotto gli occhi di tutti. Fanno parte del messaggio cristiano come inderogabile conseguenza: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare il Dio che non vede” (1 Gv 4,20).
L’incalcolabile rete di vicinanza e di solidarietà che abbraccia l’intero territorio nazionale grazie ai nostri sacerdoti, consacrati, innumerevoli
volontari, associazioni, rappresenta una mano tesa trasparente, universalmente nota: è quotidianamente frequentata da un crescente stuolo di fratelli e sorelle in difficoltà che ricevono ascolto, aiuto, attenzione.
Ed è sempre più anche luogo di incontro e di concreta integrazione tra popoli, religioni e culture. Una rete che si avvale di risorse provvidenziali
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e di quell’amore gratuito che nessuna legge può garantire poiché l’amore
viene dal cuore e dall’Alto.
E’ possibile conoscere?
Ma oggi dobbiamo puntare la nostra attenzione sulla vita umana nella sua nudità: è evidente che gli aspetti citati fanno parte dell’esistenza concreta di ogni persona, ma essi non devono oscurare la vita nei momenti della sua maggiore fragilità e quindi di più pericolosa esposizione.
Per questo credo sia inevitabile allargare, seppur brevemente, l’orizzonte per poter meglio affrontare il tema della vita umana nella sua assoluta indisponibilità o, se si vuole, sacralità.
Per poter parlare di qualcosa, infatti, bisogna innanzitutto chiederci se esiste qualcosa fuori di noi.
E, se esiste, possiamo conoscerla?
Oppure siamo dentro ad una realtà unicamente costruita dal soggetto pensante, siamo alle prese solo con le nostre opinioni individuali, senza una presa diretta sulla realtà oggettiva?
E’ il problema antico ma non scontato della conoscenza. Come rispondere?
Dando fiducia al mondo e all’uomo!
La conoscenza, infatti, parte da un atto positivo, di fiducia: fa appello al senso comune, all’esperienza universale. E’ più naturale, logico, istintivo, porre questo atto di fiducia oppure sfiduciare l’universo?
E’ dunque un atto di sintonia, di comunione pre riflessa con il mondo il punto di partenza del nostro rapportarci con il mondo, non il rinchiuderci nel sospetto e nel dubbio metodico e universale che – forse con aria di profonda intelligenza – accusa di fanatismo chi affermi che la verità esiste ed è conoscibile. La storia umana della conoscenza – nonostante grovigli a volte sofferti – corre sostanzialmente su questo filo e testimonia che, ogni qualvolta lo scetticismo si è imposto, gli esiti personali e sociali non sono stati più felici.
Il figlio di questo atteggiamento è lo scetticismo che genera inevitabilmente quel nulla di significato e di valore, quello svuotamento della vita e del mondo che già Nietzsche aveva annunciato. In realtà egli lo fa derivare dalla dichiarata “morte di Dio”, ma quando la ragione viene cancellata dall’ orizzonte, anche la fede si indebolisce:
“Cerco Dio! cerco Dio! (...) Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto?
Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è
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che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati?
Esiste ancora un alto e un basso?
Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?” (Nietzsche,
La gaia scienza, Mondadori 1971, pagg.125-126).
Il nichilismo di senso e di valori nasce da una visione materialista dell’uomo e del mondo, e si alimenta allo spettro ridente del consumismo che porta a concepire l’esistenza come una spasmodica spremitura di soddisfazioni e godimenti fino all’estremo. Ma ben presto – lo vediamo nella cronaca – ne deriva una immane svalutazione della vita. Essa non è più custodita dal sigillo della sacralità, e così quando non è più gradita o risulta faticosa, la si vorrebbe eliminare. “Si va costituendo – dice Benedetto XVI – una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Questa ideologia è divenuta un modo di vivere, una prassi, che troviamo presente in molti ambiti e che ha diversi volti”
(J. Ratzinger, Omelia della Messa Pro eligendo Pontifice, 18.4.2005).
Cos’è la verità?
“Cos’è la verità?” chiedeva Pilato a Gesù prigioniero davanti a lui.
E’ una domanda sempre attuale che richiede una risposta seria e motivata.
Per aiutarci con un esempio, possiamo dire che la verità della cappella Sistina consiste nella sua corrispondenza con l’idea di Michelangelo: in questo caso, la Sistina dipende dal pensiero di chi l’ha ideata.
Ma la verità della mia idea dell’aula in cui siamo consiste nella corrispondenza della mia idea con ciò che è oggettivamente davanti a me: in altre parole è il mio pensiero che dipende dall’oggetto conosciuto.
La tradizione culturale parla di verità ontologica nel primo caso, e di verità logica nel secondo.
E’ vero che nella conoscenza logica il soggetto entra in gioco con la sua soggettività, ma mai a tal punto da falsare la realtà stessa; infatti ognuno di noi si ribella quando si sente conosciuto da un altro in modo distorto.
Ora, se dal piano teoretico passiamo al piano pratico dell’agire, ci chiediamo: nella conoscenza dei valori morali in quale campo siamo?
Ontologico, per cui siamo noi, come Michelangelo, a creare qualcosa? oppure in quello logico per cui noi dobbiamo piegarci alla realtà di qualcosa che ci precede e che non ammette distorsioni?
Oggi si tende a pensare che, sul piano dell’etica, ognuno è costruttore di ciò che per lui, soggettivamente, ha importanza e significato; che il
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nostro compito è quello di comporre i diversi, a volte opposti, valori; che l’importante – quando va bene – è disturbare gli altri il meno possibile. Ma non esiste qualcosa a cui l’uomo possa rifarsi nella sua conoscenza e quindi adeguarsi raggiungendo così la verità?
E’ fuori dubbio che non pochi di quelli che chiamiamo valori appartengono alla sfera della soggettività individuale e sociale, basta pensare al modo di vestire, di nutrirsi, a tante convenzioni che hanno un peso nella convivenza, hanno una importanza, ma sono destinati nel tempo a mutare.
Ma è tutto solo così?
Non esiste nulla di oggettivo in grado di essere metro della verità morale?
Che possa regolare, normare i miei comportamenti?
Qualcosa che sia talmente fondamentale per l’uomo da essere universale, cioè per tutti?
Di solito, fino ad un certo punto di questo ragionare tutti si è concordi, ma quando entra in gioco la questione del “valido per tutti”, allora si accende una spia e sorge in noi una trincea difensiva quasi si sentisse in pericolo la propria libertà individuale, che si esprime nell’autodeterminazione.
La libertà e l’autodeterminazione
Entra sulla scena, dunque, la libertà nervo sensibile dell’anima moderna.
Mi pare interessante ricordare quanto affermava Hegel nella sua Enciclopedia delle scienze filosofiche: “La libertà è l’essenza propria dello spirito e cioè la sua stessa realtà.
Intere parti del mondo, l’Africa e l’Oriente, non hanno mai avuto questa idea (...) i Greci e i Romani, Platone e Aristotele (...) non l’hanno avuta: essi sapevano che l’uomo è realmente libero in forza della nascita (come cittadino ateniese, spartano, ecc.); o della forza del carattere o della cultura, in forza della filosofia.
Quest’idea è venuta nel mondo per opera del cristianesimo, ed essendo oggetto e scopo dell’amore di Dio, l’uomo è destinato ad avere relazione assoluta con Dio come spirito, e far sì che questo spirito dimori in lui. cioè l’uomo è destinato in sé alla somma libertà” (Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Tr. It., Laterza, Bari 1951, pp. 442-443).
Del resto è noto che, prima del Cristianesimo, si concepiva come superiori all’uomo le grandi potenze del Fato, della Natura, della Storia; ed egli doveva obbedire a queste forze.
Ora, se l’uomo è libero per dono di Dio, ed egli si realizza attraverso l’esercizio della propria libertà (in actu exercito), bisogna chiederci se qualunque forma di esercizio realizza la persona oppure no.
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A ben vedere, come qualunque agire non si qualifica da sé ma è
qualificato da ciò verso cui tende
-camminare per fare una passeggiata non è lo stesso che camminare per andare a fare una rapina –
così la libertà, se per un verso è valore in se stesso in quanto è condizione di responsabilità, per altro verso non è la sorgente della bontà morale.
La libertà è qualificata dal contenuto che scelgo liberamente, e sta ad esso come il contenitore sta al suo contenuto.
Il fatto che un atto sia una mia scelta non qualifica l’agire come buono, vero, giusto. Inoltre, non bisogna dimenticare che la bontà e il male morale non sono astrazioni lontane alle quali sacrificare gli uomini nei loro desideri individuali; il bene è tale perché mi fa crescere come persona mentre il male mi diminuisce nella mia umanità.
E se le persone crescono nel loro essere persone, la società intera cresce dato per acquisito che tra l’individuo e la collettività vi è un rapporto reciproco. Oggi la tendenza diffusa è rendere la libertà individuale un valore assoluto, sciolto non solo da vincoli e norme ma anche indipendente dalla verità di ciò che sceglie; in tale modo però essa si rivolta contro l’uomo e perde se stessa, diventa prigioniera di se stessa come ogni personalità narcisista.
Ecco perché il Signore Gesù ricorda che “la verità libera la libertà” e rende libero l’uomo.
Oggi vi è una certa allergia per ciò che si presenta come assoluto, cioè oggettivo, universale e definitivo: sembra di sentirsi come in una gabbia insopportabile.
Ma, dobbiamo chiederci, qual’ è la vera prigione: l’assolutismo di una libertà individualista o l’assolutezza della verità?
Partecipazione dei cattolici alla civitas
Ma torniamo alla domanda: esiste qualcosa con la quale la nostra libertà deve rapportarsi come ciò che la precede nel valore e la qualifica moralmente?
Qualcosa che, conosciuto dalla nostra ragione, permetta di superare l’angusto cerchio dell’opinione e di camminare liberi nella verità oggettiva per tutti e per sempre?
Verità che dia senso al vivere e alla storia, alla persona e alla società?
Risuonano sempre attuali le parole di Schopenauer quando parlava della “naturale disposizione metafisica dell’uomo”, quella disposizione universale che spinge ciascuno a suo modo a cercare una risposta alla più tremenda e fondamentale delle domande:
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“Per quale motivo esiste qualcosa piuttosto che il nulla, se nulla ha
necessità di esistere?”.
Una verità, dicevo, che crei appartenenza e generi una comunità di vita e di destino?
Oppure non esistono altro che vari, piccoli e brevi significati, relativi alla riuscita nella vita, al piacere, alle voglie, alle emozioni, alla fortuna?
Ogni anno in Europa muoiono circa 50.000 persone per suicidio, e in una quindicina di Paesi europei la più alta percentuale di morte dei giovani è costituita dal suicidio!
Se tutto è relativo, merita ancora vivere quando la vita mostra le sue durezze?
La Chiesa, inviata dal suo Signore come sale della terra e luce del mondo, svolge la sua missione evangelizzatrice in molti modi, con la Parola, i Sacramenti e il servizio della carità.
Fa parte del suo servire il mondo l’essere con umiltà e amore coscienza critica e sistematica della storia: non è arroganza, ingerenza o intransigenza, ma fedeltà a Dio e agli uomini.
E’ portare il suo contributo alla costruzione della civitas terrena. Per questo non c’è da temere per la laicità dello Stato, infatti il principio di laicità inteso come “autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica – ma non da quella morale – è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto (...) La laicità, infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale dell’uomo che vive in società, anche se tali verità sono nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24.11.2002, n. 6).
E’ dunque giusto riconoscere la rilevanza pubblica delle fedi religiose: però se il semplice riconoscimento è già un valore auspicabile e dovuto, dall’altro è fortemente insufficiente in ordine alla costruzione del bene comune e allo stesso concetto di vera laicità.
Potremmo dire che è come una cornice di apprezzabile valore ma che deve essere riempita di contenuti.
Fuori dall’immagine, la laicità positiva non può ridursi a rispetto e a procedure corrette, ma deve misurarsi con l’uomo, per ciò che è in se stesso universalmente, cioè con la sua natura.
E’ questa – la sua conoscenza integrale e il suo rispetto plenario – che invera le diverse culture e ne misura la bontà o, se si vuole il livello intrinseco di umanesimo. A questo livello primario si colloca il doveroso apporto dei cristiani come cittadini, consapevoli che le principali virtù di chiunque si dedichi al servizio della città è la competenza e il merito: questo è l’insieme di onestà, spirito di sacrificio e stile sobrio.
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Essi offrono il loro contributo senza per questo dover mettere tra parentesi la propria coscienza formata dalla Dottrina Sociale della
Chiesa, dal Magistero autentico e da una solida vita spirituale nella comunità ecclesiale, ricordando che la coscienza è l’eco della voce di Dio – come affermava il beato Newman – ed deve essere sempre attenta perché le opinioni, le ideologie, gli interessi o le abitudini, non oscurino quella suprema voce che indica la via della verità e del bene. Il ministero di Pietro, che è servizio di verità e di carità, è posto da Cristo Gesù perché la coscienza non si smarrisca tra gli innumerevoli rumori del mondo.
Umanesimo e umanesimi
Se, come ha affermato il Santo Padre Benedetto XVI, “la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 75), allora i cattolici non possono tacere circa la concezione dell’uomo che fonda l’umanesimo integrale.
Non tutti gli umanesimi, infatti, sono equivalenti sotto il profilo morale; da umanesimi differenti discendono conseguenze opposte per la convivenza civile. Se si concepisce l’uomo in modo individualistico, come oggi si tende, come si potrà costruire una società aperta e solidale dove si chiede il dono e il sacrificio di sé?
E se lo si concepisce in modo materialistico, chiuso alla trascendenza e centrato su se stesso, un “sasso” che rotola nello spazio, come riconoscerlo non come “qualcosa” tra altre cose, ma come “qualcuno” che è qualitativamente diverso dal resto della natura?
L’uomo si autotrascende nel senso che è sempre più di se stesso, tende ad andare oltre di sé per essere sé, già e non ancora, finito e desiderio di infinità, tempo ma con la scintilla di eterno: è la creatura di confine fra cielo e terra, umano ma chiamato all’intimità con Dio. Individuo ma non individualista, unico ma non chiuso, soggetto aperto al mondo e agli altri in virtù dell’istinto di comunione nella verità e nell’amore. “ Il mondo moderno – scriveva J. Maritain – confonde semplicemente due cose che la sapienza antica aveva distinte: confonde l’individualità e la personalità” ( J. Maritain, Tre riformatori, Brescia 1964,
Purtroppo, segnali inquietanti di questa tragica confusione non mancano. Su che cosa, allora, si potrà poggiare la sua dignità inviolabile, e quale il fondamento oggettivo e perenne dell’ordine morale?
Era questa la domanda che il Santo Padre Benedetto XVI poneva nel viaggio apostolico nel Regno Unito e anche a in Germania.
E sta proprio qui il punto di incontro e d’intesa di ogni dialogo civile e politico, sta qui il giudizio di verità su ogni società, cultura e religione: “La Chiesa cattolica
è convinta di conoscere, attraverso la sua fede, la verità sull’uomo e quindi di avere il dovere di intervenire in favore che sono validi per
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l’uomo in quanto tale indipendentemente dalle varie culture. Essa distingue fra la specificità della sua fede e le verità della ragione, a cui la fede apre gli occhi e alle quali l’uomo in quanto uomo può accedere anche a prescindere da questa fede. (...).
La Chiesa, al di là dell’ambito della sua fede, considera suo dovere difendere, nella totalità della nostra società, le verità e i valori, nei quali è in gioco la dignità dell’uomo in quanto tale.
Quindi, per citare un punto particolarmente importante, non abbiamo diritto di giudicare se un individuo sia ‘già persona’, oppure ‘ancora persona’, e ancor meno ci spetta manipolare l’uomo e voler, per così dire, farlo.
Una società è veramente umana soltanto quando protegge senza riserve e rispetta la dignità di ogni persona dal concepimento fino al momento della sua morte naturale” (Benedetto XVI, Discorso al nuovo Ambasciatore tedesco, Roma 7,11,2011).
Non si tratta quindi di voler imporre la fede e i valori che ne scaturiscono direttamente, ma solo di difendere i valori costitutivi dell’umano e che per tutti sono intelligibili come verità dell’esistenza.
Poiché appartengono al DNA della persona non possono essere conculcati, né parcellizzati o negoziati attraverso mediazioni che, pur con buona intenzione, li negano.
E’ questo il ceppo vivo e solido che costituisce l’etica della vita, ed è su questo ceppo che germogliano tutti gli altri necessari valori che vengono riassunto con etica sociale.
Tra questi, la vita umana, dal suo concepimento alla sua fine naturale, è certamente il primo. La coscienza universale ha acquisito – e sancito almeno nelle carte – una elevata sensibilità verso i più poveri e deboli della famiglia umana.
Ma ci dobbiamo chiedere: chi è più debole e fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto?
Vittime invisibili ma reali!
E chi più indifeso di chi non ha voce perché non l’ha ancora o, forse, non l’ha più?
La presa in carica dei più poveri e indifesi esprime il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento.
E modella, educa, la forma di pensare e di agire – il costume- di un popolo e di una Nazione, il suo modo di rapportarsi al suo interno, di sostenere le diverse situazioni della vita adulta sia con codici strutturali adeguati, sia nel segno dell’attenzione e della gratuità personale.
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A volte si evidenzia che un conto è la presa in carica, il prendersi cura della vita fragile di chi questo vuole e comunque ne ha diritto, e un altro sarebbe la volontà diversa di chi determina un diverso comportamento.
Torniamo ad un punto cruciale: se la libertà individuale abbia o non abbia qualcosa di più alto a cui riferirsi e a cui obbedire.
Abbiamo visto che l’autodeterminazione non crea il bene e il male, ma ciò che è scelto.
Ora la libertà è tenuta a fare i conti con la natura umana, con il suo bene oggettivo poiché per questo Dio ce l’ha donata, perché costruissimo noi stessi e non per andare contro noi stessi.
Ma anche fuori da un’ottica religiosa, penso si possa giungere alla medesima conclusione.
A questo punto credo che le questioni siano due.
Innanzitutto, come anche recita la nostra Costituzione, il bene della salute e quindi della vita, ma dovremmo dire ogni uomo, è un bene non solo per sé ma anche per gli altri e questi altri non sono solamente i familiari e gli amici – che purtroppo a volte possono non esserci – ma sono la società nel suo insieme.
Qui sta una nota dolente a cui bisogna sempre più reagire: se l’uomo sta scivolando dalla realtà di persona a quella di individuo assoluto e geloso della propria assoluta indipendenza e autonomia, allora la società si concepirà come una massa di monadi dove ciascuno si arrangia a portare la vita, nutrendo dei diritti verso il corpo sociale come la casa, il lavoro, la sicurezza...ma lasciando gli altri fuori per tutto il resto.
Il punto non è far entrare la società nel privato, ma si tratta di
recuperare la natura relazionale della persona sicché la società possa e debba concepirsi e strutturarsi non solo come erogatrice di servizi, ma come comunione di destino.
Cambia totalmente la prospettiva.
Nessuno deve sentirsi solo e abbandonato nella società-comune, né nei momenti di gioia né negli appuntamenti del dolore, della malattia e della morte.
E se dietro al rispetto di ogni volontà ci fosse il desiderio di non prendersi in carica, poiché il prendersi cura richiede intelligenza e cuore, tempo e sacrificio, risorse umane e economiche?
Una cultura siffatta sarebbe più rispettosa o più egoista, umana o violenta?
E poi, mi sembra esista un secondo nodo: dobbiamo recuperare il senso del dolore che è sistematicamente emarginato, nascosto nella sua naturalità, oppure è esorcizzato somministrandone dosi massicce e continuative nel tentativo di anestetizzare la sensibilità della gente e renderla quindi impermeabile.
Due modalità diverse ma lo scopo è identico: far morire la morte.
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La cultura contemporanea deve riconciliarsi con il dolore e la morte se
vuole riconciliarsi con la vita, poiché i primi fanno parte della seconda.
E quindi dobbiamo recuperare la capacità di portarlo insieme.
La persona sofferente ha paura di essere sola, abbandonata: tutti abbiamo sperimentato quanto una persona malata cerchi il contatto fisico della mano dell’altro, e questo piccolo, umanissimo gesto ha il potere di tranquillizzare e rasserenare.
E’ la presenza, la compagnia d’amore che dobbiamo riscoprire non solo come singoli e famiglie, ma come società.
Ma per questo dobbiamo rimettere al centro la relazione, sull’esempio di Dio che in Cristo ci ha incontrato nel nostro dolore, nelle molte fragilità della vita e nelle stesse gioie, facendo sentire che nessuno è solo, e che assolutamente nessuno sarà da Lui abbandonato.
Risposta al Cardinal Bagnasco, sulla sua Lectio Magistralis
Egregia Eminenza,
Come al solito la Chiesa dimostra attraverso i suoi cardinali, un tentativo di trattazione di temi reali, senza l’opportuna conoscenza reale di ciò che prova l’individuo “Non privilegiato” nella vita di tutti i giorni.
Affrontare ancor oggi i temi di ciò che sia la conoscenza, la possibilità di avere la conoscenza, la verità, la libertà, l’autodeterminazione, la differenza tra bene e male, la natura relazionare della persona, la somministrazione del dolore alla società a fini terapeutici, ci sembra superflua trattazione troppo complessa per chi non può coglierla e già ampiamente superata dagli altri, visto il grado di avanzamento sociale raggiunto.
Le uniche proposizioni apprezzabili sono che la Chiesa confermi di farsi carico della difesa delle parti deboli della società, dando loro la voce e l’energia che da soli non possono né raccogliere né utilizzare.
L’azione sociale di combattere l’emarginazione dei deboli è sicuramente encomiabile, benché già nota e riconosciuta da sempre quale ruolo tipico degli ecclesiastici cristiani.
Il tentativo infine, di “spacciare” l’autodeterminazione degli individui e quindi anche dei popoli, come abuso della propria libertà, suona come un mero tentativo di sedazione delle velleità di alcuni movimenti politici italiani, che esula dalle competenze della Chiesa, a meno che non stiamo parlando della “Industria Chiesa”.
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Casa dolce casa
Giovani traditi dagli errori-orrori del monetarismo
Dopo l’esproprio dei mutui istruiti e quasi in fase di stipule, l’annullamento di centinaia di compromessi già firmati, con cauzioni già versate, in capo a centinaia di imprese italiane, il settore immobiliare non poteva che subire gli esiti disastrosi che tutti hanno potuto rilevare dagli anni 2008 sino al 2012 vedendo l’altissimo numero di appartamenti ultimati e rimasti invenduti.
Nonostante ciò alcuni costruttori pagavano ingenti oneri ai Comuni già nel 2011, per iniziare a costruire nuovi cantieri.
Quindi il black out monetario ha avuto com effetto “stop and go” che ha stoppato imprese esistenti che non hanno più riaperto, ed ha lanciato imprese forti e nuove che sono subito ripartite con nuovi cantieri nel 2011.
Eccezione naturalmente hanno fatto tutte le imprese dell’indotto Milanese dell’Expo, che subito hanno seguito la scia gettata dalle società di coordinazione degli investimenti preposte, i cui soci costituenti erano Regione Lombardia, Provincia di Milano, Comuni dell’Hinterland.
Tali società hanno identificato solo poche solide imprese dotate della credibilità sufficiente per realizzare rapidamente grandi edifici come Fiera di Rho Pero, Palazzo Lombardia e interventi similari.
Per quanto riguarda le imprese silurate, invece, nessun aiuto da chicchessia: anzi i rimproveri delle banche prone a Basilea due e tre per i
cui parametri e dettami tali imprese basate storicamente sul finanziamento swap bancario, avrebbero dovuto essere improvvisamente dotate di tutto il patrimonio necessario ad ultimare il cantiere senza contare sugli acconti provenienti dalle vendite dinamicamente effettuate in corso d’opera. (sic!).
I giovani allo sbando
Per i giovani, lasciati senza il compromesso firmato, senza la possibilità del mutuo, è stato un duro colpo.
Da una simile esperienza era facile aspettarsi l’aumento dell’indice di perdita di fiducia verso le istituzioni e verso il futuro.
Il vero danno derivante da tutto ciò è stato proprio questo gravissimo ulteriore attacco fatto dal cieco monetarismo aberrante, verso il sistema paese di ogni stato europeo.
Dopo la già notevolmente precaria situazione di sfiducia giovanile precedente, dimostrata dall’aumento di usi di stupefacenti, alcol,
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
frequentazione di discoteche, espatrii selvaggi, questa della negazione del credito è stata proprio l’arma letale per lo snervamento delle classi giovanili europee.
Precariato selvaggio, baronismo, eccesso di laureati, immigrazione selvaggia, hanno causato fuga della maggior parte dei giovani dalla nazione o dalla realtà.
Per quei pochi rimasti, che volevano unirsi per formare una famiglia, acquistando una casa propria, la stangata della negazione del credito è stata la decimazione della fiducia nelle istituzioni.
Le giovani coppie dopo lo stop dei mutui
Nel frattempo qualcuno voleva riprovarci, e mettere su una propria famiglia. Magari coppie di diversa etnia o di etnia estera, o di fatto, ma il mercato continuava.
Ecco allora il rilancio delle agenzie immobiliari con siti internet sempre più esaurienti e interattivi.
L’acquisto di una casa è stata sempre la decisione importante per ogni copia e per esso si dovevano allora considerare un maggior numero di fattori rispetto il passato.
Innanzitutto una coppia, voleva assolutamente essere sicura di non comprare una casa finché non avesse identificato un lavoro per ciascuno dei componenti, che avesse permesso loro di vivere in una città per almeno cinque anni.
Essi avrebbero voluto inoltre, una stabilità finanziaria che assicurasse loro di mettere da parte almeno il 20% dello stipendio in modo da poter andare avanti bene ed eseguire puntualmente i pagamenti mensili dei mutui.
La casa target per una coppia, doveva essere ubicata anche in una splendida zona e in prossimità di una scuola.
Infine l’intermediario immobiliare doveva essere un’agenzia primaria di serissima reputazione che desse inoltre tutte le informazioni necessarie anche attraverso un ottimo sito web con i seguenti requisiti minimi:
Che presentasse ogni lista con diverse decine di fotografie, film panoramici e e dettagli di ogni aspetto della casa. Dal ogni punto di vista
e da porta a porta sino a mostrare persino i rubinetti del bagno degli ospiti, onde permettere di controllare ogni angolo della casa ogni potenziale.
Una calcolatrice di mutuo che desse una buona idea su ciò che sarebbero stati i loro pagamenti mensili, e che desse loro un buon anteprima per una buona conversazione qualora avessero iniziato i colloqui con gli agenti immobiliari.
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Ma nonostante ciò, il mercato proseguì a rilento per ancora molto tempo, e la decisione sulle misure economiche da adotttare sembrava sempre più difficile da adottare.
Nuove fabbriche e nuovi sindaci
Se le piazze dei paesi erano visibilmente ormai gremite da popolazioni non autoctone, appartenenti alle culture più svariate,
e in ogni negozio gestito da Cinesi appariva puntualmente un gruppo di bambini Cinesi, e così in un negozio gestito da arabi, egiziani,
turchi, greci, rumeni, marocchini, tunisini, indiani, ecc, l’osservatore ne deduceva che ben presto i capi delle fabbriche del paese, presto sarebbero divenuti stranieri, e così sarebbe avvenuta necessariamente a breve anche per il padrone della stessa fabbrica, il Prete della Chiesa, e il Sindaco del Paese, e così infatti fu.
Mentre a San Marino la legge stabiliva che per possedere la cittadinanza sanmarinese si dovesse permanere nel granducato per almeno sette generazioni, in Italia ed Europa ne bastava solo una, e forse solo mezza e nessuna legge fu mai varata per tutelare il patrimonio etnico italiano.
I muri che i nonni dei cittadini autoctoni avevano lasciato in eredità dopo averli strenuamente difesi nelle guerre storiche, mantenuti e tramandati alla generazione attuale, sia per cessione, sia per fallimento, venivano levati a quest’ultima, che si vedeva così “soffiare” millenni di storia in un solo ventennio di “world globalization”.
Ma quali furono le vere cause di tutto questo processo?
Perché gli americani fecero entrare da sempre nei loro territori prima, orde di navi con lavoratori africani, e poi altri da tutto il resto del mondo, facendo dell’immigrazione un business per lo stesso mantenimento statale in vita?
Perché i Francesi prima colonizzanti e poi colonizzati dai suoi stessi coloni, che di riflusso sono entrati ad invadere la Francia da diversi anni non è stata capace di riprodursi a sufficienza, per creare il numero di contribuenti voluto dal proprio capo di gabinetto del tesoro, utilizzando la genealogia autoctona?
Perché lo stesso hanno fatto i tedeschi, tanto che un turista che passava casualmente da Hannover, assisteva all’effettiva invasione di Turchi nelle discoteche tedesche, unica razza questa ben tollerata evidentemente dal razzismo ariano?
E perché ora tutto questo stava avvenendo nella sacrale Italia, ex paese abbondantemente ecclesiastico, nonostante nessun cittadino lo avesse voluto?
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L’inviolabilità bancaria
Si dice che un anonimo banchiere finito in galera come capro espiatorio per tutta la categoria ha scritto recentemente dei libri-denuncia.
In carcere avrebbe sviluppato e lasciato una confessione significativa, la cui sostanza è questa: l’economia non è morta, ma l’attuale sistema è stato ucciso dall’egoismo finanziario di poche persone.
E la cosa paradossale è che questi casta finanziaria ha utilizzato l’arma preferita dal comunismo: l’egemonia culturale. La nozione sviluppata da
Gramsci negli anni Venti, stabiliva la necessità di imporre una visione del mondo e delle idee per poter leggere e interpretare la società. I nuovi guru del pensiero unico disumanizzante hanno semplicemente venduto delle idee di felicità a breve termine per imporre una determinata visione della realtà, che in pochi anni è diventata dominante grazie al contributo delle classiche figure accademiche ben prezzolate: i professori universitari (i loro rapporti orali sono i più pagati).
La regola principale di questo tipo di filosofia liberista è la seguente: “Ciascuno è libero di fare del bene, ma a sue spese” (Milton Friedman, premio Nobel nel 1976). Che è come dire che siccome siamo quasi tutti buoni si può fare a meno di spendere soldi nelle forze di polizia.
Invece il concetto fondamentale di questa politica era quello di Margaret Thatcher: “La società non esiste, esistono solo gli individui” (quelli che comandano e quelli che s’incazzano).
Del resto ci furono molti premi Nobel tra gli economisti liberisti: vinse Hayek nel 1974 (a mio parere il più creativo e serio tra tutti) e l’ultimo premiato fu probabilmente Vernon Smith nel 2002.
Con tutti questi economisti che originarono il pensiero unico e il tabù dell’inviolabilità delle Banche Centrali, è un miracolo che si sia arrivati al 2009. In effetti fino al 2009 ci si è arrivati solo grazie ai vari camuffamenti finanziari e ai giochi matematici che solo dei “grandi luminari” potevano ideare.
Tutti hanno preferito non pensare alle implicazioni del Teorema dell’incompletezza di Godel che ha dimostrato che la verità di un assioma non è la sua dimostrazione logica, nel senso che è impossibile dimostrare la non contraddittorietà di un sistema logico-matematico con il linguaggio dello stesso sistema. Quindi, se si vuole indagare il mondo con sistemi logico-matematici, sorge la necessità di utilizzare altri linguaggi e sistemi per descrivere accuratamente questo mondo.
Cioè l’economia e la finanza non si possono ridurre solo a delle semplici o a delle complicatissime formule matematiche. In realtà in molti sapevano benissimo che vendere e rivendere debiti travestiti da titoli “sani” (insieme a titoli sani), avrebbe portano alla batosta finale, ma l’importante era levare le tende prima dello scoppio della bufera finanziaria e popolare. Però Reagan aveva ragione, ma non nel senso che intendeva lui: “Lo stato non è la soluzione ai nostri problemi, ne è la
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causa”, perché ha lasciato andare la barca alla deriva. Infatti la società che naviga in un’economia è come una barca: se non viene governata prima o
poi si incaglia, si spiaggia o affonda speronando un’altra barca o degli scogli. E purtroppo in quasi tutti i paesi si lasciano governare dei vecchi stolti molto impreparati: anche quando riescono a prendere la decisione giusta è ormai troppo tardi.
Illuminati nordici
Mentre in Italia giornalisti e cittadini credevano ancora nel 2011 dell’illeicità e dell’ingiustificatezza assoluta di movimenti come la p2 e poi la p3,
in tutti i paesi europei erano state costituite delle vere e proprie istituzioni pubbliche per gestire lo sviluppo del paese verso i nuovi dettami globali. In Germania ad Esempio, era stato costituito il
“DIE” ovvero l’Istituto di sviluppo economico Tedesco - Dipartimento della Governance Globale
Con relativo sito pubblico Edito dall’istituto di sviluppo - economico Tedesco -Deutsches Institut für Entwicklungspolitik (DIE) -Tulpenfeld 6 -53113 Bonn -Germania -Telefono: +49 (0) 228 94927-0 - Fax: +49 (0) 228 94927-130 - DIE@die-gdi.de - www.facebook.com / DIE.Bonn
Il Dipartimento si concentrava sull'analisi della trasformazione politica e la stabilità dei diversi ordini politici e sulla capacità degli Stati di adempiere le funzioni pubbliche. Il loro sito riportava:
“..Esaminiamo governance e modelli di conflitto correlati a queste problematiche e incorporare le nostre analisi nel più ampio contesto internazionale.
La nostra competenza principale consiste nella analisi empirica da una prospettiva di economia politica, che è la teoria-driven e suono metodologici. La nostra profonda competenza in diverse regioni ci permette di andare oltre il paese o la regione specifica analisi verso i confronti interregionali. La nostra conoscenza tacita sui campi di assistenza allo sviluppo e la politica estera ci consente di promuovere la comunicazione tra ricercatori e professionisti, nonché per fornire consulenza a base di ricerca per i decisori politici.
Attualmente la nostra attività si concentrano su tre aree principali:
• Trasformazione: Democratizzazione e determinanti esterni di ordine politico
• Stabilità: gli Stati fragili e conflitti armati
• Stato Capacità: Decentramento e finanza pubblica Progetti in corso
Responsabilità in Mozambique: sfide e opportunità per la cooperazione
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allo sviluppo
Obiettivi contrastanti della promozione della democrazia
Promozione della democrazia nell'era di Social Media digitali: sfide e opportunità
Valutare l'intervento di governo con metodi rigorosi Governance nei Paesi donatori e la qualità degli aiuti esteri
Cartolarizzazione degli aiuti esteri
L'efficacia del sostegno di bilancio
L'impatto della Russia, India e Cina per le strutture nella loro governance regionale per l'ambiente (RICGOV)
Dipartimento "Competitività e lo Sviluppo Sociale"
"Competitività e lo Sviluppo Sociale" reparto lavora sul rapporto tra crescita economica, innovazione, competitività, produttività e sviluppo,
da una parte e (proventi) la distribuzione e la povertà nei paesi in via di sviluppo dall'altra. Sulla base dei risultati delle sue ricerche, il team sviluppa concetti per le politiche economiche e sociali che servono a rafforzare la competitività a lungo termine dei paesi in via di sviluppo, e sono allo stesso tempo socialmente inclusiva e sostenibile. Il team di sviluppo consiglia anche le istituzioni tedesche e internazionali. attuali attività del dipartimento di ricerca e consulenza concentrano su:
• promozione attiva di affari e business in settori quali la promozione SMI e di integrazione nella catena del valore;
• innovazioni per una crescita ecologicamente sostenibile e socialmente inclusivo ;
• determinanti di un clima favorevole agli investimenti nei paesi emergenti , che pone le basi per una crescita inclusiva e le misure di sostegno più adatto allo scopo;
• efficienza di sensibilizzazione e di riduzione della povertà della politica agricola e dello sviluppo rurale ;
• sistemi di protezione sociale nei paesi in via di sviluppo e trasformazione ;
• pro scarsa crescita in India e Brasile.
Oltre a questo focus della ricerca, il dipartimento è attualmente responsabile del coordinamento del progetto di cooperazione con i paesi di ancoraggio . Questo progetto analizza lo sviluppo della cooperazione tedesca con questo gruppo paese e sviluppa concetti di cooperazione tra agenzie.
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Progetti da allora in corso
• La produzione di biocarburanti in area sub sahariana
• Innovazioni per uno sviluppo ecologicamente sostenibile
• Nuove strategie di governance per la ricerca multilaterale per affrontare le sfide globali
• Shaping catene del valore in vista di esigenze di sviluppo
• Aggiornamento delle PMI: le barriere alla crescita per le piccole imprese
• L'impatto della crisi finanziaria ed economica globale sulle famiglie, piccole imprese e mercati del lavoro
• Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: I punti di forza e di debolezza - e che cosa questo significa per il futuro orientamento della politica di sviluppo globale?
L’intervento della Chiesa 26
“La Chiesa, al di là dell’ambito della sua fede, considera suo dovere difendere, nella totalità della società, le verità e i valori, nei quali è in gioco la dignità dell’uomo in quanto tale”. A ribadirlo è stato oggi il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, aprendo a Roma l’VIII Congresso nazionale di “Scienza & Vita” con una “lectio magistralis” sul tema “Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia” “Una società è veramente umana soltanto quando protegge senza riserve e rispetta la dignità di ogni persona dal concepimento fino al momento della sua morte naturale”, ha affermato il cardinale citando il Papa, e ha aggiunto: “Non abbiamo diritto di giudicare se un individuo sia ‘già persona’, oppure ‘ancora persona’, e ancor meno ci spetta manipolare l’uomo e voler, per così dire, farlo”. “Non si tratta – ha precisato – di voler imporre la fede e i valori che ne scaturiscono direttamente, ma solo di difendere i valori costitutivi dell’umano e che per tutti sono intelligibili come verità dell’esistenza”. “Poiché appartengono al Dna della persona – ha proseguito il cardinale – non possono essere conculcati, né parcellizzati o negoziati attraverso mediazioni che, pur con buona intenzione, li negano. È questo il ceppo vivo e solido che costituisce l’etica della vita”, e su cui “germogliano tutti gli altri necessari valori che vengono riassunti con l’etica sociale”.
Il Modello di Klein-Monti
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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Il modello di Klein-Monti (risultato di studi pubblicati nel 1971 e nel 1972) è un modello completo di comportamento di una banca in regime di
monopolio. Si tratta, cioè, di un modello teorico che si propone di spiegare le modalità attraverso cui si determina l'equilibrio microeconomico delle banche (modello di comportamento), considerando scelte di ottimizzazione che riguardano tanto l'attivo quanto il passivo (modello completo).
All'interno della categoria dei modelli di comportamento delle banche tale modello risulta essere lo schema teorico maggiormente condiviso tra gli economisti, in particolare perché si basa sull'assunzione di monopolio nel mercato degli impieghi e nel mercato della raccolta (a differenza di altri modelli che ipotizzano la concorrenza perfetta).
Schema del modello
1 Ipotesi del modello
2 Esposizione del modello
3 Conclusioni
4 Critiche
5 Bibliografia
Ipotesi del modello Klein-Monti
• monopolio nel mercato dei prestiti e nel mercato dei depositi;
• concorrenza perfetta nel mercato dei titoli; assenza di ricavi da servizi;
assenza di costi
D = quantità depositi;
T = quantità titoli;
R = quantità riserve;
k = proporzione di depositi destinata a riserva obbligatoria; iL = tasso d'interesse sui prestiti;
• •
iD = tasso d'interesse sui depositi;
iT = tasso d'interesse sui titoli (privi di rischio);
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Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• iR = tasso d'interesse sulle riserve;
• irob = tasso d'interesse sulla riserva obbligatoria;
• riserve = riserva obbligatoria (ipotesi semplicistica di
assenza di riserve libere);
• L+R+T=D (impieghi = fonti, ipotizzando per semplicità che la banca raccolga le proprie fonti di finanziamento solo attraverso i depositi);
• investimento;
• •
tasso iL;•
ηDd = elasticità della domanda di depositi rispetto al Esposizione del modello Klein- Monti
Considerando i ricavi degli investimenti (prestiti, titoli, attività con funzione di riserva liquida) e i costi dei finanziamenti (raccolta dei depositi), e tralasciando per semplicità l'esistenza di ricavi da servizi e costi reali, questa è
NV=L(1+iL) +T(1+iT) + R(1+ir)-D(1+iD)
la formula del valore netto della banca a fine periodo di investimento:
NV=L(1+iL) +T(1+iT) + kD(1+irob)-D(1+iD)
Considerando per semplicità che le riserve R=kD e iR=irob detenute dalla banca corrispondano alla sola riserva obbligatoria (rob), la formula del valore netto si ottiene ponendo e:
Dato che:
L+R+T=D
Abbiamo: T=D-L-R
Il valore netto diventa:
NV=L(1+iL) +(D-L-kD)(1+iT) + kD(1+irob)-D(1+iD)= =L(1+iL) +D(1+iT)-L(1+iT) + kD(1+iT) kD(1+irob)-D(1+iD)= =L(1-iL-1-iR)-D(1+iD-1-iT)-kD(1-iT-1-irob)= =L(iL-iT)-D(iD-iT)-kD(iT-irob)
Dove (considerando iT come il tasso d'interesse privo di rischio):
iL- iT è il premio per il rischio richiesto dalla banca ai prenditori di fondi;
tasso iT. •
NV = valore netto della banca alla fine del periodo di
Ld = f(iL) (domanda di prestiti);
Dd = f (iD) (domanda di depositi);
ηLd = elasticità della domanda di prestiti rispetto al
pag. 3! 6 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman iD - iT è il premio per il rischio offerto ai depositanti dalla banca;
iT - irob è il costo opportunità del detenere riserve (da notare che non si
tratta di un costo totale, ma di un costo marginale, ovvero costo
per unità di capitale investito in riserve).
La banca presenta un premio richiesto positivo nel primo caso e un premio offerto negativo nel secondo caso (che equivale ad un premio richiesto positivo); il costo opportunità sarà positivo.
Il premio per il rischio richiesto dalla banca ai prenditori è positivo perché la banca vuole compensare il proprio rischio di credito e il proprio rischio di liquidità inerenti all'attività di prestito.); ciò perché, se è vero che i depositanti corrono un certo rischio in caso di fallimento bancario, è pur vero che l'estrema liquidità dello strumento deposito, il controllo professionale dei rischi da parte della banca e la presenza (in certi paesi) di un meccanismo di assicurazione sui depositi, rendono in realtà tale strumento poco rischioso e molto comodo per i depositanti (gli svantaggi di questa forma di investimento sono più che compensati dai vantaggi che essa offre).
Il costo opportunità del detenere riserve rappresenta il costo in termini di mancato guadagno derivato dal fatto che la banca centrale obbliga le banche a detenere una parte di liquidità presso di essa, remunerandola ad un tasso inferiore a quello di mercato; questa quantità agirà quindi in senso negativo sul valore netto, per cui sarà maggiore di 0 (dato che l'addendo risulta negativo solo quando ).
La domanda di prestiti e la domanda di depositi sono rispettivamente:
Ld=f(iL) (funzione decrescente rispetto al tasso d'interesse sui prestiti) Dd=f(iD) (funzione crescente rispetto al tasso d'interesse sui depositi)
Il valore netto dovrà tenere conto della combinazioni quantità-tasso accettabili dalla domanda; la funzione del valore netto diventa quindi:
NV=Ld(iL-iT)-Dd(iD-iT)-kDd(iT-irob)
L'obiettivo della banca è la massimizzazione del profitto, ovvero la massimizzazione della funzione del valore netto a fine periodo rispetto alle variabili strategiche che la banca può governare; in presenza di monopolio la banca può governare direttamente la variabile prezzo (in questo caso corrispondente al tasso d'interesse, quello sui prestiti e quello sui depositi); il problema di ottimizzazione della banca può essere espresso dunque come:
max(iL,iD)NV=Ld(iL-iT)-Dd(id-it)-kDd(iT-irob)
Risolvendo il problema di massimizzazione in due variabili si ha il sistema costituito dalle seguenti equazioni:
δNV/δiL=δLd/δiL(iL-iT)+Ld =()(derivata parziale di rispetto a posta pag. 3! 7 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman uguale a 0)
(derivata parziale di rispetto a posta uguale a 0)
Conclusioni del modello Klein- Monti
Dal modello risulta una dicotomia tra il tasso d'interesse sui prestiti e il tasso d'interesse sui depositi (la fissazione dell'uno non influisce sulla fissazione dell'altro, se non indirettamente attraverso variabili determinanti comuni).
I titoli rappresentano una sorta di "variabile buffer", ovvero una posta attiva che viene "riempita" quando vi sono risorse in eccesso, e "svuotata" quando si vogliono ottenere delle risorse in più (attraverso la liquidazione dei titoli) da investire maggiormente in prestiti; non sempre quindi una riduzione dei depositi comporta una riduzione dei prestiti, dato che le banche possono appunto sfruttare le risorse detenute in titoli e reinvestirle in prestiti.
Per quanto riguarda gli effetti della politica monetaria, diversi sono i fattori su cui questa può agire per controllare l'ammontare delle grandezze bancarie (depositi e prestiti): tasso d'interesse sui titoli, tasso d'interesse sulla riserva obbligatoria, frazione di riserva obbligatoria.
Va infine sottolineato come i tassi fissati dalla banca sui due mercati controllati monopolisticamente siano funzione dell'elasticità della domanda al tasso d'interesse: se l'elasticità aumenta la banca fissa tassi d'interesse per essa più convenienti (del resto in genere esiste una relazione diretta tra elasticità della domanda rispetto al prezzo e grado di monopolio).
Critiche al modello Klein- Monti
Nonostante il comune riconoscimento dell'importanza del modello da parte degli studiosi, si rilevano alcuni spunti critici che evidenziano la necessità di approfondire gli studi teorici per migliorarne la capacità rappresentativa e interpretativa dei fenomeni economici considerati. Le principali critiche del modello riguardano i seguenti aspetti:
assenza del fattore rischio nella funzione di ottimizzazione della banca (assumendo la neutralità al rischio, il problema di ottimizzazione non si configura come scelta della combinazione ottimale rendimento atteso-rischio, ma semplicemente come scelta del livello ottimale del profitto);
assenza di relazione diretta tra ottimizzazione dell'attivo e ottimizzazione del passivo;
assenza di una prospettiva di scelta multiperiodale;
assenza di costi reali nella funzione obiettivo della banca (ovvero
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman nella funzione del valore netto).
Bibliografia del modello Klein- Monti
G. B. Pittaluga, "Economia monetaria", ed. Hoepli, 1999
M. Onado, "Mercati e intermediari finanziari", ed. Il Mulino,
2000
Considerazioni sul modello di Klein-Monti
Il modello è una semplice utility di calcolo del dimensionamento dei tassi di interesse attivi e passivi che il sistema bancario dovrebbe tendere a fissare sul mercato.
Tale modello è alquanto astratto ed erroneo per i seguenti macro motivi:
Presuppone il controllo monopolistico dei mercati da parte delle banche
Presuppone la concorrenza perfetta del mercato dei titoli che non può esistere come non può esistere l’uso esclusivo della moneta elettronica
Le soluzioni anticrisi
Il modello economico matematico della manovra di un paese
Variabili Le celle color azzurro sono modificabili (Attenzione: variazioni inverosimili di eccessiva entità rendono inattendibili i dati).
0,830
100,000
a livello di consumo autonomo 8,000
b propensione ai consumi rispetto al reddito
Strumenti di Politica Economica
t aliquota fiscale proporzionale 0,395
e livello di investimento autonomo: 75,000
Politica fiscale
d propensione agli investimenti rispetto al tasso Indicare la variazione (con segno algebrico) di:
g livello delle esportazioni nette autonomo 42,500 variazioni
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m propensione alle esportazioni nette rispetto al reddito
( G ) Spesa pubblica (mil.euro) -55,000 -7,30%
n propensione alle esportazioni nette rispetto al tasso
50,000 ( t ) Aliquota fiscale -0,030 -7,59%
k propensione a detenere moneta rispetto al reddito
h propensione a detenere moneta rispetto al tasso 100,000 G ammontare della spesa pubblica (miliardi di euro) 753,000
Politica monetaria
0,100
0,200
M offerta di moneta da parte delle autorità (miliardi di euro) 1.157,000 Indicare la variazione (con segno algebrico) di:
td tasso di disoccupazione 0,064 variazione
i tasso di interesse generale
di moneta (mil. €) 40,000 3,46% Valori ricavati dalle variabili
variazioni
P Livello generale dei prezzi
0,040 ( M ) Quantità Valori dopo la manovra
generale dei prezzi 4,254 5,85%
Y* Reddito di equilibrio (miliardi di euro)
176,539 Nuovo disavanzo di bilancio
P 4,280 4,019 3,758 4,280 4,254
DA valore di Y nella curva 1.430,071 1.492,794 1.423,917 1.426,826
PI Reddito di Pieno impiego delle risorse 1.559,351 1.559,351 1.559,351 1.559,351
1.459,396 -2,23%
Nuovo reddito di equilibrio 1.426,826
D Disavanzo di Bilancio pubblico [G - (t*Y)] (in miliardi di euro)
Pil Pil italiano 1.459,396 1.459,396 1.459,396 1.426,826 1.426,826 1.426,826
Agire sulla quantità di moneta immessa
4,019
Nuovo livello
177,208 0,38%
3,758
1.459,396 1.490,659
1.559,351 1.559,351
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Se si fosse aumentata la quantità di moneta dagli attuali 40 M ad esempio a 80 M (prelevando tutti i fondi giacenti overnights) il nuovo livello generale dei prezzi sarebbe salito dal tendenziale attuali del 1,46 per cento al 4,85 per cento stabilendo un incredibile balzo inflattivo.
Probabilmente la paura dell'inflazione galoppante, è quella che frenava i fautori dell'euro.
Ma con grave errore. Essi temevano per la stabilità della loro moneta coniata con tanta cura, e professavano una tendenza alla stabilità totale.
Io questa utopistica stabilità la avrei chiamata invece "stasi improduttiva".
Ed è risaputo infatti che in ogni stasi, in ogni inerzia assoluta, sia insita sterile negatività e improduttività.
Anche se professavo contemporaneamente contro ogni la pretesa verso tutti i sistemi economici, allora vigente, di una crescita tout cour obbligatoria e incondizionata per i motivi già esposti in questo libro, ritenevo, come tuttora, che un organismo adulto anche pur abbia il sacrosanto diritto a non dover crescere oltre un certo limite di equilibrio esistenziale, ma che dovesse comunque continuare a muoversi per non arrugginire.
Si poteva benissimo ricordare ad esempio, il periodo di assoluto benessere monetario per ogni classe, quando l'andamento galoppante dell'inflazione muoveva ciclicamente verso un apice, per poi ciclicamente riazzerarsi con un aggiustamento dei cambi valutari. Questa fenomenologia di "Alimentazione delle energie potenziali Economiche a Correnti Alternate inflattive galoppanti" ("AECA") hanno visto la crescita del "BENESSERE EFFETTIVO NAZIONALE" ("BEN") in molti paesi emblematici come Italia e ancor più il Brasile per esempio.
Agire sulla leva della spesa pubblica
Se fossimo partiti da un valore di riduzione della spesa pubblica ad esempio del -20% e avessimo portato questo valore per pura prova al -40% avremmo notato sia il passaggio del nuovo livello generale dei prezzi dal +1,46% al +3,94% e il nuovo disavanzo di bilancio dall'allora attuale -7,41% al -3,36%. Su questo tipo di azione era inevitabile non poter esprimere altro che un giudizio di non perseguibilità per via del livello di aumento dei prezzi molto importante, in rispetto dei dettami della stabilità dettati da Francoforte.
Agire sui tassi di interesse bancari
Se si fosse agito aumentando l'attuale 4% sino a portarlo al tasso dell'80% di colpo, per un solo anno, si sarebbero notino i seguenti elementi:
Nuovo livello generale dei prezzi scende al -0,999%
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman Nuovo disavanzo di bilancio -2,26%
Pur sapendo che tale azione temeraria e folle sarebbe improponibile e scandalosa, la si evidenzia a meri scopi didattici indicandola comunque come possibile soluzione drastica, ma risanante e anti inflattiva
Agire su aliquote fiscali proporzionali
Aumentando l'aliquota proporzionale dal 39,5% previsto per esempio al 800%
si otterrebbe una variazione dell'aumento dei prezzi del 5,90% ma una variazione del disavanzo da gli attuali 176 miliardi a ben -257 miliardi in un solo anno pari a meno 1,28%. dall'attuale +7,58%.
Pur sapendo che tale azione temeraria e folle sarebbe improponibile e scandalosa, la si evidenzia a meri scopi didattici indicandola comunque come possibile soluzione drastica, ma risanante e anti inflattiva
Agire sulla spesa pubblica
Se gli attuali 753 miliardi di euro spesi per la gestione pubblica, si riducessero di 55 miliardi si avrebbe un aumento generale dei prezzi del 5,65 per cento e ciò farebbe iniziare la galoppata inflazionistica del'euro, ma avrebbe il vantaggio di ridurre il disavanzo di bilancio al minimale 0,38%Agenzie di Rating inaffidabili?
Matematici globali erronei
Ma la Credibilità Americana e le sue Agenzie di S-rating sui Lybor CHE DICONO ?
Proprio quando si pensava che Wall Street non sarebbe riuscita a cadere più in basso - dopo che una miriade di abusi sulla fiducia del pubblico avevano già diffuso un miasma di cinismo su tutto il sistema economico, facendo nascere "Tea Parties"' “Movimenti di Occupanti” e ogni sorta di teorie del complotto, dopo che i suoi eccessi avevano già provocato il caos nella vita di milioni di americani, facendo sborsare miliardi ai contribuenti (che hanno recuperato solo in parte) ci rendiamo conto che ...... tutto questo non era ancora abbastanza!
Sedetevi e tenetevi forte !
I Top Managers di Wall Street hanno ricominciato a fare più soldi di prima grazie al loro irrefrenabile potere politico (frutto di "contributions" /mazzette più o meno legali), che ha già azzerato gran parte degli effetti della legge “Dodd-Frank” che avrebbe dovuto tenerli a
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
freno. Compresa la cosiddetta "Regola Volker" che è stata "venduta al popolo" come una versione più moderata della vecchia legge "Glass-
Steagall", che serviva a tenere da un lato gli investimenti e dall'altro la speculazione del sistema bancario commerciale. Sì, proprio quando si pensava che Wall Street aveva toccato il fondo, ci si è accorti che esiste un livello ancora più profondo di corruzione e di avidità per accaparrarsi denaro pubblico.
Quali sono i servizi più elementari che forniscono le banche? Prendere denaro in prestito e ri-prestarlo. Tu metti i tuoi risparmi in una banca di cui hai fiducia, e la banca si impegna a pagarti gli interessi. Oppure prendi in prestito denaro da una banca e accetti di pagare gli interessi bancari.
Come viene determinato il tasso di interesse?
Facciamo conto che il sistema bancario stia valutando il tasso di sconto di oggi impostando i suoi calcoli su una ipotesi ottimistica sul valore futuro del denaro. E supponiamo che questa ipotesi si basi, a sua volta, sulle previsioni del mercato globale formate dalle indicazioni degli istituti, che gestiscono credito e debito in tutto il mondo, sull'evoluzione futura della domanda e dell'offerta di denaro.
Ora supponiamo che la nostra ipotesi sia sbagliata. Supponiamo che i banchieri stiano manipolando il tasso di interesse in modo da poter fare scommesse con i soldi che gli state prestando o con cui devono ripagarvi - scommesse con cui guadagneranno montagne di soldi, perché loro conoscono in anticipo le informazioni su quello che farà veramente il mercato. Informazioni che però non stanno condividendo con voi.
Se questa ipotesi fosse vera, costituirebbe non solo una enorme violazione della fiducia del pubblico ma anche una estorsione di proporzioni quasi cosmiche – miliardi di dollari che voi ed io e altre persone del ceto medio non avremmo ricevuto sui nostri correnti o non avremmo risparmiato sui nostri prestiti, che invece sarebbero rimasti in tasca ai banchieri.
Se questo fosse vero gli altri abusi di fiducia a cui abbiamo assistito finora, a confronto, sembrerebbero un gioco da ragazzi.
E’ triste dirlo, ma c'è ragione di credere che questo, o qualcosa di molto simile, sia già successo. Questo è quanto emerge dallo scandalo "Libor" (abbreviazione di "London Interbank Offered Rate") .
Libor è il parametro su cui si elabora il tasso di interesse per gestire migliaia di miliardi di dollari di prestiti in tutto il mondo – dei mutui, di
piccoli prestiti aziendali, di prestiti personali. Questo valore è il risultato della media dei tassi a cui le grandi banche dicono di prendere soldi in prestito.
Finora, lo scandalo è stato limitato alla Barclay’s, una grande banca con sede a Londra, che ha appena pagato 453 milioni dollari ai controllori del
sistema bancario americano e britannico, i cui alti dirigenti sono stati costretti a dimettersi. Le loro e-mail danno un quadro agghiacciante su quanto facilmente i loro colleghi abbiano potuto alterare i tassi di interesse e fare un sacco di soldi. (Robert Diamond Jr., ex amministratore
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
delegato della Barclay's Bank, che è stato costretto a dimettersi, ha dichiarato che le e-mail gli hanno fatto "male fisicamente " - forse perché rivelano la corruzione nella sua Banca in modo troppo evidente.)
Ma anche Wall Street è stata quasi sicuramente coinvolta in cose del genere, comprese le solite sospette - JPMorgan Chase, Citigroup e Bank of America - perché ogni grande banca contribuisce a fornire dati per fissare il tasso Libor, e la Barclay’s non avrebbe potuto agire senza che le altre ne fossero consapevolmente coinvolte.
Infatti la difesa della Barclay è stata che ogni banca importante stabiliva il Libor con il loro stesso metodo e con gli stessi scopi. E la Barclay's ora sta "collaborando" (cioè, fornendo prove schiaccianti sulle altre grandi banche) con il Dipartimento di Giustizia e con altre autorità di controllo per evitarsi sanzioni maggiori o procedimenti penali, prima che comincino i veri fuochi d'artificio.
Veramente ci sono due diversi momenti nello scandalo Libor.
Il primo è avvenuto nel periodo prima della crisi finanziaria, verso il 2007, quando la Barclay's e altre banche presentavano falsi tassi Libor,
inferiori agli oneri finanziari effettivi per nascondere i problemi in cui si trovavano veramente (e continuare a prendere i Bonus). E questa è stata una cosa delittuosa, perchè se si fosse saputo allora, forse qualche precauzione presa in tempo avrebbe ridotto l'impatto della crisi finanziaria prima che avvenisse nel 2008.
Ma il secondo scandalo è ancora peggio. Si tratta di una pratica più generale, iniziata intorno al 2005 e non si sa fino a quando potrà continuare a fare danni : si tratta di Manipolare il Libor in qualunque modo sia necessario pur di garantire alle banche che le loro scommesse sui derivati continuino a essere redditizie.
Si tratta di insider trading su scala gigantesca per cui i vincitori saranno sempre i banchieri e tutti gli altri - cioè noi - il cui denaro cè stato usato per fare le loro scommesse – dovranno essere gli ottusi perdenti.
Cosa fare a questo proposito, oltre sperare che il Dipartimento di Giustizia e le altre autorità di controllo impongano multe e sanzioni, anche penali, e incriminino i dirigenti responsabili?
Quando si tratta di Wall Street e del settore finanziario in generale, la maggior parte di noi si sente profondamente impotente e travolta da un cinismo che fa credere che non potrà mai essere fatto niente per fermare questi abusi perché è gente troppo potente. Ma dovremo vincere questo cinismo e superare la fatica di reagire senza farci prendere dallo sconforto perché se soccomberemo a queste enormi forze anche stavolta, nulla verrà mai fatto.
Non abbiamo scelta - bisognerà essere instancabili e tenaci nella nostra richiesta - bisogna che la legge “ Glass-Steagall” venga riattivata e che
tutte le maggiori banche vengano divise. La domanda che dobbiamo porci è "lo scandalo Libor che si sta svelando oggi basterà a segnarci tanto da darci la forza di pretendere che venga finalmente fatto un lavoro serio sulla politica bancaria?".
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Robert Reich, uno dei maggiori esperti su lavoro e economia, è Chancellor’s Professor of Public Policy alla the “Goldman School of
Public Policy” dell’University of California a Berkeley. Ha servito in tre amministrazioni nazionali, più di recente come segretario del lavoro durante la presidenza di Bill Clinton. Time Magazine lo ha nominato come uno dei più efficaci dieci segretari di gabinetto del secolo scorso. Ha scritto tredici libri, tra cui il suo ultimo best-seller, Aftershock: The Next Economy and America’s Future; The Work of Nations; Locked in the Cabinet; Supercapitalism; e il suo ultimo, un e-book, Beyond Outrage. I suoi articoli e i suoi commenti televisivi e radiofonici raggiungono milioni di persone ogni settimana. E 'anche editor fondatore della rivista American Prospect, e presidente di “ Citizen’s group Common Cause”. Il suo blog Robert Reich. È molto seguito
Agire sulle leve della manovra
Economia e diritto
Modello matematico di politica economica
E’ da tempo disponibile su internet un modello economico che illustra come varia il Pil italiano per effetto delle manovre di politica economica (fiscale e monetaria) del governo.
Chiunque può provare ad usarlo e vederne i risultati.
Leggiamo e sentiamo spesso parlare di manovre pubbliche o di interventi di politica economica da parte del governo. Sappiamo che queste politiche producono delle conseguenze sul nostro sistema economico e sono ideate e poste in essere proprio allo scopo di raggiungere i grandi obiettivi di sistema: crescita del Pil, ovvero del reddito nazionale, diminuzione della disoccupazione e contenimento dell’inflazione (crescita dei prezzi).
Ma nello specifico, cioè da un punto di vista strettamente numerico, come influiscono le decisioni di politica economica sulle importanti variabili del sistema economico? Per esempio un intervento di politica fiscale come modifica le principali grandezze economiche del paese?
Un aumento della spesa pubblica aumenta il reddito nazionale (Pil) o lo diminuisce? E di quanto?
La riduzione delle tasse che colpiscono i redditi degli italiani che effetto produce? E un’iniezione di liquidità monetaria nel sistema bancario, ad opera delle autorità pubbliche, a quali scenari conduce?
Sono tutte domande che possono trovare una risposta grazie al modello
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
economico liberamente scaricabile in questa pagina.
(http://www.studiamo.it/studiamo-file/Modello economico 6.xls)
Ci si può quindi divertire a cambiare i valori del modello legati agli strumenti di politica economica: spesa pubblica (G), aliquota fiscale (t) e quantità di moneta offerta (M). Ciò allo scopo di analizzare le conseguenze che le modifiche hanno sul:
• Pil nazionale
• Livello generale dei prezzi (P) e quindi sull’inflazione
• Disavanzo del bilancio pubblico
Il modello è costruito sulla base della nota teoria IS-LM, ampiamente studiata ed utilizzata nei corsi di economia politica. Il grafico IS-LM ha il vantaggio di trovare il reddito di un paese ponendo in equilibrio simultaneamente il mercato dei beni e quello della moneta.
Dall’uguaglianza dei valori di equilibrio dei due mercati si ricava un’equazione conosciuta come domanda aggregata. E’ proprio tale retta della domanda aggregata la prima indicazione fornita dal modello economico, insieme al punto su di essa espressivo del Pil nazionale di equilibrio.
Inoltre, mediante l’inserimento del tasso di disoccupazione del sistema, il modello mostra anche il livello di produzione nazionale corrispondente al reddito di pieno impiego, evidenziando quindi il gap di Pil da colmare per raggiungere la piena occupazione delle risorse.
Variando le variabili di politica economica (G, t e M) è anche possibile elaborare una nuova domanda aggregata ed un nuovo punto di equilibrio sulla stessa, rappresentativi della nuova situazione economica così come modificatasi per effetto dell’intervento pubblico nel sistema.
Ricordiamo che la politica economica si concretizza sostanzialmente in due importanti strumenti a disposizione del governo:
• la politica fiscale, con la quale si cerca di raggiungere gli obiettivi di reddito, di inflazione e di disavanzo programmati attraverso modifiche dell’aliquota fiscale sui redditi (t) e/o del livello di spesa pubblica (G)
• la politica monetaria, con la quale si cerca di realizzare soprattutto il contenimento dei prezzi e quindi dell’inflazione variando la quantità di moneta offerta (M)
Scendendo nel dettaglio, l’equazione IS-LM utilizzata per il modello economico è questa:
Y* = a + e + g + G + [(M/P)(d + n)]/h
1 – b(1 – t) + m + (d + n)(k/h) dove
a livello dei consumi autonomo, cioè indipendente dal reddito
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman b propensione al consumo rispetto al reddito
t aliquota fiscale sui redditi (in altre parole è il livello della pressione fiscale)
e livello di investimento autonomo, cioè indipendente dal tasso di interesse
d propensione agli investimenti rispetto al tasso di interesse g livello delle esportazioni nette (export – import) autonomo
m propensione alle esportazioni nette rispetto al reddito
n propensione alle esportazioni nette rispetto al tasso di interesse
k propensione a detenere moneta rispetto al reddito
h propensione a detenere moneta rispetto al tasso di interesse
G ammontare della spesa pubblica dello Stato (in miliardi di euro)
M offerta di moneta da parte delle autorità monetarie (in miliardi di euro)
P livello generale dei prezzi (da non inserire perché calcolato automaticamente dal modello)
Y* reddito di equilibrio (o Pil, calcolato anch’esso automaticamente)
Inoltre servirà, ai fini del funzionamento del modello, l’inserimento dei seguenti dati:
td tasso di disoccupazione del sistema
i tasso di interesse generale (p.es. quello dei BOT a 1 anno oppure il tasso BCE)
Modello matematico
(presente alla pagina http://www.studiamo.it/studiamo-file/Modello economico 6(1).xls),
I precedenti dati numerici sono già inseriti, ma si possono liberamente cambiare in modo da configurare una diversa domanda aggregata di partenza.
I valori proposti sono in parte tratti dalle informazioni ufficiali di fonte ISTAT ed in parte scopiazzati dai vari libri di testo di economia politica. Hanno però il pregio di fornire un reddito (Pil) di equilibrio coincidente con quello attuale (inizio anno 2008) del nostro paese.
I suddetti parametri vanno inseriti nel primo foglio di lavoro del file excel, quello denominato “Dati economici e finanziari” (di colore azzurro).
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman Le celle di inserimento sono quelle di colore azzurro.
Si otterranno così i valori dei prezzi (P), del reddito di equilibrio (Y*) e del disavanzo pubblico (D).
Nello stesso foglio vanno anche inserite, se si vuole, le variazioni ad uno o più dei valori influenzanti la politica economica (G, t e M) per determinare una seconda retta di domanda aggregata, espressiva del nuovo scenario economico di sistema.
Anche in questo caso i dati sono già proposti, ma possono essere cambiati a piacimento.
I valori inseriti (ma modificabili) evidenziano quella che sembra essere la recente politica economica del governo Berlusconi: giù le spese pubbliche (G) e contenimento/riduzione delle imposte (t). Per la moneta (M) si è adottata la regola di politica monetaria della BCE (Banca Centrale Europea), per la quale l’offerta di liquidità deve aumentare di circa il 3/4% all’anno.
Una volta inseriti i dati è possibile vedere il grafico dello scenario economico di sistema andando al foglio di lavoro excel denominato “Grafico Domanda aggregata” (di colore rosso).
L’andamento del disavanzo pubblico conseguente le scelte di politica fiscale sono mostrate nel terzo foglio di lavoro del file excel: “Dinamica disavanzo pubblico (di colore verde).
Ricordiamo che le celle di inserimento sono quelle di colore azzurro.
Si raccomanda di non procedere a grosse variazioni dei parametri indicati (sia di sistema che riferiti alla politica economica) per non rendere inservibili i grafici. D’altro canto le variazioni apportate devono essere di entità verosimile e fintanto che tale circostanza viene rispettata il grafico dovrebbe rimanere “leggibile”.
Come sempre dichiariamo che abbiamo messo il nostro massimo impegno nella creazione del modello offerto gratuitamente a tutti i navigatori, tuttavia il suo fine resta pur sempre didattico e pertanto ci esoneriamo da qualsiasi responsabilità per gli eventuali danni derivanti dal suo uso.
Global praecis
Lo sfogo di un cittadino italiano, trovato su internet
Partiamo da alcuni versi canzonettistici...
..e con le mani.. amore.. per le mani ti prenderò...
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
..e senza dire parole.. nel mio cuore ti porterò...
..e senza fame e senza sete..... e senza ali e senza rete...
..voleremo via... non torneremo più.....
sublimi frasi liberatorie.. consone più che mai in questo momento di affondamento comune privo di giuste reazioni riformiste... tutta colpa delle esagerazioni del secolo e dell'autoipnosi collettiva sciale autodemagogizzante.. perbenista e paurosa di esperire nuovi pensieri.. Benché propri!.. e soprattutto di condividerli con i propri amici... tutti convinti dell'inviolabilità degli enti dominanti.. e del loro superpotere inespugnabile.. un popolo sovrano che non vuole.. non può.. o non sa come esercitare questa benedetta propria sovranità... lasciato Impotente dai pochi cervelloni della psicologia sociale, dell'informatica, del governo mondiale.. forse anche del "loro" paradiso Terrestre,,, ..grazie inps.. grazie fisco... grazie politica ladra.. ..grazie bancari dracula... grazie ladri truffatori di aziende che vi hanno dato credito... grazie consulenti del fallimento a catena... grazie avvocati pescecani delinquenti....grazie giudici in gonnella togate ma non laureabili nel senso della realtà e della logica.. grazie giudici e professori perversi corrotti e collusi.. che hanno creato luridi acquitrini e usuranti sabbie mobili nei tribunali e nelle università rendendoli inaccessibili se non al prezzo di prestazioni e favori di ogni tipo.....grazie lesbiche giustizialiste.. e separatiste distruttrici della famiglia... e dell'amor proprio maschile.....grazie giornalisti dipendenti.. inutili trombettieri inquinanti.....grazie presidenti stellari... impotenti marionette appostate dal sistema di impostazione di impostori destituiti di ogni autonomia decisoria.....ma consoliamoci..la dura verità è liberatoria.....facciamo terminare queste ingiustizie! .spazziamo via decisamente questi personaggi empi e questi comportamenti dissoluti, privi di alcuna consapevolezza globale, e indegni di ogni facoltà erroneamente riconosciuta dal sistema clientelare....ripuliamo la società da chi critica solo per criticare.. da chi non ha la volontà di riconoscere un genio, per semplice invidia..provocando oltre che la fuga dei cervelli anche l'ingresso dei coglioni....e ricordate.. risorgeremo sempre dalle nostre ceneri.. e alla fine vinceremo noi.. il popolo della verità... la verità del lavoro.. non di destra o di sinistra .. ma della collaborazione.. non dipendente e datore di lavoro.. ma equi compartecipi all'impresa comune...... non secessionisti o romanisti.. ma revisori della distribuzione risorse comuni e globali.....iniziamo a caricare il nostro cannone.. per sparare la diffusione delle nostre idee.. tutti i giorni .. fino alla fine.. tramandando le nostre nuove idee ai figli e ai nipoti.. affinché spariscano tutti gli "omini del carrozzone del paese dei balocchi.. " ...basta diffusione della cultura dell'azzardo e delle scommesse che fa più male del vizio del fumo... .. ma basta anche a tutti i pinocchi e i pulcinella.. perché ognuno abbandoni il vittimismo o il sotterfugio per autodifesa.. ed anzi trovi la propria dignità e e autonomia collaborativa sociale.. basta voler tutto facile.. basta.. ..voler essere continuamente mantenuti o imboccati dagli altri o dallo Stato.. ..basta voler essere mantenuti o voler mantenere per forza una poltrona.. basta non riconoscere chi fa bene.. o chi fa male.. aiutandolo nel suo giusto intento o fermandolo definitivamente dalla sua persistenza all'errore..basta non dedicare se stessi alla cosiddetta .. consapevolezza globale.. stop ai rivenditori
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
dell'acqua del rubinetto... ai detrattori della moneta della repubblica italiana... agli esattori dei diritti sull'opera dell'ingegno altrui.. del
commercio altrui.. della produzione altrui.. della vita e della previdenza altrui... la nettezza urbana deve essere regolata non secondo i metri quadri posseduti ma secondo la quantità di rifiuti realmente prodotti dalle persone ivi viventi, ed anche secondo la reale capacità contributiva di un individuo storicamente presente nel proprio comune di residenza.. Che pur avendo una proprietà grande, essendo magari rimasto con un solo familiare produce pochissimi rifiuti.. come l'acqua deve essere di tutti...la moneta deve essere di tutti...la musica deve essere di tutti...l'arte deve essere di tutti.. la vita deve essere di chi la detiene.. ovvero del proprietario della medesima.. e così la previdenza personale..la previdenza sociale deve essere ridotta ad un'attività prudenziale collettiva ma non coercitiva od obbligatoria per gli impossibilitati alla sostenibilità della quota imposta.. e soprattutto.. dico soprattutto.. la pubblicità deve essere libera.. e nessuno deve mai imporre una tassa su una pubblicità, un libro, un opera .. una canzone.. una vita..e soprattutto basta all'obbligatorietà delle assicurazioni sulla vita, e sulla previdenza specie se con quote palesemente e congiunturalmente insostenibili... e un pç di ricette di correzione immediata dell'economia? Ok.. quando si entra in deflazione, recessione, depressione.. la ricetta per uscirne subito senza far cadere le persone nella rovina, anzi attirando investitori esteri.. può essere basata su questa semplice traccia:
0 - Statuizione costituzionale che in Italia nessuno potrà mai sequestrare la prima casa o la tomba di famiglia per soddisfare ragioni impositive o creditizie..
1 - decimazione dell'iva, ires e irap
2 - abrogazione di tutti i terrorismi di ogni sanzione usurante, costituzionalmente, civilmente, logicamente, improba ed illegittima
3 - decimazione dell'imposizione inps
4 - costituzione di buoni spesa rilancio repubblicani sovrani alla moneta di bankitalia, bce & c.
5 - diffusione immediata e semplificazione dell'accesso al credito agevolato, costituito sia dalla moneta europea che dai mezzi di sostenimento economico repubblicani..
6 - varie in aggiunta a sostegno della permanenza dei cervelli produttivi ed inventivi in Italia
7 - divieto di esportazione della tecnologia italiana per i prossimi cento anni.
L’abominio della svalutazione selvaggia del valore di un bene
Eccesso di sanzione, Eccesso di svalutazione a mero fine meramente speculatorio sono azioni deprecabili per ogni società (Aristotele, Politica)
Il deprezzamento dei beni per asta giudiziaria
Salomone: 11,1 La bilancia falsa è in abominio al Signore, ma del7 peso
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman esatto egli si compiace.
Mentre veniva considerata deprecabile la svalutazione dei beni di un’azienda per via dell’effetto borsistico oltre una certa soglia di guardia, nel mercato delle aste giudiziarie, si era creata una nuova moda: quella del “Fallo fallire che mi serve un capannone lì”.
Ecco che beni aventi valori di mercato reale pari a 100 venivano venduti ed acquistati liberamente anche a 10, compiendo il più aberrante gesto di sterminio del lavoro umano, mai concepito da una civiltà pacifica prima di allora.
Solo la guerra o il terremoto potevano essere comparati a questa silenziosa azione devastante le sorti di una EER.
Questo terrorismo mobiliare ed immobiliare imperversò per anni arricchendo ingiustamente ed indebitamente migliaia di persone, avvocati e giudici, ai danni di altrettante persone cadute nell’impossibilità di pagare per via della crisi.
L’assenza dei giurati di ogni classe e rango sociale dalle sezioni giudicanti dei tribunali
Per avere l’assoluto dominio della giustizia la setta gerente definita da alcuni la “Ndrango-Massoneria-Giustizialista” ha pensato di attivare deliberatamente ed impunitamente le seguenti forme di auto boicottaggio delle proprie strutture affinché non potessero appositamente funzionare se non attraverso la propria decisione o il proprio intervento diretto:
Mantenimento del caos dei documenti cartacei
Mantenimento dell’uso di scrivere manualmente durante le udienze attraverso avvocati di controparte che usavano appositamente zampe di gallina, per non far comprendere l a propria scrittura
Inerzia assoluta verso qualsiasi forma di regolarizzazione organizzativa interna, quanto mai dovuta per diritto a tutti i cittadini
Eliminazione della responsabilità dei giudici per referendum popolare
Eliminazione delle composizioni dei giudici di tribuni di classe che difendessero una specifica classe sociale od economica con la propria competenza specifica, altrimenti assente nei giudici di cultura ordinaria.
Alcune recenti sentenze pubbliche da alcuni assistite o subite risultavano palesemente inique
Esempi
- Pensionata condannata a pagare 90000 euro per un impunito errore di notifica del postino, e nonostante la palese assenza di base imponibile.
- Magazziniere edile condannato a pagare 30000 euro perché il suo parquet è stato fatto posare dal direttore lavori del cliente in una casa
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
umida fondata su terreno poi risultato ex risaia non risanata e la casa non isolata.
- Proprietario di immobile cittadino condannato a pagare 30 mila euro per aver inviato una mail di richiesta di offerta per un terreno ad una famiglia calabrese recidiva in “terrorismo legale” per carenza legislativa e nozionale da parte delle giudici stesse della fattispecie di responsabilità precontrattuale...
- Magazziniere edile condannato a pagare 15000 euro perché il gatto della cliente ha macchiato la piastrella con il suo liquido organico e la cliente non poteva trovare il prodotto giusto al supermercato..
- Magazziniere edile condannato a pagare 40000 euro perché il parchettista della cliente non avrebbe potuto secondo la giudice, non poter dare martellate sulla vernice del parquet prefinito all’impazzata...
- Aziende commerciali non riuscivano mai ad incassare i propri crediti perché i professionisti della truffa e dell’inadempienza crescevano giorno per giorno tutelati dal sistema statale della giustizia
Praticamente le aziende dell’economia reale venivano ogni giorno affossate dalle persecuzioni giustizialiste e bancarie senza che una sola istituzione pro commercio (la camera di commercio per esempio o l’associazione dei commercianti) fosse ancora riuscita a porre fine a questi puri abusi di posizione dominante.
Un cittadino ala domenica in una pubblica piazza chiedeva, “Amici ma cosa abbiamo fatto togliendo la responsabilità ai giudici?” Non vediamo forse che tutte queste sentenze sono “letteralmente pazze”? Non ci conviene rimettere la responsabilità al suo posto prima che questo sistema impazzito ci espropri delle nostre case?
Infatti L’art. 55 del c.c. inerente la responsabilità civile dei magistrati era stato abrogato con d.p.r. 497/87 a seguito di referendum popolare.
La materia era allora regolata dalla legge 13.04.1988 n. 117, secondo la quale, chi aveva subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia, poteva agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali ed anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.
Ma chi avrebbe agito contro lo Stato?
Non sarebbe forse stato come agire contro se stessi?
Perché avrebbero dovuto attendere quindi oltre la chiusura di tutte le aziende italiani per sentenze inique?
Perché quindi non proporre una legge che riformasse il concetto di
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman responsabilità dei magistrati quanto ai necessario e urgente?
Così facendo avrebbero interrotto quello che era diventato un vero e proprio stillicidio di sentenze pazze che rovinavano iniquamente ditte, aziende, e privati proprietari.
Così facendo il numero di “sentenze palesemente inique” sarebbe stato immediatamente inferiore e le medesime sarebbero risultate più eque e razionali.
Così facendo il cittadino ingiustamente o iniquamente leso avrebbe potuto agire immediatamente contro il magistrato iniquo o disinformato tecnicamente, poiché regolarmente coperto da polizza assicurazione, come tutti gli altri professionisti dovevano esserlo.
La casta illuminata
Tratto dal Il sito mistic.it
Nei Protocolli dei Savi di Sion”. In 24 paragrafi, viene descritto come soggiogare e dominare il mondo con l’aiuto di un sistema economico.
Mayer Amschel Rothschild aiuta e finanzia l’ebreo Adam Weishaupt, un ex prete gesuita, che a Francoforte crea un Gruppo Segreto dal nome “Gli Illuminati di Baviera”. Weishaupt prendendo spunto dai “ Protocolli dei Savi di Sion” elabora all’incirca verso il 1770 “Il Nuovo Testamento di Satana” un piano che dovrà portare, non più gli Ebrei ma un gruppo ristretto di persone (gli Illuminati o Banchieri Internazionali) ad avere il controllo ultimo del mondo intero.
La strategia di Weishaupt era basata su principi molto fini e spietati. Bisognava arrivare alla soppressione dei Governi Nazionali e alla concentrazione del potere in Governi ed Organi Soprannazionali ovviamente gestiti dagli Illuminati. Ecco alcuni esempi operativi sulle cose da fare:
* Creare la divisione delle masse in campi opposti attraverso la politica, l’economia, gli aspetti sociali, la religione, l’etnia etc ... Se necessario armarli e provocare incidenti in modo che si combattano e si indeboliscano.
* Corrompere (con denaro e sesso) e quindi rendere ricattabili i politici, qualche giudice, o chi ha una posizione di potere all’interno di uno istituzione statale.
* Scegliere il futuro capo di stato tra quelli che sono servili e sottomessi incondizionatamente.
Avere il controllo delle scuole (licei ed Università) per fare in modo che i giovani talenti di buona famiglia siano indirizzati ad una cultura internazionale e diventino inconsciamente agenti del complotto.
* Assicurare che le decisioni più importanti in uno stato siano coerenti
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman nel lungo termine all’obiettivo di un Nuovo Ordine Mondiale.
* Controllare la stampa, per poter manipolare le masse attraverso l’informazione.
* Abituare le masse a vivere sulle apparenze e a soddisfare solo il loro piacere, perché in una società depravata gli uomini perdono la fede in Dio.
Secondo Weishaupt, mettendo in pratica le sue raccomandazioni si doveva arrivare a creare un tale stato di degrado, di confusione e quindi di spossatezza, che le masse avrebbero dovuto reagire cercando un protettore o un benefattore al quale sottomettersi liberamente. Da qui il bisogno di costituire degli Organi Sovranazionali pronti a sfruttare questo stato di cose, fingendosi i salvatori della patria, per istituire un Unico Governo Mondiale .
Nel 1871 il piano di Weishaupt viene ulteriormente completato da un suo seguace Americano Albert Pike che elabora un documento per l’istituzione di un Nuovo Ordine Mondiale attraverso tre Guerre Mondiali.
Il suo pensiero era che questo programma di guerre avrebbe generato nelle masse un tale bisogno di pace, che sarebbe diventato naturale arrivare alla costituzione di un Unico Governo Mondiale. Non a caso dopo la Seconda Guerra Mondiale venne fatto il primo passo in questa direzione con la formazione dell’ONU, che possiamo definire la polizia del mondo degli Illuminati. Tornando al pensiero di Pike, la Prima Guerra Mondiale doveva portare gli Illuminati, che già avevano il controllo di alcuni Stati Europei e stavano conquistando attraverso le loro trame gli Stati Uniti d' America, ad avere anche la guida della Russia. Quest’ultima avrebbe poi dovuto interpretare un ruolo che doveva portare alla divisione del mondo in due blocchi. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe dovuta partire dalla Germania, manipolando le diverse opinioni tra i nazionalisti tedeschi e i sionisti politicamente impegnati. Inoltre avrebbe portato la Russia ad estendere la sua zona di influenza e reso possibile la costituzione dello Stato di Israele in Palestina. La Terza Guerra Mondiale sarà basata sulle divergenze di opinioni che gli Illuminati avranno creato tra i Sionisti e gli Arabi, programmando l’estensione del conflitto a livello mondiale.
Col passare degli anni il Quartiere Generale di questo complotto passa dalla Germania (Francoforte), alla Svizzera, poi all’Inghilterra (Londra) ed
infine agli Stati Uniti d’America (New York). E’ quindi dal 1700 che le famiglie degli Illuminati, generazione dopo generazione, influenzano la storia per raggiungere i propri traguardi. Ecco un elenco dei fatti principali che negli ultimi 3 secoli sono stati architettati, fomentati o finanziati dagli Illuminati:
- la Rivoluzione Francese, le Guerre Napoleoniche, la nascita dell’ideologia Comunista, la I Guerra Mondiale, la Rivoluzione Bolscevica, la nascita dell’ideologia Nazista, la II Guerra Mondiale, la fondazione dell’ONU, la nascita dello Stato di Israele, la Guerra del Golfo, la nascita dell’Europa Unita...
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
La rete di potere che gli Illuminati si sono costruiti in quasi 300 anni. Ovviamente non potevano pensare di conseguire i loro obiettivi da soli,
avevano ed hanno bisogno di una “struttura operativa”, composta da organizzazioni o persone che esercitando del potere operino più o meno consapevolmente nella stessa direzione. Come potete constatare gli Illuminati controllano o hanno i loro uomini ovunque, possiamo tranquillamente dire che sono i signori del mondo.
La loro strategia ha fatto leva su 2 capisaldi: a) la forza del denaro, hanno costituito e controllano il Sistema Bancario Internazionale; b) la disponibilità di persone fidate, ottenuta attraverso il controllo delle Società o Associazioni Segrete (logge massoniche).
Queste ultime con i loro diversi gradi di iniziazione hanno garantito e garantiscono tutt’ora quell’alone di discretezza necessario al piano degli Illuminati.
Gli Illuminati, e chi con loro controlla queste Società, sono Satanisti e praticano la magia nera. Il loro Dio è Lucifero e attraverso pratiche e riti occulti manipolano e influenzano le masse. E pensare che la cultura dominante ci dice che la magia non esiste anzi, considera ridicolo chi ci crede. E’ anche da questa scienza di tipo occulto, che gli Illuminati hanno sviluppato la teoria sul controllo mentale delle masse. Per chiarire ecco un esempio:
A quanto sembra anche Hollywood, le maggiori Case Cinematografiche e Discografiche internazionali, fanno parte della rete degli Illuminati. Molte volte i loro prodotti sono usati come strumenti di indottrinamento e agiscono in modo “invisibile” sulla psiche. Penso che nessuno possa negare che oggi esistono certi tipi di musica, privi di qualsiasi qualità, il cui unico effetto voluto è quello di provocare nei giovani apatia, robotismo, violenza ed essere uno stimolo all’uso di droghe per renderli dei robot .... Umanoidi simili agli zombi. Intanto crediamoci, siamo stati programmati anche per questo.
Mistic.it - 1- 4 - 2005
Il malfunzionamento e il sovranumero della superclasse dei giustizialisti
L’eccesso di liti pendenti derivate dall’emergente malcostume sociale del ricorso alle vie legali è confermato dall’incredibile numero di avvocati e giudici il cui costo grava interamente sulla società intera.
La crisi coinvolse tutti ed anche i gendarmi, le guardie, i giudici e i ladri.
Ecco quindi che i corpi d’armata tuonarono verso i superiori e così i giudici verso coloro che potevano spolpare. I grassi borghesi perdenti,
era l’unica soluzione per risolvere il problema degli introiti giudiziari, che altrimenti non sarebbero altrimenti avvenuti. Infatti una parte povera non
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
avrebbe mai potuto dare le sostanze sufficienti a pagare non
profumatamente ma esageratamente bene i costi di giustizia.
Ridurre i costi e spennare i grassi: ecco la ricetta adottata dai tribunali italiani a scapito del concetto di diritto e di libertà, ma soprattutto di parità dei cittadini, di fronte alla legge.
E fu così che venne attuato il di allora sistema di protezione dei truffatori, degli aggressori, e dei delinquenti in genere ai quali, in pratica accadeva poco o niente, o al massimo veniva propinato un bel mantenimento gratuito a carico dello stato per un certo periodo.
Ma come giustificare dinanzi ad un uomo, da parte di un altro uomo una sentenza evidentemente assurda? Semplice: facendola pronunciare da una donna.
L’introduzione delle donne nei tribunali infatti risolse il problema dei ricorsi continui perché per una sorta di emanazione psicologica subliminata dai verdetti delle corti, gli imputati sentendosi condannare da una donna associavano inevitabilmente questa sorta di « atto di rimprovero » agli episodi già vissuti nell’infanzia ad opera delle proprie madri, li accettavano senza reagire molto, anche sentendosi propinare le sentenze più assurde, non ultime le copiose sentenze assegnanti alimenti perpetui alle mogli mediante l’assegnazione di debiti perenni ai rispettivi mariti. Questa il plot comunicativo - giustizialista femminile: una sorta di « matriarcato giuridico - sociale rivelato ».
Ma un giorno salì in politica un uomo che aveva giurato vendetta contro il potere giudiziario e questo certo Silvio, stava effettivamente organizzando un bel paio di scarpe nuove a tutto il sistema giudiziario.
Fu così che i templari di quest’ultimo decisero di sfornare per tempo la loro contro mossa, la loro carta vincente, il loro asso nella manica, un uomo perennemente urlante e imprecante, ex poliziotto chiamato Tonino.
Tutto si bloccò, i tempi delle riforme si dilatavano per via dei boicottaggi lanciati per ordinanza della casta fatti delle dure battaglie operate dall’opposizione politica in parlamento, dai duri colpi scandalistici creati ad arte dall’industria dei media, e non ultimo dalle innumerevoli inquisizioni lanciate proprio dalle magistrature in capo all’avversario, come nessun uomo mai al mondo avesse mai potuto ricevere da una serie di tribunali terreni od ultraterreni.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Le politiche delle immigrazioni
Doppio papato straniero uguale a doppia immigrazione indesiderata
Perché prima un papa Polacco e poi un papa Tedesco hanno coinciso con l’aumento delle immigrazioni?
E’ vero che ormai si potesse ipotizzare qualunque cosa passava per la testa, ma quella del Papa polacco prima, e del papa tedesco poi, oltre che a trasformare le auto blu statali, da italiane ad estere, influì sicuramente sull’aumento dell’afflusso di circolazione di stranieri dall’Africa per l’Europa, attraverso il territorio italiano.
Che dire poi, durante questo doppio papato, della sparizione dell’autorità ecclesiastica di un tempo, durante il quale se si parlava male, si veniva censurati, e in tv non si praticava certo il torpiloquio allora esploso ovunque.
Presentatrici come la che dicevano sei più figa in tivu, tranquillamente
Reazioni al crollo borsistico del 11 agosto
2011
Il commento web del 12 agosto 2011
Su http://www.social-europe.eu il 2011/12/08 di Daniel Gros
Gli investitori stanno anticipando il dipanarsi del 21 luglio 2011 "soluzione" e una ripartizione del mercato interbancario, che avrebbe
gettato l'economia in una "recessione immediata", come quella vissuta dopo il fallimento Lehman.Questa colonna sostiene che questo accadrà senza un'azione rapida e coraggiosa. Il EFSF non può funzionare come previsto, ma se fosse registrato come una banca - che le permette di accedere a un numero illimitato BCE rifinanziamento - i governi potrebbero fermare il crollo generalizzato di fiducia, lasciando la gestione del debito pubblico in mano della finanza ministri.
Canarini sono stati tenuti nelle miniere di carbone perché muoiono più velocemente di quanto gli esseri umani quando sono esposti ai gas pericolosi. Quando smise di cantare gli uccelli, i minatori saggio sapeva che era tempo di marcia le procedure d'emergenza.
Grecia, a quanto pare, era canarino della zona euro. Il canarino è stato rianimato e un meccanismo di salvataggio piccolo è stato istituito per far rivivere un canarino ulteriore o due - ma oltre a questo l'avvertimento è stato ignorato. I minatori continuando a lavorare. Si convinse che questo era il problema del canarino.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Grecia non era un caso speciale
I problemi della Grecia non avrebbe dovuto essere interpretato come un caso speciale. Avrebbero dovuto essere vista come la prima manifestazione di un problema generale:
• Come segno che la crisi globale si diffondeva al debito pubblico;
• Come segno che i mercati di capitali non sarebbe livelli longer rifinanziare eccessivo del debito pubblico, specialmente nei membri dell'Eurozona che non potevano più contare sul sostegno delle banche centrali.
Questo è diventato particolarmente evidente dopo il luglio 2011 il Consiglio europeo - l'incontro che avrebbe dovuto porre fine alla crisi da risolvere il caso greco con una miscela di tassi di interesse più bassi e qualche ristrutturazione del settore privato e di ristrutturazione.
Il pubblico greco potrebbe non apprezzare, ma ha ricevuto un trattamento preferenziale da parte dell'UE.Con le decisioni prese al Consiglio europeo di luglio, la Grecia essenzialmente avere tutto il suo fabbisogno finanziario per il prossimo decennio e organizzati è assicurato di pagare meno del 4% sul nuovo debito essa subisce. Gli altri due paesi con un programma, Irlanda e Portogallo, avrà tassi di interesse bassi e altrettanto prestiti a lungo termine, ma sono ancora attesi per affrontare la prova dei mercati in pochi anni.
I timori debito raggiungere il nucleo
Ma mentre Grecia, Irlanda, Portogallo e ha tassi più bassi per i loro ufficiali finanziamento a lungo termine, Spagna e Italia sperimentato un aumento nella loro oneri finanziari. Essi stanno pagando vicino al 6% per dieci anni i soldi.
E 'chiaro che questi paesi non si può pretendere di fornire miliardi di euro di crediti verso la Grecia al 3,5%, quando sono loro stessi pagando molto di più. I leader europei ha voluto essere generoso con la Grecia, ma l'offerta di fondi a buon mercato è limitata. Non tutti possono essere serviti in questo modo.
Il EFSF è stato progettato per una crisi periferica
Questo vale in particolare per fondo di salvataggio della zona euro, il Fondo europeo per la stabilità finanziaria (EFSF). Questo semplicemente non hanno fondi sufficienti per effettuare gli acquisti di bond massiccia ora necessario per stabilizzare i mercati. E 'stato sufficiente a fornire il finanziamento promesso di Grecia, Irlanda e Portogallo.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Inoltre la struttura del EFSF lo rende vulnerabile ad una catena di
domino.
• Le regole del EFSF implica che i paesi che hanno bisogno di finanziamenti o si volto 'uscire' gli elevati oneri finanziari, cioè non forniscono più garanzie per la EFSF.
• Se i costi di indebitamento di Italia e Spagna rimanere a livelli di crisi, o se questi due paesi hanno bisogno per salvare se stessi, solo i membri dell'Eurozona nucleo rimarrebbe a sostenere la EFSF.
A questo punto, il peso del debito sul core sarebbe diventato insopportabile.
Pericoli di applicare la soluzione periferia al centro
Importante, la più grande è la EFSF, più velocemente la caduta domino. La posizione del governo francese - che l'EFSF deve essere aumentata - non ha senso anche da un punto stretto di vista francese.
• I mercati finanziari hanno capito questo e aumentare così i costi di finanziamento per la Francia - il paese nucleo più in pericolo di perdere il suo rating AAA.
• Se la Francia deve 'uscire' del EFSF, Germania (e alcuni dei suoi vicini più piccoli), avrebbe dovuto portare tutto il peso.
Questo sarebbe troppo anche per la Germania - il debito pubblico italiano da solo è equivalente all'intero PIL tedesco.
Come questa guida i mercati
La situazione è così critica, perché questo effetto domino ha iniziato ad operare.
◦ I mercati finanziari non aspettare paese dopo paese ad essere degradati.
◦ Gli investitori anticipare il finale di partita - il disfacimento di tutta la EFSF / ESM struttura.
◦ Come è stata la risposta EFSF centrale leader dell'Eurozona 'al problema del debito, la sua scomparsa avrebbe lasciato la zona euro, con un grosso problema e nessuna soluzione.
La banca— governo e il debito - trappola
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Come al solito, le banche sono l'anello più debole e sono soggette a un
altro effetto domino.
▪ Molte banche contenere grandi quantità di debito pubblico dell'Eurozona;
▪ Il loro rating non può mai essere superiore a quella del loro sovrano proprio.
▪ Qualcuno aspetta il downgrade di un paese deve anche vendere le azioni delle sue banche.
Questo, a sua volta, aumenta il costo del capitale per le banche vulnerabili rendendoli più vulnerabili.
▪ Altre banche - che vedono la caduta dei corsi azionari della banca e l'ampliamento credit default si diffonde - reagisce rifiutandosi di fornire alle banche vulnerabili liquidità interbancaria.
▪ Questa ripartizione del mercato interbancario, a sua volta, porta ad una ripartizione del circuito del credito.
Questo è ciò che conducono alla "recessione immediata" vissuto dopo il fallimento di Lehman ha dimostrato.
In questi giorni sembra che i mercati azionari sono anticipando uno scenario apocalittico con l'economia va in recessione bruscamente in quanto il mercato interbancario si rompe sotto l'anticipazione di ulteriori problemi del debito pubblico. Purtroppo questa previsione si realizzerà a meno che la ripartizione del mercato interbancario si rivolge molto presto.
Cosa deve essere fatto
A questo punto la zona euro ha bisogno di una massiccia infusione di liquidità. Dato che la struttura a cascata di dell'EFSF è parte del problema, la soluzione non può essere un massiccio aumento della sua dimensione. Tuttavia, il EFSF potrebbe semplicemente essere registrato come banca e potrebbe quindi avere accesso a un numero illimitato ri- finanziamento da parte della BCE, che è l'unica istituzione in grado di fornire la liquidità necessaria rapidamente e in quantità convincente.
Questa soluzione avrebbe il vantaggio che lascia la gestione dei problemi del debito pubblico in mano dei ministeri delle finanze, ma fornisce loro il fermo di liquidità che è necessaria quando c'è un crollo generalizzato di fiducia e di liquidità. Questo è esattamente quando un prestatore di ultima istanza è più necessario.
Sarebbe ovviamente molto meglio se la BCE non ha dovuto 'salvare' il meccanismo europeo di salvataggio, ma in questo caso si deve scegliere tra due mali. Anche un forte aumento nel bilancio della BCE (che se l'esperienza degli Stati Uniti è una guida non porterà l'inflazione) costituisce un male minore rispetto ad un collasso del sistema finanziario dell'Eurozona.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Il contro commento del 12 agosto 2011
Dato da http://www.social-europe.eu Il 2011/12/08 di Andrew Watt Nuove proposte da due commentatori che porta sulla crisi dell'euro:
perché signori così tardi?
Due pezzi recenti di commentatori che parlano sulla crisi dell'area Euro stanno per darmi una pausa di riflessione.
Daniel Gros ha scritto un tipico conciso e penetrante commento sull'ultima fase della crisi presa l'area dell'euro.
E 'molto buona l'interazione tra banca e del debito sovrano ed espone le debolezze del EFSF nella sua composizione attuale. Egli conclude che una massiccia infusione di liquidità è necessario. Sono d'accordo. La sua raccomandazione è per dell'EFSF essere dichiarato una banca in modo che possa essere back stopped dalla BCE.
Non ho una visione forte su questo.
Per me va bene se il denaro proviene direttamente dalla BCE. Ma se facilita il sonno dei banchieri centrali al fine di evitare apparentemente, dal gioco di prestigio, la miscelazione-up della politica fiscale e monetaria che le persone li manifestino così up-stretto, poi importante mieux .
Tuttavia, pezzo di Daniel mi lascia perplesso sul corso del dibattito tutto negli ultimi 18 mesi. Cominciamo con il fatto che non è corretto dire che i mercati dei capitali non sono disposti a finanziare un alto livello di debito pubblico, come è illustrato dai tassi estremamente bassi applicati sui titoli di debito emessi da paesi come gli Stati Uniti (nonostante il continuo downgrade), Regno Unito e Giappone, il cui debito e PIL è uguale o superiore a molti dei paesi dell'area dell'euro. Il problema è specifico anche per i paesi dell'area dell'euro.
Che cosa critica è, però, capire esattamente il motivo per cui i 'mercati' chiedono rendimenti molto elevati, al fine di concedere prestiti ai paesi come il Portogallo, Grecia e Irlanda e, più recentemente, Spagna e Italia, in un'epoca in cui i tassi su American, inglesi e tedeschi debito sovrano sono così bassi e in calo. E la risposta è semplice: sono preoccupati di prendere le perdite derivanti da una qualche forma di - qualunque sia educato termine viene usato - default sovrano. E perché sono preoccupati per tali perdite? Beh, perché i responsabili politici europei, guidata dal cancelliere Merkel, ha insistito sul settore privato che partecipano al salvataggio: questo è ciò che significa la partecipazione - perdite. I politici lo hanno fatto per vari motivi (in particolare fuori posto rabbia popolare su ciò che è stato dipinto come dare soldi alla immeritevole), ma uno di loro era importante che gli economisti ei commentatori avevano chiamato per 'default ordinato' come un modo per risolvere la crisi. E uno dei sostenitori più importanti di questo approccio è stato Daniel Gros, il cui appello per un Fondo monetario europeo all'inizio del 2010 era molto influente, in linea con i suoi piedi
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman come un top commentatore di politica economica europea.
Un caso simile è quello dell’altrettanto illustre Charles Wyplosz , autore libri di testo, consigliere della Commissione europea, e altro ancora. Ora ha invitato politici dell'UE, che, dice, « ancora non capisco », per consentire alla BCE di agire liberamente come prestatore di ultima istanza e comprare debiti in sofferenza governo come richiesto. Egli afferma che questo è diventato necessario, ma è una conseguenza indesiderata del fallimento delle politiche 'a seguire il suo consiglio di maggio 2010 , che è stato - probabilmente avete indovinato - per la Grecia per andare al FMI, di default e di imporre un taglio di capelli ai creditori.
Sono io, o non è evidente che proprio questi discorsi di default che inesorabilmente diffondere il contagio? Dubbi sul rimborso integrale del debito pubblico elevato rendimento e spread. Questo nutrito dubbi maggiori circa la sostenibilità di bilancio, i mercati spaventati e anche elettorati. La morte-spirale filato sempre più velocemente. Tutto ad un tratto un paese come la Francia - che ha non meno a suo titoli di Stato in quanto le guerre napoleoniche! - Si trova sotto la minaccia di un attacco speculativo, e unendo la frenesia di annunciare ulteriori misure di austerità in una, probabilmente vano, tentativo di placare i mercati.
In realtà, come ho sempre sostenuto durante la crisi (ad esempio all'inizio , più recente , recente ), la giusta strategia era quella di escludere un
default del debito sovrano, inaudito in Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale, fin dall'inizio, di obbligazioni, , fornendo sostegno agli investimenti e la ripresa economica, il tutto in cambio di credibile a medio termine gli impegni di consolidamento fiscale. Certo, ci sarebbe stata opposizione a questo, ma il problema era tutta politica, non economica. Le somme coinvolte all'epoca erano minuscole: Grecia, Irlanda e Portogallo insieme rappresentano solo il 6% del PIL dell'area dell'euro. I problemi che si manifestano in Grecia e gli altri erano molto chiaramente - e qui mi sono del tutto d'accordo con Daniel Gros - il risultato di una precedentemente mal capito malfunzionamento della zona dell'euro nel suo insieme, piuttosto che errori grossolani politica dai singoli governi. Quello che sembrava essere la solidarietà era chiaramente illuminato interesse e avrebbe potuto facilmente essere venduti come tali elettorati scettici.
Riassumendo. Il motivo centrale per la diffusione della crisi è stata la prospettiva di perdite su attività finanziarie, a ovest titoli di stato europei, che erano in precedenza e giustamente considerato sacrosanto. Pieno appoggio del debito sovrano della zona euro da parte della BCE è la cosa giusta da fare. Ma è non lo spiacevole risultato di non aver insistere su di default o meno un anno fa. Al contrario, è ciò che si sarebbe dovuto fare all'inizio. Il fatto che è ora sembra una operazione più difficile e costoso (anche se piuttosto che il secondo significa in un mondo in cui la banca centrale, e solo esso, può creare soldi a volontà non riesco a capire) è proprio perché la minaccia di insolvenza è stato sollevato inutilmente. Le persone che oggi discutendo per il pieno sostegno da parte dell'autorità monetaria, in una forma o nell'altra, dovrebbe riconoscere questo ritardo.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Ciò che è bello è che ora tutti d'accordo su ciò che deve essere fatto. La
riforma elettorale: confusione pilotata
La campagna per le elezioni politiche che do solito si effettuavano nella primavera successiva, ogni anno iniziava in autunno e lo scontro tra i due schieramenti di centro-sinistra e centro-destra si faceva sempre più duro. Come sempre sembrava di conseguenza che non ci fosse più nessuna possibilità di dialogo tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione sul difficile tema della riforma elettorale. Mesi e mesi di estenuanti discussioni e continui "tira e molla" non erano sono serviti a raggiungere un accordo per riscrivere insieme le regole del confronto elettorale e per trovare quella "formula magica" in grado di soddisfare gli interessi dei tanti (troppi?) partiti e "partitini" che affollavano il panorama politico italiano. Con ogni probabilità, dunque, Gli italiani avrebbero scelto i loro prossimi rappresentanti al Parlamento con il sistema elettorale attualmente in vigore che, paradossalmente, tutti giudicavano inefficiente.
E pensare che questo sistema venne introdotto solo alcuni anni prima! Era, infatti, nel 1993 quando, in piena "Tangentopoli" e con i vecchi partiti politici ormai al collasso, la maggioranza dei cittadini decise, attraverso un referendum (18 aprile), di dire per sempre addio sistema proporzionale in vigore fin dalla nascita della Repubblica e giudicato da molti all’origine dei tanti mali del sistema politico italiano.
Quando si trattò di scegliere un metodo nuovo alcuni avrebbero preferito voltare del tutto pagina e adottare un sistema maggioritario (o uninominale) puro, perché lo ritenevano il più adatto al raggiungimento di tre obiettivi: la semplificazione del sistema dei partiti, l’introduzione del principio dell’alternanza nella guida del Paese, e la tanto sospirata stabilità dei governi. Altri, specialmente i partiti più piccoli, vedevano nel maggioritario una minaccia al principio del pluralismo e della rappresentanza in Parlamento di tutte le forze politiche, anche di quelle che nel Paese avevano meno seguito in termini di voti.
Alla fine si giunse ad un compromesso. Per dare seguito alla volontà dei cittadini, espressa attraverso il referendum, venne approvata una nuova legge elettorale, la cosiddetta "Legge Mattarella" (o "Mattarellum" come sarebbe poi stata ribattezzata dai giornali), la quale prevedeva per l’elezione dei membri della Camera e del Senato un sistema misto con una forte componente maggioritaria (75%) "corretta" da una quota proporzionale (25%).
Un sistema quello previsto dalla Legge Mattarella abbastanza complicato, che però sembrò favorire una ristrutturazione del sistema dei partiti su basi nuove. La prevalenza del maggioritario costrinse, infatti, le forze politiche a scendere a patti con la logica del bipolarismo e delle alleanze elettorali. Si formarono così due coalizioni contrapposte: nacquero il centro-sinistra e il centro-destra che si sarebbero sfidati nelle prime elezioni politiche indette con il nuovo sistema elettorale, quelle del 1994.
In occasione delle elezioni del 1994, vinte dalla coalizione di centro- destra alleata con la Lega Nord, molti salutarono con entusiasmo la nascita della "Seconda Repubblica", ma dovettero ben presto ricredersi.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Si trattò, infatti, di una "falsa partenza" del nuovo potenziale assetto politico. Dopo soli otto mesi di governo il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi venne costretto alle dimissioni per l’abbandono da parte della Lega della maggioranza governativa (il cosiddetto "ribaltone").
La seconda occasione venne offerta dalle elezioni politiche anticipate del 1996, la cui importante novità era costituita dal fatto che per la prima volta ciascuna delle due coalizioni indicava agli elettori il proprio "candidato premier" in caso di vittoria, consentendo così ai cittadini italiani di determinare, anche se indirettamente, chi sarebbe diventato Presidente del Consiglio.
Se con il successo elettorale della coalizione di centro-sinistra e la successiva nomina di Romano Prodi a Presidente del Consiglio, si
affermava il principio dell’alternanza alla guida del Paese tra forze politiche diverse per idee e programmi, gli altri obiettivi per il raggiungimento dei quali si era fatto affidamento ad un sistema prevalentemente maggioritario non erano stati raggiunti.
La frammentazione politica, infatti, aumentò invece di ridursi, complice una fase di transizione mai conclusa e anche, in una certa misura, il persistere della quota proporzionale che offriva la possibilità anche a forze politiche piccole di avere comunque una rappresentanza in Parlamento.
La nascita di nuovi "partitini" era quasi all’ordine del giorno e la coesistenza all’interno della maggioranza di tante forze diverse con posizioni spesso difficilmente conciliabili rendeva la stabilità del governo fortemente e continuamente a rischio (dal 1996 ad oggi si sono succeduti ben quattro governi di centro-sinistra).
Si fece allora strada l’idea che la formula scelta nel 1993 per il sistema elettorale non fosse la più adatta e si iniziò a parlare di riformarla. Il tema della riforma elettorale venne così inserito nel più ampio dibattito sulle riforme costituzionali che ebbe luogo a partire dal 1996 nella Commissione parlamentare (la cosiddetta "Bicamerale") appositamente costituita e presieduta da Massimo d’Alema.
Nel frattempo si diffondeva in alcuni ambienti politici l’opinione secondo la quale, dopo "l’ubriacatura del maggioritario", fosse necessario tornare al vecchio sistema proporzionale. Questa tendenza proporzionalistica fu sottolineata da due fatti politici rilevanti. Essa venne alla luce innanzi tutto quando fu reso pubblico un accordo, inizialmente segreto, raggiunto dai vertici di alcuni partiti politici di maggioranza e di opposizione (giugno 1997), il quale suggeriva che molti elementi della futura riforma elettorale avrebbero dovuto garantire la sopravvivenza dei partiti più piccoli. Quello che in seguito passò alla storia come "il patto della crostata" (perché presumibilmente siglato mangiando una crostata a casa di uno dei collaboratori di Silvio Berlusconi) venne fortemente criticato sia per i suoi contenuti (il ritorno ad un sistema proporzionale puro) sia per il modo in cui era stato stipulato (al di fuori delle più appropriate sedi parlamentari) e molti lo considerarono come un segnale del ritorno alla "partitocrazia", vale a dire al governo dei partiti per i partiti e non per l’interesse del Paese, un modo di fare politica che aveva
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman caratterizzato tutta la vita della quasi defunta "Prima Repubblica".
Il secondo fatto politico rilevante fu rappresentato dalla reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti politici, abrogato dal referendum del 1993, che, di fatto, rafforzava i partiti più piccoli e la logica del proporzionale. In questa occasione molti giornali si diedero da fare per calcolare a quanti partiti, con la nuova legge, venissero assegnati fondi pubblici e si arrivò a calcolarne cinquanta!
La voglia di proporzionale di alcune forze politiche, giudicata da molti un pericolo, e il fallimento dell’esperienza della Bicamerale dopo due anni di lavori (1996-1998) per l’abbandono del tavolo delle trattative da parte dell’opposizione di centro-destra, fecero crescere l’interesse di molti per la possibilità di proporre un nuovo referendum elettorale, questa volta per l’abolizione della quota proporzionale.
L’obiettivo dei promotori del referendum era di dimostrare che la maggioranza dei cittadini italiani era favorevole all’introduzione di un sistema maggioritario puro (rimaneva da discutere se a turno unico, secondo il modello inglese, o a doppio turno, secondo quello francese) e di costringere quindi i politici ad agire di conseguenza.
Mentre nella primavera del 1998 iniziava la raccolta delle 500.000 firme necessarie per promuovere la consultazione referendaria, le forze politiche si dividevano in schieramenti trasversali pro o contro il maggioritario puro. I partiti più grandi (Democratici di Sinistra, Forza Italia e Alleanza Nazionale) si mostrarono generalmente favorevoli, ma lo fecero in maniera poco chiara e spesso contraddittoria, nel timore di perdere l’appoggio dei partiti più piccoli "proporzionalisti" dal cui sostegno dipendeva la sopravvivenza delle coalizioni, ed in particolare di quella di centro-sinistra (il Partito Popolare, i Verdi e Rifondazione Comunista condannavano anche il minimo appoggio al referendum).
Il referendum elettorale si svolse il 18 aprile 1999 e si rivelò un inaspettato fallimento. Il numero di voti necessario per la sua validità (il "quorum" corrispondente al 50% più uno dei voti validamente espressi) non venne, infatti, raggiunto. Benché fosse chiaro che l’orientamento di gran parte degli italiani in favore di un sistema maggioritario, molti cittadini preferirono non andare a votare incrementando così il già preoccupante fenomeno dell’astensionismo.
Dopo l’insuccesso del referendum del 1999 il tormentato cammino della riforma elettorale fa ormai parte della cronaca politica degli ultimi mesi. La discussione sul nuovo sistema elettorale è approdata all’inizio della scorsa estate nella Commissione affari costituzionali del Senato.
La speranza era di trovare una soluzione attraverso le vie parlamentari con l’approvazione di una nuova legge in tempi brevi. Ma il compito non si presentava per nulla facile poiché si trattava di trovare un accordo che godesse dell’approvazione la più ampia possibile tra le forze politiche presenti in Parlamento sia di maggioranza sia di opposizione. Le "regole del gioco" dovevano essere scritte insieme con il contributo e il consenso di tutti i partecipanti.
Dall’iniziale progetto presentato dall’opposizione di centro-destra che
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
prevedeva un sistema elettorale proporzionale sul modello tedesco (il cosiddetto "Urbani-Tremonti"), si è passati, attraverso una serie
interminabile di proposte e contro proposte, ad un’altra possibile soluzione appoggiata dalle forze politiche di centro-sinistra che si basava su un sistema misto uguale per Camera e Senato con un premio di maggioranza del 20% alla coalizione che avesse raggiunto almeno il 40% dei voti.
Una proposta giudicata dal centro-sinistra in grado di garantire sia la stabilità dei governi sia la fondamentale esigenza di pluralismo politico e che sembrava in un primo tempo trovare accoglienza positiva anche tra le forze di opposizione. Ma quando sembrava che si fosse ad un passo dal raggiungimento dell’accordo il dialogo tra maggioranza e opposizione a subito una battuta d’arresto fino a determinare il netto rifiuto da parte del centro-destra di qualsiasi ipotesi di ulteriore trattativa.
Il progetto di riforma potrebbe a questo punto essere portato all’esame delle Camere ed essere approvato con i soli voti dei partiti facenti parte della coalizione di maggioranza. Ma questa ipotesi viene giudicata da gran parte delle stesse forze del centro-sinistra politicamente inopportuna, anche se costituzionalmente corretta. Non se ne farà probabilmente nulla e tutto verrà dunque rimesso nelle mani del nuovo Parlamento che uscirà dalle elezioni politiche della prossima primavera.
Un possibile programma di riforme
Stato e cittadini
Energia
Informazione
Economia
Trasporti
Salute
Istruzione
Giustizia e forze pubbliche Premessa
L’organizzazione attuale dello Stato è burocratica, sovradimensionata, costosa, inefficiente. Il Parlamento non rappresenta più i cittadini che
non possono scegliere il candidato, ma solo il simbolo del partito La Costituzione non è applicata. I partiti si sono sostituiti alla volontà popolare e sottratti al suo controllo e giudizio.
Stato e Cittadini
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• Abolizione delle province ed interiorizzazione delle funzioni delle
medesime nelle Regioni
• Accorpamento dei Comuni sotto i 5.000 abitanti
• Abolizione del Lodo Alfano
• Insegnamento dei congiuntivi, della Costituzione ed esame obbligatorio per ogni rappresentante pubblico
• Riduzione a due mandati per i parlamentari e per qualunque altra carica pubblica, salvo raggiungimento di obbiettivi eccezionali prefissati.
• Eliminazione di ogni privilegio particolare per i parlamentari, tra questi il diritto alla pensione dopo due anni e mezzo
• Divieto per i parlamentari di esercitare un’altra professione durante il mandato
• Stipendio parlamentare allineato alla media degli stipendi nazionali
• Divieto di cumulo delle cariche per i parlamentari (esempio: sindaco e deputato)
• Non eleggibilità a cariche pubbliche per i cittadini condannati
• Partecipazione diretta a ogni incontro pubblico da parte dei cittadini via web, come già avviene per Camera e Senato
• Abolizione delle Authority e contemporanea introduzione di una vera class action
• Referendum sia abrogativi che propositivi senza quorum
• Obbligatorietà della discussione parlamentare e del voto nominale per le leggi di iniziativa popolare
• Approvazione di ogni legge subordinata alla effettiva copertura finanziaria
Leggi rese pubbliche on line almeno tre mesi prima delle loro approvazione per ricevere i commenti dei cittadini.
Energia
Se venisse applicata rigorosamente la legge 10/91, per riscaldare gli edifici si consumerebbero 14 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato calpestabile all’anno. In realtà se ne consumano di più.
Dal 2002 la legge tedesca, e più di recente la normativa in vigore nella Provincia di Bolzano, fissano a 7 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato calpestabile all’anno il consumo massimo consentito nel riscaldamento ambienti. Meno della metà del consumo medio italiano.
Utilizzando l’etichettatura in vigore negli elettrodomestici, nella Provincia di Bolzano questo livello corrisponde alla classe C, mentre alla classe B corrisponde a un consumo non superiore a 5 litri di gasolio, o
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metri cubi di metano, e alla classe A un consumo non superiore a 3 litri di
gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato all’anno.
Nel riscaldamento degli ambienti, una politica energetica finalizzata alla riduzione delle emissioni di CO2, anche per evitare le sanzioni economiche previste dal trattato di Kyoto nei confronti dei Paesi inadempienti, deve articolarsi nei seguenti punti:
• Applicazione immediata della normativa, già prevista dalla legge 10/91 e prescritta dalla direttiva europea 76/93, sulla certificazione energetica degli edifici
• Definizione della classe C della provincia di Bolzano come livello massimo di consumi per la concessione delle licenze edilizie relative sia alle nuove costruzioni, sia alle ristrutturazioni di edifici esistenti
• Riduzione di almeno il 10 per cento in cinque anni dei consumi energetici del patrimonio edilizio degli enti pubblici, con sanzioni finanziare per gli inadempienti
• Agevolazioni sulle anticipazioni bancarie e semplificazioni normative per i contratti di ristrutturazioni energetiche col metodo esco (energy service company), ovvero effettuate a spese di chi le realizza e ripagate dal risparmio economico che se ne ricava
• Elaborazione di una normativa sul pagamento a consumo dell’energia termica nei condomini, come previsto dalla direttiva europea 76/93, già applicata da altri
Paesi europei.
Il rendimento medio delle centrali termoelettriche dell’Enel si attesta intorno al 38%.
Lo standard con cui si costruiscono le centrali di nuova generazione, i cicli combinati, è del 55/60%.
La co-generazione diffusa di energia elettrica e calore, con utilizzo del calore nel luogo di produzione e trasporto a distanza dell’energia elettrica, consente di utilizzare il potenziale energetico del combustibile fino al 97%. Le inefficienze e gli sprechi attuali nella produzione termoelettrica non sono accettabili né tecnologicamente, né economicamente, né moralmente, sia per gli effetti devastanti sugli ambienti, sia perché accelerano l’esaurimento delle risorse fossili, sia perché comportano un loro accaparramento da parte dei Paesi ricchi a danno dei Paesi poveri.
Non è accettabile di per sé togliere il necessario a chi ne ha bisogno, ma se poi si spreca, è inconcepibile.
Per accrescere l’offerta di energia elettrica non è necessario costruire
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nuove centrali, di nessun tipo. La prima cosa da fare è accrescere l’efficienza e ridurre gli sprechi delle centrali esistenti, accrescendo al
contempo l’efficienza con cui l’energia prodotta viene utilizzata dalle utenze (lampade, elettrodomestici, condizionatori e macchinari industriali). Solo in seguito, se l’offerta di energia sarà ancora carente, si potrà decidere di costruire nuovi impianti di generazione elettrica.
Nella produzione di energia elettrica e termica, una politica energetica finalizzata alla riduzione delle emissioni di CO2 anche accrescendo l’offerta, deve articolarsi nei seguenti punti:
• Potenziamento e riduzione dell’impatto ambientale delle centrali termoelettriche esistenti
• Incentivazione della produzione distribuita di energia elettrica con tecnologie che utilizzano le fonti fossili nei modi più efficienti, come la co-generazione diffusa di energia elettrica e calore, a partire dagli edifici più energivori: ospedali, centri commerciali, industrie con processi che utilizzano calore tecnologico, centri sportivi ecc.
• Estensione della possibilità di riversare in rete e di vendere l’energia elettrica anche agli impianti di micro-cogenerazione di taglia inferiore ai 20 kW
• Incentivazione della produzione distribuita di energia elettrica estendendo a tutte le fonti rinnovabili e alla micro-cogenerazione diffusa la normativa del conto energia, vincolandola ai kW riversati in rete nelle ore di punta ed escludendo i chilowattora prodotti nelle ore vuote
• Applicazione rigorosa della normativa prevista dai decreti sui certificati di efficienza energetica, anche in considerazione dell’incentivazione alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che essi comportano
• Eliminazione degli incentivi previsti dal CIP6 alla combustione dei rifiuti in base al loro inserimento, privo di fondamento tecnico- scientifico, tra le fonti rinnovabili
• Legalizzazione e incentivazione della produzione di bio - combustibili, vincolando all’incremento della sostanza organica nei suoli le produzioni agricole finalizzate a ciò
• Incentivazione della produzione distribuita di energia termica con fonti rinnovabili, in particolare le biomasse vergini, in piccoli impianti finalizzati all’autoconsumo, con un controllo rigoroso del legno proveniente da raccolte differenziate ed escludendo dagli incentivi la distribuzione a distanza del calore per la sua inefficienza e
il suo impatto ambientale
• Incentivazione della produzione di biogas dalla fermentazione anaerobica dei rifiuti organici.
Informazione
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L’informazione è uno dei fondamenti della democrazia e della sopravvivenza individuale. Se il controllo dell’informazione è
concentrato in pochi attori, inevitabilmente si manifestano derive antidemocratiche. Se l’informazione ha come riferimenti i soggetti economici e non il cittadino, gli interessi delle multinazionali e dei gruppi di potere economico prevalgono sugli interessi del singolo. L’informazione quindi è alla base di qualunque altra area di interesse sociale. Il cittadino non informato o disinformato non può decidere, non può scegliere. Assume un ruolo di consumatore e di elettore passivo, escluso dalle scelte che lo riguardano.
Le proposte:
• Cittadinanza digitale per nascita, accesso alla rete gratuito per ogni cittadino italiano
• Eliminazione dei contributi pubblici per il finanziamento delle testate giornalistiche
• Nessun canale televisivo con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranza da alcun soggetto privato, l’azionariato deve essere diffuso con proprietà massima del 10%
• Le frequenze televisive vanno assegnate attraverso un’asta pubblica ogni cinque anni
• Abolizione della legge del governo D’Alema che richiede un contributo dell’uno per cento sui ricavi agli assegnatari di frequenze televisive
• Nessun quotidiano con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranza da alcun soggetto privato, l’azionariato diffuso con proprietà massima del 10%
• Adeguamento dell’Ordine dei giornalisti
• Vendita ad azionariato diffuso, con proprietà massima del 10%, di due canali televisivi pubblici
• Un solo canale televisivo pubblico, senza pubblicità, informativo e culturale, indipendente dai partiti
• Abolizione della legge Gasparri
• Copertura completa dell’ADSL a livello di territorio nazionale
• Statalizzazione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia, e l’impegno da parte dello Stato di fornire gli stessi servizi a prezzi competitivi ad ogni operatore telefonico
• Introduzione dei ripetitori Wimax per l’accesso mobile e diffuso alla Rete
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• Eliminazione del canone telefonico per l’allacciamento alla rete fissa
• Allineamento immediato delle tariffe di connessione a Internet e telefoniche a quelle europee
• Tetto nazionale massimo del 5% per le società di raccolta pubblicitaria facenti capo a un singolo soggetto economico privato
• Riduzione del tempo di decorrenza della proprietà intellettuale a 20 anni
Abolizione della legge Urbani sul copyright Abolizione della Siae
• Divieto della partecipazione azionaria da parte delle banche e di enti pubblici o para pubblici a società editoriali
• Depenalizzazione della querela per diffamazione e riconoscimento al querelato dello stesso importo richiesto in caso di non luogo a procedere (importo depositato presso il tribunale in anticipo in via cautelare all’atto della querela)
• Abolizione della legge Pisanu sulla limitazione all’accesso wi fi.
Economia
Riformulazione della manovra con modello matematico adeguato, che incrementi i livello di occupazione generale ovvero la crescita del benessere, non necessariamente del fatturato, nel Paese
Introduzione dell’iva al 10 % fissa
Introduzione di un’unica imposizione fiscale costituita dall’imposta generale sulle entrate del 10 % per lo Stato ed anche sulle uscite del 10 % che vada a Regioni e comuni
Eliminazione immediata di tutti gli algoritmi ires, tarsu, ici
Eliminazione di tutte le tasse particolari stimate sulle plusvalenze da alienazione di beni immobili e sugli assi ereditari.
Allineamento immediato delle tariffe dei carburanti al prezzo medio alla pompa mondiale
• Introduzione della class action
• Abolizione delle scatole cinesi in Borsa
• Abolizione di cariche multiple da parte di consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate
• Introduzione di strutture di reale rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate
• Riadeguamento della legge Biagi per il ritorno ad una legge sui contratti indeterminati legati alla collaborazione del lavoratore con obbligo di
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman risultato verso l’azienda
• Impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno
• Vietare gli incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale
• Introdurre la responsabilità degli istituti finanziari sui prodotti proposti con una compartecipazione alle eventuali perdite
• Impedire ai consiglieri di amministrazione di ricoprire alcuna altra carica nella stessa società se questa si è resa responsabile di gravi reati
Impedire l’acquisto prevalente a debito di una società (es. Telecom Italia)
Impedire la vendita dei beni demaniali e pubblici a chicchessia
• Introduzione di un tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante o maggioritaria dello Stato
• Abolizione immediata del collegamento della borsa italiana con le borse internazionali agressive ed divieto d’uso per tutti i titoli quotati nella Borsa italiana delle stock option, degli, Swap options, Caps/Floors, FRAs, CDSs., ETF, HF, F, FOF, e altri circa 50 tipi di contratti derivati sofisticati e super aleatori, tutti definibili come “giochi algoritmici praticamente basati sull’azzardo speculativo” e mantenimento unicamente dei contratti normali di Bonds, Repos, Swaps.
• Abolizione dei monopoli di fatto, in particolare Telecom Italia, Autostrade, ENI, ENEL, Mediaset, Ferrovie dello Stato mediante democratizzazione di tali unità economiche di importanza nazionale
• Allineamento immediato delle tariffe di energia, connettività, telefonia, elettricità, trasporti agli altri Paesi europei
• Riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari
• Vietare la nomina di persone condannate in via definitiva (es. Scaroni all’Eni) come amministratori in aziende aventi come azionista lo Stato o quotate in Borsa
• Favorire le produzioni locali
• Sostenere le società no profit
• Sussidio di disoccupazione garantito
• Disincentivi alle aziende che generano un danno sociale (es.distributori di acqua in bottiglia).
Trasporti
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• Disincentivo dell’uso dei mezzi privati motorizzati nelle aree urbane
• Sviluppo di reti di piste ciclabili protette estese a tutta l’area urbana ed extra urbana
• Istituzione di spazi condominiali per il parcheggio delle biciclette • Istituzione dei parcheggi per le biciclette nelle aree urbane
• Introduzione di una forte tassazione per l’ingresso nei centri storici di automobili private con un solo occupante a bordo
• Potenziamento dei mezzi pubblici a uso collettivo e dei mezzi pubblici a uso individuale (car sharing) con motori elettrici alimentati da reti
• Blocco immediato del Ponte sullo Stretto e della Tav in Val di Susa e riorganizzazione del traffico del Mediterraneo
• Proibizione di costruzione di nuovi parcheggi nelle aree urbane se non interrati
• Sviluppo delle tratte ferroviarie legate al pendolarismo
Copertura dell’intero Paese con la banda larga ecologizzata ovvero non
produttrice di radiazioni dannose agli organismi viventi
Interramento obbligatorio degli elettrodotti, pena arresto degli amministratori entro il periodo di adeguamento previsto, con sovvenzionamento parziale pubblico immediato
• Incentivazione per le imprese che utilizzano il telelavoro
• Sistema di collegamenti efficienti tra diverse forme di trasporto pubblici
• Incentivazione di strutture di accoglienza per uffici dislocati sul territorio collegati a Internet
• Incentivazione dei mercati locali con produzioni provenienti dal territorio
• Corsie riservate per i mezzi pubblici nelle aree urbane
• Piano di mobilità per i disabili obbligatorio a livello comunale. L’Italia è uno dei pochi Paesi con un sistema sanitario pubblico ad accesso universali. Due fatti però stanno minando alle basi l’universalità e l’omogeneità del Servizio Sanitario Nazionale: la devolution, che affida alle Regioni l’assistenza sanitaria e il suo finanziamento e accentua le differenze territoriali, e la sanità privata che sottrae risorse e talenti al pubblico. Si tende inoltre ad organizzare la Sanità come un’azienda e a far prevalere gli obiettivi economici rispetto a quelli di salute e di qualità dei servizi.
Salute
Gratuità delle cure e alla facoltà di accesso
• Garantire l’accesso alle prestazioni essenziali del Servizio Sanitario
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Nazionale universale e gratuito
• Ticket proporzionali al reddito per le prestazioni non essenziali
Monitorare e correggere gli effetti della devolution sull’equità d’accesso alla Sanità
Farmaci
• Promuovere l’uso di farmaci generici e fuori brevetto, equivalenti e meno costosi rispetto ai farmaci “di marca” (che in Italia costano spesso di più che all’estero) e più sicuri rispetto ai prodotti di recente approvazione
• Prescrizione medica dei principi attivi invece delle marche delle singole specialità (come avviene ad esempio in Gran Bretagna)
Informazione sanitaria
• Programma di educazione sanitaria indipendente pubblico e permanente sul corretto uso dei farmaci, sui loro rischi e benefici
• Politica sanitaria nazionale di tipo culturale per promuovere stili di vita salutari e scelte di consumo consapevoli per sviluppare l’autogestione della salute (operando sui fattori di rischio e di protezione delle malattie) e l’automedicazione semplice
• Informare sulla prevenzione primaria (alimentazione sana, attività fisica, astensione dal fumo) e sui limiti della prevenzione secondaria (screening, diagnosi precoce, medicina predittiva), ridimensionandone la portata, perché spesso risponde a logiche commerciali
• Sistema di misurazione della qualità degli interventi negli ospedali (tassi di successo, mortalità, volume dei casi trattati ecc.) di pubblico dominio
Medici
• Proibire gli incentivi economici agli informatori “SCIENTIFICI” sulle vendite dei farmaci e rendere obbligatoria loro una remunerazione esclusivamente fissa.
• Separare le carriere dei medici pubblici e privati, non consentire a un medico che lavora in strutture pubbliche di Operare nel privato
• Incentivazione della permanenza dei medici nel pubblico, legandola al merito con tetti massimi alle tariffe richieste in sede privata
• Criteri di trasparenza e di merito nella promozione dei primari
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Organizzazione cure
• Liste di attesa pubbliche e on line o altro metodo facilmente pre accessibile
• Istituzione di centri unici di prenotazione on line
• Convenzioni con le strutture private rese pubbliche e on line
• Investire sui consultori familiari
• Limitare l’influenza dei direttori generali nelle ASL e negli ospedali attraverso la reintroduzione dei consigli di amministrazione
Lotta per il dolore
• Allineare l’Italia agli altri Paesi europei e alle direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella lotta al dolore. In particolare per l’uso degli oppiacei (morfina e simili)
Ricerca
• Possibilità dell’8 per mille alla ricerca medico-scientifica
• Finanziare la ricerca indipendente attingendo ai fondi destinati alla ricerca militare
• Promuovere e finanziare ricerche sugli effetti sulla salute, in particolare legate alle disuguaglianze sociali e all’inquinamento ambientale dando priorità ai ricercatori indipendenti
• Promuovere la ricerca sulle malattie rare e spesare le cure all’estero in assenza di strutture nazionali
• Introdurre, sulla base delle raccomandazioni dell’OMS, a livello di Governo centrale e regionale, la valutazione dell’impatto sanitario delle politiche pubbliche, in particolare per i settori dei trasporti, dell’urbanistica, dell’ambiente, del lavoro e dell’educazione
Amministratori pubblici
• Eliminazione degli inceneritori
• Applicazione del reato di strage per danni sensibili e diffusi causati dalle politiche locali e nazionali che comportano malattie e decessi nei cittadini nei confronti degli amministratori pubblici (ministri, presidenti di Regione, sindaci, assessori).
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Istruzione
• Abolizione della legge Gelmini
• Diffusione obbligatoria di Internet nelle scuole con l’accesso per gli studenti
• Graduale abolizione dei libri di scuola stampati, e quindi la loro gratuità, con l’accessibilità via Internet in formato digitale
• Insegnamento obbligatorio della lingua inglese dall’asilo
• Abolizione del valore legale dei titoli di studio
• Risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica o alla privata convenzionata con accordi speciali e annuali legati ad obbiettivi di risultato
• Valutazione dei docenti universitari da parte degli studenti
• Insegnamento gratuito della lingua italiana per gli stranieri(obbligatorio in caso di richiesta di cittadinanza)
• Accesso pubblico via Internet alle lezioni universitarie • Investimenti nella ricerca universitaria
• Insegnamento a distanza via Internet
• Integrazione Università/Aziende
• Sviluppo strutture di accoglienza degli studenti
Giustizia, riscossione e forze pubbliche
Adeguamento del ruolo del Presidente della Repubblica verso la Grande Classe Produttiva Italiana
Inserimento immediato della responsabilità personale di tutti i giudici e ricusazione d’ufficio del giudice incompetente nella specifica materia del contendere
Abolizione dell’elezione dei CTU, a discrezione esclusiva del giudice che se incompetente nella materia specifica lo deve essere anche nella scelta degli esperti di provata esperienza nella medesima materia, con proponimento obbligatorio dei candidati alle parti ed elezione dei medesimi con votazione unanime di entrambe.
Inserimento obbligatorio nella giuria fissata il giorno del processo di un tribuno della classe appartenente ad entrambe le parti con poteri di voto per la formazione della sentenza
Abolizione del verbale manuale in ogni caso, e adozione di un sistema informatico ingegnerizzato opportunamente per gestire qualsiasi
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processo di contestazione e, in caso di mancato provvedimento immediato, del successivo reclamo civile inviato telematicamente,
limitando drasticamente il numero di giudici ed avvocati necessari per il carico annuale nazionale, ma informatizzando un sistema con automatismi di calcolo algoritmico mediante opportuni risulutori matematici di equità.
Inserimento informatico delle società di assicurazione nell’intervento risarcitorio immediato nel processo telematico.
Fissazione dell’obbligo di indicazione del valore della causa nel valore minimo possibile, ovvero nel valore del primo unico documento contrattuale originario senza aggiunte.
Disincentivare chiunque ad aprire una causa o una difesa immotivata fissando il pagamento immediato del doppio del valore della causa, in caso di perdita per causa o difesa temeraria.
Abolizione dei patti tra avvocati in assenza della presenza di un tribuno di classe per ciascuna parte
Fissazione del tetto massimo di condannabilità rispetto al capitale contrattuale nella misura del 100 per cento, comprensivo di ogni e qualsiasi spesa di giudizio o avvocatizia complessiva di entrambe le parti
Assegnazione della fissazione di tutti i listini dei costi di giustizia allo Stato ivi compresi quelli degli avvocati e dei giudici che lavoreranno esclusivamente a premio di risultato e ad obiettivo da raggiungersi entro una data congrua
• Insegnamento a distanza via Internet Integrazione internet del territorio
Crea un movimento
Esempio di statuto:
ARTICOLO 1 – NATURA E SEDE
Il “MoVimento” è una “non Associazione”. Rappresenta una piattaforma ed un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel blog
La “Sede” del “MoVimento” coincide con l’indirizzo web
I contatti con il MoVimento sono assicurati esclusivamente attraverso posta elettronica
ARTICOLO 2 - DURATA
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Il MoVimento, in quanto “non associazione”, non ha una durata
prestabilita.
ARTICOLO 3 – CONTRASSEGNO
Il nome del MoVimento viene abbinato a un contrassegno registrato a nome del leader, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso.
ARTICOLO 4 – OGGETTO E FINALITÀ
Il “MoVimento” intende raccogliere l’esperienza maturata nell’ambito del blog dei “meeting”, delle manifestazioni ed altre iniziative popolari e delle “Liste Civiche Certificate” e va a costituire, nell’ambito del blog stesso, lo strumento di consultazione per l’individuazione, selezione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociale, culturale e politica promosse dal leader così come le proposte e le idee condivise nell’ambito del blog in occasione delle elezioni per la Camera dei Deputati, per il Senato
della Repubblica o per i Consigli Regionali e Comunali, organizzandosi e strutturandosi attraverso la rete Internet cui viene riconosciuto un ruolo centrale nella fase di adesione al MoVimento, consultazione, deliberazione, decisione ed elezione.
Il MoVimento non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro. Esso vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi.
ARTICOLO 5 – ADESIONE AL MOVIMENTO
L’adesione al MoVimento non prevede formalità maggiori rispetto alla registrazione ad un normale sito Internet. Il MoVimento è aperto ai cittadini italiani maggiorenni che non facciano parte, all’atto della richiesta di adesione, di partiti politici o di associazioni aventi oggetto o finalità in contrasto con quelli sopra descritti.
La richiesta di adesione al MoVimento verrà inoltrata tramite Internet; attraverso di essa, l’aspirante Socio provvederà a certificare di essere in possesso dei requisiti previsti al paragrafo precedente.
Nella misura in cui ciò sia concesso, sulla scorta delle vigenti disposizioni di legge, sempre attraverso la Rete verrà portato a compimento l’iter di identificazione del richiedente, l’eventuale accettazione della sua
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman richiesta e l’effettuazione delle relative comunicazioni.
La partecipazione al MoVimento è individuale e personale e dura fino alla cancellazione dell’utente che potrà intervenire per volontà dello stesso o per mancanza o perdita dei requisiti di ammissione.
ARTICOLO 6 – FINANZIAMENTO DELLE ATTIVITÀ SVOLTE SOTTO IL NOME DEL “MOVIMENTO
Non è previsto il versamento di alcuna quota di adesione al MoVimento. Nell’ambito del blog potranno essere aperte sottoscrizioni su base volontaria per la raccolta di fondi destinati a finanziare singole iniziative o manifestazioni.
ARTICOLO 7 – PROCEDURE DI DESIGNAZIONE DEI CANDIDATI ALLE ELEZIONI
In occasione ed in preparazione di consultazioni elettorali su base nazionale, regionale o comunale, il MoVimento 5 Stelle costituirà il centro di raccolta delle candidature ed il veicolo di selezione e scelta dei soggetti che saranno, di volta in volta e per iscritto, autorizzati all’uso del nome e del marchio “MoVimento” nell’ambito della propria partecipazione a ciascuna consultazione elettorale.
Tali candidati saranno scelti fra i cittadini italiani, la cui età minima corrisponda a quella stabilita dalla legge per la candidatura a determinate cariche elettive, che siano incensurati e che non abbiano in corso alcun procedimento penale a proprio carico, qualunque sia la natura del reato ad essi contestato.
L’identità dei candidati a ciascuna carica elettiva sarà resa pubblica attraverso il sito internet appositamente allestito nell’ambito del blog; altrettanto pubbliche, trasparenti e non mediate saranno le discussioni inerenti tali candidature.
Le regole relative al procedimento di candidatura e designazione a consultazioni elettorali nazionali o locali potranno essere meglio determinate in funzione della tipologia di consultazione ed in ragione dell’esperienza che verrà maturata nel tempo.Revisione dei concetti economici errati, diffusi tra le credenze popolari e degli esperti aziendali.
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Un falso proverbio
Un agricoltore pugliese un giorno disse a “Linea Verde”:
“Quello che non cresce, marcisce!”
Osservazioni:
Il detto del contadino era riferito ai semi difettosi e non ad altro.
Le interpretazioni affrettate dei proverbi possono essere molto dannose.
L'economia di un paese non è detto che debba crescere continuamente ogni anno: può benissimo assestarsi su un livello massimo standard che rispetti gli equilibri energetici ed ecologici, e conseguentemente economici locali e mondiali, per potersi definire "sistema compiuto".
Non è vero che ciò che non cresce MA È CONTINUAMENTE STABILE, debba necessariamente marcire... oppure debba essere colto: gli olivi giunti alla maturità producono annualmente sempre quel quantitativo di frutto, tranne negli anni di malattia, infestazione, gelo, o altro disequilibrio esterno, per tornare alla normalità passata ogni crisi.. Ma non per questo debbono essere tagliati, estirpati o debbano darsi per morti o marcenti... anzi guai a chi tocca questi alberi sacri.
Quindi in economia è certo che:
“Ciò che non cresce dopo essere diventato già adulto, non marcisce, bensì contribuisce all’eccellenza nella sua specialità” e non altro.
Molti ascoltatori invece pensarono che quello “statement economico scarno ed essenziale”, avesse una certa ragionevolezza, anche se, riflettendoci in seguito, non si poteva assolutamente dire convincente.
Ma fu così che in ogni telegiornale, talk-show, discussione pubblica, spesso i facinorosi intellettuali dall’eloquenza cronacale economica, sfoggiavano incoscientemente il ritrito luogo comune errato che citava;
“la “crescita è vitale e necessaria, per la salvezza dell’economia...” come se si basassero sullo statement del contadino pugliese.
In realtà tali signori ignoravano appieno ogni verità sull’argomento.
Gli unici istituti sociali, realmente interessati alla persistenza della crescita economica continua, erano e potevano essere solo quelli bancari, previdenziali, assistenziali, finanziari, ovvero tutti quelli raggruppabili sotto il nome di “venditori dei mezzi di scambio” acronimizzabili con la sigla “VMS”.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Costoro, in quanto produttori di un’economia garantistica meramente virtuale, quindi irreale e intangibile sul piano economico sostanziale,
temevano perennemente il loro stesso “fault” , per via dei loro stessi bilanci redatti da loro stessi nel modo più attrattivo possibile ovvero “pro investors”, fatti per garantirsi la fidelizzazione permanente degli azionisti o degli obbligazionisti, anche se riportanti dividendi non convenientemente sostenibili.
I derivati, un puro gioco d’azzardo
Basando i loro guadagni sui contratti matematici tra i quali: Bonds,
Repos,
Swaps,
Swap options, Caps/Floors, FRAs,
CDSs.,
ETF, HF,
F,
FOF,
e altri circa 50 tipi di contratti derivati super aleatori, tutti definibili come
“giochi algoritmici praticamente basati sull’azzardo speculativo” - E.F. - comunemente conosciuti come “derivati”, essi hanno così appeso le sorti dei valori reali, aziendali e monetari, su vere e proprie “scommesse borsistiche legalizzate” relative a previsioni su disponibilità future e vere e proprie “speculazioni sui mezzi di scambio” , sulle performance delle alle imprese e sull’oscillazione di valore dei beni reali.
Quindi, tutti i valori dati dalla borsa, erano da ritenersi più che mai falsi e falsati, perché constavano in mere valutazioni istantanee basate sui fattori emozionali di mercato, collettivi o individuali, con i quali si attribuivano i prezzi di acquisto di entità economiche reali (EER).
Ma queste ultime in realtà avevano valori reali basati su ben altri concetti di estimazione.
Per esempio i criteri di valutazione di un’azienda erano realmente quelli del suo costo di costruzione immobiliare, del suo prezzo di mercato immobiliare, del costo di avviamento commerciale, del valore di mercato
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del suo avviamento in base al valore del fatturato effettivo e potenziale, ma in borsa, se in una giornata veniva diffusa la notizia che i suoi prodotti fossero cancerogeni, le sue azioni potevano crollare a zero e spese per eccesso di ribasso.
Essi soltanto potevano ben sperare sull’esistenza costante di tale “crescita” senza la quale, data la loro specialità di produttori della catena di sant’Antonio del denaro virtuale e degli effetti borsistici, la loro esistenza non avrebbe potuto avere seguito.
Soprattutto per parare gli errori previsionali, e le perdite scaturite dagli andamenti imprevisti dei derivati, si è verifcata la necessità del ripetersi continuo e crescente della richiesta di denaro, senza la quale le banche non avrebbero potuto infatti sopravvivere a lungo.
I fallimenti storici delle banche verificatisi nel 29 e nel 75?? Nek 89?? Stava riavvicinandosi e tutti gli istituti mondiali non volevano crederlo possibile.
Ecco allora che si arrivò ad assistere a richiami solenni prima di piccole agenzie di rating fatte ad interi stati, poi addirittura di banche centrali
che per imitazione iniziavano a richiamare gli stati con deficit superiore alla norma, anziché essere il concerto di questi ultimi a comandare le banche che dopotutto altro non sono che istituti di custodia!
Guida per il nuovo giovane cittadino
“Non nova sed novae” Catullo
Rileggere sempre la legge
Anziché editare, escogitare, inventare nuove leggi e tasse sempre più esotiche, pensare, combinare, muovere, valorizzare il patrimonio esistente che da solo sarebbe già stato in grado di fornire un numero di attività tale da mantenere il lavoro di tutti comprese soprattutto le generazioni future, la società sembrava ormai impazzita nella prolificazione legislativa con nuovi articoli dai mille riferimenti passati, e sempre più incomprensibili anche ad un uomo di intelligenza elevata.
Restare impotenti spettatori nella nuova Euro-Italia dal caotico mondo politico-legislativo, fiscal-giustizialista propiziato da quella storica fase di europeizzazione garantista della nuova moneta comune il cui uso si era rivelato subito fonte di un inesauribilmente e crescente quanto incomprensibile indebitamento individuale.
Non era forse necessario proporre utili quanto urgenti accorgimenti economici correttivi dell'attuale situazione "recessiva", prima che diventi "depressiva"?
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Non era quanto mai abominevole sostenere comunque gli inventori del nuovo monetarismo basato su diabolici strumenti contrattuali ed
algoritmi borsistici basati sulle leggi della scommessa e dell'assoluta aleatorietà, usati a decimazione selvaggia e impunita dei capitali degli ignari investitori,
Non era forse deprecabile non impedire la prosecuzione di quel malcostume della scommessa e dell'azzardo, applicato addirittura nei
contratti borsistici, sviluppato da scaltri inventori matematici e applicato da irresponsabili operatori che giocano sfruttando i soldi dei molti malcapitati quanto inconsapevoli investitori?
Sarebbe stato meglio subire tacitamente gli errori puramente logici presenti talvolta nei testi di legge, nelle sentenze di qualsiasi ordine o
grado, nelle circolari bancarie od in quelle ministeriali, nei comunicati stampa, oppure intervenire liberamente da casa raccontando i propri torti subiti sui comodissimi blog, per ricevere un rapido aiuto?
Sarebbe stato preferibile favorire la prosperità e l'impunità di Cassatori senza arte nè parte, ed anche tutti i satrapi, usurai, bulli e boia che nel
loro dna, non posseggono notoriamente la benché minima molecola di propensione ad un equa ed utile giustizia sociale, oppure lavorare per eliminare il clientelarismo italiano dagli uffici pubblici?
Sarebbe stato conveniente permettere la prosecuzione impunita dello sfruttamento e del vilipendio da parte de sistema "burocrazia italiana"
degli onesti lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori, dei semplici operatori delle arti, dei giusti padri di famiglia, dei giovani e geniali free lancers, degli studenti di successo, unici produttori e preparatori della nuova economia reale nonché eredi della cultura tradizionale italiana e degli antichi principi sani e civili, ereditati da stimabili nonni e genitori che affidarono loro questo meraviglioso e storico territorio che é l'Italia, oppure affermare delle inviolabili regole di rispetto da parte dei pubblici poteri verso queste categorie ora ingiustamente troppo vulnerabilizzate?
Sarebbe stato lecito continuare ad essere il popolo sovrano, non più suddito dei principi delle borse, dei satrapi, del giustizialisti tout cour o degli "omini del paese dei balocchi", o del "mondo delle scommesse, oppure permettere che "le male caste" continuassero a sottrarre sostanze preziose a chi non avrebbe desiderato altro che semplicemente creare, lavorare e pianificare ed avere uno sviluppo graduale, non frenetico né tantomeno obbligatorio, restando costantemente nel giusto, senza commettere eccessi o sprechi economici ed ecologici?Report storico degli anni 2008-2013
La realtà globale del business era stata modificata in modo profondo e permanente dallo sconvolgimento economico e finanziario.
Tale trasformazione avrebbe peso caratteristiche e intensità diverse nei vari settori.
Eppure tutti i dirigenti, nel valutare le misure da adottare, dovevano tenere ben presenti le cinque dimensioni del cambiamento.
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Lehman Brothers, icona di Wall Street, inghiottita dalla più grande
bancarotta della storia.
L'Islanda, uno stato tra i più floridi al mondo, a rischio di insolvenza.
IPIC, il fondo d'investimento di Abu Dhabi, compra in fretta e furia le azioni di compagnie energetiche, industrie chimiche e imprese di costruzioni che non navigavano in buone acque in Spagna, Germania e Canada.
Cosa stava accadendo?
La crisi del credito ( o del debito) e la conseguente recessione globale avevano rivoluzionato il mondo degli affari.
In uno scenario nel quale stavano emergendo nuove realtà economiche e commerciali, i dirigenti aziendali si trovavano costretti a rivedere la strategia di successo che avevano tradizionalmente adottato, se non ad abbandonarla del tutto.
In che modo questa evoluzione stava influendo sulle tre aree critiche per il successo delle imprese ovvero il cliente, le dinamiche concorrenziali e le prospettive di crescita?
E quali sarebbero state le implicazioni per le metodologie adottate dai manager per gestire il business e guidare i loro team? I dati della allora situazione reale
Pil dei 150 Paesi a confronto
Le discussioni del tempo sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportavano di attualità un vecchio quesito: quale andamento aveva lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda era stata analizzata la dimensione economica dei primi 150 Paesi (con popolazione superiore a un milione di abitanti) dal 2000 al 2008, convertendo in dollari i loro dati sul Prodotto interno lordo (Pil).
E per evitare le distorsioni causate dal fluttuare dei cambi, per cui da un anno all'altro il Pil in dollari di un Paese poteva anche raddoppiare o dimezzarsi, togliendo ogni significato alle comparazioni internazionali, si era adottato il metodo dei "cambi di lungo termine".
Infatti, secondo la dottrina delle parità di potere d'acquisto, dati due Paesi, esisteva tra loro un tasso di cambio di equilibrio a lungo termine la cui variazione dipendeva dalle oscillazioni del rapporto tra prezzi interni ed esteri.
Il cambio di equilibrio includeva anno per anno un aggiustamento per il differenziale d'inflazione. Sarebbe però stato necessario scegliere un
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman anno-base al quale agganciare la compensazione.
Per superare tale arbitrarietà, il metodo del cambio di lungo termine consentiva di definire sia i valori annuali del cambio, sia la generale posizione di equilibrio a lungo termine.
Per la crescita reale dei Paesi dal 2000 al 2008 e per la popolazione furono utilizzati dati e stime del Fmi, tratti dall'allora recente "World Economic Outlook", dell'ottobre 2007.
Nel 2008 il Pil mondiale era stato previsto in 56.777 miliardi di dollari a prezzi correnti e la popolazione in 6.658 milioni, rispetto a 6.028 milioni e 35.960 miliardi del 2000. Esclusa l'inflazione del dollaro, l'incremento risultava del 3,4% annuo. Con 14.596 miliardi gli Stati Uniti rappresentavano il 25,7% del Pil mondiale; e il valore analogo era stato denunciato dalla Ue a 27 (14.070 miliardi), ma in un contesto assai disomogeneo e con 497 milioni di abitanti, contro i 306 milioni degli Usa.
Usando il Pil come indicatore della dimensione dei mercati, si confrontò allora lo sviluppo di due aree con buone prospettive per l’export Italiano e cioè l'Asia, esclusi Giappone e Cina (tanto grande da costituire un'area a sé), e i 28 Paesi ex-comunisti, compresa la Russia.
Il loro Pil, che nel 2000 rappresentava un mercato di 2.581 miliardi di dollari, era allora stimato in 5.021, (+ 61% l'aumento reale). Passando da 2.723 miliardi a 5.068 i 16 Paesi asiatici mostravano invece un aumento del 54% "soltanto". Èra sorprendente constatare come fosse stata proprio la "vecchia" Europa a nascondere l'area più dinamica del globo dopo la Cina e ciò perché i progressi europei si erano diffusi in quasi tutti i Paesi.
Ancor più utile per lo studio dei mercati è il Pil procapite. Esso variava tra un massimo di 51.472 dollari per la Norvegia (che aveva spodestato al vertice la Svizzera) e un minimo di 236 $ per la Repubblica democratica del Congo. In totale, 50 Paesi avevano un Pil procapite superiore a 10.000 $, 45 oltre i 2.000 e 55 al di sotto. Il gruppo più ricco comprendeva 1.367 milioni di abitanti, quello intermedio (che include la Cina) 3.180 $ procapite e 2.653 milioni, quello più povero, con l'India (1.411 $), 2.629 milioni.
L'Italia figurava al 20° posto con 26.476 dollari, a mezza via tra Gran Bretagna (32.293 $) e Spagna (21.069 $).
Per meglio illustrare l'economia dei Paesi nella tabella sottostante furono usati altri parametri: il consumo di energia procapite (in chili annui di petrolio equivalente) e le auto in circolazione, i telefoni fissi, i cellulari e i personal computer ogni 1.000 abitanti. Era inoltre stretto il legame inverso tra Pil procapite e la quota dell'agricoltura: 6 Paesi hanno solo l'1% (tra essi Usa, Germania e Gran Bretagna); otto il 2%, tra cui Giappone, Francia e l'Italia (che nel dopoguerra aveva il 40%), tutti con reddito procapite di oltre 25.000 $. La media variava tra il 2% per i primi 25 Paesi e il 33% per gli ultimi 25. All'opposto, poiché la terziarizzazione economica era progredita senza soste, c'era una altissima correlazione tra reddito e percentuale dei servizi: Usa e Francia erano arrivati addirittura al 77%, un record mondiale; la Gran Bretagna era al 73%, l'Italia al 71%, la Germania al 69% e il Giappone al 68%.
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I principali indicatori di consumo sono l'energia e le auto. Per l'energia si passava da un massimo di 8.649 chili annui procapite del Canada (per gli
Stati Uniti 7.985 kg) a un minimo di 180 kg del Bangladesh. L'Italia era al livello più basso tra i Paesi industrializzati: solo 3.366 kg, rispetto ai 3.706 kg della Spagna e ai 4.126 dell'Irlanda. Le auto variavano tra 768 ogni 1.000 abitanti degli Usa e una soltanto per gli ultimi 6 Paesi. L'Italia era al 4° posto (1° in Europa) con 658 auto, davanti a Germania (624) e Giappone (587).
Di nuovo stretto era il legame tra questi indicatori e il Pil: la media dei primi 25 Paesi (con un reddito procapite di 36.879 $) è 487 auto e 4.905 kg, quella degli ultimi 25 (reddito procapite 472 $) è 5 auto e 362 kg.
Nei dati sui telefoni, oltre alla consueta relazione con il reddito (si passava da 523 ogni 1.000 abitanti per i primi 25 Paesi a 12 per gli ultimi 25), impressionava pure la crescita dei cellulari: 54 Paesi erano giunti a oltre 1.000 apparecchi ogni 1.000 abitanti. Poiché i costi continuava a scendere, sembrava davvero realizzabile il sogno che l'elettronica potesse aiutare i Paesi poveri.
Nel Congo, ad esempio, unico Paese al mondo dove c'era meno di una linea fissa ogni 1.000 abitanti (secondo l'Itu, soltanto 0,2), si stava arrivando a 100 cellulari; nel Mozambico, con 4 linee fisse, a 200 cellulari.
Altrettanto notevole era la diffusione dei personal computer, che aveva già ha raggiunto un miliardo di unità! Rispetto ai cellulari, maggiore è la concentrazione a livello di Paesi: da una media di 674/1.000 per i primi 25 Paesi, per i Paesi tra il 51° e il 75° posto si scendeva già a 117/1.000, mentre vi erano ancora 6 Paesi con solo un personal computer ogni 1.000 abitanti. L'Italia, recuperando il ritardo, stava superando 400/1.000, mentre Usa, Gran Bretagna e Australia erano oltre gli 800. La posizione dei Pvs, in questo caso, era diversa dal solito: se l'Italia, ad esempio, stava arrivando a 40 milioni di automobili (contro 25 in Cina, 20 in Brasile, 11 in India), vi erano 66 milioni di pc in Cina, 34 in Brasile, 32 in India, rispetto ai 26 italiani.
Interessante era anche una nuova statistica della Witsa sulla spesa informatica. Con aumenti annui del 10-40%, essa era arrivata a 98 miliardi di $ per l'Italia (6,2% del Pil), a 198 miliardi per la Gran Bretagna (10,0%) e a 222 per la Cina (5,3%), per non parlare del gigantesco mercato Usa di 1.220 miliardi (8,4%). Poiché ormai si trattava ovunque del 5-10% del Pil, sembrava opportuno che gli uffici statistici nazionali aggiungessero un quarto settore alla classica suddivisione del Pil. Dopo aver però risolto un difficile problema: le spese informatiche rappresentavano un consumo corrente, oppure un investimento per il futuro? E c'era un modo corretto di raggrupparle in un'unica categoria?I nuovi valori per i clienti e la nuova parola d'ordine: "sobrietà"
Gli esempi di una riscoperta della semplicità abbondavano:
dalle comunità dedicate al baratto dove gli scambi non prevedono esborsi di denaro al revival del fai da te, fino alla diffusione di offerte commerciali e retail format più orientati al valore.
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Viceversa l'ostentazione era decisamente in declino, come segnala l'ansia
crescente che serpeggia nel settore dei beni di lusso.
Nonostante ciò, sui monti ginevrini, in vicinanza forzieri del mondo, gente comune poteva assistere a scene di sceicchi pagavano conti di 40 k euro al tavolo di capodanno 2011, dove i loro pargoli sbranavano distrattamente intere confezioni di caviale mentre i genitori si affogavano del miglior champagne.
Che si volesse o meno dieci clienti di questo tipo in tutto il mondo erano ancora rimasti.
Comunque si prevedeva, già allora, che il fascino della semplicità sarebbe rimasto in auge per altri 3-5 anni anche dopo la ripresa economica.
Le ragioni erano molteplici.
Innanzitutto i consumatori che avevano accumulato montagne di debiti, fiduciosi che il valore delle loro case e di altri investimenti sarebbe continuato ad aumentare, si trovavano improvvisamente a fare i conti con i creditori e quindi non si poteva dire fosse certo il momento di sperperare.
In secondo luogo la crescente fetta di consumatori anziani che sarebbero andati in pensione avrebbe avuto meno soldi da spendere.
Infine fattori quali la crescente pressione fiscale, il crollo delle quotazioni e l'eliminazione degli incentivi avrebbero limitato il budget di spesa anche dei consumatori più benestanti.
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si sarebbero fatte decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Anche la durabilità sarebbe stato un fattore determinante in quanto i clienti si sarebbero attesi di acquistare un prodotto e tenerlo per un periodo più lungo.
Negli Stati Uniti, per esempio, il tempo medio di permuta delle auto era passato da 68 mesi nel quarto trimestre del 2006 a 76 mesi alla fine del 2008.
Benché da un lato questo andamento fosse in parte dovuto alla carenza di credito per l'acquisto di nuovi veicoli, dall'altro rifletteva sicuramente anche un miglioramento della qualità della produzione: se in precedenza un'automobile veniva cambiata ogni 100.000 chilometri, allora il nuovo standard sarebbe salito a 200.000 e più.
Ciò significava che i clienti, anziché acquistare una nuova vettura dopo tre-cinque anni di utilizzo, avrebbero potuto tenere più a lungo quella
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman che possedevano, magari fino al momento della rottamazione.
Al servizio del cliente
In molti settori il valore percepito dai clienti e il loro comportamento d'acquisto erano cambiati, spesso radicalmente.
Erano cambiamenti temporanei o si sarebbero consolidati nel tempo?
E quali opportunità ne sarebbero potute derivare in termini di nuove esigenze e conquista di quote di mercato da sottrarre alla concorrenza?
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si facevano decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Le imprese avrebbero quindi adottato opportunità di condivisione di costi e rischi degli investimenti di capitale creando consorzi o joint venture terze che permettessero a ex concorrenti diretti di condividere un'infrastruttura comune e un costo più basso.
Questo già avviva nel settore dell'editoria dei quotidiani e della telefonia mobile, dove reti e infrastrutture comuni erano ormai la norma.
Fornitori terzi di servizi quali fatturazione e riscossione, che allora servivano più concorrenti appartenenti allo stesso settore, avrebbero assunto anch'essi una sempre maggiore importanza.
Mentre da un lato le aziende erano alla ricerca di soluzioni per ridurre i costi, dall'altro i fornitori terzi erano chiamati ad ampliare la propria offerta includendovi vendita, servizio assistenza e infrastruttura IT, permettendo così di liberare risorse di liquidità e lasciando alle imprese la possibilità di concentrarsi sui propri principali punti di forza.La risorsa dei consumatori emergenti
La recessione e il periodo che la avrebbe seguita avrebbe avuto un impatto diverso per tutti i paesi e le regioni.
Le economie dei paesi occidentali sviluppati, impegnate a tener testa alle conseguenze del tracollo dei mercati finanziari, avrebbero fatto probabilmente registrare una crescita più lenta per un lungo periodo.
Per quanto riguarda i mercati emergenti, invece, sebbene il rallentamento della domanda globale ne avesse frenato l'espansione, la crescita costante del ceto medio in particolare in India, Brasile, Sudafrica, Cina e in altre economie in via di sviluppo avrebbe costituito un'importante fonte di nuova domanda per le multinazionali.
Per esempio, nel 2011 le vendite al dettaglio in Cina rimasero molto più sostenute rispetto a quelle di altre grandi economie; a spendere in modo importante non erano solo le città tradizionali a rapido sviluppo
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raggruppate intorno al delta dello Yangtze e del Fiume delle Perle, ma anche città dell'entroterra e a più basso profilo: in tutte, il crescente ceto medio cinese continuava a spendere.
Sempre un più alto numero di nuove società di collegamento e mediazione commerciale, aprivano alle foci del fiume della Perle, a Guang Zhou al fine di commercializzare il valore dello sfruttamento commerciali dei più famosi marchi di moda, di Italian Wine and oil, di design europei e mondiali.
Altri valori, come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa, avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori stavano abbandonando i modelli di consumo indiscriminato del passato e diventavano più selettivi nell'operare le proprie scelte.
Un numero crescente di aziende investiva già nella conquista di credenziali verdi che, con i gruppi di attivisti determinati a puntare i riflettori sui principali trasgressori, erano diventate un parametro di misurazione della performance d'impresa sempre più importante.
Nel frattempo, le conseguenze della allora crescente opposizione allo sfruttamento degli animali da pelliccia venivano avvertite pesantemente dal già tormentato Settore dei beni di lusso.
Simili cambiamenti non potevano non influenzare i buyer industriali.
L'attenzione costante e pervasiva per la gestione dei costi avrebbe portato all'adozione sempre più diffusa di pratiche d'acquisto professionali, come per esempio le reverse auction, o aste inverse, e il ricorso a servizi di approvvigionamento specializzati forniti di terzi, e a livelli sempre maggiori di sensibilità al prezzo, in tutti i settori.
Il perdurare della difficoltà di accesso al credito per le aziende di tutti i tipi, avrebbe potuto inoltre far crescere l'interesse per nuovi modelli di proprietà, soppiantando per esempio la proprietà diretta con i modelli di pagamento a consumo “pay-per-use”.
Per esempio, erano sempre più numerose le compagnie aeree che avevano scelto di percorrere la strada della logistica prestazionale, basata
sull'approccio alla proprietà dei motori per aereo “Power by the Hour” elaborato da Rolls-Royce, che prometteva un costo fisso per ore di volo del motore per tutta la durata del contratto.
Dal canto loro, i governi degli Stat Uniti e della Gran Bretagna stavano stipulando contratti per velivoli militari e altre apparecchiature basati sulla disponibilità, lasciando ai costruttori il compito di fornire pezzi di ricambio e altri servizi on demand.
Anche le aziende di una vasta gamma di settori avrebbero cercato di individuare Valori come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori avevano abbandonato i modelli di consumo indiscriminato del passato.
Nell'ambito dei suoi piani di ristrutturazione, per esempio, il gruppo
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Chrysler stava annullando i contratti con 800 dei 3200 concessionari
presenti negli Stati Uniti, mentre la General Motors Corp.
aveva annunciato l'intenzione di rescindere i contratti di franchising con 1100 concessionari degli USA.
In tempi migliori, questi provvedimenti avrebbero comportato cospicui indennizzi.
Quando GM annunciò la chiusura della divisione Oldsmobile nel 2000, infatti, dovette versare più di 1 miliardo di dollari ai concessionari a titolo di risarcimento.
Guardando invece a valle, un peggioramento della situazione finanziaria dei clienti si sarebbe ripercosso in risalita sulla supply chain, trascinando società per altro sane in mezzo a difficoltà da cui molte non sarebbero riuscite a riprendersi.
I produttori di componenti elettronici, per esempio, avevano già avvertito l'impatto della contrazione della domanda di elettronica di consumo, e una situazione simile si era delineata più in alto nella catena per i costruttori del settore automotive.
Nel comparto dell'editoria, il crollo del fatturato da pubblicità aveva accellerato il declino della redditività per quotidiani e riviste, portando molti sull'orlo dell'insolvenza.L’alterazione degli equilibri di potere nella catena del valore e i nuovi concorrenti
I fallimenti e le difficoltà finanziarie avrebbero cambiato la fisionomia di molti settori.
In alcuni casi avrebbero comportato una riduzione della capacità, con un potenziale miglioramento del rendimento per le aziende che restano sul mercato.
Tuttavia, la capacità avrebbe potuto anche semplicemente cambiare mani, spesso a prezzi stracciati che avrebbero consentito ai nuovi entranti di competere partendo da una base di costi molto inferiore.
In molti settori, gli squilibri fra domanda e offerta, dovuti alla tendenza a sottoinvestire durante la recessione, avrebbero creato una situazione di volatilità dei prezzi con la ripresa della domanda.
La World Steel Association, l'associazione mondiale che riuniva le società siderurgiche, prevedeva per esempio un calo globale della domanda di acciaio del 15% nel 2009, trascinata da una contrazione superiore al 25% in Europa e Nord America.
Tali picchi non saranno stati limitati ai settori delle materie prime.
I comparti delle costruzioni navali e della costruzione di aeromobili rappresentavano solo due dei settori in cui un rallentamento della domanda e una conseguente riduzione della capacità produttiva avrebbe potuto creare delle carenze e spingere i prezzi al rialzo nel medio termine.
Nel primo trimestre del 2009, Airbus, la divisione aerospaziale
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commerciale di EADS, si era aggiudicata soltanto otto nuovi ordini netti (dopo le disdette), rispetto ai 395 nuovi ordini netti dello stesso periodo del 2008.
Sebbene dovesse ancora consegnare una quantità consistente di ordini arretrati, Airbus annunciò un lieve rallentamento della produzione verso la fine dell'anno e previse ulteriori riduzioni per il successivo futuro.
Lo spettro del fallimento che incombeva sui fornitori avrebbe potuto indurre i clienti a valle a rilevarne la società allo scopo di garantirsi l'accesso a risorse limitate o difficilmente replicabili.
La fusione di più fornitori o il loro fallimento avrebbero potuto creare ulteriori problemi per i clienti, alterando gli equilibri di potere e annullando regole consolidate e contratti.
Nuovo panorama competitivo
In seguito alla congiuntura economica negativa, interi settori avrebbero sofferto pesantemente e forse sarebbero stati trasformati in modo permanente.
Come sarebbe potuto cambiare il rapporto di potere fra acquirenti e fornitori? Chi sarebbero stati i nuovi concorrenti, e come sarebbero cambiate le regole del gioco?
Nuove regole
Una maggiore regolamentazione sarebbe stata parte integrante della nuova realtà per molti comparti, in quanto i governi desideravano svolgere un ruolo più attivo nella gestione di settori chiave come quello bancario, dell'edilizia abitativa, della produzione e della sanità.
Si andava dunque dalla proposta delle cosiddette norme cap-and-trade finalizzate a controllare le emissioni industriali dei gas a effetto serra a iniziative orientate a un settore specifico come le misure di abbattimento dell’anidride carbonica per le industrie automobilistiche dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti.
Il risultato finale sarebbe stato misurabile in costi aggiuntivi e nuovi vincoli in relazione a quello che le aziende potevano e non potevano fare.
Guardando agli aspetti positivi, la continua progressione verso l'armonizzazione degli standard regolatori globali in settori così variegati
come quello dell'automotive (controllo delle emissioni e sicurezza) e delle telecomunicazioni avrebbe dovuto contribuire a ridurre i costi per i protagonisti presenti a livello globale.
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Volatilità cronica
Si diceva che le fluttuazioni dei tassi di cambio sarebbero continuate fin tanto che i governi avrebbero cercato di reperire ingenti fondi per finanziare salvataggi economici.
Si pensava anche che i prezzi di una vasta gamma di materie prime, e di servizi quali spedizioni e trasporti, non avrebbero mai smesso di oscillare finché il mercato non avrebbe trovato un equilibrio stabile fra domanda e offerta.
Gli investitori restavano cauti anche mentre le economie riemergevano dalla congiuntura negativa, e questo avrebbe contribuito a generare una maggiore volatilità, con il risultato che le reazioni a variazioni dei principali indicatori economici sarebbero state ancora più rapide ed estreme e l'andamento dei mercati azionari si sarebbe mantenuto instabile.
Nel frattempo, opportunità di acquisizione a prezzi interessanti probabilmente avrebbero attirato nuovi investitori nei mercati occidentali.
Numerose multinazionali dei mercati emergenti avevano già dato prova dell'intenzione di sfruttare le fusioni e acquisizioni come base per espandere la propria presenza sui mercati più redditizi dei Paesi sviluppati.
La cinese Sichuan Tengzhong Heavy Industrial Machinery Co., per esempio, era prossima a concludere l'acquisizione del marchio Hummer
di General Motors, specializzato nella produzione di SUV di grandi dimensioni e pick-up, mentre Industrial and Commercial Bank of China è in procinto di acquisire il 70% della filiale canadese di Bank of East Asia, conquistando così un prezioso avamposto nel mercato canadese.
Anche gli investitori in titoli di società in crisi attuavano ampiamente un meccanismo di riciclaggio di società sofferenti.
Aziende statunitensi come Apollo Investment Corporation, Oaktree Capital Management e Centerbridge, per esempio, potevano acquisire delle società per una frazione del loro valore precedente, spesso per 20 - 30 centesimi per dollaro, per poi riportarle sul mercato con profitto.
Accelerazioni degli asset
Si attendeva un'accelerazione della tendenza alle fusioni in molti comparti, in particolare nel settore delle costruzioni, dell'energia, nel settore bancario e retail, in quanto la congiuntura negativa costringeva le aziende a stringere alleanze per sopravvivere, e il valore fortemente depresso degli asset rendeva l'affare più interessante per le società più forti.
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Anche questo avrebbe cambiato le regole del gioco per gli attuali player, consentendo alle aziende più grandi di realizzare economie di scala e offrire ai clienti vantaggi che i player più piccoli non potevano neanche immaginare di proporre.
Coloro che non disponevano di credito sufficiente o di tasche molto profonde, dovevano contare su un patrimonio netto più costoso per finanziare la crescita.
La caduta drammatica del valore dei fondi pensionistici sarebbe gravata non poco sulle aziende con una forte presenza di persone prossime alla pensione e ne avrebbe limitato la capacità di investire in nuova crescita.
Per citare un esempio molto eloquente, l'operatore di telecomunicazioni britannico BT Group aveva annunciato in maggio che avrebbe dovuto
quasi raddoppiare la somma versata per il programma di pensionamento, da 280 milioni di sterline nel 2008 a 525 milioni di sterline, per ciascuno dei successivi tre anni, a causa di un ammanco previsto di 4 miliardi di sterline nel suo fondo pensione.
Questi versamenti avrebbero assorbito quasi un quarto del cash flow disponibile della società previsto per quel periodo.
Per raccogliere denaro e rimborsare i debiti, alcune imprese avrebbero dovuto svendere delle attività, creando opportunità per protagonisti del settore più solidi dal punto di vista finanziario.
L'attività generale di fusioni e acquisizioni si sarebbe intensificatasi già verso la fine del 2009 e accelerata nel 2010 quando le valutazioni delle aziende si sarebbe stabilizzata maggiormente e i concorrenti finanziariamente solidi avrebbero fatto le loro mosse per approfittare del ridotto valore degli assets.
Già nel 2009 avevano fatto parlare di sé un paio di operazioni commerciali degne di nota: in gennaio, Pfizer ha annunciato l'intenzione di acquisire Wyeth per 68 miliardi di dollari, mentre in giugno Fiat ha acquisito gli asset principali di Chrysler nell'ambito di un accordo in cui il governo USA ha fatto da intermediario.
In seguito a questi e altri cambiamenti, la leva finanziaria media per tutte le aziende si sarebbe ridotta, mentre i tassi di crescita positivi dei mercati emergenti avrebbero continuato ad attirare investimenti a discapito delle economie sviluppate a crescita più lenta.
Le organizzazioni avrebbero potuto avere bisogno di prendere in considerazione strutture di capitale differenti e trovare nuova liquidità per finanziare innovazioni, nuova capacità, miglioramento delle competenze, espansione geografica o acquisizioni.
I manager dovettero anche rivedere piani e prospettive di crescita organica per adattarli alla nuova realtà dei clienti.
Al di là di queste questioni fondamentali, i dirigenti dovettero esaminare attentamente il proprio portafoglio di prodotti e servizi, chiedendosi se fossero ancora adeguati alle mutate esigenze dei clienti e alle nuove dinamiche concorrenziali.
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Nella loro analisi dovettero rilevare tutte le lacune che andavano colmate, o anche le opportunità di abbandonare rami d'azienda che non contribuivano allo slancio strategico di fondo dell'impresa o non soddisfavano i requisiti minimi di performance.
Potendo disporre di una quantità inferiore di denaro da investire, le aziende dovettero fare scelte difficili su come distribuire la spesa fra mercati emergenti o sviluppati e fra crescita organica e operazioni di fusione e acquisizione.
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere contribuì ad ampliare il divario fra vincenti e perdenti del futuro.
Investire in ricerca
Le aziende vincenti continuarono a investire in ricerca e sviluppo anche durante la congiuntura negativa, e terranno a disposizione del denaro per
approfittare di opportunità di fusione/acquisizione a prezzi stracciati, rispondendo alle mutate esigenze dei clienti con nuove proposte innovative conquistando per tempo posizioni libere e ben salde nei mercati emergenti.
Questi investimenti apportarono enormi vantaggi a queste aziende, sospingendole verso performance ancora migliori una volta uscite dalla recessione.
Prospettive di crescita
Gli euforici giorni del contante disponibile e del credito facile sembravano già un ricordo lontano.
In che modo le imprese potevano sostenere la propria capacità di investire in crescita e come potevano dove e come crescere?
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere avrebbe ampliato il divario fra vincenti e perdenti.
Questi marcati cambiamenti nel comportamento dei clienti, l'ambiente competitivo e le prospettive di crescita avrebbero avuto un impatto rilevante in due aree fondamentali: modalità operative delle aziende e utilizzo del talento a tutti i livelli dell'organizzazione.
Di conseguenza, le aziende dovettero acquisire nuove capacità e ripensare le attività da intraprendere, e dove.
In una realtà in cui i finanziamenti esterni continuavano a scarseggiare, le imprese dovettero prendere in considerazione nuovi modi per conservare il denaro.
Outsourcing e delocalizzazione crebbero probabilmente in modo significativo a fronte della tendenza delle aziende a cercare modi per trarre vantaggio dalle differenze in termini di costo del lavoro e attingere
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman all'elevata efficienza operativa degli specialisti del settore.
A riprova di ciò, una inchiesta condotta presso multinazionali britanniche rivelò che più dell'80% di esse stesse valutando l'ipotesi di trasferire all'estero nei prossimi cinque anni almeno una delle funzioni di business principali, con l'obiettivo di tagliare i costi.
A mano a mano che le aziende si espansero in tutto il mondo, diventò sempre più importante sfruttare in modo più efficace la forza delle
proprie dimensioni, sia in attività di back-office, quali la gestione delle risorse umane, l'amministrazione e gli acquisti, e in applicazioni di front- office, quali la progettazione del packaging, l'analisi di marketing, la pubblicità e l'attività promozionale.
Centri di eccellenza
Anziché duplicare competenze di difficile reperimento in ciascuna regione, i centri globali di eccellenza, potenziati dalle tecnologie informatiche, consentirono ai protagonisti più avanzati del settore di fornire prestazioni di livello mondiale a tutte le aree geografiche.
Altri fattori influenzarono la scelta dei modelli di business.
Il numero crescente di accordi internazionali diede vita a nuove sfide in termini di integrazione di culture diverse, di clienti e di ambienti competitivi.
Questo valse in particolare per le aziende con un piede nei mercati dei Paesi sviluppati e un altro nei mercati emergenti.
Più in generale, con l'espansione delle aziende a livello internazionale, la necessità di far leva sulle dimensioni globali, personalizzando al tempo stesso sia l'offerta che la governance per adeguarle alle esigenze di mercati molto diversi fra loro, richiedesse strutture, processi e competenze rinnovate.
La tecnologia continuò a trasformare il modo di fare business, facilitando una maggiore mobilità e la distribuzione geografica delle attività.
Una crescente carenza di competenze nell'Occidente e la relativa abbondanza delle stesse competenze in Paesi emergenti come India e Cina indusse le aziende a delocalizzare attività sempre più sofisticate, inclusi importanti segmenti della catena del valore della funzione di ricerca e sviluppo.
Migliore gestione del rischio
La congiuntura negativa face nascere l'esigenza di nuove competenze nella gestione del rischio e rispetto delle normative.
Per esempio, per evitare il ripetersi dell'ultima crisi, le banche dovettero definire politiche di governance più robuste e obiettive per quanto
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman riguarda il rischio.
Due banche spagnole, BBVA e Banco Santander, aprirono la via costituendo dei comitati di rischio, comprendenti una forte rappresentanza di dirigenti non esecutivi, cui fu affidato il compito di esaminare le nuove richieste di prestito e discutere i rischi più consistenti.
Molti osservatori hanno attribuito a questo processo il fatto che alle due istituzioni sia stata in larga misura risparmiata la ricaduta delle stretta creditizia.
Con il perdurare della situazione di volatilità, sempre più aziende di un numero sempre maggiore di settori dovetteroNuovi modelli di business
Le nuove sfide richiedevano nuovi modi di operare.
In che modo le aziende si sarebbero adattate alla nuova realtà competitiva e cosa avrebbe comportato questo cambiamento per i modelli, la governance e le competenze aziendali?
Dopo la guerra del Golfo, paesi con sovrabbondanza di capitale, ma capacità agricola insufficiente per coprire le loro esigenze acquistarono o affittarono terreni agricoli all'estero.
Questo li protesse da una futura volatilità dei prezzi e, aspetto ancor più importante, garantì la sicurezza dell'approvvigionamento di cibo in un mondo in cui la minaccia dei divieti di esportazione da parte dei paesi produttori era diventata molto più concreta.
Adottare strategie di copertura e stoccaggio per una serie di materie prime, allo scopo di gestire questi rischi e proteggere i profitti futuri poteva essere per molti paesi un’47747ottima soluzione.
E garantirsi l'accesso a risorse limitate avrebbe assunto una sempre maggiore importanza quando la crescita sarebbe ripresa..
Dopo la congiuntura economica negativa la corsa ai talenti riprenderà slancio in quanto le aziende, ansiose di risollevarsi, si daranno da fare per reclutare le competenze necessarie e ricostituire la capacità persa a causa della recessione.
La sfida pose particolari difficoltà nei settori in cui le competenze specialistiche sono state perse, come per esempio nel settore finanziario, in alcuni casi in modo permanente, in quanto i lavoratori se ne andarono via o cambiarono mansioni.
Nell'Europa occidentale e in Giappone la forza lavoro che invecchiava aggravò la carenza di competenze, costringendo i governi a considerare la possibilità di favorire l'immigrazione o di ricorrere all'outsourcing.
Un altro problema ormai molto sentito in queste regioni è la fuga dei talenti.
La Germania, per esempio, sta perdendo un numero crescente di professionisti qualificati e di lavoratori.
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Nel 2008, più di 3.000 medici hanno lasciato il paese, portando il numero di medici tedeschi che lavorano all'estero a quasi 20.000 unità. La ricerca di nuovi boom
Un fenomeno che la congiuntura economica ha portato con sé è stato il ritorno dei baby boomer nella forza lavoro.
L'adattamento ai cambiamenti indotti dalla crisi impose alle aziende di cambiare agilmente direzione a seconda delle esigenze del momento, abbandonando piani e mentalità ormai superate e ri - orientando gli sforzi verso aree nuove e più promettenti.
In quest'ottica, la “qualità della leadership” fu più importante che mai per determinare la sopravvivenza di un'organizzazione.
La congiuntura economica impose alla dirigenza di effettuare scelte difficili e spesso dolorose: quanto tagliare e cosa mantenere, dove investire le limitate risorse di crescita, quali mercati o attività abbandonare, come guidare con fiducia i team attraverso il cambiamento.
I consigli di amministrazione aziendali sostituirono i leader deboli che non riuscivano a fare le scelte giuste o a elaborare una visione che le loro organizzazioni trovassero convincenti.
Nelle aziende in cui la dirigenza fece un buon lavoro, invece, venne chiesto ad alcuni CEO o gruppi di dirigenti prossimi alla pensione di restare un po’ più a lungo per guidare l'organizzazione fuori dal guado.
Questo creò difficoltà alla nuova generazione di dirigenti, che vollero perseguire nuove opportunità in modo da avere maggiori possibilità di promozione ai vertici.
La pianificazione della successione in tali situazioni dovette dare valorizzazione dei talenti riconosciuti a livello nazionale.
L'ambiente in rapida evoluzione pose nuove sfide alla leadership aziendale e in termini di valorizzazione dei talenti.
In che modo dovettero adattarsi i leader per creare una maggiore capacità di reazione a fronte di una elevata volatilità?
Come si sarebbero potuti coltivare i talenti più critici durante la congiuntura negativa, e come si sarebbero potute ricreare le competenze perse quando la crescita sarebbe ripresa?
La società quindi cominciò ad offrire corsi di base in gestione della turnazione che equivalevano ai certificati A-level (un certificato di formazione generica di livello avanzato) rilasciati nel Regno Unito.
Al corso iscrissero più di 2.500 persone, incluse svariate centinaia di laureati desiderosi di intraprendere questo corso di formazione pratica.
Le aziende dovettero anche studiare nuovi modelli di impiego per attrarre e trattenere i giovani lavoratori più brillanti, che spesso, a proposito di carriera e lavoro, avevano punti di vista diversi dai loro genitori.
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Una ricerca ha rivelato che molti dei cosiddetti figli del millennio (i nati fra il 1980 e il 2000), per esempio, sentivano sentito fortemente
l'esigenza di raggiungere un equilibrio fra vita e lavoro; di conseguenza avrebbero potuto optare per strutture di lavoro più flessibili e benefit diversi da quelli tipicamente offerti.
Una ricerca, per esempio, ha dimostrato che i figli del millennio volevano poter usare tecnologia di consumo (smartphone, lettori MP3), applicazioni di social networking e software open source anche sul posto di lavoro.
Recessione e perdita di talenti
La penuria di talenti venne avvertita più fortemente a livello delle posizioni di knowledge worker qualificati, istruiti ed esperti.
In determinati settori, tuttavia, il passaggio di mano del potere economico avrebbe potuto comportare la perdita permanente di posti di lavoro.
Al giugno 2009, più del 25% di tutti i posti di lavoro persi negli Stati Uniti dall'inizio della recessione era concentrato nel settore manifatturiero.
Molti di questi erano presso costruttori di automobili e fornitori correlati.
Senza incentivi del governo e altre forme di intervento, molti di questi lavori avrebbero potuto essere stati trasferiti in sedi a costo inferiore, ma solo creando la minaccia di una disoccupazione su larga scala e a lungo termine in quei comparti.
Le differenze in termini di contributi, produttività e stipendio fra knowledge worker altamente qualificati, istruiti ed esperti dicembre 2007 e il maggio 2009, negli Stati Uniti sono andati persi 5,7 milioni di posti di lavoro, portando la percentuale totale dei disoccupati all'8,9%, il livello più alto degli ultimi 25 anni.
Eppure, fra il dicembre 2007 e il dicembre 2008, il numero di americani di 55 anni o più presenti fra le fila della forza lavoro è cresciuto di oltre 870.000 unità.
A fronte di piani pensione più esigui e di aspettative di prepensionamento ridimensionate, un numero sempre maggiore di baby boomer decise di restare nella forza lavoro.
La ripresa della crescita avrebbe potuto spingere molte di queste persone a lasciare il posto di lavoro, aggravando così la situazione di penuria delle competenze in alcuni settori.
Le aziende che reclutavano talenti di altissimo livello durante la congiuntura negativa potettero conquistare dei vantaggi sul lungo periodo.
Avendo meno opportunità a disposizione, infatti, i nuovi laureati
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman ampliano il raggio d'azione della loro ricerca di lavoro.
Quando alla fine del 2008 nella City di Londra le assunzioni precipitarono, alcune aziende che tradizionalmente avevano difficoltà ad attirare i laureati migliori videro un'opportunità. Il caso Aldi
Aldi, catena di supermercati discount, registrò un aumento del 280% delle domande di lavoro e ha incrementato il proprio target di assunzioni del 50% per approfittare delle condizioni eccezionali del mercato del lavoro.
Sul lungo periodo, anche se il settore finanziario riconquistò un po' del suo prestigio e riuscì ad accaparrarsi alcuni di questi giovani ambiziosi e pieni di talento, datori di lavoro come Aldi furono in una posizione migliore per proporsi nei campus delle università facendo leva proprio su questi ex-allievi.
La possibilità di diventare un datore di lavoro dalle indiscutibili attrattive dipese dalla capacità di preparare una proposta di valore per i dipendenti che attirasse l’interesse delle giovani generazioni.
Nel 2008, McDonald’s è diventato uno dei primi datori di lavoro britannici autorizzati a rilasciare propri certificati di formazione.
Infine, i paesi dove il costo del lavoro era estremamente basso, come Laos, Cambogia e varie regioni dell'Africa, furono oggetto di notevole interesse da parte delle aziende e registrarono significativi livelli di crescita quando le multinazionali si trovarono a gestire i costi della manodopera alla ripresa dell'economia globale e una schiera in rapida espansione di lavoratori disponibili ma prevalentemente non qualificati avrebbe potuto dare origine a una situazione di conflittualità sindacale.
Questa, a sua volta, avrebbe potuto indurre i governi a intervenire, per esempio, con norme che limitassero il trattamento differenziale dei dipendenti.
La congiuntura economica negativa accelerò importanti cambiamenti nel comportamento degli acquirenti, nella struttura industriale e nelle dinamiche competitive e aprì un divario fra vincenti e perdenti che probabilmente crebbe in modo significativo nei successivi anni a venire.
L'opportunità di successo al momento della ripresa dipese dalla capacità della leadership di precorrere e reagire a questi cambiamenti e a quelli che vennero, e di aver operato scelte oculate, spesso molto difficili su come e dove investire, come strutturare le attività e come preservare e ricostituire le competenze chiave quando la fase di crescita avrebbe ripreso.
Proiezione di 8 tipi di probabili crisi mondiali future
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“Nei prossimi anni il mondo cambierà”.
“Bisogna vedere se in meglio o in peggio”.
E.F.
Intanto alcune testate giornalistiche iniziavano ad ipotizzare scenari di crisi molto allegorici
Intanto ecco 8 accadimenti che dobbiamo sperare che NON succedano...
Da un articolo del Sole 24 Ore di lunedì 6 novembre 2006, alcune indicazioni sui possibili scenari per i prossimi 100 anni, su 8 potenziali fattori di crisi planetaria e sui rispettivi elementi di pessimismo/ ottimismo.
CRISI N°1: ANNO 2020 D.C.
LE GRANDI MIGRAZIONI E LA PANDEMIA
Gli scontri fra i paesi ricchi per garantirsi un tenore di vita troppo elevato porteranno a guerre per l'acqua, crisi finanziarie e grandi migrazioni.
• Fattori di pessimismo: Secondo il rapporto Mapping the Global Future del governo Usa, l'aumento dei consumi occidentali e la nuova ricchezza asiatica saranno i motori della crisi
• Fattori di ottimismo: La Banca Mondiale sostiene che lo sviluppo è sostenibile, a patto che sia guidato da regole chiare e dalla "mano invisibile" del mercato
• Probabilità di accadimento: 90%
CRISI N°2: ANNO 2030 D.C.
LA CRISI DEL PETROLIO
La produzione si ridurrà di un terzo e il prezzo del greggio arriverà sopra i 500 $: il poco petrolio rimasto non sarà più utilizzabile economicamente.
• Fattori di pessimismo: L'Unione Europea ha già individuato la data, che alcuni esperti anticipano addirittura di un decennio (2030).
L'UE dovrà importare il 70% del proprio fabbisogno annuo
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• Fattori di ottimismo: Con le fonti alternative già oggi all'8% della produzione mondiale di energia, secondo l'International Energy Agency la fine del petrolio sarà praticamente "indolore"
• Probabilità di accadimento: 75%
CRISI N°3: ANNO 2047 D.C.
LA FINE DEI GIORNALI
Viene stampata l'ultima copia di giornale cartaceo.
E' la fine dell'informazione realizzata da professionisti.
• Fattori di pessimismo: Secondo lo studioso Philip
Meyer, il modello attuale sta venendo ucciso da Internet.
La pubblicazione andrà in rete e l'informazione sarà affidata a volontari
(?) online
• Fattori di ottimismo: Secondo Barry Schwartz, la gente preferirà scegliere fra poche alternative ma di qualità; il futuro del giornalismo professionista è garantito!
• Probabilità di accadimento: 15%
CRISI N°4: ANNO 2047 D.C.
L'APOCALISSE CLIMATICA
Effetto serra, riscaldamento globale, innalzamento dei mari; le terre emerse si ridurranno di un terzo (!!), mentre uragani e siccità colpiranno il pianeta.
• Fattori di pessimismo: WWF e Accademia delle Scienze svizzera sostengono che serve un nuovo pianeta
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio di New Scientist, non abbiamo ancora sufficienti conoscenze sul clima per poter fare previsioni di lungo periodo
• Probabilità di accadimento: 65%
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CRISI N°5: ANNO 2060 D.C.
LA BOMBA NANOTECH
Macchine microscopiche e autoreplicanti sfuggono al controllo umano e distruggono tutte le forme di vita sul pianeta.
• Fattori di pessimismo: Un'apocalisse minuscola ma letale, prevista da Nick Bostrom dell'Università di Oxford e dallo scrittore Michael Crichton
• Fattori di ottimismo: Secondo i ricercatori del Mit di Boston, le nanotecnologie saranno una delle risorse chiave (e non una minaccia) per costruire un futuro migliore per l'umanità
• Probabilità di accadimento: 25%
CRISI N°6: ANNO 2070 D.C.
IL CRACK DELL'OCCIDENTE
Bancarotta completa per l'economia mondiale a causa delle guerre per le risorse e come effetto del clima impazzito.
Le Borse di tutto il mondo potrebbero venir chiuse .
• Fattori di pessimismo: La previsione della compagnia di assicurazioni Swiss RE è basata su sofisticati modelli di analisi di previsione del rischio
• Fattori di ottimismo: I sistemi di governo mondiale si difenderanno con nuove regole sugli scambi economici
• Probabilità di accadimento: 55%
CRISI N°7: ANNO 2080 D.C.
LA FINE DELLE RISORSE
Usa, Ue, Cina e India esauriranno tutte le risorse disponibili sul pianeta con la loro crescita dissennata.
• Fattori di pessimismo: Molte associazioni pag. 1! 02 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman
ambientaliste e perfino uno studio commissionato dal governo britannico sostengono che, salvo repentini cambiamenti di rotta, la catastrofe è annunciata
• Fattori di ottimismo: Secondo il Dipartimento per il commercio Usa, le possibilità offerte da sempre nuove tecnologie permetteranno una crescita sostenibile e quindi senza limiti
• Probabilità di accadimento: 50%
CRISI N°8: ANNO 2100 D.C.
IL RITORNO AL BARATTO
Si vivrà in un nuovo Medio Evo, senza tecnologia, scienza o Stato.
Malattie, guerre tribali, baratti ed una popolazione ridotta al 15% di quella attuale.
• Fattori di pessimismo: Secondo il futurologo americano John Michael Greer, i fondamentalismi e la fiducia dissennata per la scienza porteranno il mondo alla rovina
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio della rivista Usa Nature, il futuro non sarà il giardino dell'Eden, ma di sicuro neanche un inferno post-industriale
• Probabilità di accadimento: 10% Fonte: www.ilsole24ore.com
Le esplosioni nucleari nel mondo
ll primo test nucleare
Il Trinity Test, la prima esplosione atomica prodotta dall'uomo, avviene il 16 luglio 1945, in una località a 95 chilometri da Alamogordo (New Mexico). Il luogo, che gli indiani in passato avevano chiamato "strada della morte", dista dal laboratorio di Los Alamos più di 300 chilometri.
Trinity è il nome in codice scelto da Robert Oppenheimer per l'esperimento. Allo storico evento, che così drammaticamente ha segnato
la storia dell'umanità, sono presenti, tra gli altri, Robert Oppenheimer, Isidor I. Rabi, Enrico Fermi, Hans Bethe, il capo della divisione teorica di Los Alamos, il gen. Leslie Groves, e i consiglieri speciali del Presidente, Vannevar Bush e James B. Conant. Da parte degli alleati inglesi sono presenti gli uomini del Comitato MAUD guidati dal fisico J. Chadwick , arrivati a Los Alamos tra la fine del 1942 e l'inizio del 1943.
La bomba che viene fatta esplodere è al plutonio, lo stesso tipo di bomba utilizzata il 9 agosto su Nagasaki. "Little Boy", la bomba che distruggerà Hiroshima, era invece all'uranio.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Robert Oppenheimer arriva alla data dell'esperimento atomico molto affaticato. Negli ultimi mesi ha lavorato ininterrottamente, sempre sino a
tarda notte. Ha perso molti chili. Ha chiamato a Los Alamos, per assisterlo negli ultimi giorni di lavoro il suo amico, I.I. Rabi. Si è dovuto inoltre occupare del "Comitato ad interim", la commissione consultiva creata dal Segretario alla Guerra, Henry L. Stimson, per i problemi connessi all'uso militare e civile dell'energia atomica.
Al momento del Trinity test il quadro della guerra è profondamente mutato. Il conflitto in Europa è finito con la resa incondizionata della Germania nazista, nel maggio del 1945. Con la sconfitta tedesca è finita anche la paura, che tanto peso aveva avuto nel far decollare rapidamente il Progetto Manhattan, che il fisico W. Heisenberg, potesse arrivare al successo atomico prima dell'America.
Le notizie che trasmettono gli uomini della missione segreta Alsos confermano che i tedeschi erano ben lontani dalla costruzione della bomba. Gli Stati Uniti hanno un nuovo Presidente, Harry S. Truman, che ha prestato giuramento dopo la morte di F.D. Roosevelt. Nel Pacifico la guerra con i giapponesi continua. Gli scienziati di Chicago, che lavorano al Progetto Manhattan, hanno chiesto con il Rapporto Franck, un documento inviato al Segretario alla Guerra, che le bombe non vengano utilizzate contro i giapponesi senza preavviso. Lo stesso rapporto è stato inviato ai colleghi di Los Alamos, ma Groves ed Oppenheimer ne hanno impedito la diffusione per motivi di sicurezza.
Mentre la bomba che verrà sperimentata viene montata su una torre d'acciaio alta 30 metri, Truman è in viaggio per Potsdam per incontrare Stalin e Churchill. Insieme decideranno le sorti del mondo.
Il Presidente americano attende che il Segretario alla Guerra, Henry L. Stimson, lo informi da Washington dell'esito del Trinity Test. Truman, prima della partenza, ha dato ordine che il test venga comunque fatto prima dell'inizio della Conferenza dei "tre grandi". Vuole trattare con Stalin da una posizione di forza.
L'esplosione
A Los Alamos, scienziati, tecnici e militari, sono tesi e preoccupati. Le previsioni meteorologiche non sono buone. Piove su quasi tutta la zona dal 14 luglio. Più della pioggia è il vento che preoccupa gli scienziati: potrebbe portare molto lontano le radiazioni.
Domenica 15 luglio piove tutto il giorno. E le previsioni continuano a dare tempo brutto. Nei rifugi di cemento, che sono stati approntati per
proteggere il personale dalle radiazioni, la tensione è altissima. Dopo concitate consultazioni si decide di far slittare l'esplosione dalle 4 alle 5:30 del mattino. Si spera in un miglioramento del tempo.
Il generale Groves è quello che più insiste per fare esplodere comunque la bomba.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Non vuole disattendere gli ordini del suo Presidente. Verso le 4 del mattino il tempo sembra essere leggermente migliorato. Groves ordina
che si proceda. Dal posto di controllo si attivano i comandi automatici per far esplodere la bomba. Alle 5:29 inizia il conto alla rovescia. Non si può più tornare indietro.
Un camionista che attraversava il New Mexico riferì che "il 16 luglio del 1945, aveva visto sorgere il sole verso le 5 del mattino. Il sole decise che
era troppo presto, egli raccontò, così tornò giù per tornare nuovamente su un'ora più tardi." Gli scienziati che avevano fatto esplodere la bomba, sapevano invece che "quel sole" che si era svegliato troppo presto era il terrificante effetto della prima esplosione nucleare prodotta dall'uomo. Ed erano anche consapevoli che altre bombe di quella potenza erano in via di assemblaggio per essere usate contro esseri umani inermi.
La luce provocata dall'esplosione, definita "più brillante di migliaia di soli", che tanto impressionò gli scienziati presenti all'esperimento, non sembrò rispondere alle attese del generale Groves. Riferisce infatti Victor Weisskopf che Groves, quando qualche ora dopo l'esplosione si recò sul posto per vederne gli effetti, si stupì che questi non fossero stati così disastrosi come si era aspettato. E il suo disappunto era facilmente spiegabile con l'ottica che stava dietro alla costruzione della bomba atomica: quella della sua realizzazione per porre rapidamente fine alla guerra, salvare centinaia di migliaia di vite di soldati americani, contenere l'espansione dell'Unione Sovietica in Europa e, infine, dimostrare al mondo intero la potenza degli Stati Uniti. Un potere che per molti significava la salvezza della "nostra civiltà" e della "pace nel mondo".
Di fronte a questi obiettivi, il problema dei rischi delle radiazioni, persino nei confronti degli stessi cittadini americani che vivevano nel New Mexico, era di scarsa importanza. Informazioni segrete, "declassificate" e rese pubbliche recentemente, indicano che il Trinity Test fu un "disastro radiologico".
Dopo l'esplosione si diffuse nell'aria una grande quantità di polvere radioattiva che si sparse su un'area molto ampia. Una nuvola radioattiva fu giudicata "potenzialmente radioattiva per un'area larga 30 miglia e lunga 90 miglia, a nord est della zona dell'esplosione".
La polvere radioattiva restò nell'aria per 4 giorni dopo il test sino ad una distanza di 200 miglia dal luogo dell'esplosione. Alcune persone a circa 20 miglia di distanza assorbirono, nell'arco di due settimane, dosi di radiazioni stimate tra i 50/60 rads, dosi equivalenti a quelle che vengono assorbite da un individuo sottoposto mille volte ai raggi X. La mortalità infantile in New Mexico salì significativamente dopo l'esperimento atomico. Secondo una ricerca condotta dalla Dr.ssa Kathleen Tucker, dell'Istituto per la salute e l'energia, sembrerebbe confermato che buona parte delle morti, possono essere attribuite alla ricaduta della polvere radioattiva. Nonostante le cautele che furono prese per proteggere tutto il personale di Los Alamos dalle radiazioni, non furono prese misure di alcun tipo per proteggere gli abitanti del New Mexico. Essi non furono avvertiti degli esperimenti in corso e, tanto meno, fu predisposta ed
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman attuata l'evacuazione delle zone colpite dalla nuvola radioattiva.
DETTAGLI ESPLOSIONI
DATA: 7 maggio 1945
OPERAZIONE: Projet Manhattan
NOME TEST:"100-tons test"
LUOGO: Trinity, Alamogordo, N.Messico (USA) CARICO/POTENZA: 108 t di TNT (equivalente a)
Si tratta della prima esplosione americana strumentata che condurrà alla Bomba di Trinity. Questa bomba contenente 1000 curies di materiale fissile. Esploderà a 1,5Km. di distanza dal Ground Zero di Trinity al fine di testare le strumentazioni.
DATA: 16 luglio 1945
OPERAZIONE: Projet Manhattan
NOME TEST: Trinity
LUOGO: Trinity, Alamogordo, N.Messico (USA) CARICO/POTENZA: 21 kT
ALTITUDINE: ~20 m
Zona dell'esplosione vista dall'alto. L'esplosione crea un depressione di 400m di diametro. Il calore della defragrazione che si eleva trasforma la sabbia del deserto in un nuovo tipo di roccia cristallina battezzata la "Trinitite".
DATA: 6 agosto 1945
NOME BOMBA: Little Boy
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
LUOGO: Hiroshima (Giappone) CARICO/POTENZA: 12.5 kT
ALTITUDINE: 580 m
VITTIME: 140.000 morti fino al 1946
Bomba all'uranio arricchito del peso di 3900Kg. 62.000 edifici distrutti (i 2/3).
DATA: 6 agosto 1945
NOME BOMBA: Little Boy LUOGO: Hiroshima (Giappone) CARICO/POTENZA: 12.5 kT ALTITUDINE:580 m
DATA: 6 agosto 1945
BOMBA: Little Boy
LUOGO: Hiroshima (Giappone)
CARICO/POTENZA: 12.5 kT ALTITUDINE: 580 m
DATA: 9 agosto 1945
NOME BOMBA: Fat Man
LUOGO: Nagasaki (Giappone) CARICO/POTENZA: 22 kT ALTITUDINE: ~500 m
VITTIME: ~73.884 morti a fine 1945 Bomba al plutonio del peso di 4.050 Kg.
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2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
DATA: 9 agosto 1945
BOMBA: Fat Man
LUOGO: Nagasaki (Giappone)
CARICO/POTENZA: 22 kT ALTITUDINE: ~500 m
DATA: 24 luglio 1946
OPERAZIONE: Crossroads
NOME TEST: Baker
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico)
CARICO/POTENZA: 23 kT
ALTITUDINE:160 m
Gli abitanti dell'isola vennero momentaneamente evaquati al fine di far svolgere agli americani le loro azioni
DATA: 29 agosto 1949
OPERAZIONE: Joe 1
NOME TEST: Prima illuminazione
LUOGO: Semipalatinsk, Kazakhstan (URSS)
CARICO/POTENZA: 22 kT
Prima bomba sovietica al plutonio progettata Yakov Zeldovitch e Yuli Khariton.
DATA: 7 aprile 1951
pag. 1! 08 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
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OPERAZIONE: Greenhouse NOME TEST: Dog
LUOGO: Runit island, Atoll Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 81 kT
ALTITUDINE: 100 m
DATA: 1 maggio 1951
NOME TEST: Dog 2
LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 19 kT
DATA: 8 Aprile 1951
OPERAZIONE: Castle Union
NOME TEST: George
LUOGO: Eberiru island, Atoll d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 225 kT
ALTITUDINE: 60 m
DATA: 30 ottobre 1951
NOME TEST: Charlie
LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 14 kT
DATA: 1 novembre 1951
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NOME TEST: D, Buster Dog-Jangle LUOGO: Nevada Test Site, Area 7 (USA) CARICO/POTENZA: 21 kT
DATA: 22 aprile 1952
OPERAZIONE: Tumbler-Snapper
NOME TEST: Tumbler Charlie
LUOGO: Yucca Flat, Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 20 kT ? ALTITUDINE: Estensione fino a 1034 m.
DATA: 26 aprile 1952
OPERAZIONE: Castle Union
NOME TEST:Union
LUOGO: Bikini, Marshall islands (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 6.9 MT
ALTITUDINE: 4 m
DATA: 5 giugno 1952
NOME TEST:How
LUOGO: Nevada Test Site, Area 2 (USA) CARICO/POTENZA: 14 kT ALTITUDINE:100 m
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DATA: 3 ottobre 1952
OPERAZIONE: Hurricane (Urugano) LUOGO: Monte Bello Island (U.K.)
CARICO/POTENZA: 25 kT Prima bomba nucleare inglese
DATA: 31 ottobre 1952
OPERAZIONE: Ivy
NOME TEST: Mike
LUOGO: Elugelab, Atollo Enewetak, Isole Marshall (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 10.4 MT
ALTITUDINE: superficie
Prima bomba H americana (bomba a fusione). La bomba era alta come un edificio di tre piani, pesava più di 500 tonnellate ed era alimentata da combustibile criogenico e da liquido deuterio. Secondo gli ingegneri di Los Alamos, la palla di fuoco era di una dimensione pari a 4,8Km. di diametro. Durante l'esplosione scomparvero l'isola d'Elugelap e altre isole vicine. Con il successo di Mike, Gli USA entrarono nell'era delle armi nucleari Multi-megatoni.
DATA: 17 marzo 1953
OPERAZIONE: Upshot
NOME TEST: Annie
LUOGO: Knothole, Nevada Test Site, Area 4 (USA) CARICO/POTENZA: 16 kT
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DATA: 24 marzo 1953
OPERAZIONE: Upshot NOME TEST: Nancy
LUOGO: Knothole, Nevada Test Site, Area 4 (USA) CARICO/POTENZA: 24 kT
DATA: 18 aprile 1953
OPERAZIONE: Upshot
NOME TEST: Badger
LUOGO: Knothole, Nevada Test Site, Area 4 (USA) CARICO/POTENZA: 23 kT
DATA: 25 mai 1953
OPERAZIONE: Upshot
NOME TEST: Grable
LUOGO: Knothole, Nevada Test Site, Area 4 (USA) CARICO/POTENZA: 15 kT
ALTITUDINE:157 m.
Bomba lanciata da un cannone Mark 9 di 280 mm.
DATA: 28 febbraio 1954
OPERAZIONE: Castle Romeo NOME TEST: Castle
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LUOGO: Isola artificiale sulla costa di Bikini, isole Marshall (Oceano
Pacifico) CARICO/POTENZA: -
DATA: 26 Marzo 1954
OPERAZIONE: Castle Romeo
NOME TEST: Bravo
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 15 MT
ALTITUDINE: 4.2 m
Bomba posta su una base all'interno del cratere Bravo. La più potente bomba H americana equivalente a 1000 volte Hiroshima. La palla di fuoco misurava 6 Km. di diametro, la cappa 160 Km. 80 milioni di tonnellate di terra e di corallo vennero vaporizzate e crearono un cratere di 1950 metri di diametro e 75 di profondità. A 48 Km. dall'esplosione il personale addetto ricevette una quantità di 2 reims, l'equivalente di 100 radiografie!
DATA: 25 aprile 1954
OPERAZIONE: Castle NOME TEST: Castle Union
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico) Bomba fatta esplodere su una chiatta
DATA: 12 marzo 1955
NOME TEST: Hornet
LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 4 kT
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Le ragioni di una disfatta ignorata
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DATA: 5 maggio 1955
OPERAZIONE: Teapot NOME TEST: Apple-2
LUOGO: Nevada Test Site, Area 1 (USA) CARICO/POTENZA: 29 kT ALTITUDINE: 150 m
DATA: 6 giugno 1956
OPERAZIONE: Redwing NOME TEST: Seminole
LUOGO: Atollo d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 13.7 kT ALTITUDINE:2.1m
DATA: 25 giugno 1956
OPERAZIONE: Redwing NOME TEST: Dakota
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 1.1 MT
ALTITUDINE: Bomba H al livello del mare
DATA: 3 luglio 1956 (2 luglio 1956)
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OPERAZIONE: Redwing NOME TEST: Mohawk
LUOGO: Eberiru island, Atollo d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 360 kT
ALTITUDINE:100 m
DATA: 9 luglio 1956 (8 luglio 1956)
OPERAZIONE: Redwing NOME TEST: Apache
LUOGO: Eberiru island (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 1.85 MT
ALTITUDINE:al suolo, bomba situata nel cratere Ivy
DATA: 1957
NOME TEST: Smoky
LUOGO: Nevada Test Site (USA)
CARICO/POTENZA: ~15 kT ALTITUDINE: ~200 m
DATA: 28 maggio 1957
OPERAZIONE: Plumbbob
NOME TEST: Boltzmann
LUOGO: Nevada Test Site, Area 7c (USA) CARICO/POTENZA: 12 kT ALTITUDINE:150 m
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DATA: 24 giugno 1957
OPERAZIONE: Plumbob NOME TEST: Priscillia
LUOGO: Nevada Test Site, Area 5 (USA) CARICO/POTENZA: 37 kT ALTITUDINE: 210 m
DATA: 7 agosto 1957
OPERAZIONE: Plumbob NOME TEST: Stokes
LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 19 kT ALTITUDINE: 500 m
DATA: 14 settembre 1957
NOME TEST: Fizeau 1 LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 11 kT
DATA: 9 giugno 1958 (8 giugno 1958)
OPERAZIONE: Hardtack NOME TEST: Umbrella
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LUOGO: Atollo d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 8 kT
PROFONDITA': 50 m
DATA: 29 giugno 1958 (28 giugno 1958)
OPERAZIONE: Hardtack
NOME TEST: Oak
LUOGO: Atollo d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 8.9 kT
ALTITUDINE: 2.6 m
DATA: 22 luglio 1958
OPERAZIONE: Juniper
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 65 kT
ALTITUDINE: a livello del mare
L'aereo di osservanza è un RB-57D
DATA: 28 aprile 1958
OPERAZIONE: Grapple Yankee
NOME TEST:-
LUOGO: Christmas Island (Australia - Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: -
Bomba H Inglese
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DATA: 1958
OPERAZIONE: Grapple Zulu NOME TEST: Test
LUOGO: Christmas Island (Australia - Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 1 MT ?
Bomba H Inglese
DATA: 1958
OPERAZIONE: Grapple Zulu NOME TEST: Test
LUOGO: Christmas Island (Australia - Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 1 MT?
Bomba H Inglese
DATA: 13 febbraio 1960
OPERAZIONE: Gerboise Bleue LUOGO: Reggane (Algeria)
CARICO/POTENZA: ~70 kT Prima Bomba atomica Francese
DATA: 1 maggio 1962
OPERAZIONE: Béryl
LUOGO: Ecker (sud di Reggane, Algeria)
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman CARICO/POTENZA: ~30 kT
Questa bomba fatta scoppiare in gallerie sotterranee fece crollare la montagna e contaminò 195 soldati e due ministri. 17 soldati vennero ricoverati al Métropole e più di una decina vi lasciarono la loro vita. Molti di loro non vennero neanche risarciti dei danni subiti.
DATA: 31 ottobre 1961
OPERAZIONE: Bomba Zar
LUOGO: Novaya Zemlya (Oceano Artico -URSS).
CARICO/POTENZA: 50 MT
ALTITUDINE: 4000 m
FALLOUT: Da sola generò il 25% dei residui fissili dal 1945!
La Bomba "Zar", la regina delle bombe, fu la bomba H più potente. Nacque dal lavoro del teorico Yakov Zeldovitch e dei fisici Andrei
Sacharow, Vitali Ginzburg e Viktor Davidenko. La bomba venne lanciata da un bombardiere Tu-95 pilotato da A. E. Durnovtsev, diventato un eroe dell'Unione Sovietica.
Il soprannome di "Bomba Zar" gli venne dato dagli americani per qualificare il progetto come inutile poichè esisteva già il cannone più grande al mondo, lo Zar Pushka.
Si riporta che la bomba poteva infliggere ustioni di primo grado anche a 100 km. di distanza. La distruzione è totale in un raggio di 25 Km e le costruzioni sono seriamente danneggiate fino a 35 Km. di distanza dall'esplosione. Si ignora quali potrebbero essere i danni anche a più grandi distanze, ma è probabile che, in caso di vento i suoi effetti si sentirebbero anche a 1000 Km. dal punto di impatto.
DATA: 6 giugno 1962
OPERAZIONE: Storax
LUOGO: Nevada Test Site, Area 10 (USA)
CARICO/POTENZA: 104 kT
PROFONDITA': 190 m
FALLOUT: 12 milioni di tonnellate di cui 8 fuori dal cratere (Magnitudine
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Ritcher). Le particelle più pesanti ricadono a terra mentre le più leggere continuano ad alzarsi con la nuvola. In superficie, sotto l'effetto del vento, la polvere si propaga nel deserto.
DATA: 6 giugno 1962
OPERAZIONE: Storax
LUOGO: Nevada Test Site, Area 10 (USA) CARICO/POTENZA: 104 kT
NOME CRATERE: Sedan
DIAMETRO: 422 m
PROFONDITA': 105 m
Crateri utilizzati dall'esercito americano per visualizzare l'energia liberata e i danni causati alle rocce dall'onda di choc provocata dall'impatto di un asteroide o di una comete sulla superficie terrestre.
DATA: 9 giugno 1962
OPERAZIONE: Dominic NOME TEST: Truckee CARICO/POTENZA: 210 kT ALTITUDINE: 2091 m
DATA: 30 giugno 1962
OPERAZIONE: Dominic NOME TEST: Bluestone CARICO/POTENZA: 1.27 MT ALTITUDINE: 1494 m
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Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman
DATA: 24 settembre 1966
OPERAZIONE: Rigel
LUOGO: Fangataufa, Polinesia Francese (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: ~200 kT
DATA: 18 dicembre 1970
OPERAZIONE: Emery
NOME TEST: Baneberry venting LUOGO: Nevada Test Site, Area 8 (USA) PROFONDITA': -273 m
DATA: anni '70
LUOGO: Mururoa (Oceano Pacifico - Francia) CARICO/POTENZA: 1 MT?
DATA: 24 Giugno1980
NOME TEST:Huron King
CARICO/POTENZA: 20 KT
Il test sotterraneo nucleare Huron King venne patrocinato dal DOD. La prova coinvolse un dispositivo più o meno di 20 Kilotoni e testò gli effetti dell'impulso elettromagnetico generato (SGEMP) su un satellite di comunicazione militare funzionante in larga scala DSCS-3. Il dispositivo spaziale venne contenuto in un grande carro corrazzato.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman DATA: aprile 1992
OPERAZIONE: Diamond Fortune
Ultimo test sotterraneo americano
Il QUINTO POTERE PERSISTE
Il testo del famoso fil del 1976 si adattava bene alla situazione del 2011, ma nessuno lo avvertiva..
Con le seguenti integrazioni in corsivo... Avevamo una crisi
Molti non avevano un lavoro e chi ce l'aveva viveva con la paura di perderlo
Il potere di acquisto dell'euro era in continua discesa, nonostante la parità costante con il dollaro che altrettanto stava perdendo potere di acquisto, ma essendo in parità con l'euro nessuno lo considerava possibile..
Le banche dicevano di essere forti ma in realtà stavano fallendo con il sistema intero
I negozianti tenevano il fucile nascosto sotto il banco I teppisti scorrazzavano per le strade
Non c'era nessuno che sapeva veramente cosa fare e quindi della crisi non se ne vedeva la fine
Il ministro dell'economia Tremonti, si era forse anch’egli “disturbato” per la situazione, perché una sera alla tv aveva fatto un discorso che parlava di vedere come “una serie di mostri” che apparivano consecutivamente davanti lui e che tutti ci si trovava in “un grande video game” (discorso del 27/08/2011)..
Nelle città L'aria era irrespirabile per i gas dell'aria condizionata, per i campi elettromagnetici e il cibo dei supermercati era immangiabile perché sempre di più bassa qualità e pieno di conservanti..
Tutte le sere la gente stava seduta davanti alla tv mentre i telecronisti elencavano i molteplici omicidi e i numerosi reati di violenza che in quel giorno erano accaduti come se tutto ciò fosse normale...
Tutti sapevano che le cose andavano male.. più che male... era la follia.. era come se tutto fosse impazzito.. uragano Irene.. guerra in Libia.. talebani in Afganistan.. Terremoto e tsunami devastante in Giappone.. Tsunami a Sumatra.. Sembrava la fine del mondo ma tutti continuavano a non incazzarsi, e gli stati continiavano a provocare guerre e test nucleari
La gente chiedeva di essere lasciata almeno tranquilla nei propri salotti... con i propri vecchi tostapane... le proprie vecchie biciclette.. e non
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman avrebbe detto nulla.. in cambio di essere almeno lasciata tranquilla...
Nessuno sapeva cosa scrivere ai propri deputati.. né per combattere l'invasione di cinesi, di russi, di olandesi, di inglesi, di rumeni, di albanesi, di marocchini, di egiziani, di profughi di Lampedusa.. che stava occupando il territorio italiano ed europeo per secoli tradizionalmente appartenuto agli italiani e agli europei..
Nessuno aveva il coraggio di alzarsi, andare alla finestra e gridare ancora una volta: " Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!"
I FALLIMENTI BANCARI
Il più grande fallimento della storia.
Il fallimento di Lehman Brothera è il pù grande nella storia delle bancarotte mondiali.
Lehman ha superato infatti il 'crac' di WorldCom, il gruppo telefonico che finì in amministrazione controllata nel 2002 per via di alcune grosse irregolarità contabili.
Lehman Brothers ha un debito pari a circa 613 miliardi di dollari ed ha superato di conseguenza oltre a WorldCom anche Drexel Burnham Lambert, fallimento avvenuto nel 1990.
Lehman Brothers è inoltre debitrice di qualche cosa come oltre 157 miliardi di dollari nei confronti di una decina di creditori non privilegiati e nei riguardi degli obbligazionisti.
In questo caso - sottolinea l' Agenzia Bloomberg - questi debiti potranno essere saldati solo dopo che saranno stati rimborsati i creditori privilegiati.
La stessa Lehman ha precisato che fra i creditori non privilegiati figurano Commerzbank e Bank of New York Mellon, per il ruolo svolto da questi istituti nel prestare garanzie agli obbligazionisti.
L' esposizione degli obbligazionisti sarebbe pari a 155 miliardi di dollari, quindi pressoché la totalità del credito non garantito.
La graduatoria dei maggiori crack nella storia societaria statunitense, in base a dati elaborati da Bloomberg (fra parentesi gli asset espressi in miliardi di dollari):
1) LEHMAN BROTHERS (639 miliardi) 2) WORLDCOM (103,9 miliardi)
3) ENRON (63,4 miliardi)
4) CONSECO (61,4 miliardi)
5) TEXACO (35,9 miliardi) 6) Financial Corp.
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Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
of America (33,9 miliardi) 7) Refco (33,3 miliardi)
8) IndyMac Bancorp (32,7 miliardi) 9) Global Crossing (30,2 miliardi) 10)Calpine (27,2 miliardi)
FOTOGRAFIA ECONOMICA DELLA SITUAZIONE VALUTARIA INTERNAZIONALE DEL 2010
Cronaca delle 15.56 04/01/2010
Borsa altalenante.
Negli ultimi 25 anni, i mercati azionari europei hanno reso mediamente il 13% all'anno? La Borsa italiana addirittura meglio: le azioni quotate a piazza degli Affari, dal 1975 a oggi, hanno reso mediamente il 18% all'anno.
Si tratta naturalmente di una media.
Controllando infatti l'andamento dell'indice di Borsa anno per anno, si scoprono alti e bassi vertiginosi.
Nel 1977, per esempio, le quotazioni sono scese del 23%, nel 1980 sono salite addirittura del 122% (la vetta degli ultimi 25 anni), nel 1987 sono crollate del 32% (la fossa assoluta); nel 1993 sono salite del 37%, nel 1997 del 58%, nel 1998 del 41% e nel 1999 del 22%.
Si noti sempre inoltre che lo yen dal 90 ad oggi è passato dal cambio di 8.756 Lit.
per 1 Jpy.
al cambio attuale di 14,5 Lit. per 1 Jpy.
ovvero di 0,0075 Eur per 1 Jpj che significa che l'economia del Giappone in soli 20 anni ha fatto guadagnare alla propria moneta un notevolissimo potere di acquisto, rispetto a quella italiana con tasso di rivalutazione totale pari al 65% ovvero pari al tasso medio annuo del 3,28% per tutto il ventennio!
Si veda invece la tabella (1), ove si trovano le quotazioni monetarie degli altri paesi, che pur superando quasi tutte quella italo-eurolandese, hanno determinato un distacco differente secondo l'eziologia di ciascuna realtà economica.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Indici della Crescita valutaria internazionale U.s.a.
1990: 1 Usd = 1.268,50 Lit.
2010: 1 Usd = 1.352,37 Lit.
con crescita del 6.66% pari allo 0.333 % annuo per il venntennio
Inghilterra
1990: 1 Gbp = 2.054,00 Lit.
2010: 1 Gbp = 2.183,31 Lit
con crescita del 6.29% pari allo 0,31 % annuo per il venntennio
Svizzera
1990: 1 Chf = 816,95 Lit.
2010: 1 Chf = 1.305,52 Lit
con crescita del 59.80% pari allo 2,99 % annuo per il venntennio
Spagna
1990: 1 Esp = 11,54 Lit. 2010: 1 Esp = 11,62 Lit praticamente paritetica
Francia
1990: 1 Frf = 219,40 Lit.
2010: 1 Frf = 295,18 Lit
con crescita del 34,50% pari allo 1,725 % annuo per il venntennio (P.S.
COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Germania
1990: 1 Dem = 750,12 Lit.
2010: 1 Dem = 989,99 Lit
con crescita del 31,97% pari allo 1,598 % annuo per il venntennio (P.S.
COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?) Austria
1990: 1 Ats = 106,58 Lit.
2010: 1 Ats = 140,61 Lit
con crescita del 31,93% pari allo 1,596 % annuo per il venntennio
(P.S. : COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Russia
1990: 1 Rub = 33,74 Lit.
2010: 1 Rub = 44,77 Lit
con crescita del 32,69% pari allo 1,63 % annuo per il venntennio
(P.S.: COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Svezia
1990: 1 Sek = 205,07 Lit.
2010: 1 Sek = 188,19 Lit
con decrescita del 8.23% pari allo 0,004 % annuo per il venntennio
Brasile
1996: 1 Brl = 1621.42 Lit.
2010: 1 Brl = 775,22 Lit
con decrescita del 52.18% pari allo 3,26 % annuo per il quattordicennio
Cina
1996: 1 Cny= 189,50 Lit.
2010: 1 Cny = 198,01 Lit.
con crescita del 4.49% pari allo 0.28 % annuo per il quattordicennio
Delazioni sulla governance internazionale
Banche, moneta, potere di emissione, capitalismo finanziario ovvero “Monetarismo”.
“Il culmine del potere nel mondo di oggi sta nel potere di emissione del pag. 1! 26 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman denaro.
Se tale potere venisse democratizzato e focalizzato in una direzione che tenga conto dei problemi sociali ed ecologici allora potrebbe ancora esserci la speranza di salvare il mondo”
Thomas H. Greco, Jr.
“I disordini non avranno mai fine, non avremo mai una sana amministrazione della cosa pubblica, se non acquisteremo una nozione precisa e netta della natura e della funzione del denaro.”
Ezra Pound
“L’attività bancaria fu fecondata con l’ingiustizia e nacque nel peccato.
I banchieri posseggono il mondo.
Se glielo toglierete via lasciando loro il potere di creare denaro, con un colpo di penna creeranno abbastanza depositi per ricomprarselo.
Toglieteglielo via in qualunque modo e tutti i grandi patrimoni come il mio scompariranno, ed è necessario che scompaiano affinché questo diventi un mondo migliore in cui vivere.
Ma se preferite restare schiavi dei banchieri e pagare voi stessi il costo della vostra stessa schiavitù, lasciate che continuino a creare denaro.”
Sir Josiah Stamp, Direttore della Banca d’Inghilterra negli anni venti, considerato a quel tempo il secondo uomo più ricco di tutta l’Inghilterra.
“Tutte le perplessità confusioni, e afflizioni in America sorgono non tanto dai difetti della Costituzione, né dalla mancanza d’onore o di virtù quanto dall’assoluta ignoranza della natura della moneta, del credito, e della circolazione.”
John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America
“Davamo a questo popolo il maggior beneficio che abbia mai avuto: la sua propria carta [moneta] per pagare i propri debiti.”
John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America
Art. 1, Sezione 8. pp. 5 della Costituzione degli Stati Uniti d’America:
Il congresso avrà diritto di batter moneta, e di determinarne il valore (delle unità), e di f issare i criteri dei pesi e delle misure.
Firmato George Washington, presidente e deputato della Virginia (17 settembre 1787)
“Oggi il nome «democrazia» è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro.”
Ezra Pound (1933)
“Discutere dei governi delle così dette democrazie: Inghilterra, Francia, Stati Uniti, è una semplice perdita di tempo, sino a che non si distingue
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman tra teoria e fatto.
Questi tre paesi sono controllati dagli usurai, sono usurocrazie o dinastocrazie, ed è perfettamente inutile di parlarne come se fossero controllati e governati dai loro popoli o dai delegati che rappresentano i loro popoli, o nell’interesse dei loro popoli.”
Ezra Pound (1933)
“L’usuraio distruggerà ogni ordine sociale, ogni decenza, ogni bellezza.”
Ezra Pound (1933)
“Il denaro non rappresenta altro che una nuova forma di schiavitù impersonale, al posto dell’antica schiavitù personale.”
Lev Tolstoj
“Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche.”
TATANKA IOTANKA (Toro Seduto)
“Il ricco domina sul povero e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.”
La Bibbia
- Antico Testamento – Proverbi, cap. 22, versetto 7
“La storia testimonia che i cambiavalute hanno usato ogni sorta di inganno, macchinazione, frode e violenza possibile al fine di mantenere il controllo sui governi per gestire il denaro e la sua emissione.”
President James Madison
“Voi siete un covo di vipere e ladri e io intendo sconfiggervi, e per il Padreterno, vi sconfiggerò.
Se il Congresso ha la prerogativa di emissione di moneta cartacea, ciò gli é stato dato per venir usato dallo stesso e non per essere delegato a individui o corporazioni..”
Andrew Jackson al Congresso degli Stati Uniti d’America (1829)
“Le banche hanno provocato più danni alla religione, alla moralità, alla tranquillità, alla prosperità e anche alla ricchezza della nazione rispetto al bene che possono aver fatto finora o che mai faranno.”
John Adams, Presidente degli Stati Uniti d’America (1819)
“Oltre a questi obiettivi pragmatici, i poteri del capitalismo finanziario avevano un altro scopo più ampio, nientemeno che di creare un sistema
mondiale di controllo finanziario, in mani private, capace di dominare il sistema politico di ciascun paese e l’economia del mondo nel suo insieme.
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Questo sistema doveva essere controllato in un modo feudalista da parte delle banche centrali del mondo che agiscono di concerto, attraverso accordi segreti cui si arrivava durante frequenti incontri e conferenze private.
L’apice del sistema sarebbe stata la Bank for International Settlements [BIS] di Basilea, in Svizzera, una banca privata di proprietà e sotto il controllo delle banche centrali mondiali, esse stesse corporazioni private.
Ogni banca centrale cercava di dominare il proprio governo tramite la sua capacità di controllare i prestiti al Tesoro, di manipolare i tassi di cambio della valuta estera, di influire sul livello delle attività economiche nazionali e di fare pressioni sui politici compiacenti tramite successive ricompense economiche nel mondo degli affari.”
Citation from Tragedy and Hope – A History of the World in Our Time, by Carroll Quigley, GSG Associates, California 1966.
“I nostri nemici su questo pianeta, sono meno di dodici persone.
Sono i membri della Banca d’Inghilterra e di altri più alti circuiti
finanziari.
Essi posseggono le catene di giornali ed essi sono, come se non bastasse, in tutte le istituzioni che si occupano di salute mentale che sono sorte nel mondo.
(...) E questi, apparentemente, hanno deciso in un momento lontano del passato, una particolare strategia.
Avendo il controllo della riserva aurifera del pianeta, sono entrati in un programma per portare ogni governo alla bancarotta e sotto al loro dominio, cosicché nessun governo sarebbe stato capace di iniziative politiche senza il loro appoggio”
Ron Lafayette Hubbard, ex ufficiale dei servizi segreti della Marina USA, fondatore di Scientology – settembre 1967
“Io ho due grossi nemici: l’esercito del Sud di fronte a me e le società finanziarie in retroguardia.
Dei due, quello in retroguardia è il mio peggior nemico... Prevedo l’avvicinarsi di una crisi che mi snerverà e mi farà tremare per la sicurezza della mia patria.
Al termine della guerra, le grandi imprese saranno elevate al trono, ne seguirà un’era di corruzione nei posti più influenti, le forze più ricche del paese si sforzeranno di prolungare il proprio regno facendo leva sui pregiudizi della gente, finché la ricchezza sarà concentrata in poche mani e la Repubblica sarà distrutta.
In questo momento, sento ancora più ansietà di prima per la sicurezza del mio paese, nonostante mi trovi nel mezzo di una guerra.”
Abraham Lincoln
“Il capitale deve proteggersi in ogni modo possibile con alleanze e
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I debiti devono essere riscossi, le obbligazioni e i contratti ipotecari devono esser conclusi in anticipo e il più rapidamente possibile.
Quando, mediante processi giuridici, le persone comuni perderanno le proprie case, diventeranno sempre più docili e saranno tenute a freno con più facilità attraverso il braccio forte del governo al potere, azionato da una forza centrale di ricchezza sotto il controllo di finanzieri di primo piano.
Questa verità è ben conosciuta tra i nostri uomini di spicco, adesso impegnati nel costituire un imperialismo del Capitale che governi il mondo.Dividendo gli elettori attraverso il sistema dei partiti politici, possiamo fare spendere le loro energie per lottare su questioni insignificanti.
Di conseguenza, con un’azione prudente abbiamo la possibilità di assicurarci quello che è stato pianificato così bene e portato a termine con tanto successo.”
USA Banker’s Magazine (Rivista dei banchieri americani), 25 Agosto 1924
“Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti.
Essi hanno di già messo in piedi un’aristocrazia facoltosa che ha attaccato il Governo con disprezzo.
Il potere di emissione deve essere tolto via dalle banche e restituito al popolo, al quale esso appartiene propriamente.”
Thomas Jefferson
“Se gli Americani consentiranno mai a banche privati di emettere il proprio denaro, prima con l’inflazione e poi con la deflazione, le banche
e le grandi imprese che ne cresceranno attorno, priveranno la gente delle loro proprietà finché i loro figli si sveglieranno senza tetto nel continente conquistato dai loro padri. “
Thomas Jefferson (1776) “Potrete ingannare tutti per un pò.
Potrete ingannare qualcuno per sempre. Ma non potrete ingannare tutti per sempre.”
Abramo Lincoln
“Nelle Colonie, emettiamo la nostra moneta cartacea.
Si chiama ‘Cartamoneta provvisoria coloniale’.
La emettiamo nelle giuste proporzioni per produrre merci e farle passare facilmente dai produttori ai consumatori.
In questo modo, creando noi stessi il nostro denaro cartaceo, ne
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controlliamo il potere d’acquisto e non abbiamo interessi da pagare a nessuno.Vedete, un Governo legittimo può sia spendere che prestare
denaro in circolazione, mentre le banche possono soltanto prestare cifre considerevoli attraverso i loro biglietti di banca promissori, per cui questi biglietti non si possono né dare né spendere se non per una piccola frazione di quelli che servirebbero alla gente.
Di conseguenza, quando i vostri banchieri in Inghilterra mettono denaro in circolazione, c’è sempre un debito fondamentale da restituire e un’usura da pagare.
Il risultato è che c’è sempre troppo poco credito in circolazione per dare ai lavoratori una piena occupazione.
Non si hanno affatto troppi lavoratori, ma piuttosto pochi soldi in circolazione, e quelli che circolano portano con sé un peso senza fine di un debito impagabile e usura.”
Benjamin Franklin, Autobiografia, (1763)
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità. La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.”
Abraham Lincoln, Presidente degli Stati Uniti d’America, morto assassinato
“Se questa malefica strategia finanziaria, che ha le sue origini nel nord America, perdurerà fino a mettere radici, allora il Governo fornirà il proprio denaro senza alcun costo.
Estinguerà i propri debiti e rimarrà senza alcun debito.
Avrà tutto il denaro necessario per portare avanti il proprio commercio.
Diventerà prospero senza precedenti nella storia mondiale.
Le menti e le ricchezze di tutti i paesi andranno nel nord America.
Questo paese deve essere distrutto o distruggerà ogni monarchia sulla faccia della terra.”
The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, citazione apparsa sul London Times nell’anno 1865, riferendosi alla pratica di emissione dei Green Backs di Abraham Lincoln
“Il grande debito che i nostri amici, i capitalisti dell’Europa, faranno in modo di far sortire da questa guerra, verrà adoperato per manipolare la circolazione (monetaria).
Noi non possiamo permettere che i biglietti statali [Greenbacks] circolino perché non possiamo regolarli.”
The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862
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“Lo schiavismo sarà probabilmente abolito dalle forze in guerra e la
proprietà di schiavi verrà totalmente abrogata.
Io e i miei amici europei siamo a favorevoli a questo: che la schiavitù si limiti al possesso del lavoro e che si trasferisca nell’interesse del lavoratore, nel frattempo il progetto europeo guidato dall’Inghilterra consisterà nel controllare il lavoro attraverso il controllo sui salari.
Il vasto debito che i capitalisti vedranno costituirsi su di esso dalle guerre, deve essere usato come mezzo per controllare il volume del denaro.
Per portare a termine questo obiettivo bisogna usare le obbligazioni ipotecarie come punto di partenza fondamentale del sistema bancario.
Stiamo aspettando che il Segretario del Tesoro faccia tale raccomandazione al congresso.
Non consentirà ai Greenback, come vengono chiamati, di circolare come denaro in nessun caso, dal momento che non possiamo controllarlo.
Ma possiamo controllare le obbligazioni statali e attraverso di esse le emissioni bancarie.”
The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
(...) Il privilegio del Governo della creazione e dell’emissione del denaro è la sua più grande opportunità creativa.
Attraverso l’adozione di tali principi, il desiderio lungamente sentito di usare un mezzo di pagamento uniforme sarà soddisfatto.
Il finanziamento di tutte le imprese pubbliche, il mantenimento di un governo stabile e di un progresso ordinato, e la conduzione del Tesoro diventerà una questione di pratica amministrativa.
Il popolo potrà e sarà rifornito con una valuta sicura quanto il proprio governo.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità. La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.”
Abraham Lincoln, documento del Senato degli Stati Uniti d’America numero 23, Pagina 91, anno 1865
“Chiunque controlli la massa monetaria in qualsiasi paese è il padrone assoluto dell’intera industria e del commercio.”
James A. Garfield, Presidente degli Stati Uniti d’America “La morte di Lincoln fu un disastro.
Ho paura che i banchieri stranieri con la loro astuzia e i loro contorti
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inganni otterranno il controllo su tutte le sovrabbondanti ricchezze dell’America e useranno il proprio potere per corrompere in modo sistematico la civiltà moderna.
Essi non esiterebbero a far piombare l’intera cristianità nella guerra e nel caos per farsì che l’intero pianeta diventi loro eredità.”
Lincoln.Otto Von Bismarck, commemorando l’assassinio di Abraham
“Nel nostro tempo è ormai evidente che la ricchezza e un immenso potere sono stati concentrati nelle mani di pochi uomini.
Questo potere diventa particolarmente irresistibile se esercitato da coloro che controllano e comandano la moneta, poichè costoro sono anche in grado di gestire il credito e di decidere a chi deve essere assegnato.
In questo modo forniscono il sangue vitale all’intero corpo dell’economia.
Loro hanno potere sull’intimo del sistema produttivo, così che nessuno può azzardare un respiro contro la loro volontà.
Papa Pio XI, Quadragesimus Annus 106-9, 1931
“Quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi e non i capi del governo controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve...
Il denaro non ha madrepatria e i finanzieri non hanno patriottismo né decenza; il loro unico obiettivo è il profitto.”
Napoleone Bonaparte, 1815
“La terra, nel suo stato naturale e incolto era, e sempre dovrebbe continuare ad essere, proprietà comune della razza umana.
Non appena la terra viene coltivata, il valore del miglioramento, e solo quello senza il terreno su cui giace, è da considerare proprietà individuale.
Ciascun proprietario di terreni coltivati deve corrispondere alla comunità un affitto ..a tutte le persone, ricche o povere..
perché questo soggiace all’eredità naturale che, come di diritto, spetta ad ogni uomo, al di sopra della proprietà che egli possa aver creato o ereditato da quelli che l’hanno fatta.”
Thomas Paine 1796, p. 611; 612-613
“È un bene che gli abitanti della nazione non capiscano abbastanza il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo facessero, credo che ci sarebbe una rivoluzione prima di domattina.”
Henry Ford
“Chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia.”
Ezra Pound
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“In qualsiasi società che abbia superato lo stato selvaggio il monopolio
fondamentale è il monopolio del denaro.” Ezra Pound
“La moneta non è valida se è titolo a qualche cosa di non consegnabile.” Silvio Gesell, Ordine Naturale dell’Economia.
“La storia americana del ventesimo secolo ha registrato gli sbalorditivi risultati dei banchieri centrali della Federal Reserve.
Primo, lo scoppio della prima guerra mondiale, che è stata resa possible dai fondi disponibili dalla banca centrale degli Stati Uniti.
Secondo, la recessione agricola del 1920.
Terzo, il venerdì nero del crollo di Wall Street.
dell’ottobre del 1929 e l’insorgere della Grande depressione.
Quarto, la seconda guerra mondiale, quinto la conversione del patrimonio degli stati uniti e dei propri cittadini da beni reali a cartacei dal 1945 fino a oggi trasformando l’America vittoriosa e la più prospera potenza del 1945 al più grande paese debitore del mondo nel 1990.
Oggi questa nazione si trova in rovina economica, devastata e destituita, quasi nelle stesse tremende difficoltà in cui la Germania e il Giappone si ritrovarono nel 1945.
Gli Americani agiranno per ricostruire la nostra nazione così come fecero la Germania e il Giappone quando dovettero fa fronte alle stesse condizioni in cui ci troviamo oggi di fronte —o continueremo ad essere schiavizzati dal sistema babilonese della moneta-debito che ci fu imposto dal Federal Reserve Act nel 1913, e completare la nostra totale distruzione? Questa è la sola domanda alla quale dobbiamo rispondere, e non ci resta molto tempo per farlo.”
Eustace Mullins
“...i Rothschild hanno conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari...”
Frederic Morton TASSE E DEBITO PUBBLICO
“La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere benefici.
Le guerre devono essere dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere.”
Amschel Mayer Rothschild (1773)
“Il fatto che un risparmio nazionale si presenti come profitto privato, non scandalizza per niente l’economia borghese, poiché il profitto in genere è comunque appropriazione di lavoro nazionale.
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C’è forse qualche cosa di più pazzesco dell’esempio offertoci dalla Banca d’Inghilterra per il periodo 1797-1817? Mentre le sue banconote hanno
credito unicamente per il fatto di essere garantite dallo Stato, essa si fa pagare dallo Stato e quindi dal pubblico, nella forma di interessi sui prestiti, per il potere che lo Stato le conferisce di convertire questi stessi biglietti di carta in denaro e darli poi in prestito allo Stato?”
K. Marx, Il Capitale, Ed. Riuniti, 1974 – VIII ed. Cap. 33 pag. 635
“Io mi rifiuto di pagare le tasse il cui impiego ritengo destinato a scopi ingiusti e immorali.”
Henry David Thoreau
“Le guerre sono concepite per creare debito.”
Ezra Pound
LIBERTA’ D’INFORMAZIONE E
MANIPOLAZIONE DEL POTERE
“Bisogna capire che tutta la moda letteraria e tutto il sistema giornalistico controllato dall’usurocrazia mondiale è indirizzato a mantenere l’ignoranza pubblica del sistema usurocratico e dei suoi meccanismi.”
Ezra Pound, 1933
“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.”
George Orwell
“Nel tempo della cleptocrazia occidentale, dire la verità è un atto sconsiderato.”
Marco Saba, parafrasando George Orwell
“Se un popolo si aspetta di poter essere libero restando ignorante, spera in qualcosa che non è mai stato e che mai sarà”
President Thomas Jefferson
“Noi siamo così grati al Washington Post, al New York Times, al Time Magazine e alle altre pubblicazioni i cui direttori hanno partecipato alle nostre riunioni rispettando le loro promesse di discrezione per almeno 40 anni.
Per noi sarebbe stato impossibile sviluppare il nostro progetto per il mondo se fossimo stati soggetti alla brillante luce della pubblicità.”
David Rockefeller, founder and member of the CFR and the TC, at Bilderberger Global Strategy mtg, 1991.
Clinton attended.
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“Beware the leader who bangs the drums of war in order to whip the citizenry into a patriotic fervor, for patriotism is indeed a double-edged sword.
It both emboldens the blood, just it narrows the mind.
And when the drums of war have reached a fever pitch and the blood boils with hate and the mind has closed, the leader will have no need in seizing the rights of the citizenry.
Rather, the citizenry, infused with fear and blinded by partiotism, will offer up all of their rights unto the leader and gladly so.
How do I know? For this is what I have done.
And I am Caesar.” Julius Caesar
AFORISMI SULL’UMANITA’
“Il materialismo e la moralità stanno in relazione inversa –quando uno cresce l’altra diminuisce”
Mahatma Gandhi
“I migliori scienziati non sono quelli che conoscono la maggior parte delle informazioni; ma coloro che sanno ciò che stanno cercando.”
Noam Chomsky
“L’incompetenza si manifesta con l’uso di troppe parole.”
Ezra Pound
“Non c’è alcuna crisi energetica, solo una crisi di ignoranza.”
Buckminster Fuller SCIENZA E SOCIETA’
“La scienza non è nient’altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità.”
Nikola Tesla
“Mi piacerebbe credere che le persone abbiano un istinto per la libertà, che vogliano veramente avere il controllo delle proprie circostanze.
Che non amino essere tiranneggiate, ricevere ordini, essere oppresse, ecc.
e che desiderino avere l’opportunità di fare cose sensate come un lavoro costruttivo in condizioni che possano controllare, o magari controllare insieme ad altri.”
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Noam Chomsky
“Qualche volta la gente inciampa nella verità.
La maggior parte però si rialza subito e se ne va come se niente fosse” Winston Churchill
“Sono un contadino che ha fatto per hobby il professore d’università.” Giacinto Auriti
“...nel nuovo mondo ognuno metterà a disposizione di tutti la sua esperienza e le sue idee, e gli altri lo ricompenseranno liberamente per questo...”
La profezia di Celestino
“Schiavo è chi aspetta qualcuno che venga a liberarlo.”
Ezra Pound
“Un popolo che non s’indebita fa rabbia agli usurai”
Ezra Pound
“L’attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari.
La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto” Maurice Allais, Nobel per l’Economia nel 1988
“... Pochi comprenderanno questo sistema (assegni e credito), coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo per fa soldi, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi.”
Lettera spedita da un membro della famiglia Rothschild alla Ditta Kleheimer, Morton e Vandergould di New York in data 26 giugno 1863
“Oggi la nostra moneta nasce di proprietà della banca che la emette prestandocela.
Noi vogliamo che nasca di proprietà dei cittadini e che sia accreditata ad ognuno come reddito di cittadinanza.
Per scrivere questa frase che è valida per tutte le monete in circolazione sono occorsi 36 anni di studi universitari (tesi di laurea, convegni ecc.) presso l’ateneo di giurisprudenza di Teramo e “La Sapienza” di Roma.
Poiché democrazia significa sovranità politica popolare, il popolo deve avere anche la sovranità monetaria che di quella politica è parte costitutiva ed essenziale in un sistema di democrazia vera o integrale in cui la moneta va dichiarata, a
Il Manifesto del partito comunista
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2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La prima edizione del libro, in lingua tedesca.
Author (s)
Karl Marx e Friedrich Engels
Paese
Germania
Lingua
In origine tedesca, in seguito in molti altri. Genere (s)
Teoria politica, Sociologia
Data di pubblicazione
21 Feb 1848
Marxismo
Il Manifesto del partito comunista , originariamente intitolato Manifesto del Partito Comunista ( tedesco : Manifest der Kommunistischen Partei ) è un breve libro scritto dal 1848 il tedesco marxista politico teorici Karl Marx e Friedrich Engels . Da allora è stato riconosciuto come uno dei manoscritti più influenti politici del mondo. [ 1 ] commissionato dalla Lega dei Comunisti , ha gettato le finalità della Lega e il programma. Essa presenta un approccio analitico alla lotta di classe (storica e presente) ed i problemi del capitalismo, piuttosto che una previsione di forme future potenzialità del comunismo. [ 2 ]
Il libro contiene Marx ed Engels 'teorie marxiste sulla natura della società e della politica, che nelle loro stesse parole, "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe." [ 3 ] E 'anche funzioni brevemente le loro idee su come la società capitalista del tempo sarebbe poi sostituito dal socialismo , e poi alla fine del comunismo.
Paternità
Friedrich Engels è stata spesso attribuita a comporre le prime bozze, che ha portato il Manifesto del partito comunista . Nel luglio del 1847, Engels è stato eletto nella Lega comunista, dove è stato assegnato a redigere un catechismo. Questo divenne il Progetto di una confessione di fede comunista. Il progetto conteneva quasi due dozzine di domande che hanno contribuito a esprimere le idee di entrambi Engels e Karl Marx in quel momento. Nel mese di ottobre 1847, Engels, compose il suo secondo
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progetto per la Lega dei comunisti dal titolo I principi del comunismo. Il testo rimasto inedito fino al 1914, nonostante la sua base per Il Manifesto.
Da Engels bozze Marx ha potuto scrivere, una volta commissionato dalla Lega dei comunisti, Il Manifesto del partito comunista, dove ha combinato di più delle sue idee con bozze di Engels e del lavoro, La condizione della classe operaia in Inghilterra. [ 4 ]
Sebbene i nomi di entrambi Engels e Karl Marx appaiono sul frontespizio accanto alla "assunzione persistente di joint-autore", Engels, nell'introduzione prefazione all'edizione 1883 tedesca del Manifesto, ha detto che il Manifesto è "essenzialmente di Marx lavoro" e che "il pensiero di base ... appartiene solo ed esclusivamente a Marx." [ 5 ]
Engels ha scritto dopo la morte di Marx,
"Non posso negare che sia prima che durante la mia collaborazione quarant'anni 'con Marx ho avuto una certa quota indipendente nel gettare le fondamenta della teoria, ma la maggior parte dei suoi principi guida fondamentali appartengono a Marx .... Marx era un genio , noi altri erano nella migliore delle ipotesi talento Senza di lui la teoria non sarebbe di gran lunga quello che è oggi è dunque porta giustamente il suo nome "... [ 6 ]
Nonostante la modestia di Engels in queste due citazioni, in realtà ha fatto i maggiori contributi al Manifesto, a partire con il suggerimento di abbandonare "la forma di un catechismo e di diritto che il comunistaManifesto ". Inoltre, Marx, Engels entrato in Bruxelles per la redazione del Manifesto. Non ci sono prove di ciò che il suo contributo alla stesura finale sono state, ma il Manifesto reca l'impronta di stile di scrittura più retorico di Marx. Tuttavia, sembra chiaro che Engels contributi giustificare la comparsa del suo nome sul frontespizio, dopo Marx. [ 7 ]
Storia testuale
Il Manifesto del partito comunista è stato pubblicato la prima volta (in tedesco) a Londra da un gruppo di rifugiati politici tedeschi nel 1848. E 'stato anche serializzato a circa lo stesso tempo in un giornale di lingua tedesca di Londra, il londinese di Deutsche Zeitung . [ 8 ] La prima traduzione in inglese è stato prodotto da Helen Macfarlane nel 1850, e il libro fu pubblicato la prima volta negli Stati Uniti da Stephen Pearl Andrews . [ 9 ] Il Manifesto ha attraversato un certo numero di edizioni 1872-1890; notevoli nuove prefazioni sono state scritte da Marx ed Engels per il 1872 edizione tedesca, del 1882 edizione russa, il 1883 edizione francese, e il 1888 edizione inglese. Questa edizione, tradotto da Samuel Moore con l'aiuto di Engels, è stato il testo più comuni inglese dal.
Tuttavia, alcune edizioni recenti inglese, come Phil Gasper ha annotato "road map" ( Libri Haymarket , 2006), hanno utilizzato un testo leggermente modificato in risposta alle critiche della traduzione Moore
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fatta da Draper Hal nel suo 1994 storia del Manifesto , Il avventure del
"Manifesto Comunista" (Centro per la Storia socialista, 1994). Contenuto
Il Manifesto è diviso in un'introduzione, tre sezioni sostanziali e una conclusione.
Introduzione
Il breve preambolo al testo principale del Manifesto di Marx ed Engels coinvolge brevemente commentando il timore che essi ritengono i
governi europei possesso del comunismo, e offre anche un po 'a corto di consigli su come i comunisti europea dovrebbe procedere a promuovere la loro causa . Mentre si apre il testo:
Uno spettro si aggira per l'Europa-lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa sono entrati in una santa alleanza per esorcizzare questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e tedeschi di polizia-spie.
Dov'è il partito di opposizione che non è stato denunciato come comunista dai suoi avversari al potere? Dov'è il partito di opposizione che non ha gettato indietro il rimprovero di branding del comunismo, contro i partiti d'opposizione più avanzate, come pure contro i suoi avversari reazionari? [ 10 ]
Proseguendo da questo, hanno continuato a dichiarare che "E 'ora che i comunisti dovrebbero apertamente, di fronte al mondo intero, pubblicare le loro opinioni, i loro scopi, le loro tendenze, e rispondere a questa favola dello spettro del comunismo con un manifesto del partito stesso. " [ 11 ]
I borghesi e proletari
Il primo capitolo del Manifesto ", borghesi e proletari", esamina la concezione marxista della storia, descrivendo come:
La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi, stettero sempre in contrasto tra loro, sostennero una ininterrotta, ora nascosta, ora lotta aperta, una lotta che ogni tempo finito, o con una trasformazione rivoluzionaria della società in generale, o nella comune rovina delle classi in lotta. [ 12 ]
La sezione continua a sostenere che la lotta di classe nel capitalismo è tra coloro che possiedono i mezzi di produzione, la classe dirigente o
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borghesi , e quelli che lavorano per un salario, la classe operaia e
proletaria .
La borghesia, ovunque essa ha il sopravvento, ha messo fine a tutte le feudali, patriarcali, idilliche. E '... ha lasciato sussistere altro legame tra uomo e uomo che il nudo interesse, il crudele "pagamento in contanti" ... per lo sfruttamento, velato da illusioni religiose e politiche, ha sostituito nudo, senza vergogna, diretto, brutale sfruttamento ... Rivoluzionando costante della produzione, disturbo ininterrotto di tutte le condizioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese da tutte quelle precedenti ... Tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria, tutto ciò che è sacro viene profanato, e l'uomo è finalmente costretto a fronteggiare sobriamente, le sue reali condizioni di vita, ei suoi rapporti con il suo genere.
Tuttavia:
La condizione essenziale per l'esistenza e dominio della classe borghese è l'accumulazione di ricchezza in mani private, la formazione e l'aumento di capitale, la condizione essenziale del capitale è lavoro salariato. Lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza tra i lavoratori.
Questa sezione spiega inoltre che i proletari alla fine ascesa al potere attraverso la lotta di classe: la borghesia sfrutta costantemente il proletariato per il suo lavoro manuale e salari a basso costo, in ultima analisi, di creare profitto per la borghesia, il proletariato ascesa al potere attraverso la rivoluzione contro la borghesia, come sommosse o la creazione di sindacati. Gli stati Manifesto del partito comunista che, mentre c'è ancora la lotta di classe tra la società, il capitalismo sarà rovesciato dal proletariato solo per ricominciare in un prossimo futuro, in ultima analisi il comunismo è la chiave per la classe di uguaglianza tra i cittadini d'Europa.
II. Dei Proletari e dei comunisti
La seconda sezione, "Proletari e comunisti", inizia a delineare il rapporto tra comunisti consapevole al resto della classe operaia:
▪ "I comunisti non formano un partito separato differenza di altri partiti della classe operaia".
▪ "Non hanno interessi distinti da quelli del proletariato nel suo complesso."
▪ "Non impostare alcun principio settario propria, con cui modellare il movimento proletario".
▪ "I comunisti si distinguono dagli altri partiti della classe operaia da questo solo: 1. Nel lotte nazionali dei proletari dei diversi paesi, fanno notare e portare in primo piano gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente da tutte le nazionalità 2.. Nelle varie fasi di sviluppo che la lotta della classe operaia contro la borghesia deve
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passare, sempre e ovunque rappresentare gli interessi del movimento nel
suo complesso. "
Si va avanti per difendere il comunismo da varie obiezioni, come ad esempio l'affermazione che i comunisti avvocato " amore libero ", e la pretesa che la gente non si esibirà lavoro in una società comunista perché non hanno alcun incentivo a lavorare.
La sezione si conclude delineando una serie di richieste a breve termine:
1. Abolizione della proprietà fondiaria e l'applicazione di tutte le rendite di terreni per finalità pubbliche.
2. Un pesante progressiva sul reddito o laureato.
3. Abolizione del diritto di eredità .
4. Confisca dei beni di tutti gli emigrati e ribelli .
5. La centralizzazione del credito nelle mani dello Stato ,
per mezzo di una banca nazionale con lo Stato di capitale e di un monopolio esclusivo.
6. La centralizzazione dei mezzi di comunicazione e di trasporto nelle mani dello Stato.
7. Estensione delle fabbriche e strumenti di produzione di proprietà dello Stato, la messa in coltivazione di rifiuti-terre , e il miglioramento del suolo generalmente secondo un piano comune .
8. Pari responsabilità di tutti al lavoro. Stabilimento industriale di eserciti , specialmente per l'agricoltura.
9. Combinazione di agricoltura con la produzione delle industrie ; graduale abolizione della distinzione tra città e campagna, da una più equa distribuzione della popolazione sul territorio.
10. L'istruzione gratuita per tutti i bambini nelle scuole pubbliche . Abolizione del lavoro in fabbrica dei bambini nella sua forma attuale. Combinazione di formazione con la produzione industriale. [ 13 ]
L'attuazione di tali politiche, secondo gli autori creduto, essere un precursore del apolidi e società senza classi .
Uno si occupa passaggio particolarmente controversa con questo periodo di transizione:
Quando, nel corso dello sviluppo, [ 14 ] differenze di classe sono scomparsi, e tutta la produzione si è concentrata nelle mani di una associazione vasta di tutta la nazione, il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Il potere politico propriamente detto, è solo il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato nel corso della sua lotta contro la borghesia è costretta, dalla forza di cose, di organizzare se stessa come classe, se, per mezzo di una rivoluzione, si rende la classe dirigente, e, come tale, spazza via con la forza il vecchi rapporti di produzione, allora sarà, insieme a queste condizioni, hanno spazzato via le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe e delle classi in generale, e quindi hanno
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman abolito la propria supremazia come classe.
E 'questa concezione della transizione dal socialismo al comunismo, che molti critici del Manifesto , soprattutto durante e dopo l'era sovietica, hanno evidenziato. Gli anarchici, liberali e conservatori hanno chiesto come un'organizzazione come la potrebbe mai stato rivoluzionario (come Engels messo altrove) "appassito".
In una controversia relativa, poi marxisti fare una separazione tra "socialismo", una società governata dai lavoratori, e "comunismo", una società senza classi. Engels scrive poco e Marx scrisse meno sugli aspetti specifici della transizione al comunismo, così l'autenticità di questa distinzione rimane un oggetto di controversia.
III. Letteratura socialista e comunista
La terza sezione, "Letteratura socialista e comunista," il comunismo si distingue dalle altre dottrine socialiste prevalenti al momento del Manifesto è stato scritto. Mentre il grado di rimprovero di Marx ed Engels verso prospettive rivale varia, tutti sono alla fine licenziati per aver sostenuto il riformismo e non riconoscere il ruolo preminente della classe operaia. In parte a causa della critica di Marx, la maggior parte delle ideologie specifiche descritte in questa sezione è diventato politicamente irrilevante per la fine del XIX secolo.
IV. Posizione dei comunisti in relazione con l'vari partiti di opposizione
La sezione conclusiva "posizione dei comunisti in relazione con l'vari partiti di opposizione,", discute brevemente la posizione comunista lotte
in paesi specifici nella metà del XIX secolo, come la Francia, Svizzera, Polonia e Germania, e dichiara che la Germania " è alla vigilia di una rivoluzione borghese ", e prevede una rivoluzione mondiale che si aggiungeranno. Si conclude poi con una dichiarazione di sostegno per le altre rivoluzioni comuniste e un invito ad agire:
In breve, i comunisti ovunque sostenere ogni movimento rivoluzionario contro l'ordine sociale esistente e politico delle cose.
I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e obiettivi. Essi dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti solo con il rovesciamento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Che le classi dominanti tremino ad una rivoluzione comunista . I proletari non hanno nulla da perdere se non le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare.
Operai di tutti i paesi, unitevi!
-Marx e Engels, Manifesto del Partito Comunista
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman La successiva accoglienza
Un certo numero di scrittori del ventunesimo secolo, hanno commentato il Manifesto del partito comunista 'con rilevanza discontinua. L? accademico John Raines, scrivendo nel 2002, ha osservato che
"Ai nostri giorni questa rivoluzione capitalistica ha raggiunto gli angoli più remoti della terra. Lo strumento di denaro ha prodotto il miracolo del nuovo mercato globale e il centro commerciale onnipresente”.
Leggi il Manifesto del partito comunista , . scritto più di 150 anni fa, e scoprirete che Marx aveva previsto tutto " [ 15 ] Scrivendo nel 2003, il marxista inglese Chris Harman ha descritto il lavoro, affermando che:
C'è ancora una qualità compulsiva alla sua prosa come si fornisce una visione dopo visione nella società in cui viviamo, da dove viene e dove la
sua intenzione di andare. E' ancora in grado di spiegare, come gli economisti principali e i sociologi non possono, il mondo di oggi afflitto da guerre ricorrenti e ripetute crisi economiche, della fame di centinaia di milioni di persone da un lato, e alla "sovrapproduzione" dall'altro. Ci sono passaggi che potrebbero provenire da scritti più recenti di globalizzazione.
La costante pertinenza delle teorie marxiste che si trovano all'interno del testo è stata sostenuta anche dal marxismo accademico: Alex Callinicos , direttore del socialismo internazionale , che ha affermato che "Questo è davvero un manifesto per il 21 ° secolo."
La scala mobile è un concetto geniale
Chiunque pensa che sia sparita si sbaglia.
Essa è necessaria per la legge monetaristica e dovrà essere sempre presente in qualsiasi economia sana.
Si muove con movimento occulto
l'inflazione in realtà non esiste perché il valore del denaro viene sempre ad aggiornarsi
Il guadagno immobiliare non esiste.
Perché quando devi vendere l'immobile prendi sempre quello che ti da il mercato
La parità aurea o i minimi di garanzia non hanno quindi ragione di esistere perché tanto il valore del denaro viene sempre ad aggiornarsi
Gli aumenti dei prezzi avvengono solo in funzione dell'adeguamento del
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman valore del denaro.
Esiste solo un aggiornamento del valore dei soldi per pagare gli interessi bancari ed edili.
Quindi il valore del denaro è costantemente fittizio e subisce un aggiornamento compensativo automatico d'uso per compensare i conti bancari e i conti edili.
Chi vuole soldi veri e veri valori fa film grandiosi, sistemi di truffa grandiosi, sistemi di intrattenimento grandiosi, sistemi di pensione o di risparmio o assicurazione grandiosi.
I sistemi grandiosi richiedono sempre grandiosi fondi di investimento che vengono sempre pagati da tutti gli aderenti al fondo
Per mettere in pista un film grandioso o un sistema per fare soldi grandioso ci vuole un appoggio sociale e politico grandioso.
La fiducia la ottieni solo se una comunità di seguaci della tua iniziativa o idea decide di darti fiducia e continuare a seguirti.
Scenografie grandiose servono a suscitare la convinzione nei seguaci di essere di fronte ad un fenomeno di grande dimensione davanti al quale inchinarsi per soggezione
Una società deprecabile e depravata
Aumento delle spese in beni futili incontrollate, viaggi frequenti in luoghi turistici, assalto costante a ristoranti e pizzerie la sera, shopping femminile del futile in aumento, erano già avvisaglie di una diminuzione delle regole del buon vivere, sano ed economico che i componenti di una famiglia sana avrebbero dovuto avere.
E’ vero, c’era chi diceva : io non posso e resto a casa. Ma erano solo una minoranza e il grosso errore da parte dei governanti fu che queste avvisaglie vennero interpretate come un segno del benessere: “se spendono vuol dire che i soldi girano e quindi si lamentano ma poi riempiono locali e zone turistiche” fu un luogo comune di costante pronuncia da parte di tante persone, come tutti noi penso avessimo sentito.
Successivamente le cose peggiorarono: giovani allo sbando, sempre ubriachi, o drogati, schiavi della discoteca, cronaca di violenze giovanili e
di coppia, scuole e università con fenomeni di Baronismo, o sfrutttamento sessuale reciproco tra professori e studenti, Tabaccai invasi da vecchiette che giocano al lotto, nascita dei locali per scommesse, inserimento del poker online, giochi e scommesse su internet furono sicuri indici della perdita del controllo sotto il profilo morale della popolazione che anziché dimostrare entusiasmo e fiducia nelle istituzioni, era diventata schiava di alcol, droghe e illusione della scommessa. Qui i governi del momento errarono pienamente a
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
liberalizzare il vizio del gioco, poiché pateticamente anti - pedagogico, socialmente parlando. Se vuoi tirar su una popolazione di gente sana non
devi fargli vivere la cultura dell’illusione, bensì devi orientarla in una cultura dello sviluppo delle idee e dei giochi costruttivi della genialità, e non della demenza come fanno i giochi di azzardo. L’unica giustificazione presa dai governi di allora fu che, presi come furono dopo l’entrata nell’euro, a lavorare per mantenere i conti a posto, non avrebbero mai potuto rinunciare ad un gettito formidabile come quello provvisto da Lottomatica e Sisal e C.
In seguito le cose peggiorarono ancora: Gli effetti dell’euro stavano provocando il fallimento di storiche compagnie aeree, multinazionali, case automobilistiche, banche enormi, e l’effetto che ne derivò fu il credit crunch, la crisi del credito, e la crisi del debito. La gente si vide revocare affidamenti storici, revocare stipule di mutuo per case appena promesse in compravendita, e la crisi toccò un pilastro fondamentale di tutte le economie: il tessile e l’edilizia.
Da allora, ci fu l’aumento incessante dei furti, delle violenze, delle rapine, delle agressioni, delle truffe, dei raggiri, ma anche dei vandalismi e dei danneggiamenti alla proprietà privata, vennero all’ordine del giorno episodi di violenza macabra o psicologica tali che fu impossibile questa volta non cogliere il segnale chiaro di un elevatissimo indice di sofferenza sociale.
Purtroppo, come si sa, quando tutto va male, non si ottengono che effetti a catena in tutti i settori e le inefficienze del settore, sanitario, giustizia, ambiente e servizi, cominciarono ad aumentare a dismisura. Medici che non guadagnavano abbastanza, Giudici e Avvocati a cui non interessava più dare ragione a chi ce l’aveva, bensì a ricavare il massimo da ogni caso, gestori della nettezza urbana che lasciavano intere città come Napoli nel caos della sporcizia, Guardie forestali che non riuscivano mai a prevenire gli incendi dolosi durante tutte le estati recenti, come mai in passato era successo, servizi di trasporto pubblici e al cittadino nel caos, erano tutti segnali di una società, impaurita per gli effetti della crisi, demotivata e disorganizzata.
A seguire vennero gli episodi di scandalo sessuale, sessistico e prostitutivi. Le strade delle città erano invase da lucciole pluri razziali, che gli effetti della globalizzazione avevano fatto entrare n tutti i paesi mediante l’immigrazione clandestina. Non solo, ma mentre nelle strade si riversavano ragazze mediamente brutte, esisteva una vera e propria selezione organizzata di quelle belle da destinarsi nei bunga bunga, nei nights, e nei locali alla moda. Le tv erano invase di donne nude anche durante gli orari di fascia protetta e nessun criterio di pudore o decenza pubblica erano ormai più rispettati, oltre che nei teatri, neanche nei media di massa come tv e radio. Così assistendo, i genitori pensarono che fosse inopportuno opporsi a questa nuova moda del libertinismo e per non essere impopolari con i propri figli, lasciavano questi ultimo liberi di seguire le tracce modali insegnate dai media. Anche perché se avessero provato a fare opposizione si sarebbero trovati di fronte la forza distruttrice e violenta inaudita dei nuovi giovani, di cui parleremo altrove. Chi non sa poi che i night italiani fossero frequentati non solo di ragazze
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
estere ma anche di ragazze italiane di altre città meridionali che per pagarsi gli studi andavano a lavorare di notte all’insaputa dei propri genitori, è bene che ravveda le proprie conoscenze.
Perché i Cinesi saranno sempre vincenti
Lavorare diciotto ore al giorno, sette giorni su sette, non avere contributi da versare, pagare le tasse al minimo, non ammalarsi mai, non andare mai al ristorante, ed infine non morire mai senza mai avere costi di funerale e sepoltura, è la ricetta schiacciante che fa dei Cinesi lavoratori immigrati un popolo vincente.
Perché noi Europei non riusciamo ad avere così tanta produttività? E’ evidente: l’industria del divertimento ci spinge ad uscire la sera per andare a consumare un pò di soldi, andiamo volentieri al ristorante, per noi poi il sabato e la domenica sono sacri, e in questi giorni non si potrebbe lavorare secondo la nostra cultura sindacale e religiosa prevalente, ci piace andare al pronto soccorso per ogni minimo disturbo nostro o dei nostri cari.
Per quanto riguarda contributi e tasse siamo riusciti a far arrivare il nostro governo a propinarci un’imposizione del 32 per cento per I.N:P:S:
e dal 42 al 142 per IRPEF; IRES; IRAP, facendogli battere il record del maggior gettito fiscale mai incassato da uno stato europeo, quando ci sposiamo o ce ne andiamo, usiamo circondarci di molta cerimonialità e molte persone al seguito, ed è appunto per questo che la nostra produttività risulta addirittura pessima in confronto a quella dei Cinesi.
Cosa fare
Esportare innanzitutto il nostro diritto del lavoro in Cina
Già Grillo aveva comicamente proposto questa soluzione, ma conseguentemente allo stile espressivo, nessuno ne aveva valutato il giusto peso. Approfondendo l’argomento risultò che tale proposta sia stata valutata anche da Accenture, e data dalla medesima come soluzione per la governance mondiale. Prendere i nostri esponenti sindacali migliori, e mandarli in missione in Cina per un anno, per aprire degli uffici permanenti, delle scuole ove organizzare conferenze e dibattiti sul diritto del lavoro, sarebbe stata una realtà praticabile, solo se fatta in armonia di tempi e luoghi, e con la dovuta silenziosità. Il vantaggio che ne sarebbe derivato sarebbe stato quello di avere finalmente la popolazione Cinese consapevole dei suoi diritti e pertanto preparata a chiederli al proprio governo, che difronte agli osservatori internazionali non avrebbe potuto evitare di concederli per ulteriore lungo tempo.
Mantenere i giovani cervelli in Italia
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman Visto su internet
Arginare “la fuga dei cervelli” onde evitare un progressivo impoverimento umano del Nord Italia, ed evitare anche “la fuga di Terroni” del Sud Italia deve essere, oggi più che mai, un obiettivo prioritario di tutti gli attori dello Sviluppo: dal Governo alle Istituzioni Locali, dalle associazioni di categoria del commercio, dell'industria e dell'artigianato agli Istituti di Credito, dalle Università ai Centri di Competenza e per il Trasferimento Tecnologico.
Cosa faremmo infatti senza i giovani “Cervelli Italiani”? Probabilmente sarebbe la fine del futuro italiano.
E senza i “Terroni”?
Probabilmente sarebbe un bel risparmio sociale per l’Italia. E ancora, senza i “Cervelli Terroni”?
A questo punto avremmo eliminato mafia, camorra e ndrangheta dall’Italia.
A mio avviso, uno dei modi in cui è possibile cercare di trattenere i migliori giovani formati dalle nostre Università è quello di agevolare il
loro inserimento nel mondo del lavoro costruendo un raccordo ampio e costante tra i giovani laureandi e laureati e gli enti (pubblici e privati) che intendono investire sulle persone con alta formazione.
A tal proposito vorrei in questa sede portare all'attenzione dei lettori un'esperienza che nell'ultimo anno ha permesso al Comune di Napoli di far giungere un gruppo di giovani ad un discreto risultato.
Il Comune di Napoli ha aderito al Progetto Fixo (Formazione e Innovazione per l’Occupazione), che promosso e sostenuto dal ministero del Lavoro, ha coinvolto le principali Università Italiane, imprese private ed enti pubblici, sviluppando e promuovendo attraverso formazione “sul campo” la collocazione sul mercato del lavoro dei giovani laureati.
Nel 2009 sessantacinque giovani, selezionati dalle università con criteri oggettivi e trasparenti, hanno svolto un tirocinio formativo della durata di sei mesi negli uffici, nei servizi e nelle municipalità del Comune di Napoli ed alla fine di questo percorso il bilancio delle loro competenze è stato presentato ad oltre 20 aziende private che hanno preso parte al Primo Career Day organizzato dal Comune di Napoli che si è tenuto presso la Camera di Commercio di Napoli. Il risultato? Ventotto di questi giovani sono stati assunti e oggi lavorano regolarmente e con buon rendimento. Ventotto su sessantacinque, il 43%, un risultato significativo per un Career Day che generalmente porta all'assunzione del 10% dei giovani che vi partecipano.
La spiegazione che ci siamo dati raccogliendo le testimonianze dei ragazzi e delle aziende è semplice: i giovani neolaureati che hanno fatto esperienza presso la nostra amministrazione, già dotati di buone competenze di base hanno maturato la capacità di fare da “mediatori culturali” tra il mondo delle imprese e quello delle istituzioni locali. Sono
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
cioè entrati nelle aziende a colmare un vuoto presente in molte di esse, la mancanza di una figura capace di leggere il funzionamento delle amministrazioni locali e che possa fare in modo che la propria impresa si interfacci con loro.
Naturalmente è vero anche il contrario. Il personale degli Enti Pubblici sta progressivamente invecchiando e dunque ammodernare la macchina amministrativa grazie all’inserimento di nuove e meritevoli leve provenienti direttamente dal mondo universitario è una necessità per non rimanere indietro rispetto al mondo imprenditoriale.
La positiva esperienza di FixO che si è conclusa a giugno del 2009 ha indotto il Comune di Napoli ad attivare in questi giorni, autonomamente, con propri fondi, altri 25 tirocini.
L'obiettivo è di dare ogni anno questa importante occasione ai cento migliori laureati delle nostre Università.
Certo è una goccia nel mare, ma è un esempio concreto di formazione “sul campo” orientata all'occupazione; occupazione vera e non assistenzialismo, perché basata sulle effettive esigenze delle imprese e degli Enti Pubblici.
Soluzioni per l’economia sociale
Decimare le aliquote e gli interessi Produrrebbe
A - Lotta aell’Evasione
Fiscale
Contributiva Ambientale Civile Sanzionatoria
B - Soluzione della Crisi
Debitoria Economica Patrimoniale Monetaria Deficitaria
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Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
Per fare questo serve
Alta informatizzazione
Alta riduzione del costo pubblico
Creazione di posti di lavoro alternativi Abolizione del modello economico Keinesiano Evitazione del modello Rossveltiano
Agire sulle leve della manovra
Economia e diritto
Modello matematico di politica economica
E’ da tempo disponibile su internet un modello economico che illustra come varia il Pil italiano per effetto delle manovre di politica economica (fiscale e monetaria) del governo.
Chiunque può provare ad usarlo e vederne i risultati.
Leggiamo e sentiamo spesso parlare di manovre pubbliche o di interventi di politica economica da parte del governo. Sappiamo che queste politiche producono delle conseguenze sul nostro sistema economico e sono ideate e poste in essere proprio allo scopo di raggiungere i grandi obiettivi di sistema: crescita del Pil, ovvero del reddito nazionale, diminuzione della disoccupazione e contenimento dell’inflazione (crescita dei prezzi).
Ma nello specifico, cioè da un punto di vista strettamente numerico, come influiscono le decisioni di politica economica sulle importanti variabili del sistema economico? Per esempio un intervento di politica fiscale come modifica le principali grandezze economiche del paese?
Un aumento della spesa pubblica aumenta il reddito nazionale (Pil) o lo diminuisce? E di quanto?
La riduzione delle tasse che colpiscono i redditi degli italiani che effetto produce? E un’iniezione di liquidità monetaria nel sistema bancario, ad opera delle autorità pubbliche, a quali scenari conduce?
Sono tutte domande che possono trovare una risposta grazie al modello economico liberamente scaricabile in questa pagina.
(http://www.studiamo.it/studiamo-file/Modello economico 6.xls)
Ci si può quindi divertire a cambiare i valori del modello legati agli strumenti di politica economica: spesa pubblica (G), aliquota fiscale (t) e quantità di moneta offerta (M). Ciò allo scopo di analizzare le conseguenze che le modifiche hanno sul:
• • •
Pil nazionale
livello generale dei prezzi (P) e quindi sull’inflazione disavanzo del bilancio pubblico
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Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Il modello è costruito sulla base della nota teoria IS-LM, ampiamente studiata ed utilizzata nei corsi di economia politica. Il grafico IS-LM ha il vantaggio di trovare il reddito di un paese ponendo in equilibrio simultaneamente il mercato dei beni e quello della moneta.
Dall’uguaglianza dei valori di equilibrio dei due mercati si ricava un’equazione conosciuta come domanda aggregata. E’ proprio tale retta della domanda aggregata la prima indicazione fornita dal modello economico, insieme al punto su di essa espressivo del Pil nazionale di equilibrio.
Inoltre, mediante l’inserimento del tasso di disoccupazione del sistema, il modello mostra anche il livello di produzione nazionale corrispondente al reddito di pieno impiego, evidenziando quindi il gap di Pil da colmare per raggiungere la piena occupazione delle risorse.
Variando le variabili di politica economica (G, t e M) è anche possibile elaborare una nuova domanda aggregata ed un nuovo punto di equilibrio sulla stessa, rappresentativi della nuova situazione economica così come modificatasi per effetto dell’intervento pubblico nel sistema.
Ricordiamo che la politica economica si concretizza sostanzialmente in due importanti strumenti a disposizione del governo:
• la politica fiscale, con la quale si cerca di raggiungere gli obiettivi di reddito, di inflazione e di disavanzo programmati attraverso modifiche dell’aliquota fiscale sui redditi (t) e/o del livello di spesa pubblica (G)
• la politica monetaria, con la quale si cerca di realizzare soprattutto il contenimento dei prezzi e quindi dell’inflazione variando la quantità di moneta offerta (M)
Scendendo nel dettaglio, l’equazione IS-LM utilizzata per il modello economico è questa:
Y* = a + e + g + G + [(M/P)(d + n)]/h
1 – b(1 – t) + m + (d + n)(k/h) dove
a
b
livello dei consumi autonomo, cioè indipendente dal reddito propensione al consumo rispetto al reddito
t
pressione fiscale)
aliquota fiscale sui redditi (in altre parole è il livello della
e livello di investimento autonomo, cioè indipendente dal tasso di interesse
d propensione agli investimenti rispetto al tasso di interesse g livello delle esportazioni nette (export – import) autonomo
m propensione alle esportazioni nette rispetto al reddito
n propensione alle esportazioni nette rispetto al tasso di interesse
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
k h
G
M euro)
propensione a detenere moneta rispetto al reddito propensione a detenere moneta rispetto al tasso di interesse
ammontare della spesa pubblica dello Stato (in miliardi di euro) offerta di moneta da parte delle autorità monetarie (in miliardi di
livello generale dei prezzi (da non inserire perché calcolato
P
automaticamente dal modello)
Y* reddito di equilibrio (o Pil, calcolato anch’esso automaticamente)
Inoltre servirà, ai fini del funzionamento del modello, l’inserimento dei seguenti dati:
td tasso di disoccupazione del sistema
i tasso di interesse generale (p.es. quello dei BOT a 1 anno oppure il tasso BCE)
Nel modello matematico
(presente alla pagina http://www.studiamo.it/studiamo-file/Modello economico 6(1).xls),
i precedenti dati numerici sono già inseriti, ma si possono liberamente cambiare in modo da configurare una diversa domanda aggregata di partenza.
I valori proposti sono in parte tratti dalle informazioni ufficiali di fonte ISTAT ed in parte scopiazzati dai vari libri di testo di economia politica. Hanno però il pregio di fornire un reddito (Pil) di equilibrio coincidente con quello attuale (inizio anno 2008) del nostro paese.
I suddetti parametri vanno inseriti nel primo foglio di lavoro del file excel, quello denominato “Dati economici e finanziari” (di colore azzurro).
Le celle di inserimento sono quelle di colore azzurro.
Si otterranno così i valori dei prezzi (P), del reddito di equilibrio (Y*) e del disavanzo pubblico (D).
Nello stesso foglio vanno anche inserite, se si vuole, le variazioni ad uno o più dei valori influenzanti la politica economica (G, t e M) per determinare una seconda retta di domanda aggregata, espressiva del nuovo scenario economico di sistema.
Anche in questo caso i dati sono già proposti, ma possono essere cambiati a piacimento.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
I valori inseriti (ma modificabili) evidenziano quella che sembra essere la recente politica economica del governo Berlusconi: giù le spese
pubbliche (G) e contenimento/riduzione delle imposte (t). Per la moneta (M) si è adottata la regola di politica monetaria della BCE (Banca Centrale Europea), per la quale l’offerta di liquidità deve aumentare di circa il 3/4% all’anno.
Una volta inseriti i dati è possibile vedere il grafico dello scenario economico di sistema andando al foglio di lavoro excel denominato “Grafico Domanda aggregata” (di colore rosso).
L’andamento del disavanzo pubblico conseguente le scelte di politica fiscale sono mostrate nel terzo foglio di lavoro del file excel: “Dinamica disavanzo pubblico (di colore verde).
Ricordiamo che le celle di inserimento sono quelle di colore azzurro.
Si raccomanda di non procedere a grosse variazioni dei parametri indicati (sia di sistema che riferiti alla politica economica) per non rendere inservibili i grafici. D’altro canto le variazioni apportate devono essere di entità verosimile e fintanto che tale circostanza viene rispettata il grafico dovrebbe rimanere “leggibile”.
Come sempre dichiariamo che abbiamo messo il nostro massimo impegno nella creazione del modello offerto gratuitamente a tutti i navigatori, tuttavia il suo fine resta pur sempre didattico e pertanto ci esoneriamo da qualsiasi responsabilità per gli eventuali danni derivanti dal suo uso.
CLASSIFCA DEI PRINCIPALI PIL MONDIALI 2010
paese pil in G€
usa russia taiwan
hong kong giappone
corea israele india
gran bretagna Svizzera
svezia spagna
14596
1996
529
267
5513
892 7201 157
1618 1971 370 437 962
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2050 Fuga dall’Italia
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serbia 105 romania 253 polonia 664
olanda 628
italia 1583 germania 3069 francia 2289
Danimarca 262 belgio 401 austria 314
cina 4221 canada 1320 brasile 1154
australia 832 46403
10673
Pedagogia sociale
In Italia, gli ultimi anni hanno visto un rapido proliferare di trattati per lo più sintetici, di Pedagogia Sociale e tutti rimandano alla prima formulazione della locuzione in lingua tedesca a fine dell’Ottocento, e ad ascendenti antichi, in particolare al pensiero Greco Classico.
In campo pedagogico, come d’altronde in larga parte delle Scienze Sociali, non si dispone di un apparato lessicale consolidato e comune a tutti gli studiosi e gli operatori.
Un importante contributo in tal senso è venuto dalla recente pubblicazione dell’Enciclopedia pedagogica (2). Ad avviso dello stesso Mauro Laeng, questo è già un’espressione di quella che diventerà una “teoria Standard in Pedagogia”(3).
In quella sede, era contenuta una prima voce curata da Salvatore Colonna: questi definiva la Pedagogia Sociale come “Lo studio dell’educazione come fatto sociale, nelle sue origini, nelle sue condizioni, nei suoi processi e nei suoi esiti.”(4) relativamente alle mille relazioni tra l’individuo-educando e il suo gruppo sociale, consapevoli o inconsapevoli che siano state la presenza e l’influenza di quelle relazioni sociali”.
A suo avviso, l’origine recente della disciplina andrebbe ascritta all’insegnante e pedagogista prussiano Friedrich Adolph Wilhelm
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Diesterweg (1790 – 1866) (5), seguace delle teoria del pedagogista romantico Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827) (6). Essa ha poi
ricevuto un impulso decisivo, nel 1899, anno di pubblicazione da parte di Paul Natorp (1854-1924) del saggioSozialpädagogik. Questa può considerarsi la data di fondazione come disciplina autonoma nell’ambito delle discipline pedagogiche: è stato da allora che le teorie sociologiche di Émile Durkheim (1858-1917), anche grazie ai contributi filosofici di Wilhelm Dilthey (1833-1911), sono entrate a far parte integrante degli Input per l’elaborazione pedagogica.
I due studiosi tedeschi sono, ovviamente, menzionati da vari autori di manuali d’oggi; ma, per lo più, non essi vanno oltre la semplice menzione.
Tra gli autori recenti, viene messo in evidenza il contributo di John Dewey (1859 – 1952), sul quale, sui cui allievi e seguaci, e sulle cui teorie e proposte avremo modo di tornare più volte.
Ma viene anche messo largamente in evidenza come le origini della Pedagogia Sociale, pur mancando sia il termine “pedagogia” che l’aggettivazione, risalgano alla Grecia Antica, alla πόλις, oovdro pòlis o città – stato e all’educazione ambientale dell’uomo e del cittadino, ed in particolare a Platone (427 – 347 a. C.).
Peraltro, in quell’enciclopedia vi era anche la voce “Società educante” scritta da Mario Mencarelli (7), uno dei precursori della disciplina fin dagli anni ’70: il rimando più essenziale è ad un’altra voce scritta dallo stesso Mencarelli, “Educazione permanente”(8), considerandosi la prospettiva strettamente connessa con un’educazione che riguardi tutta l’esistenza umana.
Più recentemente, Domenico Izzo ha definito la Pedagogia Sociale come la “disciplina che ha per oggetto il valore educativo dell’agire sociale”(9).
Va notato, peraltro, che la recente Enciclopedia delle Scienze Sociali (10) non riporta la voce “pedagogia” o simili, pur riportando la voce
“Educazione”(11). In realtà, l’autore parla anche di Pedagogia; va tenuto presente che non in tutte le lingue esiste l’equivalente di “Pedagogia” distinto dall’equivalente di “educazione”.
Piero Bertolini, in un’altra opera fondamentale di consultazione per chiunque si occupi di Pedagogia e relative professionalità, presenta una
posizione aggiornata, insistendo sulla distinzione dalla materia sociologica pur nella evidente contiguità: “Secondo una sua concezione più antica ma tuttora pienamente valida, l'espressione pedagogia sociale indicava soltanto la sottolineatura dell'importanza che nella problematica educativa hanno le determinazioni sociali di essa: importanza che per alcuni giustifica una perfetta coincidenza tra la pedagogia e la pedagogia sociale in quanto quest'ultima assorbe la prima. [...] È di questi ultimi anni una concezione per la quale la pedagogia sociale si precisa in quanto fa dei fenomeni sociali (dal tema dell'emarginazione a quello delle nuove povertà; da quello del rapporto mezzi di comunicazione di massa/ formazione dell'individuo a quello della mafia, ecc.) il suo specifico oggetto di indagine.”(12).
Pedagogia sociale nell’Italia degli anni Sessanta
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Studi di Pedagogia con specifico riferimento alla dimensione sociale, a volte anche riportanti specificamente la dizione “pedagogia sociale”, si sono intensificati in Italia a partire dagli anni ’60 e ‘70, anche se non mancano alcuni contributi significativi nel decennio precedente.
Tra questi vanno segnalati Aldo Agazzi, Giuseppe Flores d’Arcais, Mario Mencarelli, Gaetano Santomauro (13), come pedagogisti di ispirazione cattolica; e Giovanni Maria Bertin, Lamberto Borghi, Raffaele Laporta, Aldo Visalberghi (14) come pedagogisti di ispirazione laica: si tratta dei pedagogisti più autorevoli e prestigiosi del periodo, a testimoniare l’attenzione del meglio della Pedagogia italiana per questa dimensione della riflessione pedagogica che andava facendosi sempre più evidente nella sua necessità di indagine e quindi anche nella specificità di campo di studio e d’esercizio all’interno del sapere pedagogico.
E’ stato sensibile in entrambi gli schieramenti, e soprattutto nel secondo, l’influenza di John Dewey.
Tra coloro che seguitarono il discorso nei decenni seguenti, riprendendolo da una prospettiva più ampia, segnaliamo Luisa Santelli Beccegato (15), Antonino Mangano (16) e, come si è detto, Mario Mencarelli con le sue ricerche sull’educazione permanente (17).
Le dottrine pedagogico-sociali moderne
Negli ultimissimi anni, si è avuta la pubblicazione di una serie di trattati specificamente dedicati alla Pedagogia Sociale.
Alcuni di essi ci faranno da riferimento costante per il corso. Al termine di questa lezione, comunque, daremo una bibliografia più ampia
Secondo Giuditta Alessandrini “L’aggettivo “sociale” che accompagna la parola “pedagogia” indica che l’oggetto della “riflessione disciplinare” è la società nella sua interezza, come le sue dinamiche, i suoi paradossi e le sue tensioni irrisolte. [...] non tanto la società in quanto tale ma le interazioni tra il tema della ”educabilità” dell’individuo e le dimensioni che caratterizzano il “sociale”. [...] Possiamo dunque provvisoriamente definire questa disciplina come lo studio dell’educazione come fatto sociale, nelle sue origini, nelle sue condizioni, nei suoi processi e nei suoi esiti.”(18)
E’ interessante anche il discorso che viene condotto in proposito da Sergio Tramma (19).
Egli premette che “All’interno della Pedagogia generale, “luogo teoretico dell’agire educativo”, che si configura sempre più come pedagogia del
corso della vita, si assiste a un progressivo delinearsi di aree e problematiche specifiche che si presentano come addensanti di riflessione in perenne movimento, non separabili da confini netti, più che come comparti separati da cui possono derivare riduzioni disciplinari indipendenti le une dalle altre.
E’ stato importante, per esempio, il caso della pedagogia speciale in passato e, più recentemente per quanto riguarda il nostro Paese, della “pedagogia interculturale”.
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Su questa base, egli lascia emergere implicitamente una sorta di pre- definizione, o di una condizione che è parte di una possibile definizione
implicita, osservando che “Oggi, è necessario accentuare la riflessione rispetto alla socializzazione extrascolastica in tutta la sua svariata fenomenologia, ma la ripresa d’interesse nei confronti dell’extrascolastico e dell’extrafamiliare non garantisce di per sé la possibilità di delineare con precisione degli specifici ambiti di riflessione. L’ambito della pedagogia sociale non gode di univoca interpretazione per quanto attiene la def inizione del campo di ricerca e dei settori di intervento.”(20).
Luisa Santelli Beccegato, dopo aver preso in rassegna taluni contributi immediatamente precedenti, e premesso che “risulta evidente come al centro dell’attenzione ci sia sempre il rapporto tra esigenze educative e dinamiche sociali”(21), ha riproposto in anni vicini una sua definizione già resa in un’opera precedente: “Progettazione critica-teorica e pratico- operativa delle dimensioni sociali dell’educazione [e] analisi scientifica dei processi e dei modelli educativi coinvolti nel sistema sociale.”(22).
Un saldo riferimento filosofico, ed anzi un richiamo ad una possibile origine filosofica della Pedagogia Sociale, informa anche la recente opera di Anita Gramigna (23). Dopo aver premesso, con tutte le riserve, che “l’elemento della militanza forse rappresenta il momento discriminante di questa disciplina nei confronti delle altre scienze dell’educazione”, essa osserva che “di conseguenza lo statuto ha a che vedere con queste complesse relazioni interdisciplinari, ma anche con lo sfondo sociale sul quale si colloca il fenomeno educativo”.
L’attenzione per l’Autrice va sulle opzioni metodologiche che divengono specifiche di questa scienza pedagogica: “Un possibile orizzonte epistemologico della Pedagogia Sociale ci viene dall’epistemologia della complessità. [....] una prospettiva pedagogico-sociale prevede strutturalmente una metodologia sistemico – relazionale” che supera le prospettive di annichilazione della Pedagogia Nella Filosofia che erano presenti in talune concezioni del passato non remoto, in particolare nel Neo-idealismo di Benedetto Croce (1866 – 1952) e soprattutto di Giovanni Gentile (1875 – 1944), che ha dominato la cultura italiana nel periodo tra le due Guerre Mondiali e ha tenuto lontana la cultura italiana dalle evoluzioni cui andava incontro nel frattempo la Pedagogia internazionale.Pragmatismo-Strumentalismo
Come abbiamo già osservato, tutti coloro che trattano comunque di Pedagogia Sociale si trovano nella necessità di dare un rilievo notevole, tra gli autori dell’ultimo secolo o poco più, a John Dewey: anche quegli autori che non seguono teorie filosofiche o pedagogiche che, in loro stesse, potrebbe essere definite pragmatiste per diversi motivi.
Il primo motivo sta nel fatto che la teoria filosofica e metodologica pragmatista, e quella pedagogica di Dewey che si chiama più propriamente “Strumentalismo”, sono state a fondamento per quel grande fenomeno di innovazione che ha avuto luogo in Occidente nei primi decenni del secolo XX, e che va sotto il nome di “Attivismo pedagogico”, e per certi aspetti anche di “Movimento delle scuole nuove”(24).
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I tre piani sperimentali e l’Educazione
Progressiva
Negli USA, in particolare, ne deriveranno parecchi ordini di ricerca ed innovazione, tra i quali spiccano tre “piani” o progetti sperimentali che hanno avuto una rilevanza storica particolare:
• Il Metodo dei progetti (William Heard Kilpatrick, 1871 – 1965), che tendeva ad integrare a scuola le due esigenze di socialità e di individualizzazione mediante la stesura per ciascun allievo di un proprio piano di lavoro scelto liberamente, per lavorare a progetti di contenuto trasversale rispetto alle tradizionali ripartizioni in materie d’insegnamento, assieme a tutta la scolaresca: progetti di apprendimento, progetti di produzione, progetti di utilizzazione, progetti di ricerca.
• Il Piano Dalton (Helen Parkhurst, 1887 – 1954) che affida a ciascun alunno la responsabilità del proprio sapere mediante la stipula di un contratto con gli insegnanti delle varie materie che comporta un certo numero (venti) di unità lavorative all’anno, secondo previsioni che comportano un controllo individuale ed uno collettivo. Il rischio di un eccessivo individualismo è correttomi mediante la previsione di ulteriori attività in comuni, associative, di squadra, di gruppo.
• Il Piano di Winnetka (Carleton Wolsesy Washburne, 1889 – 1968) prevedeva scelte di materie prevalentemente di scienze sociali, da trattarsi in unità di lavoro tra loro collegate. Sono previsti quaderni di lavoro e quaderni di autocontrollo, e solo dopo viene il controllo dell’insegnante. Anche qui sono previste attività di socializzazione per temperare l’individualizzazione: con la differenza che si trattava di attività facenti parte del programma scolastico e non integrative
Lo schema delle tre sperimentazioni certamente sintetico e carente, e non rende un’immagine adeguata della grande varietà innovativa che le
ha caratterizzate. Tuttavia, è possibile coglierne alcuni aspetti comuni, che gettano luce sia sulla teoria pragmatista – strumentalista che sulla potente corrente di rinnovamento della Pedagogia scolastica nei primi del Novecento tra gli USA e alcuni stati dell’Europa Occidentale: un equilibrio tra attenzione per il soggetto e socialità, il superamento delle compartimentazioni del sapere in materie e discipline, una flessibilità di tempi e di metodi temperata da una previsione di obiettivi riscontrabili e controllabili, l’integrazione di attività diverse, la partecipazione democratica dell’alunno alle decisioni, e via elencando.
Questa proposta educativa, soprattutto negli scritti di Wasburne, prendeva in nome di “Educazione progressiva”. Così è stata resa nota anche in Italia al grande pubblico solo nel secondo dopoguerra, come del resto il Pragmatismo, lo Strumentalismo e lo stesso Attivismo.
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Il secondo motivo del particolare interesse che riveste per noi la teoria pragmatista-strumentalista sta nel fatto che essa costituisce oggi la teoria
di riferimento per le professionalità sociali ed educati, soprattutto nella sua riformulazione come “Neo-pragmatismo”, cui esso è andato incontro degli ultimi decenni.
Specialmente in questo contesto, l’educazione è intesa sempre come atto sociale in senso stretto: tanto, che quando ad esempio si dice “io educo
X” od “egli educa X”, sia in contesto familiare che in contesto scolastico che in qualunque altro contesto, si deve sempre intendere l’impersonale “si educa X”, oppure la prima persona plurale all’inglese “noi educhiamo X” (cioè “We educate someone”). E’ sempre la società che educa, anche quando si esprime nel contesto familiare che è un contesto sociale.
L’approccio personalista
Un riferimento saldo alla matrice pragmatista è comune a gran parte della Pedagogia laica che si è sviluppata in Italia nel secondo dopoguerra, ma non è stato estraneo alla Pedagogia di ispirazione cattolica.
Viceversa, la Pedagogia cattolica ha avuto un’ispirazione saldamente rifacentesi al Personalismo (25), anche se ad esso vanno facendo un’ispirazione crescente anche i pedagogisti laici.
“Persona” ed “individuo” in Pedagogia
« Persona » è un termine « tecnico » fondamentale, in Pedagogia come nelle Scienze della Cultura. Esso viene spesso contrapposto all’altro termine tecnico, individuo: e la contrapposizione è corretta come l’alternativa è esclusiva dal punto di vista metodologico.
Il termine individuo designa un elemento di un dominio (insieme, popolazione, campione, ...) sul quale si possono effettuare considerazioni operazionali globali e statistiche; l’individuo, in quanto tale indifferenziato, privo di qualunque altra caratteristica peculiare che non sia l’appartenenza a tale dominio, e a tale dominio non reca altro che ciò che è statisticamente e operazionalmente rilevabile: Mentre invece il termine persona designa un soggetto preciso, differenziato, irripetibile, che fa caso a sé senza che questo precluda alcunché sul piano della riconducibilità a casi e teorie generali.
Rivolgersi alla persona significa, tra l’altro, intendere l’uomo come soggetto di storia e di cultura, come sede di valori (i quali non vanno quindi considerati come estrinseci), e come nodo di comunicazione interpersonale complessa. Come scriveva Emmanuel Mounier (1905-1950), “Il personalismo si distingue rigorosamente
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persona.”(26).
L’origine e gli sviluppi del termine « Persona »
L’origine del termine è latina, e certi equivoci fin troppo semplicistici nel merito non sono gran che fondati neppure in un discorso puramente etimologico (27). Esso è entrato nella Filosofia e nelle discipline dell’uomo nel secolo scorso: ha avuto un successo maggiore nell’ambito della Filosofia e della Pedagogia cattoliche, ma da tempo è all’attenzione di pedagogisti laici: e del resto, Mounier stesso ne individuava le radici in Socrate, Kant, Leibniz, Pascal. D’altra parte, il neo criticista Charles Renouvier (1815-1903) faceva ricorso a Kant in una difficile mediazione di contributi differenti, che spaziavano dallo Spiritualismo all’Illuminismo.
Il concetto di persona non è antico, e può anche considerarsi un’interpretazione molto traslata il volerlo leggere in taluni concetti greco-classici: l’identificazione con l’ipostasi è successiva. Furono le controversie teologiche dei primi secoli della Chiesa a consentirne l’impiego filosofico sul quale si inserisce oggi quello attuale come termine tecnico pedagogico. E’ di intuibile attualità la definizione di Giovanni Damasceno (675-750 circa), secondo la quale “persona [πρόσωπόν pròsopòn] è ciò che, esprimendo sé stesso per mezzo delle sue operazioni e proprietà, porge di sé una manifestazione che lo distingue dagli altri della sua stessa natura.” (1)
In certi momenti la contrapposizione terminologica persona-individuo in Pedagogia può essersi ammantata di mentite spoglie ideologiche: ma un simile groviglio di equivoci non sembra avere fondamento scientifico.
Anche un cattolico od uno spiritualista possono tranquillamente impiegare correttamente e rigorosamente il termine individuo quando affrontino problemi pedagogici (o psicologici, sociologici, antropologici, ...) di carattere globale relativi alle popolazioni. Ad esempio in certe ricerche di quella che si chiama “Psicologia sperimentale”(28). Oppure, nei discorsi sulle teorie dell’evoluzione, i quali hanno senso scientifico solo se vengono fatti in termini di specie, i cui elementi si chiamano appunto individui. Tutto ciò non ha alcunché da pregiudicare al fatto che questi individui siano anche, ed essenzialmente, qualche cosa di più: solo che questo “di più” non può emergere in tali contesti di studio.
Viceversa, si può capire che l’impiego esclusivo del termine individuo possa essere anche una scorciatoia per discorsi che tendano o al privilegio di un singolo in quanto tale (e che non si qualifica per la sua valorialità e per la sua relazionalità) o ad uno sciogliersi ed annichilirsi
1 Equivalente in greco a « Maschera »(n.d.r.)
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del singolo uomo entro entità superiori, come le classi sociali o lo stato etico: in contesti, ad esempio, liberisti od Hegeliani. Rimane poi da vedere se qualche cosa possa rimanere di una simile visione dell’uomo (29) che abbia del “senso”(30) pedagogico al giorno d’oggi.
“Persona” è termine tecnico?
Il termine “persona”, che in greco significa « maschera », è da considerarsi « termine tecnico » della Pedagogia Generale come della Pedagogia Sociale, ad indicare il soggetto come portatore di valori, di dignità, di irriducibilità in sé, e come soggetto culturale, relazionale, politico, sociale. A questo secondo aspetto dobbiamo richiamare l’attenzione in modo particolare. 2
Come opportunamente cita Giuditta Alessandrini, “Il fanciullo è un soggetto non una res societatis o una res ecclesiae, ma non è neppure un soggetto puro o un soggetto isolato. Inserito in collettività, egli si forma per mezzo di esse in esse...”(31).
Anche in questo contesto, che è differente per molti versi da quello che si richiama comunque al Pragmatismo, potremmo dunque affermare che tutta la Pedagogia è Pedagogia Sociale.
L’estendersi dell’educazione istituzionalizzata (ovvero, una ragione in più)
Una parte dell’educazione che si è fatta sempre più rilevante negli ultimi secoli è quella che la società stessa intende istituzionalizzare: è a questo fine che essa ha istituito la scuola, indipendentemente dal fatto se essa è costruita e gestita dallo stato (cioè dall’organizzazione della società) oppure no. La scuola, soprattutto nella visione pragmatista – strumentalista, è educazione istituzionalizzata: è quella parte dell’educazione che la società istituzionalizza.
Si comprende che, rispetto al tempo nel quale i Pragmatisti fondarono la loro teoria filosofica, sociologica e pedagogica (fine ‘800), sono state
fondate e si sono diffuse anche altre istituzioni sociali con funzioni educative, oltre alla scuola: si pensi, solo per portare gli esempi più immediatamente evidenti:
• agli Asili Nido o, più semplicemente, ai “Nidi” e alle altre istituzioni educative per l’infanzia;
• ai centri estivi o pomeridiani, od istituzioni analoghe, per le età dello sviluppo;
• alla formazione professionale continua;
• ai vari centri per gli anziani;
e via esponendo un elenco che si fa sempre più lungo.
2 N.d.r.
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Fin qui, dunque, tutta l’educazione è considerata sociale dal punto di vista pedagogico, e quindi non vi è modo di distinguere una Pedagogia
Sociale (una riflessione sull’educazione da riferirsi in qualche modo organicamente ad un contesto sociale) da una Pedagogia generale (una riflessione sull’educazione).
Un possibile approccio specifico alla Pedagogia Sociale
Presentazione
Quanto abbiamo incontrato finora contribuisce fattivamente a rispondere alla domanda, in sé complessa, di che cosa sia la Pedagogia Sociale.
Tuttavia, ancora non ci consente di delineare con sufficiente nitidezza lo specifico della Pedagogia Sociale, la quale anzi, finora, abbiamo visto come rischi di sciogliersi all’interno della Pedagogia Generale, potendosi predicare all’una tutto quanto si può predicare all’altra.
Quella che segue è solo una metafora, nient’altro. E’ un po’ come nella teoria degli insiemi: si tratterebbe di un sottoinsieme, e questo potrebbe anche andare, ma dai contorni a volte assai labili.
Vedremo più avanti come le demarcazioni tra saperi vadano operata per metodi, piuttosto che non per oggetti di studio. Così è per la distinzione tra il sapere “scientifico”, ad esempio, e quello che scientifico non è; o per il sapere (propriamente) tecnico, o per il sapere filosofico, o per quello letterario, o per quello scientifico formale (logico e matematico), e via elencando. E’ il metodo secondo il quale si esercita in ciascun campo la creatività umana a consentire le demarcazioni, e di conseguenza le attribuzioni a ciascun campo del sapere umano le sue specifiche prerogative.
Qui, però, si tratta di operare qualcos’altro, essenzialmente differente: si tratta di introdurre una distinzione all’interno di un sapere complessivo, quello pedagogico.
La Pedagogia Sociale fa parte delle Scienze Pedagogiche. Noi la studiamo come una delle scienze che costituiscono la cultura per una futura categoria di professionisti. Siamo più, quindi, nelle distinzioni tra l’Ingegnere Chimico, e l’Ingegnere Civile (o Meccanico, od Elettronico, ...) che non alle distinzioni tra un Ingegnere Chimico, un Fisico-Chimico, un Chimico Industriale. un Chimico Farmaceutico, un Chimico – Tecnologo Farmaceutico.
Ciò che dobbiamo fare è, di conseguenza, presupporre una sostanziale comunanza di metodi, e semmai individuare uno specifico campo di
indagine, di riflessione, di speculazione, di esercizio professionale, per la Pedagogia Sociale (o del Pedagogista Sociale, se si preferisce) rispetto ad altre Scienze Pedagogiche (ad altri Pedagogisti).
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La Pedagogia Sociale: verso le specificità
Una demarcazione di campo
Tutto ciò premesso, è possibile operare un distinzione di principio, che pure può non avere dei contorni altrettanto netti all’atto pratico.
E’ necessario, a tal fine, operare una distinzione tra le sedi di educazione, tra i luoghi nei quali si educa, appunto.
Si tratta di osservare, prima di tutto, che
• vi sono delle sedi che sono istituzionalizzate per l’educazione, come la scuola complessivamente intesa ed appunto i Nidi e le altre istituzioni educative per l’infanzia, i centri estivi o pomeridiani per le età dello sviluppo, la formazione professionale continua, i centri per gli anziani, e via elencando; Il che significa che vi è una Pedagogia Istituzionale, che è Pedagogia della Scuola, della Formazione Professionale, delle Istituzioni Educative per l’Infanzia, e d’altro analogo:
• e vi sono delle sedi che, pur avendo una valenza e una funzione educativa essenziale e magari irrinunciabile, non sono istituzionalizzate in quanto educative ma sono educative in quanto sociali e relazionali, come la famiglia, o i centri di aggregazione sociale, anche informali. Il che significa che vi è una Pedagogia Sociale, che è Pedagogia della Famiglia, dell’Associazionismo, dello Sport, del Lavoro e via elencando
Appartengono a questo secondo gruppo tutte le istituzioni che hanno funzioni essenzialmente familiari, come ad esempio i convitti o le comunità d’accoglienza, terapeutiche e per soggetti necessitanti di aiuto particolare (ad esempio perché oggetto di violenza reale o possibile, oppure per indigenza o deficit fisici o psichici), e tutte le sedi ed istituzioni che hanno funzioni essenzialmente socio – ambientali, come ad esempio i centri sociali e civici, l’associazionismo, i sodalizi culturali, lo Sport variamente organizzato e praticato, e via elencando.
L’inapplicabilità del termine “extra-scuola” e derivati...
Precisiamo fin d’ora la nostra scelta determinata di non impiegare il termine “extra-scuola” od “extra scuola” e derivati, che pure si trovava
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nella letteratura pedagogica di alcuni anni fa, e fa segnare qualche
persistenza ancor oggi.
Abbiamo ragioni di considerarlo obsoleto e inapplicabile alla realtà attuale: né per quanto riguarda le sedi educative istituzionalizzate in quanto tali che non siano “scuola” propriamente detta (che è parte della lettera a.), né per quanto riguarda le sedi educative in quanto sociali e relazionali (di cui alla lettera b.).
Quel termine composto aveva invece un senso quando l’istituzionalizzazione dell’educazione stava solo o quasi solo nella scuola, ed anche quasi tutte le competenze pedagogiche finivano per essere applicate alla scuola.
Ciò premesso, e seguendo anche gli orientamenti che sembrano emergere dai diversi autori, osserviamo come dalla distinzione testé operata (che è chiara ed univoca) discende la possibilità di parlare della Pedagogia Sociale evitando fin dal principio discorsi scontati in quanto generici, e senza rinviare alla fin fine alla definizione stessa della Pedagogia Generale, o alla gran parte dei suoi contenuti.
... e la successione ad esso
La Pedagogia Sociale prende l’eredità di ciò che poteva essere la Pedagogia Generale riferita allo specifico dei problemi dell’extra-scuola in altri tempi: tempi che non sono lontani cronologicamente. Ma costituisce un dominio enormemente più ampio e dalle prospettive di ampliamento enormi e fertilissime.
In un cero senso, e in una prima istanza, si potrebbe dire che essa è la continuazione di una Pedagogia esplicata su tale composito campo dio studio, di ricerca e di esercizio. Tuttavia, piuttosto che non la continuazione, la Pedagogia Sociale per noi ne è ne è l’erede e il prosecutore. Un successore, che ha portato a dimensioni nuove ed enormemente superiori la portata.
La Pedagogia Sociale, rispetto alla Pedagogia scolastica, è raffrontabile più Alessandro Magno rispetto al padre Filippo, che non al successore di un qualsiasi re in una dinastia; più alla repubblica di Roma Antica rispetto alla Roma dei sette Re. O, se si preferisce, più alla Costituzione Italiana rispetto allo Statuto Albertino, più al Commonwealth Britannico rispetto all’Impero Britannico, più alla CEE rispetto al MEC, più al PC rispetto ai regoli calcolatori, alle tavole dei logaritmi, alle calcolatrici meccaniche.
Vediamo, quindi, di tirare le somme, in chiusura di queste due lezioni preliminari: una chiusura che ci deve dare una chiara delineazione di come tratteremo la Pedagogia Sociale in questo corso.
Intenderemo in questo corso per “Pedagogia Sociale” quella disciplina o scienza pedagogica, o quella parte della Pedagogia Generale, che si occupa dell’educazione non istituzionalizzata in quanto tale.
In altre parole, la Pedagogia Sociale avrà sede per noi in tutti quei luoghi che sono educativi in quanto sociali, e non viceversa: la famiglia e, prima, la coppia; le aggregazioni sociali; e quelle entità che prendono variamente il luogo in tutto od in parte dell’una o delle altre.
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Si capisce che non tutti accettano questa suddivisione: vedremo più avanti come, ad esempio, Giuditta Alessandrini consideri il proprium
della Pedagogia Sociale proprio la Formazione (32). Ovviamente, rimane da vedere all’interno del mondo della formazione quanto sia, a sua volta, istituzionalizzato come educazione, e quanto no: il che permetterebbe di applicare la nostra distinzione anche in questo ambito.
Ciò. tra gli altri, è diventato un “grande tema” di evidente rilevanza. Rimarrebbe il problema del definire la Pedagogia: non tanto come definizione generale, per la quale rimandiamo al programma di altri corsi; bensì della Pedagogia come campo d’esercizio professionale, come base e terreno di espletamento di specifiche professionalità, le quali sono a loro volta di interesse sociale, e di interesse per la Pedagogia Sociale così come l’abbiamo testé delineata.
Lo stesso Tramma esordisce nel suo trattato specifico proprio cercando di definire l’educazione e la Pedagogia (33). Diciamo che abbiamo una differenziazione da operare rispetto al presupporre la delineazione dell’educazione come prassi e la Pedagogia come teoria (secondo qualcuno, sarebbe impiegabile addirittura il termine filosofico, “teoretica”) per la definizione da lui data.
La differenziazione, l’integrazione, necessaria, è resa evidente proprio dall’emergere delle professioni di cultura pedagogica. Lo vedremo più avanti: qui basterà anticipare che, per noi, è necessario presupporre un terzo piano, di mediazione reciproca e nei due versi tra il piano della teoria e il piano della Prassi, come piano d’esercizio per le professioni di cultura pedagogica più elevate. Si tratta del piano che chiameremo “piano dell’applicatività”.
Il discorso richiederà in altra sede un approfondimento tematico, in ordine all’applicatività, all’esercizio professionale, alla casistica e a tutto quanto può rendere il senso della Pedagogia Sociale in termini di professione (34).
Si tratta di un campo di studio aperto, e in rapida evoluzione.
NOTE
(1) Segnaliamo fin d’ora, a titolo di esempio, alcuni termini “tecnici” dei quali daremo delle definizioni precise: “persona”, “problema”, famiglia “nucleare”, “rispettabilità”, “branco”, “moderno”. Questo sia perché presso altri autori vi possono essere impieghi ed accezioni diverse, sia perché gli stessi termini hanno un significato diverso nel linguaggio comune.
(2) In 6 volumi diretta da Mauro Laeng (Editrice La Scuola, Brescia 1989-1994). Più un volume di Appendice A-Z 2003.
(3) Egli ha avanzato una proposta in tal senso al XXI Congresso Nazionale dell’Associazione Pedagogica italiana (Padova, 5-7 dicembre 1996), che è l’Associazione culturale che raggruppa pedagogisti accademici, pedagogisti scolastici di tutti i gradi di scuola e pedagogisti del cosiddetto
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“extra-scuola” (cfr. “Bollettino dell’As.Pe.I.” fasc. 97/98, pag. 4, ottobre 1996 – marzo 1997). Qualche elemento in tal senso si trova nel suo scritto “Teoria pedagogica standard e personalismo” in Spirito e forma di una nuova Paideia (Agorà edizioni, La Spezia 1999), pag. 243 – 249.
(4) VI volume (1994), colonne 10 798 – 10 807.
(5) La voce che riguarda questo autore, poco noto in Italia, e nel II volume dell’opera citata (1992), alle colonne 3 823 – 3 827. Ne è autore Werner Sacher.
(6) A “Giovanni Enrico Pestalozzi e le origini della scuola elementare”
dedicato il Capitolo Secondo del volume 3 di Filosof ia e Pedagogia dalle
origini ad oggi di Giovanni Reale, Dario Antiseri e Mauro Laeng (Editrice 22
La Scuola, Brescia 2002 ), pag. 33 – 44. che contiene anche qualche ulteriore riferimento alla Pedagogia svizzera e ad altre istituzioni
educative.
(7) Enciclopedia pedagogica, citata, colonne 10 831 – 10 836.
(8) Opera citata, V volume (1992), colonne 8 932 – 8 941.
(9) Appendice A-Z dell’opera citata, colonne 1 121 – 1 122.
(10) In VII Volumi; Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991-1998. Non c’è neppure, ad esempio, la voce “Formazione”.
(11) Volume III (1993), pag. 448-461. L’autore è lo svedese Torsten Husen. Si tratta del coautore, assieme a Neville Postlethwaite, di The international Enciclopedia of Education in 10 volumi (Pergamon Press, Oxford 1986).
(12) Voce “Pedagogia sociale” in Dizionario di Pedagogia e Scienze dell’Educazione (Zanichelli, Bologna 1996), pag. 416 – 417.
(13) Autori Vari: Educazione e società nel mondo contemporaneo (La Scuola, Brescia 1965). Aldo Agazzi: Problematiche attuali della Pedagogia e lineamenti di pedagogia sociale (La Scuola, Brescia 1968). Gaetano Santomauro: Pedagogia in situazione (La Scuola, Brescia 1967).
(14) Giovanni Maria Bertin: Educazione alla socialità (Armando Armando editore, Roma 1964). Lamberto Borghi: Pedagogia e sviluppo sociale (La Nuova Italia, Scandicci – FI 1962); Scuola e comunità (La Nuova Italia, Scandicci – FI 1964). Raffaele Laporta: Educazione e libertà in una società in progresso (La Nuova Italia, Scandicci – FI 1965). In questa nota, come nella precedente, si tratta, ovviamente, di opere altamente rappresentative di un panorama assai più ricco ed articolato.
(15) Il diritto all’educazione (La Scuola, Brescia 1975). Pedagogia sociale e ricerca interdisciplinare (Editrice La Scuola, Brescia 1979).
(16) Problemi e prospettive della pedagogia sociale (Bulzoni, Roma 1989) (17) Lineamenti storici e teorici dell’educazione permanente (Studium,
Roma 1976).
(18) Pedagogia sociale (Carocci editore, Roma 2003), pag. 17-18. Si
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comprende che queste righe vanno lette entro il contesto più ampio di un approccio ancora problematico, aperto, di ricerca, relativo ad una disciplina comunque in forte divenire.
(19) Pedagogia sociale (Angelo Guerini & Associati, Milano 1999), particolarmente al § 1.4 “La pedagogia sociale come scoperta, invenzione, organizzazione”, pag. 22 – 28. Rimandi diretti di qualche interesse nello specifico vi sono all’opera di Anna Maria Mariani Educazione informale tra adulti (Edizioni UNICOPLI, Milano 1998), e al fondamentale manuale a cura di Riccardo MassaIstituzioni di Pedagogia e Scienze dell’Educazione (Gius. Laterza & Figli, Roma-Bari 2000), al quale faremo riferimento più volte e a vario titolo. Altre opere vengono richiamate o citate nello stesso paragrafo, per cui si rimanda alla ricca bibliografia specifica per approfondimenti.
(20) Opera citata, pagine 22 – 23. Anche queste brevi righe vanno lette nel contesto di un discorso più ampio.
(21) Pedagogia Sociale (Editrice La Scuola, Brescia 2001), pag. 13.
(22) Ibidem. Tratta dal testo della stessa Autrice Pedagogia sociale e ricerca interdisciplinare, citata, pagina 19. Si noti la data di questo primo testo: a quei tempi, la normativa accademica non prevedeva neppure un raggruppamento scientifico-disciplinare che richiamasse nella sua denominazione la Pedagogia Sociale.
(23) Manuale di Pedagogia Sociale (Armando Armando editore, Roma 2003).
(24) A “Lo strumentalismo di John Dewey” è dedicato il capitolo quindicesimo di Filosofia e Pedagogia dalle origini ad oggi, citata, volume 3, pag. 347 – 359. Gli sviluppi novecenteschi, come allievi di Dewey e Educazione Progressiva, come Attivismo pedagogico, come Scuole Nuove e ad altri titoli vanno ricercati nella Parte quindicesima “L’educazione oggi” che va da pagina 631 alla fine del volume (pag. 805), per non dire delle parti terminali, sinottiche, bibliografiche e d’appendice a vario titolo.
(25) A “Il Personalismo è dedicato il capitolo venticinquesimo del volume 3 di Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi (editrice La Scuola,
1 22
Brescia, 1985 , edizione ampliata e aggiornata 2002 ) di Giovanni Reale e Dario Antiseri, pag. 567 – 580. Una trattazione più specifica è alle pagine 495 – 504 del volume 3 di Filosofia e Pedagogia dalle origini ad oggi, citata.
(26) Nota aggiunta al Vocabulaire technique et critique de la Philosophie a cura di André Lalande (Alcan, Paris 1926); edizione italiana: Dizionario
3
critico di f ilosof ia (ISEDI, Milano 1980 ), pag. 631.
(27) Il termine, nella sua origine etrusca φερσυ fersu, designa primariamente la maschera dell’attore, già essa comunque regolata suoi caratteri che l’attore doveva rappresentare con essa. Tuttavia, le accezioni metonimiche, traslate e derivate che riguardano carattere e
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personalità, parti e ruoli, gradi stati e condizioni, e quant’altro di analogo, erano già chiaramente presenti e ben documentate ancora nell’età classica.
(28) Questa Pedagogia è certamente empirica, ma non necessariamente sperimentale: la dizione è metodologica.
(29) Questo tipo di “visioni” che non vengono prima dell’esperienza, ma che possono anche essere frutto di esperienza, si designano con il
termine tecnico “Anschauungen”, plurale diAnschauung. Una tale visione dell’uomo, cioè dell’essere uomo, dell’umanità, si chiama, con termine composto, Menschheitanschauung.
(30) Anche in questo caso, piuttosto che non di “senso”, si parla di “Sinn”, che è termine tecnico avente un significato non esattamente sovrapponibile a quello della sua traduzione italiana più comune.
(31) Pedagogia sociale, citata, pag. 31. La citazione è tratta dall’opera di Mounier in edizione italiana Il personalismo (AVE, Roma 1964), a pagina 162.
(32) § 1.5, pag. 29 – 30.
(33) § 1.1 “La necessità di una definizione”, opera citata, pag. 8 – 11.
(34) Per chi volesse averne un’idea fin d’ora, suggeriamo di consultare innanzitutto il citato volume Pedagogia della vita quotidiana, nella cui parte III, di gran lunga la più cospicua (pag. 171 – 369), viene trattata una ampia e dettagliata casistica centrata su problemi di famiglia, coppia Partnership, genitorialità. Il discorso prosegue, per ora, ne Il Pedagogista 2007 e ne Un Pedagogista nel poliambulatorio – Casi clinici (Aracne, Roma 2007 e 2008).
Letture consigliate
• Giuditta Alessandrini: Pedagogia sociale. Carocci editore, Roma 2003.
• Piero Bertolini, La responsabilità educativa, Segnalibro, Torino 1996.
• Franco Blezza: Pedagogia della vita quotidiana. Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2001.
• Franco Blezza: La Pedagogia sociale – Che cos’è, di che cosa si occupa, quali strumenti impiega. Liguori, Napoli 2010 seconda edizione riveduta.
• John Dewey: Democrazia ed educazione: La Nuova Italia, Scandicci-FI 1949. Nuova edizione italiana, con il commento di Alberto Granese, 1992. Edizione originale: Democracy and Education
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman (1916).
• Remo Fornaca: Storia della Pedagogia (La Nuova Italia, Scandicci-FI 1991). In particolare il capitolo VII, § 1 (pag. 211 – 216) e § 6 (pag. 225 – 227).
• Anita Gramigna: Manuale di Pedagogia Sociale. Armando Armando editore, Roma 2003.
• Maria Luisa Iavarone, Vincenzo Sarracino, Maura Striano (a cura di): Questioni di pedagogia sociale. Franco Angeli, Milano 2000.
• Emmanuel Mounier: Il personalismo (A.V.E., Roma 1964). Edizione originale Le personnalisme (1903).
• Giovanni Reale, Dario Antiseri, Mauro Laeng Filosof ia e Pedagogia dalle origini ad oggi volume 3 (Editrice La Scuola, Brescia
1 14
1986 2000 ), capitoli quattordicesimo ”Il Pragmatismo” (pag. 336 – 346), quindicesimo “Lo strumentalismo di John Dewey” (pag. 347-360) e venticinquesimo “Il personalismo” (pag. 495 – 504). Più la parte quindicesima “L’educazione oggi”, passim.
• Luisa Santelli Beccegato, Pedagogia sociale. Editrice La Scuola, Brescia 2001.
• Vincenzo Sarracino, Maura Striano (a cura di): La pedagogia sociale - Prospettive di indagine. ETS, Pisa 2001.
• Maura Striano: Introduzione alla pedagogia sociale. Laterza, Roma-Bari 2004.
• Sergio Tramma: Pedagogia sociale. Angelo Guerini & Associati, Milano 1999.
• Renzo Tassi: Itinerari pedagogici del Novecento. Zanichelli, Bologna 1991. In particolare pag. 287 – 336.
• Claudio Volpi: Crisi dell’educazione e pedagogia sociale. Lisciani e Zampetti, Teramo 1978.
Tratto da un inedito regolarmente depositato.
Per approfondimenti e sviluppi, vedi La pedagogia sociale di Franco Blezza (Liguori, Napoli 2010). Per le applicazioni professionali, si vedano le opere citate al termine.
Copyright Franco Blezza 2009. Non riproducibile senza esplicita autorizzazione dell’autore.
Testi di Franco Blezza
• Blezza Franco, La pedagogia sociale. Che cos'è, di che cosa si occupa, quali strumenti impiega, 2005, Liguori (versione aggiornata è qui: www.liguori.it/schedanew.asp?isbn=3813)
• Blezza Franco, Pedagogia della prevenzione, 2009, Centro Scientifico
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• Blezza Franco, Un pedagogista nel poliambulatorio. Casi
clinici, 2008, Aracne
• Blezza Franco, Educazione XXI secolo, 2007, Pellegrini
• Blezza Franco, Il pedagogista 2007. Una professione dalla storia antica e dalla necessità sociale attuale, 2007, Aracne
• Blezza Franco, Il professionista dell'educazione scolastica, 2006, Pellegrini
• Blezza Franco, Studiamo l'educazione oggi. La pedagogia generale del nuovo evo, 2005, Osanna Edizioni
• Blezza Franco, Pedagogia della vita quotidiana, 2001, Pellegrini
• Blezza Franco, Un'introduzione allo studio dell'educazione, 1996, Osanna Edizioni
Testi sulla Pedagogia sociale
• Bruno Francesco, Pedagogia sociale. Vol. 1: Storia, identità, prospettive, 2009, Pensa Multimedia
• Bruno Francesco, Pedagogia sociale. Vol. 2: Epistemologia, campo e metodologia, 2009, Pensa Multimedia
• Bruno Francesco, Temi di pedagogia sociale, 2009, Pensa Multimedia
• Pollo Mario, Manuale di pedagogia sociale, 2004, Franco Angeli
• Striano Maura, Introduzione alla pedagogia sociale, 2004, Laterza
• Gramigna Anita, Manuale di pedagogia sociale. Scenari del presente e azione educativa, 2003, Armando Editore
• Lineamenti di pedagogia sociale, 2005, Liguori
• Nuove questioni di pedagogia sociale, 2004, Franco
Angeli
• Colonna Vilasi Antonella, Pedagogia sociale. Scritti di pedagogia sociale contemporanea, 2010, Pensa Editore
• Rinaldi Walter, Pedagogia generale e sociale. Temi introduttivi, 2009, Apogeo
• Cambi Franco, Certini Rossella, Nesta Romina, Dimensioni della pedagogia sociale, 2010, Carocci
• Formazione e interpretazione. Itinerari ermeneutici nella pedagogia sociale, 2004, Franco Angeli
• Cima Rosanna, Incontri possibili. Mediazione culturale e pedagogia sociale, 2009, Carocci
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• Città laboratorio dei giovani. Politiche giovanili come
esperienza di pedagogia sociale, 2007, Città Aperta
• Alonzo Vincenzo, La pedagogia sociale e della famiglia oggi. Analisi, problemi e prospettive, 2009, Mondostudio
• De Santis M. Gabriella, Convivere nell'integrazione. Temi di pedagogia sociale, familiare e interculturale, 2008, Mondostudio
• Ulivieri Riccardo, Introduzione alla pedagogia sociale, 2006, Il Segnalibro
• Calaprice Muschitiello Silvana, Pedagogia generale e pedagogia sociale. Nuove sfide per l'educazione e la formazione, 2005, Laterza Giuseppe Edizioni
• La pedagogia sociale. Prospettive di indagine, 2004, ETS
• Alessandrini Giuditta, Pedagogia sociale, 2003, Carocci
• Gramigna Anita, Righetti Marco, Multimedialità e società complessa. Questioni e problemi di pedagogia sociale, 2001, Franco Angeli
CLUEB • Izzo Domenico, Manuale di pedagogia sociale, 2000,
• Tramma Sergio, Pedagogia sociale, 1999, Guerini e Associati
Classifica debiti dei principali paesi
PAESE DEBITO SU PIL IN % PIL IN T€ D E B MONETARIO EFFETTIVO STIMATO IN T€
I T O
Giappone 225,80 Saint Kitts e Nevis
5513,00 12.448,35
Libano 150,70 Zimbabwe Grecia 144,00 Islanda 123,80 Giamaica Italia 118,10 Singapore Belgio 98,00 Irlanda 94,20 Sudan 94,20
185,00 1,00 1,85 24,00 36,17
149,00 9,00 193,00 277,92
10,00 12,38 123,20 9,00 1583,00 1.869,52 102,40 179,00 401,00 392,98 178,00 167,68 38,00 35,80
13,41
11,09 183,30
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Sri Lanka Francia 83,50
Portogallo Egitto 80,50 Belize 80,00 Ungheria Germania Nicaragua Israele 77,00 Colombia Giordania Regno Unito Ghana 67,50 Malta 67,00 Austria 66,50 Costa d'Avorio Paesi Bassi Croazia61,00 Norvegia India 59,60 Filippine Uruguay Mauritius Malawi 58,00 Bhutan 57,80 El Salvador Albania 54,90 Marocco Kenya 54,10 Stati Uniti Cipro 52,40 Vietnam Spagna 50,00
32,95 98,18
86,70 38,00
2289,00 1.911,32
83,20 118,00
238,00 191,59
1,00 0,80
79,60 203,00
78,80 3069,00
78,00 7,00
157,00 120,89
72,30 183,00
69,90 19,00
68,50 1971,00
39,00 26,33
1,00 0,67
314,00 208,81
63,80 22,00
62,20 1311,00
71,00 43,31
60,20 241,00
1618,00 964,33
58,70 159,00
58,70 27,00
58,30 9,00
5,00 2,90
1,00 0,58
55,40 17,00
22,00 12,08
54,10 82,00
28,00 15,15
52,90 14596,00 7.721,28 1,00 0,52
52,30 1,00 0,52 962,00 481,00
161,59 2.418,37 5,46
132,31 13,28 1.350,14
14,04 815,44
145,08
93,33 15,85 5,25
9,42 44,36
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Panamá Costa Rica
49,50 23,00 49,30 22,00 49,10 422,00 48,50 401,00 11,00 5,26 664,00 315,40
11,39 10,85 207,20 194,49
71,00 33,51
75,14 147,34 82,45
0,44
1,00 0,42 100,60 149,85
85,86 0,08 0,38 276,34 43,04 99,25
19,72
10,00 3,37
10,30 3,38
Argentina
Turchia
Malesia47,80
Polonia 47,50
Emirati Arabi
Tunisia 47,20
Brasile 46,80
Aruba 46,30
Colombia
Thailandia
Pakistan
Bolivia 44,00
Seychelles
Svezia 43,20
Canada 43,00
Repubblica Dominicana 41,50
Uniti 47,20 53,00 25,02 1154,00 540,07 0,50 0,23 46,10 163,00 45,90 321,00 45,30 182,00 18,00 7,92 43,90 1,00 437,00 188,78 1320,00 567,60
Finlandia
Svizzera
Yemen 39,60
Danimarca
Bangladesh
Montenegro
Messico
Slovacchia
Sudafrica
Cuba 34,80
Gabon 34,70
Slovenia
Papua Nuova Guinea 33,70 Taiwan 33,50 529,00 177,22 Repubblica Ceca 32,80
41,40 243,00 40,50 370,00 478,00 189,29 38,50 223,00 38,20 0,20 38,00 1,00 37,70 733,00 37,10 116,00 35,70 278,00 25,00 8,70 3,00 1,04 34,00 58,00
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Guatemala Lettonia
32,70 35,00 32,50 44,00 32,40 17,00 91,00 29,39 27,00 8,56 11,00 3,47 105,00 32,87 31,30 11,00 30,10 71,00 411,00 123,30 29,80 463,00 29,30 103,00 28,00 892,00
11,45 14,30 5,51
3,44 21,37
137,97 30,18
249,76 22,00 5,87
2,61 5,70
3,16 4,32
13,79 65,37
8,08 50,60
36,28
1,34 154,75
48,33 1,61
Macedonia
Siria 32,30
Etiopia 31,70
Zambia 31,50
Serbia 31,30
Moldavia
Bahrain
Ucraina30,00
Indonesia
Nuova Zelanda
Corea del Sud
Trinidad e Tobago 26,70
Perù 26,10 Mozambico Tanzania Honduras Paraguay Senegal24,00 Lituania Arabia Saudita Ecuador Romania
Iran 19,40 Venezuela Uganda 19,30 Namibia Australia Cina 18,20 Hong Kong Botswana Nigeria 17,80
109,00 28,45 26,10 10,00 24,80 23,00 24,30 13,00 24,00 18,00 1,00 0,24 20,90 66,00 20,30 322,00 20,20 40,00 20,00 253,00 617,00 119,70 19,40 187,00 31,00 5,98 19,10 7,00 18,60 832,00 4221,00 768,22 18,10 267,00 17,90 9,00 6,00 1,07
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2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
Angola 16,80 20,00 Gibilterra 15,70 Bulgaria 14,70 Lussemburgo 14,50 Camerun 14,30 Kazakistan 14,00 Uzbekistan 11,70
3,36
1,00 0,16
86,00 12,64 1,00 0,15 28,00 4,00 164,00 22,96 73,00 8,54 17,33
14,31 3,74 2,18 14,20
Algeria
Cile
Kuwait
Estonia
Qatar
Russia
Libia
Wallis e Futuna Azerbaigian
Oman 2,80 Guinea Equatoriale
10,70 162,00 9,00 159,00 8,30 45,00 7,50 29,00 7,10 200,00
6,90 6,50
1996,00 137,72 94,00 6,11
1,10 DEBITO TOTALE DEGLI STATI
7,00 0,08
38.329,00
5,60
4,60
38,00 1,06
PIL TOTALE DEGLI STATI
DEBITO MEDIO SU PIL MEDIO
AZIENDA ITALIANA FL0,166666666666667
Apologia tribale
57.700,13 66,428% 1200 200
1,00 0,06 92,00 4,23
Rieducare alla famiglia creatrice del patrimonio, del matrimonio o dell’unione di fatto
Salomone: 19,14 La casa e il patrimonio si ereditano dai Padri.
La prima, unica, basilare cellula sociale ove l’individuo si confronta con il proprio compagno o compagna, è quella della famiglia.
Qui l’individuo crea e vive lo spazio dell’espressione dei propri
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman sentimenti e del proprio amore verso il proprio partner o la propria
compagna.
Il dialogo che nasce quotidianamente riempie i vuoti e risolve i dubbi dei componenti, per prendere le migliori decisioni che riguardano la propria vita e la propria economia domestica.
Presto il futuro della famiglia avviene come per incanto: l’annuncio di una nascita o la decisione di un’adozione solo la meta che i componenti quasi sempre vogliono raggiungere.
In una società complessa e mistificata come l’attuale i dialoghi sono più difficili rispetto al passato per via delle innumerevoli incertezze che la Governance internazionale ha regalato ai sudditi del pianeta attraverso l’abominio del monetarismo.
Noi ricordiamo i nostri genitori e magari i nostri nonni con i quali siamo cresciuti, abbiamo imparato, abbiamo appreso e abbiamo sbagliato maturando un “senso positivo” della Vita, e scoprendo come l’unità familiare sia riposta in una semplice, amabile parola: “dono”, puro piacere di donare tutto se stesso agli altri e ricevere in cambio un gesto innocente d’amore da coloro che ci stanno intorno.
L’amore familiare è un delicato “abbraccio di cuori” tra lo sguardo carico di luce d’una madre che allatta ed il figlio che riceve dono dalla sua prima donna, è la flebile carezza di un genitore, il dolce tocco di un fratello o di una sorella che rincuora la nostra originaria innocenza mentre ci godiamo la stagione più fresca dell’adolescenza: l’“età della spensieratezza”, in cui abbandonarsi incuranti alle spalle dei genitori.
La Famiglia è il primo sguardo rivolto al mondo sconosciuto dei sentimenti, fiume in piena da cui lasciarsi inerti trascinare.
Per anni non abbiamo avuto altra guida che la Famiglia che ci ha istruito, ci ha aiutato a trascrivere correttamente i giorni nel nostro diario, Nostra madre, nostro padre, non sono stati semplici personaggi del passato bensì i veri e prorpi protagonisti, le sole figure guida che ci abbiano incoraggiato, rimproverato, spiegato, corretto, consigliato, perché noi diventassimo buoni gestori della nostra vita.Crescita sociale e civile
Giunti alla soglia della maturità, sei tu, ormai cresciuto, a stringere l’una tua mano all’altra per darti il coraggio di superare gli ostacoli che ti si frapporranno lungo il cammino degli anni, avendo in mente quei materni, paterni consigli che sono stati per te “Scuola di Vita”.
Più s’avvicina il tempo in cui non avrai più posto nella Famiglia dove per lungo tempo si sono festeggiati i tuoi natali, più stringente cresce in te il “bisogno” di credere che l’avventura non possa qui concludersi: può sbocciare ancora una volta il “fiore della Famiglia”, la gemma d’una nuova unione di cui tu non sia più il frutto bensì il “seme”, un nuovo nucleo familiare in cui soddisfare il tuo bisogno d’affetto.
E’ lungo questo “percorso di coscienza” che ci rendiamo consapevoli di una immutabile verità: nell’itinere del nostro vivere, non si prospetta altra meta che il levarsi superbo di un nuovo sole: l’alba d’una nuova unione, l’unione tra l’uomo generoso che sa donare di sé anima e corpo e la
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
donna che sa guardare fin nel profondo degli occhi il proprio uomo e pronunciare per l’ennesima volta, senza timore, accompagnata da un interminabile “sospiro interiore”, due uniche, umili ma inconfondibili parole: “ti amo”.
Ora nasce e cresce irrefrenabile il “bisogno d’amare”, una spinta pungente, pressante che ha origine dall’organo vitale banalmente chiamato “cuore” ma che altro non è che la sede naturale del vero “Amore”.
Amare non è mera passione, abbandono corporale al puro piacere, attrazione fisica: l’amore tra due persone nasce dall’amicizia, dallo stare insieme, dall’indagare l’altro fin nel profondo, dallo spogliarlo con gli occhi del cuore dall’esteriore veste corporale per scoprirne le bellezze nascoste. E questo amore non può che suggellarsi in un’unione coniugale in cui gli amanti non abbiano alcun timore a proclamare, davanti alla soglia d’un altare, l’“eternità” del loro stare insieme: indissolubile relazione, reciproca donazione, abbandono al fascino di un “destino comune”!
Amarsi, legarsi nel vincolo della Famiglia, non significa “incatenare” le proprie libertà né “spersonalizzarsi” né, tantomeno, perdere la propria identità, bensì maturare, “incontrarsi senza rinnegarsi”, unione di spirito ed anima per giungere ad una comprensione più profonda di sé. E’ così che il vivere insieme, lo stringere un legame affettivo, consente all’uomo di godere della sola libertà a cui potere aspirare: la libertà di “essere” per se stessi e per gli altri!
L’uomo che vede ampliarsi l’orizzonte del proprio vivere in quello della propria donna, dei propri figli, della Famiglia, è l’uomo che si è reso “libero” dai propri limiti, guardando al di là, superando i confini di se stesso.
Al di fuori della Famiglia non si è che mendicanti, nomadi nel “deserto degli istinti”, senza orientamento né orizzonti verso cui mirare, in uno stato consapevole o incosciente di isolamento e solitudine che la Società di per sé non è in grado di compensare, perché questa trova senso e vigore proprio nella Famiglia: unità indissolubile, fondante, pietra miliare di ogni salda costruzione sociale.
La Società altro non è che una “sovrastruttura della Famiglia”, una volta di pietre destinata a collassare, a crollare su di sé se venisse rimossa anche una sola pietra su cui regge, se venisse meno la “centralità della Famiglia”, non potendo sostenere il peso di un uomo privo d’ogni riferimento.
La Famiglia “eleva” l’uomo. Si fonda su un rapporto naturale fra i sessi ma dà a tale unione un carattere “etico”, spirituale, in quanto favorisce una stabile relazione che si esplica nella procreazione e nell’educazione dei figli: l’uomo appaga così, nel senso d’amore per una donna, per i propri figli, quella necessità di sentirsi “essenziale” per qualcuno, una “pedina vitale” nel gioco della Vita.
In Famiglia si instaurano le giuste condizioni per cui due persone possano vivere liberamente il proprio amore e la propria sessualità, eternandoli con il frutto maturo dei propri figli: dall’armonia dei rapporti
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familiari i figli stessi trarranno il bisogno, un giorno, di costituirsi parte d’una nuova Famiglia, portatori degli stessi principi e valori che i loro
genitori, se consapevoli dell’impegnativo compito di educazione a cui sono stati chiamati, avranno saputo radicare nelle loro coscienze: il rispetto per gli altri e per le diversità, la solidarietà, la generosità, il senso di giustizia, l’amore per le cose frutto d’un dono, e, sopra di tutto, l’“amore per la Vita”.
E’ così che i figli diverranno nuovi cittadini, membri attivi e vitali della Società: una Società che cresce al crescere della Famiglia, valorizzando l’importante funzione sociale ed il ruolo strategico svolto dalla stessa nel processo di crescita e formazione delle nuove generazioni.
La Famiglia acquista un ruolo centrale perché il processo di integrazione sociale del bambino e della bambina è segnato in gran parte dai primi legami affettivi vissuti in Famiglia, proprio per la specificità delle funzioni e delle competenze che la Famiglia assolve nel delicato passaggio dei bambini dalla dipendenza all’autonomia, dalla “casa” al “gruppo” alla “Società”, rafforzandone l’identità e la stabilità affettiva.
La Famiglia, indirettamente, diviene parte attiva di un orientamento culturale che tende a sviluppare il loro senso critico e a promuovere valori quali la condivisione o il rispetto delle diversità: è nella Famiglia che si creano le “fondamenta etiche” dell’edificio culturale di ogni bambino e bambina, ed è l’esempio di vita del proprio contesto familiare che avrà molta più presa sulla loro sensibilità di quanto non possano avere, negli anni, tanti “insegnamenti”.
Famiglie o convenienze amorali?
Eppure assistiamo, oggi, ad una generale perdita delle motivazioni e delle funzioni genitoriali, tale da rendere più problematico il compito educativo delle Famiglie.
Ciò non può addebitarsi alla molteplicità di forme familiari diffuse rispetto al passato: le convivenze civili (unioni di fatto, fino all’estremo delle unioni omosessuali), tangibili esempi di una Società in trasformazione, non rappresentano in sé necessariamente una degenerazione dei valori della Famiglia. La crescente affermazione di nuovi stili di vita familiare non deve fare paura se non è accompagnata dalla “relativizzazione” dei valori del sentimento e/o dello stare insieme.
Scegliere la convivenza, rifiutare di vivere l’esperienza di costruirsi una Famiglia nel senso “tradizionale” del termine (ossia come “Società
naturale fondata sul matrimonio” –religioso o civile-, secondo l’art. 29 della Costituzione italiana), non significa affatto disprezzare la Famiglia quando, alla base di essa, vi è comunque una solida scelta affettiva, una relazione sentimentalmente valida, un rapporto di amore e rispetto: questa sarebbe una scelta degradante se (e solo se) il rifiuto del matrimonio nascondesse la volontà di allontanarsi da ogni preciso “orizzonte etico” e comportasse una carenza d’ideali e l’incapacità di tramandare alle nuove generazioni dei modelli di unione non instabili e precari.
Ogni Famiglia, tradizionale o non convenzionale, riassume un valore in sé
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se stimola alla “responsabilizzazione”, non abdica alla assunzione delle proprie responsabilità, non rinuncia al coraggio delle proprie azioni, a
sapere convivere e condividere con gli altri esperienze sempre nuove: l’unione coniugale diviene, così, il modo con cui proiettare un modello di pace, equilibrio, serenità, “sana convivenza” nel più vasto scenario della comunità civile di cui si è parte.
Il matrimonio non va intesa come un’istituzione nell’accezione più formale o burocratica del termine: è una “scelta di vita”, un vincolo umano ed affettivo che unisce moglie e marito, un genitore con i propri figli. Perciò la Famiglia, benché trovi nobilissima espressione nelle unioni matrimoniali, non deve necessariamente ridursi ad esse ma può allargarsi a ricomprendere nuove forme di unione affettiva aventi in comune una base imprescindibile: l’Amore e la volontà di spendersi giorno per giorno per costruire una solida relazione.
Famiglia, in una parola, è “crescere”: crescere insieme, superare incomprensioni, affrontare con responsabilità i problemi, risolvere comuni difficoltà, nella certezza che solo uniti si possono affrontare le sfide della Vita.
Ancor di più in un Paese in cui incombe un processo di invecchiamento della popolazione, dovuto alla riduzione della natalità causata da un lato all'affermarsi dell'“individualismo” esasperato ed edonistico di una Società moderna che si impone sempre più come “atomistica” dall’altro alle ristrettezze economiche che hanno impoverito le Famiglie, si richiede di aprire la strada ad un orizzonte culturale che difenda e riconosca ogni forma di Famiglia quale “soggetto protagonista” delle scelte di crescita e di sviluppo della nostra Società, avente un ruolo primario, il che comporta, pragmaticamente:
1- un lavoro educativo straordinario delle Famiglie
2- uno sforzo formativo in più per la Scuola e la classe docente
3- una maggiora apertura e lungimiranza della Comunità Cattolica (delle Comunità religiose in genere) nel riconoscere un ruolo anche alle “nuove Famiglie”
4- un impegno maggiore della Politica:
a. nel prender atto dell’esistenza di nuove forme di relazione consolidatesi, che meritano un’attenzione normativa (il che vuol dire più “diritti e tutele”)
b. nell’accompagnare tale conquista civile con un serio impegno economico strutturale a sostegno dei giovani che intendano costruire una Famiglia e delle Famiglie già costituitesi che vogliano avere nuovi figli o garantire opportunità migliori ai figli già nati.
E’ nell’orizzonte della Famiglia che ognuno di noi trova il suo spazio, il giusto equilibrio, la pienezza di sé.
Riscopriamo insieme cosa significa e cosa ha significato per ognuno di noi la Famiglia: solo in questo modo capiremo che la Famiglia potrà dirsi “superata” solo nel momento in cui sarà l’uomo stesso ad apparire come
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qualcosa di inutile, anch’egli “superato”.
Bibliografia
Author Gaspare Serra
(rivisitazione di un elaborato scritto vincitore, nel maggio 2003, del Concorso “Famiglia e Libertà”, promosso dal Movimento per la vita di Partinico)
http://spaziolibero.blogattivo.com
Sviluppare agricoltura ed energia
Le vere ricchezze di un paese
Per millenni, l'agricoltura è stata il motore economico e il fulcro stesso della civiltà. La situazione è radicalmente cambiata negli ultimi secoli che hanno portato gradualmente l’agricoltura a diventare un'appendice un po' arretrata del mondo industriale. I prodotti agricoli sono oggi criticamente dipendenti dai combustibili fossili e dall'energia che se ne ricava per tutta una serie di esigenze che includono fertilizzanti, trasporto, refrigerazione, eccetera. Tuttavia, con i recenti aumenti dei prezzi dei combustibili e con le preoccupazioni crescenti riguardo alla loro disponibilità a lungo termine, si pone il problema di come gestire le necessità di energia del mondo agricolo mantenendo l'attuale produzione e il concetto stesso di mondo rurale. Si pone, ovvero, sempre di più la questione "sostenibilità."
Una possibile risposta è già stata data con il concetto di "agricoltura biologica" Tuttavia, sono possibili anche altre strategie complementari per sostenere l’agricoltura che si basano sulle energie rinnovabili. Le energie rinnovabili possono fornire energia per le attività agricole e, allo stesso tempo essere considerate un prodotto agricolo esse stesse, fornendo reddito per il mondo rurale. In questo senso, la produzione di energia elettrica da aree agricole rappresenta una nuova forma di agricoltura ("agri-energia") che si inserisce comunque nel concetto storico generale di "agricoltura" in termini socioeconomici, ovvero la produzione di beni economici su aree rurali che vengono poi esportati nelle città.
Il presente articolo espone il concetto di "agri-energia," ovvero la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico o altro) su terreni agricoli,
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Energia e agricoltura
Per millenni, l’economia umana è stata basata quasi esclusivamente sulle risorse agricole. Le cose sono radicalmente cambiate negli ultimi due
secoli, circa, quando il fulcro dell’economia si è spostato su un altro tipo di risorse: i combustibili fossili; prima il carbone e poi il petrolio e il gas naturale. La differenza fra un economia basata sull’agricoltura e un economia basata su risorse minerarie non è tanto una questione tecnologica quanto economica.
E’ noto che la curva di produzione di una risorsa minerale non riciclabile ha una forma “a campana,” [1-5] ovvero comincia con una fase di espansione, passa attraverso un picco (detto, a volte, “picco di Hubbert”) e poi declina fino a raggiungere zero. Questo comportamento è dovuto alla combinazione di fattori tecnologici e economici. In particolare, il graduale esaurimento delle risorse “facili” costringe gli operatori a investimenti sempre crescenti per accedere a risorse sempre più costose. A lungo andare, gli investimenti non sono più sostenibili e la produzione crolla.
In contrasto, l’andamento della produzione agricola ha, almeno in principio, la forma di una “s”. Ovvero, la produzione è basata sull’energia solare che non è esauribile e pertanto si stabilizza su un valore costante una volta che tutta la superficie disponibile è stata sfruttata. L’energia solare non è la sola risorsa necessaria per l’agricoltura; sono necessari anche humus e acqua. Queste due risorse sono anch’esse, in linea di principio, rinnovabile, ma a lungo andare possono risul tare un fattore limitante quando sono usate male (6,7). Tuttavia, è perlomeno una possibilità fisica per le società agricole il raggiungere uno stato stabile.
La figura seguente illustra le differenti caratteristiche dei due tipi di curve di produzione:
Nel breve termine, l’apparente abbondanza della produzione mineraria fa si che questa appaia preferibile all’approccio agricolo. A lungo andare, tuttavia, la ricchezza che deriva dalle risorse minerarie si rivela effimera. Molto dell’attuale dibattito sull’esaurimento dei combustibili fossili è centrato sulla data esatta del picco di produzione, che alcuni vedono entro il primo decennio del ventunesimo secolo (1-4) mentre altri lo post pongono a qualche decennio più tardi. Ma qualche decennio più o meno non fa grande differenza, come illustrato nella figura seguente illustra. Il picco per i combustibili fossili è diagrammato in scala nella figura secondo le proiezioni dell’associazione ASPO (www.peakoil.net)
Una soluzione spesso proposta per rimediare all’esaurimento dei combustibili fossili consiste nel sostituirle con altri combustibili fossili o comunque con altre risorse minerarie. Questo equivale a saltare da una curva a campana all’altra, sempre sperando che la nostra ingegnosità accoppiata con una buone dose di fortuna ci faccia trovare una nuova risorsa al momento giusto. Questo è stato possibile diverse volte nel passato, ma non è detto che sia sempre possibile. Esistono, è vero, delle risorse minerarie talmente abbondanti (p. es. la fusione dell’idrogeno) da
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poterle considerare infinite in pratica in confronto alle necessità prevedibili degli esseri umani, ma non è detto che la fusione nucleare si riveli tecnicamente e, soprattutto, economicamente possibile entro i tempi previsti per l’esaurimento dei combustibili fossili.
In questo lavoro, esamineremo un approccio diverso al problema, ovvero la possibilità di sostituire le risorse minerali con risorse di tipo agricolo. Esamineremo come sia possibile abbandonare la curva a campana dei combustibili fossili per rimpiazzarli con la produzione costante di risorse energetiche dall’agricoltura. Questo approccio viene chiamato qui “agri- energia.”
Secondo questo concetto, l’energia, e in particolare l’energia elettrica da fonti rinnovabili, viene considerata come un prodotto agricolo del tutto
equivalente ai tradizionali prodotti agricoli: fibre, derrate e simili. In questa visione, l’infrastruttura esistente per il trasporto di energia elettrica dalle centrali nelle città alle zone agricole viene utilizzata per trasportare nelle città l’energia elettrica prodotta nelle zone agricole. E’ una concezione che, in termini economici, ricalca quello che l’agricoltura ha fatto nei passati millenni: ovvero trasportare e vendere i prodotti agricoli nelle città. Inoltre, l’agricoltura che produce energia elettrica non richiede irrigazione ne fertilizzanti, non produce erosione o salinizzazione del terreno e perciò può essere utilizzata in aree marginali o inutilizzabili per l’agricoltura tradizionale.
Oltre a essere un supporto per l’agricoltura, questa strategia fornisce una logica economica agli impianti di energia rinnovabile che fino ad ora è mancata. Le rinnovabili sono state proposte come soluzioni per regioni remote o isolate, dove possono competere in termini di costi con i fossili, oppure come impianti su larga scala da collocarsi nei deserti equatoriali. Tuttavia, l’idea delle rinnovabili per aree isolate mostra forti limiti e i grandi impianti nei deserti non si concretizzano a causa degli enormi investimenti necessari. Inserendo la produzione di energia rinnovabile nell’ambito dell’agricoltura – come è già stato fatto in Danimarca e in Germania – otteniamo invece la possibilità di dare inizio a uno sviluppo che parte su piccola scala ma che ha un enorme potenzialità di espandersi fino a livelli significativi per la sostituzione delle energie fossili.
Ovviamente, la possibilità di utilizzare l’energia rinnovabile su grande scala in terreni agricoli dipende alcuni fattori critici, in particolare:
1. Cura del territorio: E’ possibile produrre abbastanza energia sui terreni agricoli senza competere con l’agricoltura tradizionale per il terreno da usarsi per la produzione alimentare?
2. Costo: Anche se considerata come un prodotto agricolo, l’energia elettrica da rinnovabili non risulterebbe comunque troppo costosa?
3. Opinione pubblica. E’ possibile che l’opinione pubblica accetti di destinare frazioni relativamente ampie di terreno agricolo per impianti per l’energia rinnovabile?
Vedremo nel seguito che la risposta a queste tre domande è, in principio, positiva e che il concetto di “agri-energia” ha un enorme potenziale sia
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per il sostegno all’agricoltura e al mondo rurale, sia per l’introduzione
delle energie rinnovabili nel mondo.
Cura del territorio
L’agricoltura è un esempio di tecnologia “solare diretta” nel senso che utilizza direttamente il flusso di energia solare che arriva sulla superficie terrestre. La biomassa prodotta dall’agricoltura può essere vista come una forma di energia che può essere utilizzata per sostenere il metabolismo umano oppure bruciata per fornire calore, trazione e energia elettrica. Altri metodi diretti recentemente sviluppati per trasformare l’energia solare in energia utilizzabile (in questo caso, energia elettrica) sono le celle fotovoltaiche e gli impianti solari a concentrazione (detti anche di tipo “solare termodinamico”). Esistono anche metodi che possiamo definire come “indiretti”, ovvero tutti quei metodi che sfruttano l’effetto di riscaldamento dell’energia solare sull’atmosfera o sugli oceani; fra questi l’energia eolica, idraulica e tutti i metodi basati sul moto ondoso o sulle correnti marine. Esistono anche tecnologie considerate rinnovabili che non sono basate sull’energia solare, per esempio l’energia geotermica o delle maree. Questi metodi potranno dare un importante contributo energetico nel futuro, ma non saranno considerati in questa sede.
Le necessità energetiche del genere umano nel futuro dipenderanno da fattori quali la popolazione e lo stile di vita. Qui non ci addentriamo nelle proiezioni di quello che potrebbe essere l’andamento della curva della popolazione umana nell’arco dei prossimi decenni. Ci limitiamo a notare che la maggioranza delle proiezioni indicano che l’ esplosione della popolazione osservata negli ultimi decenni potrebbe arrestarsi verso la metà del secolo ventunesimo su livelli non drammaticamente superiori a quelli attuali. La condizione di stabilizzazione della popolazione è essenziale per qualsiasi tentativo di sviluppare scenari che non finiscano in una tragedia planetaria. Questi dati sulla popolazione, per quanto incerti, indicano che la stabilizzazione potrebbe avvenire senza la necessità di interventi drastici oppure di guerre e di epidemie (senza peraltro escludere eventi del genere).
Possiamo dunque considerare la produzione attuale di energia come un “ordine di grandezza” ragionevole per una stima delle future necessità energetiche. Il parametro di produzione da considerare è quello denominato “Consumo totale finale” (TFC) che è, al momento attuale, 8.4x107GWh/anno (20). Questo valore non include la richiesta metabolica umana, che è comunque inferiore di oltre un fattore 10: 5x106 GWh/anno (21). La frazione del TFC in forma di energia elettrica è circa 1x107 GWh/anno. Gli stati che fanno parte dell’organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (OCSE) utilizzano il 53.5% dell’energia totale prodotta (20) con una popolazione che rappresenta il 17% del totale mondiale.
La quantità di energia solare che raggiunge la terra è di 1x1012 GWh/anno (16), un valore oltre 10.000 volte superiore al valore attuale del TFC. La frazione di questa energia che raggiunge la superficie continentale è circa
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3x1011 GWh/anno. In aggiunta a questi valori, possiamo stimare l’energia del vento generata dall’irradiazione solare come circa il 2% dell’energia
solare totale che arriva sulla terra, vale a dire circa 2x1010 GWh/anno (16). L’energia associata con il movimento globale delle acque sul pianeta è molto difficile da stimare ma è comunque un ammontare molto grande in confronto al TFC umano.
Questi dati sono elencati nella tavola seguente, insieme con altri due dati per comparazione: l’ammontare totale di biomassa prodotto ogni anno sul pianeta, circa 2x1011 tonnellate/anno, o 1x109 GWh/anno (21) e la richiesta metabolica umana totale (21).
Tipo di Energia
GWh/anno:
Richesta metabolica umana totale
Potenza elettrica mondiale generata
Totale consumo f inale di energia (TFC)
Ammontare totale di biomassa prodotta
Energia solare che arriva sulla superf icie emersa 2x1011 Energia solare che arriva sulla superf icie totale 1x1012
Tab. 1
La quantità di energia solare che arriva sulla terra è, evidentemente, molto abbondante rispetto alle necessità umane. La questione è se è possibile sfruttarla. La maggior parte delle tecnologie rinnovabili (fotovoltaico e energia eolica) trasformano l’energia solare in energia elettrica e pertanto possono essere utilizzate direttamente per rimpiazzare l’energia elettrica prodotta oggi in gran parte dai combustibili fossili. In generale, le rinnovabili possono anche essere utilizzate per produrre tutti gli altri tipi di energia in uso (trazione e calore), anche se la produzione di combustibile per la trazione non può essere ottenuta direttamente a partire da energia elettrica. Questa produzione richiederà o di partire dalla biomassa oppure utilizzare l’idrogeno, quest’ultima non ancora disponibile a livello commerciale. Nella pratica, per comparare i vari tipi di energia si può semplicemente assume che tutta l’energia prodotta sarà in forma di energia elettrica oppure che la si possa trasformare in energia elettrica (vedi per es ref. 15).
A partire da queste considerazioni, è possibile calcolare la frazione di
5x106 1x107 8x107 1x109
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area necessaria per generare energia mediante tecnologie rinnovabili. La radiazione solare in aree popolate del pianeta va da un minimo di ca. 900
kWh/m2/anno (p. Es. Europa del Nord) fino a valori dell’ordine di 2200 kWh/m2/anno nelle regioni subtropicali. Un valore medio approssimato si può prendere come circa 1500 kWh/m2/anno, oppure 1200 kWh/m2/ anno per le regioni OCSE.
I pannelli fotovoltaici commerciali hanno oggi un efficienza normalmente superiore al 10%. Sistemi sperimentali e sistemi a concentrazione hanno efficienze anche molto migliori. L’efficienza con la quale questi sistemi producono energia per l’utente finale con un’efficienza intorno al 5%-10%. In latitudini di media irradiazione (1200 kWh/m2/anno) l’utente finale può ricevere circa 60-120kWh/m2/anno. Come ordine di grandezza, il valore medio di 100 kWh/m2/anno si può considerare come ragionevole.
Nel caso delle tecnologie indirette, non si pò parlare di uso di area come nel caso del fotovoltaico. Le turbine eoliche devono essere distribuite a una certa distanza l’una dall’altra, ma la maggior parte del terreno occupato rimane disponibile per l’agricoltura. L’ “impronta” di una turbina eolica, ovvero l’area fisicamente occupata può essere stimata come circa un fattore circa 100 volte minore di quella utilizzata da pannelli fotovoltaici della stessa potenza.
Infine, la biomassa è relativamente inefficiente come tecnologia di conversione della radiazione solare. Il limite superiore dell’efficienza della fotosintesi è stimato come 6% da Tiezzi (21) e come 4.5% da Patzek (22). Nella pratica, l’efficienza di conversione delle piante è molto minore. Dai dati della tabella 1 si può calcolare che l’ “efficienza planetaria” della conversione è circa 0.1%. In certi casi, come per esempio per le foreste tropicali, alcuni studi riportano efficienze superiori all’1% (23) ma le coltivazioni umane hanno valori molto minori e spesso hanno bisogno di considerevoli apporti di energia fossile nella forma di fertilizzanti. Tenendo presente che l’energia solare trasformata in biomassa deve essere ulteriormente trasformata in energia elettrica per mezzo di una macchina termica, l’efficienza globale si può prendere come circa lo 0.1%.
Un ulteriore elemento da considerare è il “ritorno energetico” (Energy Payback Ratio, EPR) di una tecnologia rinnovabile, ovvero il rapporto fra la quantità di energia prodotta dall’impianto durante la sua vita utile e la quantità necessaria per costruirlo e manutenzionarlo. L’argomento è complesso e non verrà affrontato qui in dettaglio, basti dire che secondo i dati di letteratura (25-28) tutte le tecnologie rinnovabili hanno valori abbondantemente positivi del parametro EPR con l’eccezione di certi tipi di biomasse (p. Es. Etanolo, ref. 29) per i quali il valore, anche se positivo, è troppo basso per poter considerare la produzione conveniente dal punto di vista energetico.
L’ultimo parametro importante da considerare è la necessità di immagazzinare l’energia prodotta dagli impianti rinnovabili, che è spesso intermittente e difficilmente prevedibile. Al momento attuale, l’energia prodotta viene accomodata dalla rete di produzione generale che,
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secondo l’esperienza danese, riesce a gestirla fino a valori del 20% o anche superiori. Tuttavia, per una diffusione su larga scala delle
rinnovabili, sarà necessario utilizzare tecnologie di immagazzinamento. Esistono molti metodi di questo tipo, la maggior parte ancora allo stadio di ricerca e sviluppo. Per gli scopi della presente discussione, non è necessario entrare nei dettagli di questo soggetto dato che questi impianti non richiederanno comunque vaste aree.
Sulla base di questi dati, è possibile stimare l’area necessaria per i vari tipi di tecnologie per produrre un certo ammontare di energia.
Tecnologia
Efficienza di conversione (rapporto fra energia solare incidente e energia elettrica prodotta) Energia prodotta per area fisicamente occupata
per un’irradiazione solare di 1200 kWh/m2/anno (kWh/m2/year) Biomassa ~ 0.1% ~1
Solare diretto (fortovoltaico) 5%-10% ~ 100
Solare indiretto (eolico) n.a. ~ 10000 (solo in aree adatte)
I valori ottenuti possono essere utilizzati per stimare l’area necessaria per generare quantità di energia comparabili all’uso attuale. Secondo i dati disponibili (17, 18 e 29), l’area utilizzata per l’agricoltura sul pianeta e di circa 50 milioni di Km2. A partire da questo dato possiamo stimare quale frazione di questo territorio sarebbe necessaria per produrre 1) il valore attuale dell’energia elettrica prodotta e 2) il valore totale dell’energia consumata (TFC).
Area necessaria, percentuale del totale utilizzato per la produzione alimentare (50x106 Km2 )
Tecnologia Obiettivo 1
Energia equivalente all’attuale produzione mondiale di energia elettrica (1x107GWh/year)
Energia equivalente all’attuale TFC mondiale (8x107 GWh/year)
Tab 5
BIOMASSA 21% >100%
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SOLARE DIRETTO (Fotovoltaico o altro 0,20%
SOLARE INDIRETTO (eolico o altro) 0,00%
1,50% 0,03%
Questi valori sono, evidentemente, solo degli ordini di grandezza, ma
indicano comunque come la frazione di territorio necessaria per generare queste grandi quantità di energia sia nel complesso molto piccola rispetto all’uso del territorio per la produzione alimentare. Questo risultato è in accordo con altre stime riportate nella letteratura (e.g. 8-16). L’impatto dell’energia rinnovabile su larga scala sarebbe dunque molto inferiore a quello, per esempio, della degradazione del suolo causata dall’agricoltura intensiva e probabilmente anche inferiore alla frazione di area utilizzata oggi per strutture permanenti (30, 31). Si può notare anche come l’energia rinnovabile potrebbe produrre molto di più dell’attuale produzione da fossili senza peraltro richiedere frazioni di area tali da danneggiare la produzione alimentare.
Ritorno dell’investimento energetico
Stime dei costi dell’energia che un impianto da costruirsi potrà produrre sono comuni nella letteratura (p.es. refs. 8, 10). La procedura usata in queste stime consiste nel partire dalla vita totale stimata dell’impianto e tener conto 1) dei costi di costruzione e di manutenzione, 2) del costo del capitale impiegato e 3) (quando il caso) del costo del combustibile. Spesso, questo calcolo viene utilizzato per determinare un “tempo di ritorno economico” che è il tempo necessario per l’impianto per produrre un reddito pari al capitale investito. Al di là di questo tempo, l’impianto comincerà a produrre profitti. Secondo questi calcoli, gli impianti tradizionali a combustibili fossili producono normalmente dei ritorni economici più rapidi di quelli rinnovabili e – pertanto – sono ritenuti preferibili.
Nella pratica, questo tipo di valutazione può rivelarsi completamente sbagliato, specialmente a lungo termine. Per ottenere il tempo di ritorno economico, bisogna fare due assunzioni su come certe quantità varieranno nel futuro: una è a proposito dei tassi di sconto e del tasso di inflazione, l’altra è a proposito dei prezzi dei combustibili fossili. In entrambi i casi, siamo di fronte a enormi incertezze, specialmente per tempi che si stimano come dell’ordine dei 20-30 anni e anche superiori. I tassi di sconto e di inflazione hanno enormemente oscillato negli ultimi decenni. Mancano modelli realistici per stimare come i prezzi dei fossili potrebbero variare in funzione del progressivo esaurimento, ma ben pochi scommetterebbero sulla loro diminuzione!
Nella pratica, non possiamo sapere che cosa succederà ai mercati finanziari e ai prezzi delle risorse fra venti-trent’anni quindi tutti questi conti hanno un valore predittivo poco superiore a quello che si potrebbe ottenere leggendo il futuro nei fondi del caffè o per mezzo dell’oroscopo del Barbanera. Viceversa, possiamo ottenere dei dati utili esaminando il ritorno dell’impianto in termini energetici, piuttosto che monetari. L’energia è una grandezza fisica ed è (per fortuna) indipendente dalle
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follie dei mercati. Secondo tutti i dati disponibili, lungo il tempo di vita di un impianto rinnovabile si otterrà un ritorno energetico positivo in tempi
che vanno dai 2-3 anni (eolico) ai 5-10 anni (fotovoltaico) (15, 25-28). Dato che l’energia ha un valore economico, possiamo concludere che il ritorno economico dell’impianto non potrà altro che essere positivo a lungo termine. Quindi, le energie rinnovabili producono sempre un ritorno positivo del capitale investito. In aggiunta, si tratta di un ritorno sicuro: l’energia è la risorsa di base della società e si può sostenere con buona certezza che il mercato dell’energia offrirà sempre buoni ritorni economici.
Dato questo fatto, il problema diventa come attirare le risorse finanziarie necessarie per le energie rinnovabili. Nel mercato finanziario, le attività
sulle quali è possibile investire sono molto diversificate, come è ovvio che sia in qualsiasi mercato. Alcuni investimenti sono rischiosi e a breve termine, altri sono più sicuri e a lungo termine. L’investimento nell’energia rinnovabile si posiziona chiaramente come un investimento sicuro che da redditi a lungo termine. La preferenza per investimenti sicuri, seppure a lungo termine, è tipica del mondo agricolo. L’agricoltura non ha mai generato i rapidi ritorni economici che sono tipici – per esempio – dell’industria dei semiconduttori; tuttavia è anche chiaro che non possiamo mangiare il silicio. Il punto di vista agricolo e quello industriale sono, in effetti, diversi nelle loro premesse di fondo. Nel paradigma industriale, il capitale è fornito da investitori che si chiedono “come posso massimizzare la resa del capitale che posseggo?” L’agricoltore si chiede, invece, “Come posso massimizzare la resa della terra che posseggo?” Una volta che uno si pone questa domanda, la risposta è ovvia: la resa di un terreno si massimizza producendoci sopra dei prodotti. Può essere grano, vino o legname: quello che gli agricoltori hanno fatto nei millenni del passato. L’idea di produrre energia elettrica sul terreno (agri-energia) aggiunge semplicemente un ulteriore elemento di resa al terreno. Dunque, c’è una logica nell’investire nella produzione di “energia agricola”. E’ un investimento più lento, ma nettamente più sicuro di qualsiasi investimento in borsa o nel mercato dei futures.
Per il momento, non sembra che gli investitori abbiamo capito qual’è il vero potenziale del concetto di agri-energia. Molto di quello che si legge sulle varie riviste economiche e finanziarie (p. Es. 32) sembra considerare l’energia rinnovabile come un giocattolo per hippy degli anni ’70. A questo ha contribuito una certa ideologia che è stata appiccicata al concetto di energia rinnovabile, che viene spesso definita come “soft” (morbida) in contrasto con l’energia prodotta dai combustibili fossili che in qualche modo sarebbe “hard” (dura). Non è chiaro come l’utente possa sapere se l’energia elettrica che usa per il televisore o per la lavatrice sia da considerarsi “dura” o “morbida”; in ogni caso questo tipo di ragionamenti non sembrano avere molto successo con gli investitori istituzionali che pensano in termini di ritorni finanziari piuttosto che in termini di auto-realizzazione olistica.
Sembrerebbe, dunque, che l’energia rinnovabile sia stata posizionata in modo completamente sbagliato come prodotto sul quale investire. Su questo punto, il concetto di agri-energia può essere estremamente utile per riposizionare il concetto nel quadro di un’attività economica,
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l’agricoltura, che è nota per essere solida, affidabile e efficace a lungo termine. Abbondanti risorse finanziarie potrebbero essere messe a
disposizione per questo concetto una volta che diventasse noto e accettato da tutti. Queste risorse potrebbero arrivare sia dai capitali attualmente investiti in altre risorse, oppure da fondi attualmente diretti al sostegno dell’agricoltura convenzionale. Per esempio, i fondi per il programma di “Sviluppo Rurale” dell’Unione Europea nel periodo 2000-2006 ammontano a circa 50 miliardi di Euro. Di questi fondi, niente è previsto per la produzione di energia rinnovabile nel mondo rurale. Il documento che descrive il programma (33) non contiene neanche la parola “energia”; nonostante il fatto che nel documento ci sia una figura che mostra mulini a vento dell’ ‘800. Anche qui, il concetto che l’agricoltura tradizionale e il mondo rurale potrebbero trovare una sorgente di supporto mediante le energie rinnovabili potrebbe aprire canali di finanziamento finora non utilizzati per questo tipo di energie.
Ecologia energetica
In generale, sembrerebbe che l’opinione pubblica sia quasi sempre favorevole al concetto di energia rinnovabile in termini generali (vedi per
esempio il sondaggio di opinione riportato in 36). Tuttavia, quando si tratta di portare l’idea nella pratica e mettersi a costruire degli impianti, le cose possono cambiare radicalmente. Negli ultimi tempi, si è visto prendere forma un nettissimo movimento di opinione contro le energie rinnovabili. L’energia eolica viene opposta come visualmente “devastante” e viene accusata di fare strage di uccelli (vedi p.es.37). Gli impianti mini - idro sono accusati di uccidere i pesci (8) e il fotovoltaico di usare troppo spazio (p. Es. 39)
Sostanzialmente, questi atteggiamenti negativi si possono ridurre a due percezioni di fondo:
1. Le energie rinnovabili sono percepite come poco efficienti, ovvero non sono considerate come delle sorgenti di energia serie. Questo concetto porta all’opinione correlata che le risorse disponibili sarebbero spese meglio in misure per la conservazione energetica
Le energie rinnovabili sono viste come inquinanti, non nello stesso senso dei combustibili fossili, ma comunque inquinanti in termini visuali, di rumore, di danni all’ambiente, eccetera.
Queste due opinioni sono strettamente correlate fra loro. Certamente, il pubblico sarebbe molto più disposto ad accettare il rumore e la vista degli impianti rinnovabili se fosse veramente convinto che sono una seria alternativa ai combustibili fossili. Su questo punto, evidentemente la divulgazione del concetto è stata ancora insufficiente e l’ideologia “new age” associata alle rinnovabili le ha evidentemente danneggiate in termini di immagine.
Inoltre, l’emergenza di atteggiamenti negativi riguardo alle rinnovabili è spesso correlata a errori di tipo politico. Le comunità locali spesso si
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sentono invase dai produttori con le loro gigantesche torri eoliche. La gente ritiene, spesso correttamente, che il valore delle loro proprietà verrà ridotto dalla presenza nelle vicinanze di grandi e visibili impianti energetici.
Qui, il paradigma della “agri-energia” può avere un effetto positivo nel cambiare i termini del problema. Se l’energia rinnovabile è vista come un tipo di agricoltura, le torri eoliche e i pannelli fotovoltaici cessano di essere visti come giocattoli per hippy o macchine ammazza-uccelli, ma parte di un’attività economica ben nota e considerata positivamente. In particolare, l’impatto visuale dell’energia rinnovabile viene a essere molto ridotta se considerata in termini relativi all’impatto visuale dell’agricoltura stessa.
Agri energia
Il paradigma “agri-energetico” qui presentato è parte di una visione ben nota e accettata dell’agricoltura. E’ un concetto che va oltre la comune proposte che le rinnovabili dovrebbero trovare il loro sbocco iniziale in zone isolate o nei deserti equatoriali. Si tratta, viceversa, di operare secondo il modello agricolo tradizionale che vuole che i beni prodotti sui terreni agricoli vengano trasportati e venduti nelle città. Nel caso dell’ “agri-energia” il prodotto è energia elettrica da trasportarsi mediante la griglia esistente.
Secondo queste linee, l’energia rinnovabile è in grado di svilupparsi a velocità impressionante. Durante il decennio 1990-2000 la produzione di energia eolica nei paesi OCSE è aumentata al tasso medio del 22.4% all’anno, mentre quella da fotovoltaico del 28.9% (8, 35). Secondo i dati BP (34) la crescita dell’energia eolica a livello mondiale è stata del 29% dal 2001 al 2002, con la frazione di energia elettrica prodotta globalmente che è aumentata di quattro volte dal 1996 al 2002, per raggiungere il valore dello 0.4% del totale. In confronti, il tasso di crescita più alto osservato per la produzione di petrolio greggio è stato del 7% annuo dal 1930 al 1970 (1).
A un tasso di crescita del 20% annuo, partendo dallo 0.5% del totale, in 30 anni le rinnovabili potrebbero arrivare a produrre energia equivalente all’ammontare prodotto oggi dai combustibili fossili. Questa è, ovviamente, solo una stima di ordine di grandezza, ma mostra come le rinnovabili hanno il potenziale di rimpiazzare i combustibili fossili in tempi comparabili ai tempi stimati per il loro esaurimento. Non solo, ma hanno anche il potenziale di fornire un sostegno al mondo rurale che è oggi assolutamente necessario per mantenere in vita una tradizione e una cultura che tende a sparire.
Bibliografia Agri energetica
Ugo Bardi author Ugo Bardi
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman Dipartimento di Chimica, Università di Firenze
Polo Scientifico di Sesto Fiorentino,Via della Lastruccia 3, Sesto Fiorentino (Fi), Italy
ASPO (Association for the Study of Peak Oil), www.peakoil.net Bardi@unifi.it
Questo documento è una versione modificata dell’articolo pubblicato nei proceedings della conferenza “Renewables 2004” Evora, Portogallo. Appare on line a www.aspoitalia.net
Association for the Study of Peak Oil (ASPO) 2004, www.oilpeak.net
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38. 1997. M.Palazzetti, M. Pallante: “l’uso razionale dell’energia”, Bollati Boringhieri eds. Milano
Espropriare le scommesse per pareggiare il costo previdenziale
Naturalmente qui i proprietari di lottomatica e di sisal mi vorranno male. Ma anche gli amici iscritti alla Consob non dovrebbero fare eccezione alla regola perché anche loro, in realtà, non fanno altro che inventare scommesse tutto il giorno.
Ma in un paese dove la formula mafiosa previdenziale è ormai ineliminabile poiché culturalmente assimilata dalle masse, ed anzi divenuta ormai vera e propria droga sociale, rimane il problema di come pagare questa droga. Se infatti la gente ormai tira avanti nel proprio lavoro pur sfiduciati verso il lavoro stesso e le istituzioni, è perché punta il traguardo del pensionamento. E quando questo traguardo viene spostato improvvisamente dal governo un po più in là, diciamo di dieci anni.
E’ vero, c’era chi diceva : io non posso e resto a casa. Ma erano solo una minoranza e BV NM, ,4
La super classe dei managers
Alta classe sociale dei manager
Il manager deve appartenere necessariamente ad una delle prime classi sociali, in quanto classe trainante ed essenziale per l’economia di un paese.
Attenzione ponderata corre d’obbligo per definire chi e coloro appartenga alla classe del manager.
Manager non è solo capitano d’industria generica, di multinazionale, di azienda con molti dipendenti.
Manager è anche, se pur più in piccolo, il professionista che realizza un’opera, l’impresario che la esegue, il fornitore che la rifornisce
puntualmente, l’artigiano che ne crea le parti artistiche, decorative, e protettive, ed infine il privato stesso, costruttore in proprio, che ne cura l’avanzare dei lavori e ne sorveglia la corretta esecuzione.
Manager è anche il contadino che gestisce la propria fattoria e la porta alla produzione annuale.
Manager è anche il pastore e l’allevatore che cura le bestie e produce lana, latte e formaggio.
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Manager è chiunque, crei, curi, esegua e commercializzi una produzione
propria od altrui promuovendola su un sito internet.
Non conta la dimensione del suo operato, un manager è sempre un manager, ed è necessario alla società qualunque sia la sua dimensione, ed è abominevole voler eliminare i piccoli manager.
Per queste originarie ragioni, l’ordinamento italiano, come quello dei paesi occidentali, attribuisce alla funzione manageriale autonomia e discrezionalità operativa nella scelta della migliore strategia di governo dell’impresa.
Naturalmente, per il mercato borsistico, solo i grandi managers internazionali contano per riferire ai portatori di interessi interni ed esterni quali ad esempio i detentori delle stock options.
Per questa classe di managers è giusto analizzare dal punto di vista del diritto quelli che siano gli aspetti relativi all’etica di comportamento dei managers e alla loro maggiore responsabilità verso gli azionisti.
Non solo, quando i managers di aziende private quali ad esempio, piccole, medie o grandi imprese produttive o commerciali, ma anche
agenzie di rating, banche e finanziarie, ed anche enti pubblici come comuni e provincie, regioni e apparati statali, ministeri ed authorities si avvalgono di famose società di consulenza esterna, anch’esse rette e condotte da managers della consulenza ovvero “superconsulenti” del manager, allora ci si potrebbe porre il quesito: ma chi controlla questi i controllori della gestione globale? Una risposta avviene immediata: i più ricchi, ovvero le banche.
Ecco che con il controllo del rating globale le banche addivengono al controllo di fatto dell’intero sistema economico mondiale.
Consulenti e managers
Si istituisce l’autorità manageriale sotto il segno dell’indipendenza di giudizio nelle scelte di governo dell’impresa così come viene sancito dall’articolo 2380-bis del Codice Civile, secondo comma: “la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”. Alcune delle osservazioni immediatamente ascrivibili a tale norma potrebbero essere le seguenti:
Tale norma codifica un principio di autorità, di autonomia e indipendenza di giudizio che attribuisce agli amministratori, in via esclusiva, il potere di assumere le decisioni sulla conduzione dell’impresa ai fini del compimento dell’oggetto sociale, senza che vi sia alcuna interferenza da parte dell’assemblea degli azionisti nella sfera del potere gestorio.
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La volontà del legislatore di attribuire al management una sfera di non interferenza da condizionamenti esterni viene ribadita dall’art. 2409 septiesdecies che al primo comma recita: “La gestione dell’impresa spetta esclusivamente al consiglio di amministrazione”.
Ne consegue che gli articoli 2380-bis e 2409 septidecies del Codice Civile disegnano artificialmente uno spazio di discrezionalità che consente a chi dirige un’impresa di agire in piena libertà rispetto alla pretesa potenziale di chiunque (azionisti, dipendenti, fornitori) di interferire nella conduzione dell’azienda. Tali norme stabiliscono una linea di demarcazione fra tutti gli stakeholder, proprietà compresa, e il controllo.
La linea che istituisce uno spazio artificiale – un’area di libertà negativa in cui il manager è libero di decidere autonomamente la migliore strategia per perseguire l’oggetto sociale, senza subire né il condizionamento proprietario, né, tantomeno, quello degli altri stakeholder.
Un arbiter super partes, che ha la responsabilità di agire per il conseguimento delle finalità sociali, ma, nello stesso tempo, tale obbligo è vincolato ad una condizione di autonomia decisionale nella scelta di conduzione dell’impresa. Il dato giuridico conferma, dunque, che la discrezionalità manageriale è un dovere della professione e tale dovere è istituito con delle norme e, quindi, perciò stesso, pienamente legittimato ad operare.
Il diritto societario, dunque, per quanto attiene le grandi società, anche in forza della separazione dei compiti fra proprietà e controllo, legittima la discrezionalità manageriale e attribuisce, di conseguenza, al management l’iniziativa autonoma e i poteri decisionali su tutte le più importanti materie di governo dell’impresa (politiche salariali e previdenziali, distribuzione dei dividendi, occupazione, impiego delle risorse delle imprese, sistema di premi e punizioni, promozioni, trasferimenti, scelta dell’informazione da riportare all’assemblea degli azionisti).
In altre parole, il dovere di amministrare un’impresa per il raggiungimento dello scopo sociale implica il potere (esclusivo) di decidere in assoluta libertà. Ora, il potere di agire in piena libertà si accompagna all’obbligo della responsabilità, del rendere conto agli altri di ciò che si fa in piena autonomia e indipendenza di giudizio. Un carattere distintivo della professione manageriale, quindi, è esercizio di libertà e di autonomia, che è derivata dall’esclusività del compito di gestire l’impresa, secondo il dettato degli articoli citati del Codice Civile. Se i manager non avessero la possibilità di scegliere, non ci sarebbe neanche un dovere o una regola da osservare, ma soprattutto non potrebbero essere ritenuti responsabili per le scelte operate nella sfera del governo dell’impresa.
Agire in autonomia
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L’indipendenza dei managers implica, di conseguenza, l’impossibilità da parte degli amministratori di sgravarsi delle proprie responsabilità per le
decisioni assunte da loro stessi. Infatti, lo stesso codice attribuisce al management dell’impresa la responsabilità per i reati commessi per gli atti compiuti dagli stessi, come le false comunicazioni sociali, l’indebita ripartizione degli emolumenti, l’insider trading, l’aggiotaggio e tutti gli altri.
Il potere di decidere senza subire interferenze, è strettamente vincolato al dovere di responsabilità e quindi, di conseguenza, gli amministratori sono responsabili verso la società come persona giuridica, e in secondo luogo rispondono dei danni procurati ai creditori sociali, ai singoli soci o a terzi in genere. A tale riguardo, il diritto societario prevede che, nei confronti della società, i manager devono agire con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e rispondere (responsabilità contrattuale) per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto, anche senza una specifica prova della loro colpa nell’avere determinato il danno, ma solo per non avere fatto quanto potevano per evitarlo o per attenuarne le conseguenze dannose.
Nel caso dei creditori, dei soci e di altri soggetti terzi, la norma societaria prevede una sanzione di responsabilità dell’amministratore ma il provvedimento sanzionatorio è subordinato alla produzione della prova da parte dell’azionista ricorrente, il quale deve dimostrare che la decisione dell’amministratore (probatio diabolica) era lesiva dell’interesse sociale generale, irrazionale, adottata in presenza di un conflitto di interessi, illegale, fraudolenta o, infine, priva di “business purpose”.
In Italia, la questione della responsabilità manageriale, negli ultimi anni, è stata oggetto dell’attenzione del legislatore che ha adottato
provvedimenti, sia in termini normativi con il varo del D. lgs. 8 giugno 2001, n.231 che disciplina la responsabilità delle imprese per gli illeciti amministrativi commessi dai dirigenti per loro conto, sia in termini di Corporate Governance con la riforma del diritto societario varata con il D.lgs. 17 gennaio 2003 n.6 che ha ridisegnato l’organizzazione interna delle società per azioni italiane. In questa sede, il legislatore ha previsto che le imprese possono adottare un modello dualistico che, oltre ai manager esecutivi, istituisce la figura dei manager indipendenti (consiglio di sorveglianza) che hanno l’onere di controllare l’operato dei primi ai fini di prevenire reati di abuso manageriale.
In nessun caso, comunque tali provvedimenti hanno modificato il dettato degli artt.2380-bis e 2409, anzi la riforma del diritto societario, a differenza di quanto stabiliva l’ordinamento precedente, ha ampliato l’autonomia manageriale dall’azionariato, posto che:
lo statuto delle società per azioni non può riservare alcun atto di gestione all’assemblea;
gli amministratori non possono sottoporre ala stessa, neppure per un eventuale parere, atti di gestione.
Si può affermare, pertanto, che la riforma ha privilegiato una gestione non certo democratica dell’impresa, posto che ha allontanato gli azionisti
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dalla gestione, ma questo significa che il legislatore ritiene fondamentale l’autonomia decisionale dei manager pur mantenendo inalterato il divieto
assoluto per gli amministratori, a perseguire interessi diversi da quelli dei soci. Di conseguenza, la libertà negativa, ovvero l’area di non interferenza in cui il manager è padrone ed ha il pieno controllo, gli consente di operare scelte di conduzione d’impresa in assoluta indipendenza, senza che questo, tuttavia, comporti in termini di risultato finale, una modificazione dei fini dell’impresa.
De iure, il manager, dunque, ha il diritto a essere lasciato libero di agire, ma indipendentemente dalla sua personale adesione a una tavola di valori o a un’altra (stockholder value o stakeholder value), egli ha un dovere fiduciario verso gli azionisti, posto che il diritto societario italiano non consente di costituire una società per azioni per uno scopo diverso o dalla realizzazione di un utile da distribuire agli azionisti.
La libertà manageriale va quindi utilizzata sempre per il fine della remunerazione dei capitali investiti dai proprietari.
Per tale ragione, deve essere considerata nulla una clausola statutaria che stabilisce una partecipazione agli utili da parte dei dipendenti, dei fornitori, dei clienti e della comunità locale. Invece, non può essere considerata nulla la clausola che obbliga gli amministratori, nel rispetto dei vincoli di economicità di gestione, ad adottare scelte di conduzione dell’impresa per il perseguimento del massimo del profitto per i soci, ma solo se questi atti di governo non sono pregiudizievoli per gli interessi degli stakeholder.
Ad esempio, un manager non può danneggiare i consumatori immettendo nel mercato prodotti di scarsa qualità, ovvero senza osservare le norme in materia di igiene e di standard merceologici, al fine di diminuire i costi di gestione e quindi, così facendo, aumentare la redditività dell’impresa. Il problema dell’opportunismo
Come si può vedere, la discrezionalità manageriale implica un’indipendenza del giudizio nella conduzione d’impresa, riconosciuta dall’ordinamento giuridico in ragione dell’alto grado di complessità della funzione che si traduce in uno status di particolare ed esteso potere decisionale.
Tale potere, tuttavia, secondo alcuni può essere esercitato dai manager in modo opportunistico a scapito degli interessi della proprietà e degli altri stakeholder.
Se non vi sono dubbi sul fatto che la libertà sia connaturata alla funzione manageriale, non è così evidente che l’esercizio di tale libertà sia anche un presupposto o un fondamento per la moralità dell’agire.
E in effetti, piuttosto, sembrerebbe proprio il contrario e cioè che la libertà del manager può mettere in serio pericolo tutte le componenti aventi un interesse nell’impresa, con un conseguente effetto negativo sul piano della moralità.
L’invocazione, che viene da più parti, ad una maggiore capacità della legge di frenare l’opportunismo manageriale, è direttamente connessa
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all’assunto secondo il quale l’agire manageriale, in forza di questa libertà decisionale, può innescare problematiche di ordine sociale e morale che, per la loro rilevanza, non possono che essere ridimensionate verso una restrizione della libertà.
Ebbene, finora, il problema dell’opportunismo è stato visto sotto questo profilo e cioè come effetto della libertà decisionale e quindi dell’autorità del manager. E in effetti, secondo un’affermata letteratura di teoria dell’impresa e di legislazione, l’abuso manageriale è una conseguenza, un portato inevitabile, della discrezionalità manageriale.
Di conseguenza, gli sforzi sono stati rivolti alla ricerca di soluzioni per controllare al massimo grado possibile il potere dei manager.
In letteratura il problema dell’opportunismo manageriale è stato sollevato, negli anni trenta del secolo scorso, dall’indagine di A.Bearle e G.C. Means sulle 200 grandi corporation americane nella quale gli autori hanno sostenuto la tesi che il decadimento morale del management d’impresa non è altro che il frutto di un potere eccessivo (discrezionalità) dei dirigenti, derivante dalla separazione fra la proprietà e il controllo, determinatasi in seguito alla nascita delle società per azioni, che si è tradotto in una perdita di controllo degli azionisti sui consiglieri di amministrazione e sui manager tecnici.
Questa tesi, storicamente, costituisce il paradigma del capitalismo manageriale secondo il quale, nelle grandi società, ad esercitare il potere
sono una casta di tecnocrati (manager e consiglieri di amministrazione), che tiene il controllo nelle proprie mani fino al punto di mettere in pericolo il dettato della massimizzazione del profitto per gli azionisti, per perseguire obiettivi di status, di potere o di denaro a titolo personale.
L’indagine dà l’avvio ad una serie di studi, ricompresi nel filone managerialista, che successivamente portano alla formulazione della teoria dell’agenzia che definisce compiutamente il problema dell’abuso manageriale già prospettato nell’indagine di Bearle e Means.
L’alveo in cui si muove la agency theory è quello della “Contractual theory of the firm”, ovvero la teoria secondo la quale l’impresa è un fascio o un nesso di contratti – nexus of contracts.
La teoria dell’agenzia afferma, infatti, che vi è una relazione contrattuale, un rapporto di agenzia, tra il principal (il complesso degli azionisti) e l’agent (il manager).
Il principal per perseguire il proprio fine di massimizzare il valore dei propri averi, ha bisogno di avvalersi dell’opera dell’agent, il quale però non ha lo stesso interesse del principal, in quanto il manager ha anch’egli un interesse personale nell’impresa, ma questo interesse si pone come opposto e divergente rispetto a quello della proprietà.
L’interesse personale del manager, definito come “il problema d’agenzia”, determina anche dei costi che sono proporzionali all’ampiezza della delega e all’incapacità del principal di controllare l’operato dell’agent.
Tali costi di agenzia derivano, dunque, dalla divergenza d’interessi tra proprietà e controllo, e consistono nell’impegnare risorse economiche
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman dell’impresa per il monitoraggio del comportamento dell’agent, detti
“costi di controllo”.
Poi vi sono dei costi che derivano dall’attività dell’agent volti a dimostrare che il suo comportamento non è opportunistico, detti “costi di rassicurazione”.
Infine, vi sono altri costi residuali che non rientrano nelle due categorie precedenti derivanti da altri tipi di conflitto. Il problema dell’abuso delle
informazioni derivante dall’asimmetria informativa che si istituisce in forza della separazione tra proprietà e controllo è, oltre alla divergenza d’interessi, la seconda causa che determina l’insorgere dei costi di agenzia.
A tale riguardo la teoria dell’agenzia, sostiene che la posizione di potere di cui gode il manager, pone questo in una condizione di azzardo morale che è dato dalla possibilità che ha il manager (agent) di abusare moralmente del proprio ruolo, sfruttando la mancanza di informazioni del principal.
L’insorgenza morale in questo caso è data dal fatto che il manager, proprio perché dispone di una quota di informazione rilevante, può agire in modo opportunistico nei confronti dei titolari dell’impresa che, invece, siccome non possiedono adeguate informazioni, subiscono l’abuso di autorità manageriale.
Proprio per questo i contributi della teoria dell’agenzia sono stati mirati a trovare delle soluzioni per far collimare gli interessi dei manager a quelli dei proprietari, attraverso la messa in opera di sistemi di allineamento delle funzioni obiettivo di principal e agent, di cui i piani di stock options sono il tipico esempio. Il problema posto dalla teoria dell’agenzia è strettamente collegato al tema degli assetti proprietari, posto che dalla struttura proprietaria dipende la capacità operativa ed effettiva degli azionisti di controllare l’operato degli amministratori. All’aumento della separazione tra proprietà e controllo, corrisponde un proporzionale aumento di costi di agenzia.
Così nelle società a capitale diffuso, nelle quali è alta la separazione, secondo la tesi di Bearle e Means, i costi di agenzia risulteranno molto alti, di contro, nelle società a struttura proprietaria chiusa o ristretta, nelle quali gli azionisti riescono facilmente a tenere sotto controllo i dirigenti, i costi di agenzia sono molto bassi.
Il legame tra società e Impresa
Occorre dire che il diritto societario dei paesi occidentali riconosce validità alla teoria dell’agenzia e indirettamente anche alla tesi managerialista espressa dalla posizione storica di Bearle e Means, ritenendo che esiste u problema di agenzia, vale a dire un interesse
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personale del management, che contrasta con l’interesse proprietario e che deriva dalla possibilità di abusare della sua posizione di autonomia per scopi opportunistici, sfruttando la carenza o la mancanza di informazioni della proprietà.
La conferma di tale riconoscimento è la legittimazione per via giuridica, dell’uso dei sistemi di allineamento di funzione obiettivo tra la proprietà e il management, vale a dire i piani di stock options.
Se ammettiamo quanto sopra possiamo derivarne le seguenti asserzioni:
il diritto societario attribuisce al manager una discrezionalità operativa nella conduzione dell’impresa consistente in uno spazio di non interferenza, di libertà negativa, in forza del quale egli può decidere autonomamente sulle materie oggetto del governo dell’organizzazione, come previste dagli artt. 2380-bis e 2409 septiesdecies del Codice Civile.
dal momento che, secondo la teoria dell’agenzia, tale discrezionalità può essere utilizzata dal manager per scopi opportunistici e autointeressati, è legittimo e moralmente giustificato attribuire ai manager delle compensazioni aggiuntive consistenti in stock options al fine di far collimare gli interessi degli azionisti con quelli dei manager.
Così accade che il diritto societario, riconoscendo validità alla teoria dell’agenzia, legittimi l’uso delle stock options in quanto questi incentivi mirano a far coincidere perfettamente l’interesse della proprietà con quello degli azionisti, limitando o annullando il potenziale opportunismo manageriale.
La giustificazione di tale legittimazione, quindi, non è specificamente economica, cioè relativa al diritto di ciascuno a guadagnare il massimo possibile dalla propria attività lavorativa nel rispetto delle leggi, ma precisamente morale, in quanto si ritiene che i piani di stock options, allineando le funzioni obiettivo degli azionisti e dei manager, diventano un antidoto, un vaccino che serve ad eliminare la divergenza di interessi tra la proprietà e il management, togliendo le spinte motivazionali all’opportunismo e all’avidità personale dei manager.
Costoro, secondo tale visione, senza tale barriera di protezione potrebbero tradire il compito di creare valore per gli azionisti, utilizzando la loro posizione e quindi il potere decisionale per scopi auto interessati.
Obbiettività manageriale
Il legislatore, integrando in norme le conclusioni della teoria dell’agenzia e indirettamente della tesi di Bearle e Means, riconosce una giustificazione di ordine morale all’incentivo, allo scopo di far collimare gli interessi della proprietà con quelli del management.
Secondo il diritto societario inoltre, il manager ha il compito esclusivo
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(vedi artt. 2380-bis e 2409 septidecies) di gestire l’impresa autonomamente (discrezionalità operativa) senza subire l’interferenza di altre componenti.
In primo luogo, tale discrezionalità prevista dagli articoli citati del Codice Civile, ma anche del Codice di Autodisciplina delle società quotate, di fatto, tuttavia, si misura con la reale, non legale, tenuta dell’area di libertà negativa in termini di permeabilità.
In altre parole, l’istituzione di uno spazio di libertà negativa legalmente stabilito (discrezionalità operativa), non si traduce, ipso facto, in reale facoltà di giudizio indipendente, in forza della quale il manager può svolgere il suo compito senza subire interferenze, anche se, legalmente potrebbe, anzi dovrebbe.
In realtà, la discrezionalità, seppur istituita in via di diritto, viene sistematicamente annullata o limitata di fatto, da forme di intromissione e di interferenza, altrettanto legali, che producono gravi distorsioni della funzione manageriale. Per tale ragione ritengo che l’avere integrato le conclusioni della teoria dell’agenzia nell’ordinamento societario, abbia dato luogo ad un cedimento delle norme sul piano morale, dato che persiste una contraddizione tra l’istanza della discrezionalità e quella dell’allineamento delle funzioni obiettivo tra proprietà e management.
Da una parte, il legislatore esige il compito esclusivo del governo dell’impresa in regime di non interferenza, tanto che ascrive le
corrispondenti responsabilità ai manager opportunisti nei riguardi di tutte le componenti e li declina in reati; dall’altra, la non interferenza viene annullata da un’altra norma che, per supposte ragioni morali, tende ad allineare gli interessi proprietari con quelli del management, attraverso gli incentivi economici.
A tale riguardo, ritengo impossibile e impensabile che il manager possa agire liberamente nelle scelte di governo dell’impresa se le sue scelte sono informate e dirette ad accrescere il valore dei titoli di cui è in possesso per il mezzo delle stock options.
Ogni volta che quel manager dovrà adottare decisioni e operare delle scelte, il suo agire sarà condizionato inesorabilmente dal calcolo circa il possibile esito di quell’atto per ciò che lo riguarda e, prima di ogni altra considerazione, ai fini della la sua convenienza personale.
Di conseguenza, nella decisione e nella scelta operata, interverrà un elemento di condizionamento che preclude la possibilità legale di agire in piena discrezionalità.
Tale incoerenza che permane sul piano della ratio legale, sarebbe tuttavia giustificata se l’area di non interferenza fosse sacrificata effettivamente per uno scopo morale.
Purtroppo, anche da un punto di vista morale, la saldatura di interessi tra proprietà e management, procurata a mezzo di incentivo economico, non si può giustificare moralmente per almeno due ragioni:
l’incentivo mette in scacco la libertà che è condizione essenziale di ogni agire morale e B) l’incentivo non agisce come una limitazione
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman dell’opportunismo manageriale, anzi lo istiga.
L’incentivo mette in scacco la libertà che è condizione essenziale di ogni agire morale Non si dà nessuna etica senza libertà, pertanto non possiamo aspettarci comportamenti etici dai manager d’impresa che liberi non sono, anche se è possibile l’accadere di un comportamento opportunistico in virtù della libertà. Se la libertà, dunque, è una condizione essenziale dell’agire morale, non è così evidente che vi sia una relazione di causa - effetto fra la libertà dell’agire e la moralità della decisione.
Berlin considera la libertà come la condizione essenziale dell’uomo, al di là da ogni applicazione in sede economica o etica, di teoria del mercato o di filosofia morale. Egli dice:
“Senza un minimo di libertà ogni scelta è esclusa e perciò non c’è possibilità di restare umani nel senso che attribuiamo a questa parola, ma può essere necessario mettere limiti alla libertà per fare spazio al benessere collettivo, per sfamare gli affamati, per vestire gli ignudi, per dare un alloggio ai senza tetto, per consentire agli altri di essere liberi, per non ostacolare la giustizia e l’equità”
Ma se la libertà per Berlin è costitutiva dell’essere umano, questo non significa che della libertà si possa fare un uso illimitato quando, per il suo esercizio, si mettono in pericolo i diritti essenziali delle persone.
Quindi il limite alla libertà è dato dalla legge che deve tracciare la linea oltre la quale, la libertà arreca danno a ciò che è giusto e punire giustamente coloro che oltrepassano quella linea.
Coerentemente con questo assunto, Berlin, infatti, pensa che:
“libertà ed uguaglianza sono tra gli scopi primari perseguiti per secoli dagli esseri umani; ma libertà totale per i lupi significa la morte per gli agnelli; una totale libertà dei potenti e dei capaci, non è compatibile col diritto che anche i deboli o i meno capaci hanno a una vita decente”.
La libertà totale è un pericolo per i deboli e i bisognosi, ma anche una libertà limitata, usata per commettere abusi contro la proprietà o gli stakeholder, può dare adito ad insorgenze morali nella sfera d’azione del management.
E’ un rischio senza alternative e bisogna correrlo. Senza la libertà l’agire non è etico, anche se per causa di una libertà male utilizzata, l’agire morale non è affatto scontato. E allora delle due l’una. O scelgo la libertà e potrò aspettarmi una modificazione dei comportamenti nel senso della moralità, oppure dovrò rinunciare alla libertà e con questa anche alla possibilità di avere comportamenti etici.
L’area della discrezionalità è istituita dalla legge e, pertanto, il manager, per assicurarsi uno spazio di autodeterminazione, non dovrebbe fare altro che respingere ogni intromissione da parte di altri in forza di una norma che gli riconosce una libertà “da”, nei confronti di tutte le altre componenti dell’impresa. Ma se il manager decide di non proteggere questa area di libertà dalle ingerenze esterne, la norma legale non considera ciò un reato e dunque non prevede alcuna sanzione o altro
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman tipo di provvedimento.
Questo significa che il manager ha la facoltà di avvalersi della libertà negativa nei confronti del resto del mondo, ma nel caso in cui dovesse rinunciare a tale facoltà e quindi rinunciare alla discrezionalità, il suo comportamento, comunque, non avrebbe alcuna rilevanza legale.
Così stando le cose, la perdita di discrezionalità non pone in essere questioni legali, ma certamente pone problemi morali di grande importanza.
Se la libertà di scelta viene completamente sacrificata alle ragioni di una parte e quindi se la discrezionalità viene perduta, i comportamenti che ne deriveranno non potranno essere conformi ad alcun principio morale, ma saranno piegati al soddisfacimento di interessi particolari che nel nostro caso fanno capo, per un verso, alla pretesa proprietaria di far collimare l’agire manageriale al paradigma della creazione di valore per gli azionisti, per un altro verso alla pretesa del manager di trarre profitto dalla quotazione delle azioni della società delle quali è in possesso per via delle stock options.
Detto altrimenti, se il manager è condizionato o influenzato per interesse, non può agire discrezionalmente e pertanto non può adottare neanche alcun comportamento di tipo morale.
Di contro, se il manager è indipendente da interessi particolari, compreso i suoi, l’area di discrezionalità prevista dall’art.2380-bis del C.C., è protetta e quindi agibile sul piano morale.
L’agire morale implica la volontarietà, ma questa volontarietà non può operare se non si è nelle condizioni per deliberare autonomamente.
Aristotele, nel libro terzo dell’Etica Nicomachea, ci dà un’analisi puntigliosa della questione, affermando che
“ la forza vizia la volontarietà dell’azione perché ciò che si può definire come volontario, è ciò il cui principio è in chi agisce”
Quindi ciò che ci costringe ad agire in un modo piuttosto che in un altro o che restringe il campo delle possibili alternative che potremmo seguire, influenza o annulla la nostra decisione, che non è più volontaria, cioè libera. Una volontà obbligata a scegliere qualcosa è in totale opposizione alla volontà di chi, se non fosse circoscritta o annullata, potrebbe scegliere di produrre corsi di azione più aderenti ai propri ideali pratici.
Su questo solco ancora Aristotele, parlando della deliberazione (proairesis), sostiene che
“ noi deliberiamo sulle cose che dipendono da noi e che sono realizzabili, ovvero non impossibili in quanto non possiamo scegliere per esempio di essere immortali, ma possiamo scegliere su tutto quello che dipende dalla nostra conoscenza e cioè che si genera per nostra causa“.
Gli incentivi annullano la moralità delle decisioni che si potrebbero generare da un manager libero che trova in se stesso, come la legge stabilisce, il principio del suo agire.
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Peraltro, una discrezionalità formale o legale, se non è resa effettiva dall’indipendenza del manager da interessi particolari, semplicemente si svuota di ogni contenuto e quindi, de facto, non è utilizzabile, con la conseguenza di vanificare i benefici per cui era stata pensata e istituita.
Per completezza, è d’uopo dire che le armi attraverso le quali la proprietà invade la sfera di libertà negativa, di cui legalmente dovrebbe godere il manager per condizionarne le scelte, non sono solo le stock options. Gli incentivi possono essere utilizzati singolarmente, ovvero alternati a seconda delle situazioni con altre forme di interferenza tra le quali si possono annoverare misure di incentivazione come le stock grants o i benefits non monetari (regali, viaggi, cure termali ecc.); o forme di tipo punitivo: declassamento, takeover, licenziamento.
Altresì, a monte di queste forme, riveste una grande importanza anche la modalità con la quale si procede generalmente all’elezione degli amministratori.
Come spesso succede nelle assemblee, il management di un’impresa è scelto ed eletto dal gruppo di controllo azionario, attraverso il sistema
delle deleghe. In questi casi, vi sono rischi più che fondati che il manager sia in balìa degli investitori e dei gruppi di controllo per quanto attiene alle scelte di dirigenza dell’impresa. In tale condizione, il gruppo d’interesse opera la scelta di eleggere al vertice di un’impresa un amministratore o un dirigente tecnico fedele che “dipende da” e che dunque, perciò stesso, non è “libero da”.
Tale visione delle cose è confermata da una notevole quantità di casi nei quali i manager, pur avendo la possibilità di operare in condizioni di libertà negativa nella sfera della discrezionalità, per obbedienza o per interesse, conformano le loro scelte ai desideri della cordata proprietaria, del patto di sindacato, cioè del gruppo di interesse che è in grado di eleggerlo come amministratore, o di blandirlo con cospicui incentivi, ma anche, al limite, di licenziarlo.
La libertà negativa in questo caso non si genera a causa di una mancanza di indipendenza del manager dall’interesse del gruppo elettore, che ha
sempre la possibilità di condizionarlo nella sua azione di direzione dell’impresa, con la conseguenza che in questa condizione non si costituisce un’area di libertà negativa perché, o per paura della punizione o per interesse personale, il dirigente subisce l’interferenza del dante causa della sua elezione.
Accade così che l’azione del manager viene intrappolata dalle pressioni che si presentano sotto forma di minacce e nel contempo di cospicui incentivi, di conseguenza, il movente che produce la decisione è pertanto imperativamente subordinato o alla volontà di neutralizzare le minacce o a quella di fruire al massimo grado degli incentivi e in entrambi i casi, comunque, in osservanza del diktat proprietario.
Il manager, in questo contesto, non è più un essere autonomo e indipendente, libero di scegliere e di decidere le strategie di governo dell’impresa, posto che la volontà proprietaria non si limita a valutare l’impegno e la capacità del manager per raggiungere il fine della
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remunerazione del capitale, ma si estrinseca in una serrata pressione in itinere che atrofizza le scelte di governo dell’impresa, trasformando il dirigente d’impresa in un mero esecutore delle richieste che vengono dalla proprietà.
A questo punto, il risultato è che il manager non è più nelle condizioni di agire liberamente e questo significa che la sua decisione non è altro che la meccanica esecuzione di un atto che è stato voluto e deciso da altri. Le conseguenze di questo, sul piano morale, sono evidenti:
“senza libertà non è possibile una scelta morale”.
La volontà di far collimare gli interessi proprietari con quelli del management, secondo lo schema della teoria dell’agenzia, preclude la libertà ai manager che, per ciò stesso, di conseguenza, non possono agire moralmente, ma neanche legalmente giacché il dettato del Codice Civile che attribuisce in via esclusiva il compito di governo dell’impresa al management rimane lettera morta. Premiare i risultati
Negli ultimi anni Le stock options sono state offerte in quantità tali da diventare la principale voce dei compensi dei manager.
Non ci sono precedenti infatti in tutta la storia del capitalismo occidentale sulle enormi quantità di risorse che la proprietà ha messo in campo per governare l’impresa agendo con la sola leva dell’incentivo. Inoltre, se si considera che durante gli anni ‘90 il corso delle azioni è aumentato di 4-6 volte e in alcuni casi di 20-30 volte, si comprende come il meccanismo delle opzioni sulle azioni sia stato un possente incentivo per ottenere dai manager il perseguimento di strategie societarie concentrate sulla massimizzazione del valore delle azioni. Con questo sistema il compenso dei manager è stato legato al valore delle azioni fino ad arrivare all’assurdo che lo stipendio di un manager, in alcuni casi estremi, è di 1000 volte superiore al salario medio dei lavoratori al di sotto del livello di quadro.
Le ragioni che sottendono alla scelta della proprietà di offrire incentivi ai dirigenti, attengono all’esigenza di fidelizzare i comportamenti del management alla causa della creazione di valore per gli azionisti, ma ciò evidentemente, presume, come sostiene la teoria dell’agenzia, che il management, per ragioni di opportunismo, potrebbe adottare comportamenti auto - interessati e o divergenti, e che dunque non è “naturalmente” vocato a quella causa.
Il rimedio al problema, ossia l’enorme diffusione delle pratiche di incentivazione dello sforzo di direzione dell’impresa, dimostra che la proprietà riconosce l’esistenza di uno spazio di discrezionalità manageriale che genera indipendenza dall’interesse proprietario che va controllato o attraverso la punizione o attraverso l’incentivo.
Ciò che accade invece è che i manager hanno tutto l’interesse a fare crescere il valore delle azioni della società di cui possiedono i diritti di opzione, ma questo dato pone questioni etiche che confliggono decisamente con le intenzioni del legislatore italiano e della teoria dell’agenzia.
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Pur di far crescere le azioni, infatti, i manager, in molti casi, hanno addirittura portato al fallimento le imprese dopo avere accumulato pesanti perdite e avere prodotto, a causa degli effetti reputazionali, enormi perdite di valore dei titoli.
Oppure le hanno costrette ad attuare programmi di licenziamento e di delocalizzazione della produzione.
Si pone dunque un problema morale di sicurezza e di tutela degli interessi degli azionisti e degli stakeholder, in quanto le esternalità sociali direttamente ascrivibili ai comportamenti opportunistici dei manager incentivati, hanno prodotto distruzione di valore economico e costi pubblici di grandi dimensioni e di devastante impatto, come si può facilmente evincere da recenti studi.
L’incentivo economico, se nelle intenzioni del legislatore che assume come valide le conclusioni della teoria dell’agenzia, doveva allineare le funzioni obiettivo della proprietà e del management, producendo un risultato sul piano morale, di fatto mostra la sua pericolosa inefficacia non solo nei confronti delle componenti non proprietarie, ma soprattutto, smentendo in ciò la teoria dell’agenzia, nei confronti della proprietà, posto che istiga il manager ad adottare pratiche di governo che mettono in pericolo gli interessi legittimi degli stessi azionisti.
Quindi l’annullamento dell’area di libertà manageriale per mezzo d’incentivo, di fatto, non può essere giustificata moralmente perché non
è a garanzia del patto di fedeltà tra la proprietà e il management, bensì è causa di una saldatura tra potere e denaro che muove contro gli interessi degli stessi azionisti e che quindi, moralmente non è giustificabile.Amoralità della coercizione
La giustificazione che offre la tesi di Bearle e Means ripresa dalla teoria dell’agenzia in ordine al problema morale dell’abuso di autorità manageriale, consiste nell’asserire che vi è una relazione causale tra posizione ricoperta dal manager e insorgenza morale.
Per cui è il potere (la posizione) del manager a consentirgli di abusare della carenza informativa del principal (gli azionisti) e così di produrre atti di gestione dell’impresa che non avrebbero potuto essere effettuati se non avesse ricoperto quella posizione.
Tale spiegazione, tuttavia, non dà ragione del perché si debba porre necessariamente una relazione diretta tra potere e cedimento morale.
Il potere di agire in modo opportunistico implica di per sé che il manager debba sporcarsi le mani?
A ben vedere non c’è alcuna ragione, non gratuita, del perché il manager debba agire opportunisticamente se il potere non è funzionale all’interesse.
Non è in discussione il fatto che tra chi gestisce il potere e chi ne subisce gli effetti, vi sia asimmetria informativa. E in effetti chi governa l’impresa dispone di una quota maggiore di informazione rilevante ai fini economici rispetto a chi ha messo i capitali, ma questo non basta a spiegare il motivo per cui, da uno squilibrio informativo, si debba
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman produrre necessariamente un cedimento morale.
In realtà, a mio giudizio, il problema morale che insorge non è dato dalla condizione di privilegio gerarchico e quindi dalla posizione, ma dalla forza che distorce la funzione di quella posizione, piegandola ad un interesse.
E’ vero che il valore di mercato delle azioni subisce variazioni in alto o in basso non solo per i cosiddetti “capricci” del mercato e quindi della
valutazione fatta sui titoli dal mercato stesso, ma anche per effetto delle decisioni che gli amministratori delle società hanno adottato in virtù della loro posizione, secondo lo schema del capitalismo manageriale, ma ciò non è sufficiente per inferire che gli stessi abbiano potuto effettuare operazioni moralmente eccepibili solo perché si trovavano nelle condizioni per farlo (la posizione).
Non è per nulla inconcepibile un manager apicale che adotta decisioni eque nei confronti di tutti gli azionisti, agendo in piena diligenza così come previsto dal codice, senza pregiudicare in alcun modo l’interesse dell’azionariato.
Quindi l’insorgenza morale non è data dalla posizione in cui si trova l’amministratore, ovvero dalla sua autorità che gli consente di disporre di informazioni rilevanti, ma dal fatto che questi ha un interesse preciso ad utilizzarle a proprio vantaggio o a vantaggio di coloro ai quali è legato (patto elettorale), e di condizionare l’esito delle transazioni, relegando l’azionista a cui non è legato, o il “resto del mondo” in una posizione di svantaggio.
In altri termini, il manager agisce in modo immorale e illegale perché lui stesso ha un interesse per farlo, e questo interesse è generato dal possesso di stock options o di altre forme compensative, cioè di incentivi, o per fedeltà al dante causa della sua nomina.
Questo significa che l’azzardo morale non si pone per il fatto di avere utilizzato nella transazione dei titoli la sua posizione di potere, ma per avere abusato di quella posizione in vista di un interesse suo o della cordata di cui è espressione all’interno del board of directors.
Se la discrezionalità operativa è stata manomessa da un interesse, perciò stesso la funzione dirigente è stata distorta e la distorsione non è dovuta alla divergenza di interessi o all’asimmetria informativa, quanto piuttosto alla mancanza di libertà negativa. Di conseguenza, la scelta del manager, in forza del possesso di stock options, non corrisponde all’esigenza morale perché viene appiattita sull’interesse personale.
Come si può vedere, il problema in questione mette in luce che il cedimento morale del management non è dovuto all’eccesso di discrezionalità, ma al contrario ad un deficit di libertà negativa, di non interferenza, cioè di indipendenza ed esclusività nella conduzione d’impresa in quanto è l’interesse personale, e specificatamente patrimoniale, che istiga all’utilizzo dell’asimmetria informativa per scopi opportunistici e quindi moralmente deprecabili. In particolare, la decisione del manager produce un corso di azione immorale a causa della dipendenza da un interesse patrimoniale che non fa parte della
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funzione dirigente, ma che viene artatamente generato e costituito in
forza dell’incentivo.
D’altra parte non si vede per quale ragione un manager dovrebbe commettere abusi, mettendo a rischio il proprio lavoro, l’integrità personale e la propria reputazione se non avesse un preciso interesse.
E dunque, il gioco di prestigio sui titoli non è esercizio di potere manageriale sic et sempliciter; sarebbe così se quel potere fosse
esercitato in piena libertà, ma di fatto la volontà che informa l’agire manageriale nei casi in cui è incentivato, è una volontà coatta dall’interesse di tipo patrimoniale che abdica al ruolo dirigenziale e si appiattisce alla logica di creazione del valore delle azioni di cui si è indirettamente proprietari, in virtù del possesso di diritti sui titoli dell’impresa.
In tale situazione, il manager non fa il suo dovere e quindi, non corrisponde al compito per cui è stato nominato, ovvero non dirige l’impresa in piena discrezionalità per il perseguimento dell’oggetto sociale.
Lo scopo del management è quello di creare valore e cioè profitti per gli azionisti, non per se stesso. Quindi il profitto personale del dirigente non può essere indicato tra i doveri e gli scopi della funzione dirigente che, invece, è quella di allocare le risorse dell’impresa per remunerare i capitali investiti, integrando i valori e le istanze che promanano dai rapporti con gli stakeholder e con l’ambiente secondo il dettato del green paper dell’Unione Europea.Il neo pseudo capitalismo
Le moderne architetture delle plance di comando, attraverso la pratica dell’incentivo son ben lungi dal produrre quella saldatura di interessi attesi dalla proprietà verso il management ed anzi, perviene ad una trasformazione della figura manageriale in un tipo di capitano di fatto irresponsabile, che spesso mette in pericolo gli assets degli stessi interessi proprietari.
L’incentivo anzi, tradendo l’intento per cui era stato erogato, acuisce la divergenza con gli interessi proprietari, procurando una trasformazione
della figura manageriale in un tipo di gestore agevolato, che mette in moto azioni spesso potenzialmente lesive degli interessi di tutti i portatori interni ed esterni, ma soprattutto della proprietà.
Quindi l’incentivo è il pericolo fondamentale per il rispetto dei diritti- pretesa delle componenti dell’impresa.
Il manager ha ricevuto autorità dalla proprietà, quale funzione delegata per condurre l’impresa e conseguire lo scopo di massimizzare la remunerazione degli investimenti conferiti in conto capitale. Di conseguenza, secondo la teoria dell’agenzia, lo stesso manager non può perseguire altri scopi che non rientrano nel dettato della delega.
Il manager, tuttavia, può utilizzare la sua autorità per raggiungere scopi non collimanti con quelli della proprietà e che, di fatto, sono in conflitto con la delega. L’autorità del management nel governo dell’impresa può, infatti, deflettere o divergere dall’interesse proprietario in quanto tale
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scopo non appartiene direttamente alla funzione manageriale che, per interesse personale, può sfruttare a proprio vantaggio l’asimmetria
informativa che si istituisce a causa della divisione dei compiti fra proprietà e controllo, con effetti di riduzione dei margini di surplus dovuto agli azionisti.
Come si vede, esiste una contrapposizione tra le pretese del management e quelle della proprietà, indipendentemente dal fatto che il management
è incentivato, e questa contrapposizione è data dalla naturale e strutturale presenza di un self interest uguale e contrario tra le due componenti.
Quindi è pacifico che fra le due componenti ci sono interessi in competizione e contrastanti facenti capo a valori e a pretese opposte,
tanto che la proprietà si muove per regolare e disciplinare i comportamenti dei manager attraverso le pratiche punitive, ma per lo più nella stragrande maggioranza dei casi, attraverso l’incentivo. In effetti, la modalità di invasione dell’area di non interferenza, attraverso il mezzo dell’incentivo, è quella che rispetto alle altre è la più diffusa perché non produce resistenze da parte dei destinatari. Non è pensabile un’azione di resistenza da parte del manager all’invasione dell’area attraverso l’incentivo, per le stesse ragioni per le quali sarebbe giustificabile in caso di punizione. In effetti l’incentivo, a differenza della punizione, si presenta sotto le forme attraenti di un bene, ammannito e gratuito, verso il quale il manager non ha motivo di assumere atteggiamenti difensivi per evitarlo, anzi cerca di ottenerne il massimo possibile. In tale mancata resistenza però, si consuma la caduta morale del manager che rinuncia alla sfera di libertà negativa in nome del guadagno personale. Nel caso dell’incentivo, quindi, il disegno della proprietà è quello di creare una perfetta coincidenza di fini tra le pretese di remunerazione del capitale e l’agire interessato del manager. Ma il risultato finale di un tale proponimento non è affatto scontato, anzi in molti casi, rispetto alle attese, è il perfetto contrario e ciò perché quella comunanza di interessi che si voleva creare ad hoc, dato che naturalmente o strutturalmente non esiste, non può neanche essere artatamente costruita attraverso una promessa di un guadagno, posto che l’averlo fatto ha prodotto un corto circuito nel sistema che ha messo in pericolo i fini dell’impresa e cioè la creazione di valore per gli azionisti. In questo contesto, insorge così il problema morale di proteggere la proprietà, dalla creatività avventuristica dei manager incentivati.
Se la proprietà offre incentivi al management allo scopo di avvicinare al proprio un interesse divergente, il risultato che si ottiene non è la convergenza dei due interessi, ma una trasformazione della funzione manageriale in una tipologia proprietaria che presenta alcune caratteristiche comuni a quella propriamente intesa (chi possiede i mezzi di produzione) in quanto mira come la prima al guadagno, ma che ha scopi differenti da quella, in quanto il fine dell’impresa inteso come creazione di valore per gli azionisti non viene perseguito in sé, ma solo funzionalmente e subordinatamente al proprio interesse, fino a mettere a rischiolastessaesistenzadell’impresa. Lacausadiquestocortocircuito è in capo agli incentivi che trasformano il potere manageriale costituito dalla sfera di non interferenza proprio della funzione dirigente, in un
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potere che viene esercitato in vista di un interesse proprietario di tipo patrimoniale, posto che riguarda solo il guadagno monetario e le utilità,
giacché per il resto questo potere non ha sufficienti ragioni per difendere il valore dell’impresa come tale e quindi subordina questo valore che appartiene ai molti stakeholder (dipendenti, fornitori, collettività) e stockholder (azionisti) al valore che così diventa soverchiante: l’utilità personale.
L’incentivo trasforma la figura manageriale in un proprietario, con un interesse uguale a quello proprietario: il guadagno, ma non alla stessa maniera in quanto il manager incentivato, pur avendo un interesse per il guadagno, non ha alcun interesse per la sorte dell’impresa, infatti, molte società sono state portate al fallimento mentre i manager percepivano compensi altissimi.
Al riguardo, secondo Guido Rossi, le stock options hanno alimentato l’epidemica moltiplicazione dei casi di conflitto d’interesse tra i dirigenti e tutti gli altri stakeholder, proprietà compresa tanto da sostenere che “Il caso più vistoso di conflitto di interesse è quello delle stock options, ovvero l’assegnazione come compenso ad amministratori e dirigenti di diritti di opzione sulle azioni della società in cui lavorano che possono essere vendute a scadenza.
Ora se l’interesse sociale dipende dalla quotazione in borsa - più la quotazione aumenta, attraverso manipolazioni di ogni tipo, più si tutela
l’interesse della società – salvo poi a vendere in proprio le azioni quando queste hanno raggiunto il massimo valore, magari subito prima del fallimento. Il diritto non può fare nulla e ancora più complicato è il discorso nelle società piramidali”.
Il risultato di questa dinamica è che la proprietà dell’impresa, se offre incentivi ai manager, toglie ad essi il potere di decidere in senso morale sulla conduzione dell’impresa scambiando questo potere con una promessa di guadagno.
Il corso d’azione che si genera, tuttavia, smentisce il disegno originario di fidelizzare il comportamento manageriale all’interesse proprietario.
Infatti, se il potere manageriale viene disciplinato con promesse di guadagno, tale potere si ribalta contro chi pensava di usarlo a suo vantaggio, vanificando il disegno di chi elargisce incentivi e così conta di disporre del potere manageriale per allinearlo alla causa proprietaria.
Infatti, i manager che non sono naturalmente “vocati” al dettato della massimizzazione del profitto per gli azionisti, quando sono istigati a farlo attraverso l’incentivo, creano un vulnus nel sistema perché mettono in atto comportamenti che vanno nella direzione opposta a quella voluta dalla proprietà, approfittando della posizione privilegiata che occupano nell’impresa. Non è un caso che le aziende americane, alle quali è stata fatta una completa radiografia dei bilanci da parte della magistratura, sono quelle in cui sono state messe in luce gravi irregolarità contabili che coinvolgono direttamente i top manager che percepivano enormi compensi.
L’indagine si è concentrata sulle aziende che sono passate sotto le
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istruttorie della S.E.C. (la Consob statunitense), del Dipartimento della Giustizia e di altre agenzie statali, e che hanno superato il miliardo di
dollari di capitalizzazione di mercato nel 2001: Adelphia, AOL Time Warner, Bristol Myers Squibb, CMS Energy, Duke Energy, Dynegy, El Paso, Enron, Global Crossing, Halliburton, Hanover Compressor, Homestore, Kmart, Lucent Technologies, Mirant, Network Associates, Peregrine Systems, PNC Financial Services, Reliant Energy, Qwest, Tyco, WorldCom, e Xerox.
I risultati confermano che l'operato di top manager e amministratori delegati - i CEO (Chief Executives Officier) - è stato mirato ad innalzare i livelli di guadagno personale fino al 70% in più, rispetto agli anni precedenti dal 1999 al 2001. Se nel 1982 il rapporto tra lo stipendio degli executives e quello dei lavoratori era di 41 a 1, le più recenti analisi registrano un gap dieci volte superiore. Per un dollaro guadagnato da un impiegato di livello quadro, il suo top manager ne percepisce 411.
A fronte di questo dato, mentre collettivamente i C.E.O. di queste società hanno intascato 1,4 miliardi di dollari nei tre anni, i piccoli azionisti, in
proprio o attraverso i fondi comuni, hanno accumulato perdite anch’esse molto oltre la media. Tra il primo gennaio del 2000 e il 21 luglio del 2002, infatti, i ricercatori hanno calcolato che il valore delle azioni è precipitato di 530 miliardi, circa il 73% del loro valore.
Nella stessa indagine sugli eccessi dei top manager americani, risulta che ancora più tremendo è stato l’effetto dei cedimenti etici dei manager sui dipendenti: dal gennaio 2001 i licenziati delle 23 ditte messe sotto indagine sono stati 162 mila.
Come si può vedere, l’irresponsabilità manageriale, sul fronte opposto, si riflette anche sugli interessi degli stakeholder, i quali sono fortemente
dipendenti dalle scelte manageriali, ma diametralmente opposte a quelle.
Nella valutazione di questi dati, la questione che
presente lavoro, è l’analisi e la comprensione
perdita di libertà negativa per mezzo di incentivo e la perdita di moralità nell’agire, determinato dall’avidità manageriale nella conduzione d’impresa.
La soluzione del problema non consiste nell’annullamento dell’interesse personale del manager, quanto, piuttosto, nel mantenere tale interesse separato da quello della proprietà, posto che l’averlo artatamente unito ha causato danni a quest’ultima.
Quindi la separazione delle sfere del potere e dell’interesse è la migliore cura che l’impresa possa fare per affrancarsi dall’opportunismo manageriale, che agisce sotto l’effetto “dopante” del meccanismo dell’incentivo che gli viene offerto dalla proprietà. In questa meccanica dazione, si coglie perfettamente una trasformazione dialettica della tesi nel suo contrario.
Ragion per cui, non è l’autonomia - l’autorità - il potere e quindi la discrezionalità in sé a produrre la debacle morale e sociale dei manager negli scandali delle grandi corporation a cui abbiamo assistito negli ultimi
accampano pretese
interessa, ai fini del della relazione tra la
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anni, ma è piuttosto il mix fra questa autorità e l’uso sconsiderato delle pratiche di incentivo da parte della proprietà per fidelizzare il
management al paradigma della creazione di valore per gli azionisti, che ha trasformato tutta una classe di dirigenti in classe proprietaria irresponsabile.
Per un altro verso, il nesso tra la remunerazione incentivante dei manager e i risultati aziendali è una pura illusione che contrasta con la realtà delle
cose, dal momento che una maggiorazione esponenziale dei compensi agli amministratori negli ultimi anni non ha portato ad una maggiore creazione di valore per gli azionisti, ma nella maggioranza dei casi ha messo in serio pericolo la solidità finanziaria delle società o addirittura ne ha provocato la fine.
Come già detto, la teoria dell’agenzia, in via teorica, assume che le stock options e le stock grants siano solo un mezzo per allineare gli interessi dei manager a quelli degli azionisti e quindi per creare una coincidenza di interessi fra la parte proprietaria dell’impresa e chi detiene le leve di comando della stessa.
Nella realtà però, come i dati ci dimostrano, succede che gli incentivi diventano innanzitutto delle sovracompensazioni che istigano i manager a gonfiare il più possibile il corso delle azioni, quindi a occultare perdite o a far apparire profitti inesistenti, anche con la complicità a pagamento degli analisi e dei revisori contabili, proprio perché egli possa realizzare la promessa di guadagno legata al valore delle azioni.
Ma anche in caso di perdite rilevanti di valore delle azioni, i top manager hanno la possibilità di lucrare abbassando liberamente il prezzo delle azioni e operando di conseguenza operazioni di acquisto e vendita delle stesse, in vista dei propri guadagni e non per gli interessi generali dell’impresa.
Su questo solco, il giudizio dei senatori americani sullo scandalo Enron non lascia dubbi:
“Il consiglio di amministrazione di Enron non è riuscito a proteggere gli azionisti e ha contribuito al collasso della settima più grande public
company degli stati uniti permettendo che Enron adottasse contabilità azzardate e scorrette, realizzasse operazioni inadeguate in palese conflitto di interesse su importanti attività rimaste occulte alle scritture sociali versando altresì compensi eccessivi ad amministratori e dirigenti. Il consiglio ha infine deliberatamente ignorato qualunque prova, a danno degli azionisti, dei dipendenti e di tutti coloro che erano in rapporto con la Enron”
Nello stesso rapporto del senato americano si dice che il consiglio di amministrazione deliberando compensi smodati per loro stessi e per i manager esecutivi (265 milioni di dollari nel 2000), hanno compromesso i dividendi degli azionisti ed hanno consentito al C.E.O. Kenneth Lay, di ottenere 140 milioni di dollari di compenso di cui 123 milioni in stock options, mentre la Enron era in già in crisi finanziaria.
Le stock options, dunque, hanno spinto i manager a comportarsi in modo contrario al disegno per cui quegli incentivi erano stati creati. E cioè
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hanno stimolato la “creatività” manageriale ad adottare comportamenti discutibili o illegali per gonfiare artificialmente il valore dei titoli e quindi
i loro compensi. Per realizzare tali propositi essi hanno dovuto offrire consulenze ben pagate alle società di revisione e agli analisti di bilancio che invece di accertare e certificare la correttezza dei bilanci, hanno chiuso gli occhi sui buchi provocati dalla volontà manageriale di coprire le difficoltà contabili. Un caso emblematico è quello della Arthur Andersen, la società di revisione più gloriosa del mondo, che ha certificato come “corretti” comportamenti manageriali lesivi nei confronti degli azionisti ed ha consentito loro di continuare a lucrare sui compensi. Al momento, dopo lo scandalo, detta società è sul banco degli imputati insieme ai manager di Enron. A questo si aggiunge la risposta del mercato al cedimento etico della Arthur Andersen che dopo la diffusione della notizia sulla sua complicità negli scandali, viene cancellata dalla Borsa prima ancora che il magistrato possa muoverle causa e ciò in ragione di una sanzione da parte degli investitori. Per inciso, in questo caso, c’è stata una sanzione reputazionale del mercato così drastica perché, evidentemente, l’investitore ha ritenuto che la violazione della Arthur Andersen della norma di trasparenza e di verità sui bilanci per coprire i trucchi dei manager di Enron e poi di Worldcom, sia stata imperdonabile.
Dopo i grandi scandali negli Stati Uniti, molte imprese hanno preso decisioni che confermano l’inadeguatezza e la pericolosità delle stock options come strumento di fidelizzazione dei manager agli interessi proprietari.Libertà negativa
L’agire morale nella sfera dell’agire manageriale è osservabile solo se si protegge lo spazio di libertà negativa istituito, ma non protetto, dal
Codice Civile. Il dovere manageriale è quello di agire in regime di libertà negativa, e quindi, coerentemente con le norme societarie, in piena discrezionalità e indipendenza da interessi particolari. Ma se l’agire manageriale, secondo la tesi della libertà negativa, deve essere un agire in regime di libertà e indipendenza, ogni interferenza a mezzo incentivo nei confronti di questo dovere produce una distorsione della funzione dirigente che diventa parte interessata al guadagno. Questa distorsione che diventa elemento portante dell’apparato motivazionale dell’agire del manager che concentra e finalizza ogni atto per remunerare i titoli di cui è proprietario. Di conseguenza, come ho spiegato, il manager mette in pericolo il possesso dei mezzi di produzione della proprietà poiché agisce con interesse uguale e contrario a quello proprietario: la remunerazione del capitale posseduto, un interesse di ordine patrimoniale derivante dal possesso di titoli o di diritti sugli stessi. A questo punto, l’insorgenza morale paventata nell’indagine di Bearle e Means e poi ripresa dall’agency theory, ha una spiegazione razionale non nell’eccesso di discrezionalità manageriale, ma, al contrario, in una privazione di discrezionalità che viene manomessa dall’invasione dell’interesse monetario nella sfera di amministrazione dell’impresa. Si può affermare, dunque, che l’incentivo economico opera una trasformazione dell’agire manageriale che, in assenza di discrezionalità e indipendenza da interessi di parte, diventa un agire di tipo patrimoniale, snaturando completamente la funzione dirigente che ha l’unico scopo di
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perseguire il fine sociale dell’impresa. Inoltre, l’agire nella condizione di manager-proprietari, esclude la possibilità di agire eticamente per gli
stakeholder, posto che l’appiattimento alla causa del guadagno personale non può che considerare in sub-ordine le istanze connesse con i diritti e i valori delle altre componenti nel senso della responsabilità sociale delle imprese. Ne consegue che se il problema morale è l’opportunismo del management, occorrerebbe eliminare le cause che lo producono e cioè gli incentivi che peraltro, come abbiamo visto, sono abnormi. Purtroppo la legge finora ha considerato valide le conclusioni della teoria dell’agenzia e di conseguenza non ha vietato ai manager di percepire incentivi, ma questo ha comportato la mancata protezione dell’area di libertà negativa che si istituisce con gli artt.2380-bis e 2409 septiesdecies del Codice Civile. Ragion per cui il problema potrebbe essere risolto in via di autoregolazione e cioè di etica degli affari. L’opportunismo manageriale, secondo la tesi della libertà negativa, pertanto è causato dalla stessa proprietà che, attraverso l’incentivo, mette in scacco lo spazio della discrezionalità manageriale in cambio di una promessa di guadagno, giacché questa produce un svuotamento, di fatto, dell’area di non interferenza generantesi dal dettato del Codice Civile che attribuisce il compito della gestione della società, esclusivamente alla dirigenza.
Se i manager agissero infatti in un’area di libertà negativa protetta dall’ingerenza dell’incentivo, verrebbe meno anche l’interesse monetario
di costoro e quindi non potrebbero mettere in pericolo gli interessi proprietari. Di contro, i manager incentivati per ogni atto di gestione dell’impresa dovranno operare una valutazione di convenienza personale connessa al possesso di incentivi.
Così ogni volta che dovranno decidere e operare delle scelte, non potranno fare a meno di chiedersi se quella scelta è conveniente per loro oppure no. Concordemente con tale assunto, Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat negli anni ‘80 e ’90, sostiene che:
”le stock options non sono uno strumento valido, non hanno funzionato, nè in Italia nè altrove e addirittura possono essere considerate tra le cause della crisi del capitalismo”.
E ancora
“ Il mio atteggiamento è sempre stato critico tant’è che non ho mai voluto accettare stock options nei miei 25 anni di lavoro in Fiat. Ho sempre considerato che avendo in quel momento un gran potere non potevo farmi suggestionare nelle decisioni dalle stock options. A volte nella vita di un’azienda si devono prendere decisioni che hanno effetto nel medio- lungo periodo mentre e opzioni sono più spesso legate a piani industriali di breve periodo. In questo modo si finisce per snaturare la vita della società.
Penso che sia più giusto dare un riconoscimento al lavoro del management sotto altre forme”.
La distorsione della figura manageriale sta proprio in questo divenire parte interessata al guadagno, cioè una specie di proprietà. I manager non sono proprietari e non devono esserlo, ma quando vengono
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incentivati dalla proprietà con le stock options, vengono istigati ad agire come se lo fossero. Purtroppo il management, agendo con la stessa
spinta motivazionale della proprietà, si pone in concorrenza a questa e ciò accade perché l’incentivo trasforma la figura manageriale in un particolare tipo di proprietà che ha un interesse uguale e contrario a quello proprietario. Di conseguenza, la dimensione del potere o della discrezionalità dei dirigenti non essendo disgiunta dall’interesse personale, crea un mix di interesse e potere che produce un vulnus prima di tutto sui diritti-pretesa della stessa proprietà. Se invece, il potere fosse separato dall’interesse, si creerebbe una zona di libertà negativa, prevista già dagli artt.2380-bis e 2409 septiesdecies, che ha come risultato tangibile una distanza tra la funzione dirigente e l’interesse proprietario, la quale si tradurrebbe in una protezione degli interessi proprietari dalle bieche pratiche opportunistiche del management, ma soprattutto in un aumento del valore economico dell’impresa. A tale proposito Peter Wallison, Senior Fellow dell’America Enterprise Institute, così scrive in un recentissimo articolo:
“The corporate form developed because, by centralizing authority to use capital in a board of directors, distinct from the shareholders, it promoted the creation of economic value”.
La tesi di Wallison è che l’impresa si è sviluppata ed ha creato valore economico perché ha centralizzato l’autorità di governo dell’impresa e le
scelte, sull’impiego del capitale sociale in un consiglio di amministrazione, distinto dall’assemblea dei soci. Il fondamento della posizione che vede nella libertà negativa il presupposto e la conditio sine qua non per migliorare l’agire morale dei manager d’impresa, sta proprio nella separazione delle sfere dell’interesse e del potere. Se la proprietà tiene chiusa la borsa degli incentivi e offre al manager una retribuzione congrua al ruolo e alle responsabilità, senza ulteriori forme di compensazione dello sforzo, mette al sicuro anche la sua sfera di libertà negativa e cioè l’area di non interferenza che si genera dal diritto di proprietà e cioè dalla libertà di non subire interferenza da parte di un management opportunista e autointeressato sulle giuste pretese degli azionisti alla remunerazione del capitale investito.
Stando così le cose, ne consegue che la discrezionalità e dunque il potere dei manager costituiscono un reale pericolo per gli interessi proprietari solo se sono intrecciati all’interesse personale dei dirigenti attraverso la pratica dell’incentivo. S
e invece separiamo la sfera del comando o del potere o della discrezionalità, dalla sfera dell’interesse abbiamo che la discrezionalità (libertà negativa) non solo non costituisce un’emergenza morale, ma al contrario, rendendo effettiva la separazione netta tra il management e la proprietà sul piano degli interessi, si pone come l’unica garanzia possibile di moralità dell’agire manageriale sia verso la proprietà, sia verso il “resto del mondo”.
Da un canto l’agire dei manager infatti, come già mostrato, non confligge con l’interesse della proprietà alla remunerazione degli investimenti. Da un altro canto, la libertà manageriale ha una qualità morale, quale garante
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delle pretese valoriali di tutte le parti in campo (stakeholder), proprio perché non è legata all’interesse proprietario, ma è mossa solo dal dovere
di perseguire l’oggetto sociale, il che mette il manager in condizioni di potere svolgere un ruolo di equilibrio e di mediazione per la considerazione equa di tutti gli interessi in campo.
In sostanza, la libertà dall’interesse economico del manager produce risultati morali sia per la proprietà sia per gli stakeholder in quanto
fornisce alla figura manageriale uno spazio di operatività, una zona di arbitralità, per trovare una mediazione tra l’istanza proprietaria e quella del “resto del mondo”. A tale riguardo ritengo che solo un manager libero da interferenze possa esprimere un dovere fiduciario verso la totalità della società e non solo verso gli azionisti, se riteniamo che gli interessi degli stakeholder abbiano diritto ad una qualche cittadinanza all’interno dell’impresa. In proposito, vedrei con favore la promozione di studi e ricerche per tentare un approccio normativo alla teoria degli stakeholder basato sulla libertà negativa.
Epilogo
La crisi mondiale del sistema capitalistico fondato sulla dominanza monetaria, ci conferma e ci dimostra l’unica vera legge dell’economia, che resta ineluttabile, e inconfutabile: un sistema speculativo, sanzionistico, iper fiscale, espropriativo, ma principalmente basato sulla remunerazione abnorme del montante monetario dato in prestito anziché messo a disposizione istantaneamente per ogni progetto di attività economica lecito, opportuno ed approvabile d’ufficio, produce necessità di aumentare i volumi della speculazione a dismisura, sino ad inventare sempre nuovi sistemi di scommesse borsistiche, valutarie e cripto numerarie, la cui remunerazione crescente non farà che impoverire maggiormente l’intero sistema economico, ecologico con massima penalizzazione della considerazione umanistica dell’individuo.
La fissazione di un sistema di rito minimo universale per ogni individuo, è il punto di partenza per togliere le persone dai problemi di stress, maltrattamento familiare, e crisi lavorative, e impoverimento inevitabile della qualità della vita complessiva.
Il sistema economico così supportato per legge, vedrà la fine della necessità dei conflitti mondiali, generati dalle esigenze speculative energetiche e alimentari degli stati.
L’unico metro di equivalenza economica dei valori numerari o valutari di scambio, sarà unicamente il costo di lavoro equivalente a produrre
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman prestazioni e prodotti, secondo parametri di qualità e sicurezza standard,
nella completa tutela dei diritti del lavoratore.
Le vecchie parametrizzazioni valutarie con beni di riferimento come l’oro, dovranno essere sostituite ed ampliate con molteplici beni specifici i cui prezzi saranno calcolati secondo un equo compenso al lavoro di produzione di un determinato bene.
Strumenti espropriativi altamente speculativi anche se formalmente a favore dello Stato o del pubblico, dovranno essere completamente aboliti, proprio per eliminare abusi e soprusi verso singoli individui, ingiustamente attaccati, formalmente in modo collettivo, ma sostanzialmente solo da funzionari pubblici di singoli apparati, per favorire gli ambienti professionali legali, commerciali, i tribunali e le case d’asta, tutti spalleggiati dai sistemi bancari privati, che sottraendo ad esempio beni immobiliari al decimo del lavoro, non fanno che alterare il mercato immobiliare sottostante di riferimento, facendo oscillare pericolosamente l’intero patrimonio nazionale, a sfavore nazionale e a favore della speculazione estera.
Il territorio di una nazione storica, appartiene per legge naturale ai discendenti storici di tale nazione, che ne devono essere riconosciuti
sovrani primari, secondo la costituzione adottata, e, solo secondariamente unità economiche valutabili dai sistemi borsistici internazionali.
Mai e poi mai un sistema borsistico di riferimento potrà valere sullo jus soli, e sullo jus sanguinis e sullo jus creditorum di una nazione.
Qualsiasi determinazione o direttiva anche legislativa federale, che preveda qualunque azione contraria al suddetto principio è nulla, e tali devono essere dichiarate pertanto tutte le legislazioni poste in contraddizione del suddetto principio.
Note
1 Organizazione domestica = Economia
2 Normanni = “non uomini”, “neque vir”, “neither man”
3 Frase citata da Giovenale (Satire): “populi duas tantum res anxius optat: panem et circenses”
4 che era stato in precedenza distribuito in abbondanza dalle banche stesse,
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
5 La ricerca di verità è solo ansia di giudizio e quindi legittima e quindi senza alcuna necessità di difesa, e i valori sono grandezze soggettive, e quindi indeterminabili a priori, e quindi senza necessità di difesa perché indeterminabili a priori.
6 Vs Bossi & C.
7 Nell’epopea del terrore mediatico, monetaristico, lobbistico.
8 Giovani, rispondete voi...
9 Bagny, Ma non ti pare di essere un pochino narci?
10 Bagny, non usi Google?
11 Certo, lascia che studino gli altri che poi vengono a raccontarti tutto..
12 Col papa tedesco la Chiesa finalmente studiava Nietzche
13 Se lo chiedi ad un tossico dopo la serata forse non ti risponderà.. Prova con un Geometra..
14 E’ solo il problema di ogni giudice. L’unica verità è che non puoi giudicare puoi solo comprendere.15 Certo è l’autore che la ha fatta.
16 Si chiama interpretazione forse? O capacità critica della realtà? Lo chiediamo a Sgarbi?
17 Quella classica certo, non certo quella scientifica
.18 I valori morali sono i valori dell’abitudine individuale e siccome ciascuno ha la sua, non può pretendersi una elezione al valore obbligatorio a cui assurgere
.19 Confutazione dialettica: In questa accezione la “logica” non può mai comprendere una imposizione esterna senza motivazione, ma sempre e semplicemente un conseguenza ad una precedente azione fisica, umanistica, sociologica, politica, legislativa, e comportamentale umana.20 Questa è la tua più grande saggezza
21 Non vorrai confondere i valori morali con le mode consumistiche degli oggetti che corredano la vita di ognuno?
22 ??
23 Allora forse non sei convinto? No che non esiste
24 Bagny, cosa vuoi fare vuoi uscire dall’argomento della moda ed entrare nell’argomento del diritto naturale o per caso vuoi imporre le uniformi cinesi a tutti?
25 Bravo Hegel
26 Non ti sembra che geni filosofici e politici come >Platone e Aristotele invece non la pensassero esattamente com eHegel? Non lo deduci dai testi immensamente liberi e spirituali che ci hanno tramandato?
27 Ma guarda che devi andare su internet, perchè le ben più antiche religioni orientali e medio orientali, hanno sempre affermato la spiritualità dell’individuo come fonte della propria libertà e autocontrollo.
28 Gli Etruschi e qualsiasi altra civiltà primordiale hanno esercitato il loro misticismo come espressione spirituale.
29 E’ forse una novità?
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman 30 Forse un po’ tardi?
31 Quindi qui sostieni che un uomo è un bene della società e quindi deve tenersi a disposizione di essa, come recita la “nostra”, .. (“nostra?”).. Costituzione...
32 Il compito della Chiesa non è di esortare il singolo ritrattosi nel privato ad esporsi al suicidio, bensì semmai di indagare quali sono i fatti sociali che lo hanno portato a questo e di combattere questa nuova fenomenologia sociale che si sta diffondendo a macchia d’olio, curandone le cause e non eliminandone gli effetti, proprio per la dichiaratamente assunta e confermata missione di difesa degli individui più deboli...
33 La Chiesa se volesse veramente conquistare un numero maggiore di credenti e seguaci, dovrebbe piantarla di proferire l’ineluttabilità del destino, bensì aiutare i cittadini prendendo fattivamente le difese delle parti deboli, indifese, non rappresentate, istruendo opportunamente il capo della giustizia italiana delle disfunzioni di quest’ultima, verso le parti non ben rappresentate in giudizio.
34 Ma sopratutto in tutti i gradi di giudizio, davanti ai tribunali, quando nella giuria non esiste un giudice del suo stesso rango sociale.
35 Siamo tutti convinti che Cristo abbia incaricato voi di fare qualcosa per dimostrarci che i deboli siano difesi in terra, senza attendere necessariamente la loro beatitudine paradisiaca post mortem. La Chiesa attiva nella società, è la chiesa che aiuta tangibilmente la società, non solo con la parola di conforto o con la mensa del povero, ma con la promozione dell’avviamento al lavoro e all’equità sociale.
36 Anche in questo caso però si potrebbe obiettare che non si vede il perché del timore della Chiesa della perdita di fedeli, in caso di autodeterminazione di un popolo che, se Religioso e Cristiano Cattolico, non per questo dovrebbe rinunciare automaticamente a professare l apropria fede..
37 Il default è un termine usato impropriamente perché ha letteralmente un significato contrario a ciò che normalmente si vuole intendere con questo termine, infatti i vocabolari lo traducono come “difetto” mentre è un termine che è stato coniato dagli informatici per definire un “valore sicuramente funzionante” cioè che “toglie il difetto”
38 Il denaro è l’attuale principale mezzo di scambio, ma in mancanza di esso sono stati inventati, swap, bond, repos, etc..
39 Vedasi Appendice elenco test nucleari mondiali
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
« Non si può cogliere un fiore, Senza disturbare una stella »
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Ignoto
2050 Fuga dall’Italia @DonErman Ermanno Faccio è un cittadino semplice che ha vissuto per sessant’anni nello stesso posto: Ciny. La sua famiglia è stata un’esperienza di collaborazione tra genitori e figli, come non se ne vedono più tanto facilmente. Come nelle migliori storie della vita, egli ha attraversato periodi di successo, e periodi di complicazione, in cui bisogna affrontare i problemi di petto. La sua formazione culturale è multietnica, sia in qualità di abitante di uno storico comune di immigrazione, sia perché ha avuto la fortuna di viaggiare in 45 paesi. La sua formazione post diploma tecnico, è essenzialmente autodidattica, e spazia in tutti i campi del sapere e dell’operare umano. Questo sua prima pubblicazione è una semplice raccolta di dati politici ed economici, con considerazioni personali, che potrebbero essere utili per un’attenta analisi, della deriva globale che stiamo
vivendo
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APPENDICE LIBRO
A ROBERTA
Ti vorrò bene sempre, sempre!
LE MIE MEDICINE
A parte i miei record personali, i miei lavori, e le mie conclusioni di saggezza, le persone che mi sono state vicine in una relazione amorosa anche breve, anche non approfondita, anche non completa, in qualche modo terminata, sono state le mie vere medicine della vita.
Parenti e amici ma soprattutto amiche, o fidanzate, ma anche solo amanti perché no. Non chiudo i rapporti terminati, mai, anzi li lascio sempre aperti. In questo modo posso tenere contatti continui con amiche lontane, antiche, recenti, o vicine. A che serve? Serve. Perché chiudere i rapporti? Perché chiudere continuamente delle porte per aprirne di nuovo delle altre? A parte i miei errori della vita e a parte certi personaggi erroneamente caratteriali, o caratterialmente erronei, come come stalkers, haters, cacciatori di streghe, Basta lasciare tutto aperto, cui e per sempre, in questa vita ed anche oltre. Perché no? In questo modo non si perde mai nulla, e non si costruisce qualcosa di piccolo, di individuale, di limitato, bensì qualcosa di grande che continua, e se riassunto, potrà essere continuato anche dopo me.
A te madre
Mai mi è mancato nulla o qualcuno, come adesso. Ora so cosa significa mancanza. Ora so cosa significa morte. Ora so cosa significa fine. Ora so cosa significa ignoranza, indifferenza e incoscienza della routine sociale. Ora so come hanno sofferto tutti coloro che hanno perso un proprio caro e come sono stati trattati dalla società e dai conoscenti. Ora so chi eri e perché tutti ti chiamavano signora. Tutto ciò che ti si è fatto ti era dovuto non perché ci era imposto o perché lo volevi ma perché lo meritavi. Tutti meritano un trattamento umano ma tu meritavi una completa dedizione. Non ti si poteva abbandonare e non ci si poteva dedicare ad altro mentre si stava con te. Comandavi senza parlare, ma non volevi, non pretendevi, ricevevi naturalmente, avevi questa grazia magnetica elevata ed invisibile, nascosta dalla tua semplicità, spontaneità e sincerità verso tutti.
Tutto ciò che la gente ti ha fatto, alla fine, ha causato le nostre vite grame di continui sacrifici e continui lavori e poi le nostre morti. Quella di papà ed ora la tua, e la mia che è sempre stata, e permane tuttora nella mia vita ancora oggi morente. Come non può vivere bene chi viene oppresso dalla paura e dalla miseria, non può farlo neanche chi per una vita, assiste alle ingiustizie, alle malattie, e alle soppressioni dei propri cari con i veleni medicali. Ma chi viene soppresso, non è morto, è stato soppresso e quindi è sempre vivo, perché se fosse stato per lui, tale sarebbe rimasto.
Tutto ciò che ti si faceva ti era veramente dovuto perché durante la tua vita hai dato così tanto e tanto intensamente che ogni gesto di assistenza che ti ho rivolto non avrei potuto rivolgerlo ad alcun altro e altro non avrei potuto fare altro nella vita.
Non è una questione venale ma di spirito. Il tuo spirito si è rivelato così grande a tutti, che non è stato possibile non curarti, non accompagnarti, non accudirti continuamente. Ho voluto farlo io e non farlo fare ad altri, per timore che non avresti avuto quell’accuratezza o quella personalizzazione che meritavi.
Quando manca una persona, io l’ho capito solo adesso e mai prima d’ora, in verità.
Mancare, per me, era una cosa inesistente, anche perché da te ho imparato la vera ricchezza che è quella di non volere nulla, di non desiderare nulla e di farsi bastare tutto, ogni piccola cosa, anche insignificante ma pur avente un utilizzo alternativo utile alla mia necessità quotidiana.
Mentre tutti restavano a casa, per te oltrepassavo le barriere degli ospedali, vestendo un abito di cellophane giallo, quello dei sacchi per la differenziata, da me confezionato per l’occasione CoVid19 e pur non essendo mai stato sarto, infilavo un sacco per braccio col buco per le mani, uno per il corpo col buco per il collo, e due piccoli per i piedi e uno la testa, poi con occhiali e mascherina potevo entrare a trovarti mentre stavi morendo di morfina, il lento veleno che avevano deciso di inocularti, perché non sapendo cos’altro fare, così si doveva fare e con il loro sapere vano, ti regalavano l’eutanasia e senza neanche prima chiedere, a noi parenti, ti infondevano il dolce veleno, quale premio della tua vita, come hanno fatto con papà, perché questa società di scienziati strapagati, altro non ha saputo scoprire, dopo l’aspirina.
Questa società impostora, che prima fa esperimenti nucleari sotterranei in Groenlandia e in Svizzera e poi dà la colpa all’erba, alla scoreggia del cane o della vacca per il riscaldamento globale del pianeta e lo scioglimento dei ghiacciai, prima consente autostrade vicine alle città e poi si lamenta della colla gialla depositata sulle foglie di alloro e del pm 2,5 che porta i virus nei loro polmoni, prima modifica gli acidi virali in laboratorio creando delle graziose combinazioni di più virus letali, poi crea pandemie, e poi vuole il riconoscimento di aver creato, solo negli ospedali e non per le strade vuote, decine di migliaia di morti in un solo bimestre e che l misure adottate quindi sono giuste e virtuose, prima crea nelle città un nugolo di frequenze elettriche e interferenze letali per le api e gli animali, e poi si lamenta della perdita del sonno delle persone, delle continue levate notturne a ber acqua, orinare e scrivere perché non si riesce neanche più a dormire per le onde del cellulare o con la wifi domestica accesa, prima vuole lo sviluppo ma poi si lamenta dei motori a combustione fossile, di gas e idrocarburi che esalano fumi sporchi e fanno registrare un numero di tumori e malattie cardio polmonari in aumento nei propri quartieri e nelle proprie città, prima crea mega supermercati ogni chilometro quadrato pieno di prodotti bene imballati, e poi espropria le abitazioni dei privati anziani che non possono pagare la tassa sui rifiuti, e vuole città pulite che fanno riciclo e riuso dei materiali, ma i supermercati non li toglie e neanche riduce la nettezza urbana, lasciando ancor oggi ritirare tranquillamente anche l’indifferenziato.
Ma queste sono altre storie.
I VERI Gettoni d’oro
Libro bianco sulla teoria del passaggio dalla monetarizzazione globale privata neo liberista alla gettonificazione mondiale delle p.m.i., in un ottica keyinesiana del virtuosismo sociale, sostenibile, incorrotto, etico, civico, multietnico, attuativo della democrazia diretta, unitaria, apartitica, razionale nel tempo reale verso le priorità reali
Citazioni del libro
« Un uomo è un uomo quando vince il dolore e non tradisce la propria idea!ì »
Sandro Pertini
« Cesserai di essere un vero uomo libero, per divenire solo un libero animale egoista, abbandonato ai suoi istinti, se non ti adopererai perché libero come te sia il tuo vicino ».
Sandro Pertini
« La verità sulle grandi questioni della vita va raggiunta da soli. Nessuno può farlo al nostro posto. Chi ripete sempre e solo le idee degli altri è come una persona affetta da Ecolaia: non sa ciò che dice »
N.d.r.
« La stessa legge, benché corretta, non è necessariamente applicabile in ogni situazione. La verità della vita è sempre in moto, sempre mutevole »
N.d.r.
« Mentre viviamo, dovremmo occuparci del mistero e delle bellezze della vita, invece di occuparci di ciò che ci fa ammalare portandoci lontano da essa. Per questo lo Stato Globale, deve assicurare che tutti possano vivere dignitosamente sempre e comunque e valutare caso per caso prima di applicare una legge generica. Viviamo oggi per creare questo spazio comune di domani, creando uno Stato equo e generoso, eliminando iniquità e corruzione che impediscono di dare una giusta dignità esistenziale anche agli ultimi. Lavoriamo tranquilli ogni giorno, come se fosse l’ultimo, sapendo che il nostro lavoro sarà portato avanti da tutti noi, che vogliamo raggiungere questo grande obbiettivo comune »
N.d.r.
« Ricchezza e povertà non dipendono dalla quantità di moneta immessa sul mercato e posseduta dalle persone, ma dalla condizione generale di abbondanza minima sociale idrica, energetica, mobile e immobile, per cui tutti possono accontentarsi ».
N.d.r.
“In un epoca di menzogne universali, dire la verità è un atto rivoluzionario”
George Orwell Fondazione Ricerca San Sisto
Curatore Ermanno Faccio
Nasce l’idea fondativa di una ricerca per il rilancio dellʼeconomia, a partire dal 01 settembre 2012, basata
Quadro congiunturale previsionale con commenti e osservazioni post colonialistiche commerciali e bancarie sugli effetti sociali del sistema economico neoclassico all’inizio del secondo millennio A.C.
Considerazioni politiche ed economiche
Abstract
Questo è un vademecum bianco, un compendio di utilità politica, che riporta dati memorabili utili a tutti coloro che vogliono fare una nuova politica sana, sostenibile e positivamente costruttiva.
Per prima cosa tengo a denunciare tutti coloro che si definiscono apolitici. L’apolitica è la prima di tutte le parole delinquenziali: non si può parlare di un concetto inesistente. Qualsiasi persona, si organizza o vuole organizzarsi al meglio e quindi qualsiasi persona, nell’atto di organizzare qualcosa o qualcuno al meglio compie un atto politico, ovvero organizzativo.
Questo è un discorso di raccordo tra le varie opinioni comuni di cui la gente dimostra di essere convinta andandone a parlottare per luoghi comuni nei bar o nei convivi vari, convinta che questa comunis opinio che coincide con le statuizioni standard diffuse dal main stream dei grandi mass media, sia la verità da ripetere e di cui non discutere La realtà invece si deve trarre come fanno coloro che invece che farsi ipnotizzare dalle televisioni, cercano sempre una lettura dei fatti attraverso le cifre ricercate tra le righe delle notizie e le deduzioni logiche prodotte sulla base della propria esperienza e del proprio ragionamento di buon senso reale. Non si prendano neanche le conclusioni che indicherò come determinazioni assolute ma solo come opinioni di un autore qualunque, che proviene dall’esperienza di una vita trascorsa in una della tante autonomie familiari italiane che si dice abbiano contribuito decisamente ai risultati che l’Italia raggiunse nel culmine del suo splendore economico, ovvero al termine del periodo pre-euro, da confrontare e discutere liberamente.
Introduzione
Scrittori per professione si diventa solo con un duro tirocinio, scrittori per reazione politica si diventa invece quasi dubito, appena si legge di un’ingiustizia sociale, oppure la si è addirittura vissuta in prima persona.
In pochi giorni, chi soffre per un’ingiustizia, si sente calare quasi dall’alto, all’improvviso e molto intensamente, il desiderio irrefrenabile di rispondere alle assurdità accadute o pronunciate da certi leader, che parlano in televisione o sui social. Tale desiderio diventa una vera propria necessità in quegli individui più sensibili e più responsabili, più maturi soprattutto politicamente, rispetto ad altri, perché sentono un vero e proprio interesse se non addirittura amore della migliore organizzazione sociale possibile, al punto che non possono resistere dal buttar giù di getto, come sto facendo ad esempio adesso, tutte le informazioni che sembrano utili da destinarsi ai propri pari, proprio al fine di evitare un ulteriore peggioramento che la società sembra stia subendo inesorabilmente e senza scampo, a causa di qualcuno o di qualcosa. Questo breve compendio di riflessioni, sono la raccolta dei cosiddetti « paletti sacri » che ritengo di dover condividere a giovamento di una prossima scrittura di molte leggi e regolamenti e quindi essere una valida base per aprire una discussione collettiva volta al ritorno di tutti noi, sulla via del perseguimento del vero bene comune. Alcuni appunti sono dati come aforismi, alcuni come memo, non ho dato importanza alla forma. Ma solo alla preziosità dei concetti. Spero solo che ne risulti un utile base per le nostre future discussioni.
Buona lettura,
Ermanno.
WELFARE
La pensione è la meta di ogni italiano. Ma perché lasciare che alcuni in tempi di crisi percepiscano pensioni esagerate mentre alcuni, sebbene non in regola con le posizioni assicurative, ma che nella loro vita abbiano dimostrato di aver contribuito enormemente all'arricchimento della società, siano lasciati nella semi indigenza?
LEGHISTI, PD, VATICANO, GERMANIA
Perché questi schieramenti non si oppongono all'invasione monetaria rivelatasi non federale ma prettamente tedesca? Perché vogliono propinarci come unica soluzione per evitare il fallimenti dello stato la sudditanzia a mamma Merkel? Forse che l'asse emiliano, con la cessione dei know how dell'industria automobilistica ai tedeschi, e la servile dipendenza dell'industria turistica locale dai medesimi, li ha resi loro servi, traditori in Patria per mera convenienza?
Forse che l'asse veneto, tradizionalmente di discendenza cimbra o tedesca, è solo per l'aver legato con i teutonici decennali rapporti di sudditanza commerciale, e quindi anch'essi per mera convenienza, che siano stati spinti nella recente acclamazione della annessione del loro territorio a Svizzera, Austria e Baviera?
BANCHE SCHIAVE O COMPLICI DELL'EURO ?
Passera, che di recente ha annunciato il prossimo spostamento della centralità fiscale italiana da Roma a Berna, mediante la rete delle ormai attuali Poste Italo Svizzere, ha forse voluto mettere a segno una nuova funzione di entrata per Intesa San Paolo, che a tutti gli effetti, come tutte le sue principali banche colleghe d'altronde, si trasforma in sportello spia dell'agenzia delle entrate nonché canale esattivo primario attraverso il controllo diretto Equitalia, recentemente bersaglio degli attentati romani?
BCE, PERCHE' TEDESCA E NON FEDERALE?
Ma perché i firmatari dell'entrata dell'Italia nell'unione Europea (Prodi?) ha accettato che i soldi venissero stampati non da una banca federale come accade negli Stati Uniti d'America, bensì da una banca di uno stato storicamente e geneaologicamente perennemente concorrente di tutti come la Germania?
Ma quel che è peggio, perché questi firmatari (Prodi?) hanno sottoscritto la regola per cui le azioni del socio tedesco potessero venir valutate ben 5 volte in più delle nostre? E' mai esistita una società in cui le azioni di alcuni soci possano venir valutate più delle azioni degli altri? Che razza di regola assurda è stata sottoscritta? E qualora tale regola potesse essere spiegata perché è stata comunque sottoscritta?
POTERE DI ACQUISTO DELL'EURO DIVERSO
Perché in Germania l'euro calza bene mentre in Italia la gente fa la fame? Perché, sembra sia stato spiegato, in Germania gli stipendi sono tripli rispetto quelli italiani. Perché in Germania hanno delle banche regionali mente in italia non le abbiamo. Ma allora in Italia che politica è stata adottata? Se per tenere bassa l'inflazione sono stati tenuti fermi gli stipendi il risultato che vediamo è che essendo il potere di acquisto comunque scemato drasticamente ed evidentemente agli occhi di tutti, il risultato dell'aver tenuto gli stipendi fermi ha creato un effetto molto peggiore dell'inflazione galoppante: ha creato ha creato addirittura la recessione. In Germania invece, ove se ne sono evidentemente infischiati dell'effetto inflattivo derivante dalla triplicazione degli stipendi, hanno ottenuto il maggior benessere della gente, e hanno addirittura visto quintuplicare lo spread tra i buoni italiani e i loro bund, come se loro, con la loro politica produttiva-remunerativa, avessero creato un euro che valesse più del nostro. Come si spiega questo fatto?
ITALIA, SPAGNA, PORTOGALLO, IRLANDA E GRECIA: EUROPA DEL SUD CONTRO IL NUOVO DEUSTCHE-FRANZ-REICHT
Perché Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia non possono accettare l'unificazione fiscale imposta dal nuovo Deutsche-Franz-reicht? Perché assolutamente ridicola ed iniqua. Piuttosto che ciò, tutte queste nazioni sono pronte a costituirsi contro tale regime, Come?
Semplice: uscendo tutte dall'euro, oppure costituendo una nuova sezione europea chiamata ad es. Europa del sud. Non serve scappare dalla valuta euro ad un avaluta altrui per esempio acquistando immediatamente fiumi di dollari che gli Usa sarebbero naturalmente subito pronti a concedere. Perché? Perché usare una moneta significa sudditanza all’ente emissione di quella moneta. Possiamo riflettere solo temporaneamente, abbiamo ormai pochissimo tempo. Giusto il tempo di decidere se costituire un nuovo euro del sud, oppure ritornare alla propria vecchia valute, come ha fatto l’Inghilterra, oppure adottare un nuovo sistema di credito interno non valuario.. Ciò vedrebbe naturalmente l'immediato fallimento della B.c.e., l'espropriazione degli investimenti fatti da Francia e Germania nelle terre del sud Europea, ove l'euro verrebbe abolito. Bella contromossa alle pretese della Merckel. I debiti degli Stati come verranno trattati? Risposta facile: Quali debiti? E soprattutto verso chi? Nessuno può essere creditore di mere masse di vile denaro comune, usato semplicemente quale misura di scambio della carta straccia rappresentata dalle cartolarizzazioni usurarie basate su tassi da aguzzini. Chiudiamola così che è meglio. Verrebbe immediatamente adottata di comune accordo la reciproca remissione di tutti i crediti e il disconoscimento reciproco di tutti i debiti, come si fa a Napoli e nel Padre Nostro. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. E subito si potrebbe ripartire, da padroni dei nostri territori...
Pensate che questa sia pura utopia? Forse non conoscete bene gli Italiani, gli Spagnoli, i Portoghesi e soprattutto i Greci. Nessuno di questi popoli in passato ha mai avuto bisogno di avere qualcuno che dicesse loro cosa fare. La storia non può essere dimenticata facilmente.
UN ESEMPIO LOMBARDO DI FALLIMENTO: MILANOMET, BIC, ED EXPO 2015?
Ecco la relazione di un'agenzia compartecipata da comuni, provincia, regione, cciaa di Milano, expo 2015, ecc. che ha costituito la pretesa di essere fulcro di chissà quale volano di iniziative coordinate dagli enti soci, per la preparazione di progetti innovativi che portassero le imprese italiane verso il grande appuntamento del 2015. Molte delle imprese che hanno provato ad avvicinarsi a questa struttura hanno ricevuto anziché sostegno, appoggio, e strumenti solo grandi strette di mano, e magari un preventivo intorno agli 8000 euro per aprire una pratica di studio di fattibilità di nuovo progetto, attraverso il personale della struttura. Pur presentando budget, buisness plans, piani di project financing, idee, fascicoli illustrativi, nessuna risposta, nessun seguito collaborativo, solo numeri di telefono e mail che non fanno seguire nulla di concreto ad una impresa che avesse voluto essere seguita a 360° come promesso, per prepararsi al 2015. Ma allora a cosa serviva questa agenzia?
Riportiamo qui l'articolo integrale pubblicato su http://affaritaliani.libero.it/milano/l-importanza-di-un-agenzia-140312.html 14/03/ 2012 da Carlo Lio, con il quale risponde a questa domanda.
MILANO-ITALIA L'importanza di un'Agenzia di Sviluppo Mercoledì, 14 marzo 2012 13:12:00
di Carlo Lio, Amministratore Delegato Milano Metropoli Agenzia di Sviluppo :
« Quando, nell’ottobre 2009, accettai il ruolo di Amministratore Delegato di Milano Metropoli Agenzia di Sviluppo, sapevo bene di non potermi fare troppe illusioni.
Da una parte, infatti, l’eco della crisi che oggi si è manifestata in tutta la sua gravità, iniziava già da allora a evidenziare i suoi primi, e forse sottovalutati segnali.
Dall’altra, però, sapevo di fare da “timoniere” di un’Agenzia consolidata, che era stata capace negli ultimi anni Novanta di rilanciare l’intera area di Sesto San Giovanni, e contribuire così in modo significativo a guidare la trasformazione dell’intero Nord Milano verso un’economia più snella e allo stesso tempo moderna e tecnologica.
Sapevo dunque che c’era spazio non tanto per facili illusioni, quanto semmai per un lavoro coerente, serrato, dettato da un rapporto sempre più stretto e proficuo con gli attori socio-economici del territorio.
E su questa strada ho voluto indirizzare i miei primi passi: l’allargamento della base societaria di Agenzia, il suo passaggio a ente completamente pubblico, fino al rafforzamento del suo ruolo di “braccio operativo” non solo della Provincia di Milano, ma anche – quasi per innata vocazione insita nel nostro stesso nome – dell’intera Area Metropolitana milanese.
In questo senso, il fatto di diventare società a prevalente capitale pubblico è stato dettato dalla necessità di adeguarsi alle nuove normative in atto e poter così operare meglio sul territorio. Non nego che questo passaggio cruciale abbia di fatto comportato una certa esposizione economica di Agenzia.
Tuttavia, anche per rasserenare chi, in queste settimane ha sollevato il caso, posso assicurare che – proprio per il tipo di assetto societario che caratterizza Milano Metropoli – questa esposizione non ha gravato (e mai graverà) sui bilanci dei singoli Comuni che fanno parte del suo pacchetto azionario.
Se mi guardo indietro, posso vedere un’Agenzia che in parte ha cambiato pelle, ma non certo la sostanza, fatta di rinnovamento continuo e di grande capacità di adeguarsi alle richieste che vengono da un mercato in crisi, e in cerca di soluzioni non facili di fronte a problemi ormai nazionali, se non proprio europei.
Un ruolo, questo, che oggi più che mai considero vitale proprio per affrontare le nuove sfide che abbiamo di fronte.
L’esperienza maturata in questi anni mi pone sotto gli occhi come nei Paesi in via di sviluppo, in particolare in quelli del Sud del mondo, la via per una crescita economica e sociale passi anche attraverso la costituzione di Agenzie di Sviluppo. Strumenti che siano in grado di far da catalizzatore delle intelligenze e delle disponibilità economiche, politiche e sociali, in modo tale da convogliare le energie così raccolte verso obiettivi importanti e fondamentali sul piano economico e di sviluppo.
Questo, più di tante parole e prese di posizione, dimostra come oggi il ruolo di Agenzie come la nostra non possa essere sottovalutato. Anzi, pone l’accento su come il loro ruolo di intermediatore, di punto di giuntura e di snodo tra i vari policy makers locali, regionali e macro regionali, possa e debba essere sfruttato a dovere.
Lungi dall’avere in mano una “bacchetta magica” magari invocata dai più, soprattutto ora che il futuro si confonde con la paura e lo smarrimento, Agenzie di Sviluppo come la nostra e come tutte quelle degli altri Paesi che intendiamo accogliere nel 2015 per la 3a Conferenza mondiale a Milano, dimostrano ogni giorno la loro capacità di rilanciare il territorio, di fornire spunti per un serio rilancio economico e delle opportunità di lavoro, di dare voce alle migliori energie e intelligenze dei giovani perché possano tradursi in idee imprenditoriali innovative a 360 gradi.
Noi siamo dunque pronti a “rimboccarci le maniche”, come invoca il premier Monti e chiunque insieme a lui abbia consapevolezza della reale entità dell’attuale crisi.
Lo siamo, così come lo siamo sempre stati in questi anni: partner dinamici, propositivi, finanche critici là dove necessario; non certo meri e miopi esecutori materiali delle volontà di chissà quale potere, finanche forte che sia.
Ma per farlo – anzi, per continuare a farlo – occorre che non venga meno quello spirito di fiducia e di collaborazione da parte degli attori del territorio.
Mai come ora ritengo pertanto importante che il ruolo di Milano Metropoli venga tenuto in debita
Considerazione, al fine di affrontare questa lunga crisi con nuove soluzioni capaci di risultare alla lunga realmente efficaci.
In questo senso c’è una data, una dead line che psicologicamente può essere posta di fronte ad ognuno di noi: il 2015.
Non solo perché rappresenta l’anno dell’Expo, ma anche perché può essere preso anche punto di riferimento per le azioni del governo nazionale, certo drastiche ma necessarie, volte a uscire dal buio della crisi.
Sarebbe infatti illusorio pensare che il 2012, o il 2013 possano rappresentare realisticamente l’anno del rilancio.
L’affossamento dell’economia europea e mondiale è tale che appare evidente che occorra più tempo.
Ecco allora che per il 2015 poniamo un’altra sfida: l’Expo come punto di arrivo del lavoro a cui anche noi abbiamo partecipato attivamente, ma anche punto di svolta, di inizio di una risalita a cui non vogliamo certo rinunciare e per la quale fin da oggi ci dichiariamo pronti a collaborare ».
Congiunture
Questa sezione vuole essere una collaborazione con tutti coloro che vogliono migliorare l'economia dei principali settori.
Critica al modello economico attuato
Italia: allarme generale! Dal nostro modesto punto di vista di semplici operatori, non possiamo che prendere atto della manifesta inefficacia che il modello “Keynesiano” adottato dalla global governance, e quindi anche dall'Italia, non ha mancato di dimostrare. L'eccesso di offerta monetaria e l'abbassamento dei tassi hanno dato ad operatori e cittadini una falsa illusione di disponibilità e ingenza di liquidità depositata da risparmiatori. In realtà famiglie e giovani hanno progressivamente evitato il risparmio proprio per l'eccessiva esiguità dei tassi. Il modello “Friedmaniano” di crescita tout cour, non mirata a creare produzioni orientate alla domanda effettiva, bensì all'invasione dei mercati emergenti spostando le produzioni nazionali all'estero, non ha fatto altro che creare la bolla economica che esplodendo ha colpito posti di lavoro, economia reale, e capitalismo effettivo. L'iper-debito creato dai continui fallimenti bancari, dalle compagnie aeree, dai fabbricanti di armi, e dai produttori di automobili, sono stati addebitati come di consueto, anche da questo governo, ai cittadini produttivi quali lavoratori e piccole imprese commerciali ed artigiane. L'iper-tassazione, che in Italia è manifestamente quintupla, dal momento che grava una prima volta sull'impresa con imposte sulle attività produttive, regionali, fiscali, e contributive, una seconda con anticipazione monetaria di imposta sul valore aggiunto che in caso di utile deve necessariamente costituirsi in esborso monetario, una terza sulla compravendita sul mercato di obbligazioni o titoli sociali, una quarta sui trasferimenti di quote in caso di cessioni, fusioni, scissioni o dismissioni, ed infine una quinta ed ultima, abominevole, sulla secessione mortis causa, non può essere considerata certo come la semplice « decima », ovvero solo il dieci per cento della produzione derivata dalle attività agricole e manuali prevista dall'impero Romano quando, con questa semplice formula, ha raccolto consensi in ben due grandi imperi multietnici e poli culturali. I cancri economico - umanistici de nostri periodi che potremmo definire « iper-giustizialismo », « iper-fiscalismo », e « iper-sazionismo », non sono altro invece che miopie dei pubblici apparati che si accaniscono ciecamente sui cittadini produttivi, che non pagano puntualmente le scadenze dei piani di rientro, non perché non vogliono, ma semplicemente perché non possono, compiendo l'ulteriore abominio di sottrarre loro il bene immobiliare di famiglia, guadagnato con il sudore proprio o dei propri padri e madri, che invece dovrebbe essere considerato per legge fondo patrimoniale d'onore, immune da qualsiasi sequestrabilità o pignorabilità, a causa dell'estremo sacrificio che le parti sociali che lavorano nell'economia reale ovvero in proprio o per un datore di lavoro non pubblico, e non in quella degli apparati statali in fondo meramente amministrativi, compiono stoicamente, in una giungla legislativa ingiustamente inquisitoria, come fossero i kamikaze o i don Chisciotte che devono mantenere banche, monetarismo e sistema statale, per una legge sociale ancor oggi inspiegata.
Ed ora, secondo i rituali corsi e ricorsi storici, scopriamo ancora una volta cosa significa esserci associati al bancario tedesco, che ora che l'euro corre in tutto il mondo, vorrebbe far scendere dal vagone Europa Italia e Spagna e Grecia negando loro la moneta comune, che pare stampino in esclusiva, non si sa per quale contratto capestro stipolato pro tempore.
Come in tempo di guerra ora, il bancario tedesco, ritornerebbe a farsi normanno, ovvero "non uomo", e si dimostra freddo, meccanico, feroce e senza sentimenti sociali od umani, e ci diniega la liquidità della quale abbiamo diritto grazie alla manovra, pur estrema, che abbiamo appena appositamente varato?
Ed ora, che fare dinanzi a questo tradimento del banchiere tedesco? Come pagare poi il nostro debito? e soprattutto a chi? Un debito creato dalle stesse banche nelle quali i nostri parenti hanno magari depositato tutti i loro risparmi, rischiando di non vederseli più restituire da un giorno all'altro come è successo mille volte in passato in tutto il mondi in occasione dei grandi fallimenti bancari?
Non sarebbe auspicabile a questo punto dire: meno banche, meno “Keinesismo”, meno monetarismo “Friedmanistico”, più autonomia di stampa dei biglietti euro da parte di ciascuno stato senza dover dipendere dal banchiere teutonico traditore, più capitalismo reale, meno crescita obbligata, più produzioni mirate, meno baronismo monetarista, ma già che ci siamo anche universitario, sanitario, giustizialista, fiscalista, sanzionista, e via al metodo economico ponderale “Hayekiano”, relativo al reale, magari con programma di inflazione costantemente lievemente crescente per il prossimo quarantennio, come previsto dalla recentissima ricetta “Saliniana”, di ispirazione “Misesiana” o “Hayeckiana” (1).
Rispondere subito ai tedeschi una chiamata in causa dinnanzi al tribunale europeo, per mancato rispetto della solidarietà con gli stati promessa, e destituzione immediato del potere esclusivo della Bce di Francoforte sono gli unici rimedi immediati auspicabili per un riequilibrio delle autonomie degli stati d'Europa, legittimamente necessarie per la salvaguardia degli interessi degli stessi.
Tirare su la testa, e allearsi immediatamente con Spagna e Portogallo, contro il gallismo e il teutonismo è un'emergenza sovrana. (N.d.r.) (1) Pascal Salin: “Tornare al capitalismo per uscire dalla crisi” da Feltrinelli.
Statistiche interne
Andamento lento
Dal nostro piccolo punto di vista nel 2009, pubblicavamo questo grafico previsionale, con buona capacità di intuizione di quello che sarebbe stato l'andamento futuro. Ai giorni nostri purtroppo dobbiamo riconoscere che le aspettative di allora si sono purtroppo verificate per le ragioni storiche e congiunturali che sono ormai ben note a tutti.
Le manovre di aggiustamento ai bilanci statali operate dai governi, devono tenere conto dell'enorme sforzo di resistenza al quale le aziende europee sono state sottoposte per ragioni non dipendenti dall'economia reale. I detentori del potere di distribuzione di moneta, di variazione dell'imposizione fiscale, di riduzione della spesa pubblica, hanno il dovere di porre in essere le dovute condizioni di operabilità di una ripresa sostenibile, da parte delle imprese. I predicatori della crescita tout cour, e della global governance, dopo la catastrofi del 92, del 2003, e del recente triennio 2008/2011, avranno, speriamo, avuto bene modo di ricredersi circa le maggiori capacità di resistenza delle piccole aziende, rispetto alle forme corporates. Il buisness bancario, ormai inarrestabile, e viaggiante per una sua strada, separata dall'economia reale, non potendo più essere considerato il punto di riferimento per gli ausili commerciali necessari ai piccoli imprenditori, dovrà essere integrato dal legislatore, da istituti para bancari, finanziati dagli euro bonds, per evitare l'estinzione di una tradizionalità del piccolo commercio che costituisce anche cultura e folklore vitale per tutti i centri urbani europei. Auspichiamo inoltre una coesione e un rispetto maggiore, da parte dei partners e dai colleghi della nostra categoria, per tutte quelle realtà che tra noi, stanno vivendo un momento difficile, stressante, indecoroso, quanto indesiderato, e da parte dei produttori, una azione politica propositiva, che faccia sentire ai notri politici la necessità del sostegno della nostra classe che, piuttosto che autodistruggersi ricorrendo alle vie legali per il recupero dei propri crediti, dovrebbe poter disporre di stanziamenti opportuni e mezzi di sostegno accantonati appositamente al fine di supportare quello che sarà un successivo durissimo triennio per tutti.
Cosa ci aveva raccontato cdo: Fare impresa!
Riportiamo la pubblicazione di Compagnia delle Opere:’ suddivisa in INDICE, Prologo, Introduzione, Premessa, L’impresa, L’imprenditore, Il rapporto con i collaboratori, Alcune modalità di azione, Conclusioni, Ringraziamenti.
Prologo
Riportiamo il discorso di Cdo su fare impresa che assomiglia alla descrizione di quelle che dovrebbero essere le funzioni del moderno Don Chisciotte ovvero del cavaliere kamikaze, che, per assolvere al compito assegnatoli dai poteri forti, dovrebbe esternare uno sforzo personale spropositato per far funzionare la baracca di uno stato che in cambio offre la completa assenza di equità legislativa, economica, e fiscale verso di lui.
Questo sforzo è comunque stato sempre tacitamente assunto da tutti gli imprenditori italiani, e i docenti ben lo sanno. Ma il prezzo che il sistema fiscale italiano è arrivato a chiedere rende impossibile ogni continuazione di questa vita di estremo sacrificio svolta per il bene comune.
E’ dunque giunto il tempo in cui la classe imprenditoriale sieda al tavolo con la classe docente per negoziare un nuovo contratto sociale che renda utile, profittevole, edificante, e soggettivamente soddisfacente questo ruolo lavorativo internazionale cruciale per l’economia mondiale.
N.d.r.: Chi dovrebbe compiere uno sforzo simile a quello in seguito ben descritto, appartiene ad una classe sociale di elevata preziosità e quindi dovrebbe ascendere al merito di una progressiva esenzione fiscale, anziché essere maltrattato dalla attuale tecnica espropriativa attuata attraverso la retorica burocratica bancaria, fiscale e giustizialista.
INTRODUZIONE
Sin dalla sua nascita Compagnia delle Opere è stata un luogo di riflessione continua e sempre più approfondita sul significato del lavoro, sul senso dell’imprenditorialità, sui criteri di una economia per il bene di tutti. Tante di queste riflessioni, che sempre nascono dall’esperienza lavorativa e imprenditoriale, sono emerse con maggiore chiarezza nella loro validità e nella loro forza proprio di fronte alla crisi. Le difficoltà di Questa situazione hanno provocato con insistenza all’interno di CDO una presa di coscienza delle ragioni per cui può avere significato “fare impresa” indipendentemente dalle congiunture favorevoli o sfavorevoli. Per questo motivo la commissione “Economia e PMI” di CDO ha deciso di scrivere un “manifesto” che propone in modo sintetico alcune esperienze che riteniamo significative come orientamento, come criterio e come paragone per affrontare le sfide della vita imprenditoriale in modo positivo e costruttivo, anche quando le condizioni sono difficili. Questo “manifesto” è quindi una proposta offerta agli “uomini del lavoro”, imprenditori e collaboratori, in un momento cruciale per l’economia, in vista di un dialogo che sappia valorizzare il tentativo di ognuno di rendere il mondo del lavoro più consono ai propri desideri di libertà, di bellezza, di creatività e di giustizia. Dopo anni in cui le piccole e medie imprese sono state criticate come se fossero un impedimento alla crescita e alla competitività, l’Unione Europea ha riconosciuto con lo Small Business Act il valore essenziale delle PMI per il futuro economico e sociale. Questa attestazione, che finalmente arriva anche a riconoscere le capacità innovative delle piccole e medie imprese, introduce implicitamente una domanda spesso elusa: la domanda sul soggetto che “fa” e “muove” l’impresa. Questo manifesto vuole porre al centro della riflessione proprio la persona: la persona dell’imprenditore e la persona del collaboratore, nella convinzione che sia fondamentale comprendere l’origine del loro“fare” e non soffermarci solo sulle conseguenze. Per quali motivi si fa un’impresa? Dovenasce il desiderio di innovare? Quali ragioni spingono chi lavora nelle piccole e medie imprese ad affrontare giorno per giorno, con realismo e audacia le sfide di un mercato globalizzato? E quali sono i criteri più idonei per vivere tali sfide? Dove si trovano e come si alimentano le energie per affrontare con coraggio e creatività le intemperie di una crisi finanziaria ed economica? Cosa conduce ad affrontare con spirito costruttivo e intraprendente le difficoltà burocratiche, la pressione fiscale, la mancanza di infrastrutture, la giungla delle leggi nazionali e internazionali? Non è possibile rispondere in modo esauriente a queste domande basandosi unicamente sulla ricerca del profitto; bisogna considerare altri fattori più decisivi, perché più incisivi; diventa allora possibile
Recuperare la consapevolezza del valore dell’impresa come luogo sociale in cui si svolge una parte così importante della nostra stessa vita, in cui si esprimono e crescono i talenti e l’umanità di ciascuno. Anche se questo documento si rivolge prevalentemente al mondo delle piccole e medie imprese, tante delle riflessioni qui proposte valgono sia per le imprese di maggiori dimensioni, sia per il mondo del non-profit e della cooperazione.
Bernhard Scholz Presidente Compagnia delle Opere
PREMESSA
La definizione d’impresa moderna che darei alle università è la seguente:
« L’impresa è l’istituto economico, atto a perdurare, in cui l’imprenditore utilizza mezzi scarsi aventi usi alternativi per produrre nuovi prodotti e servizi socialmente utili e sostenibili, avvalendosi di una organizzazione ecologica e una collaborazione umana, rispettosa e dignitosa. »
La legge originale per cui ci è stata data la vita è che abbiamo a imitare la natura che ci ha creato diventando anche noi stessi dei « creativi ». La vita ci è stata data dalla creatività naturale e da una sorta di ispirazione umanamente spirituale che ci differenzia da tutti gli altri animali, e quindi noi, sue creature privilegiate, continuiamo a creare nuove risorse per l’umanità e nuove umane creature.
L’avventura imprenditoriale costituisce un modo per aderire a questa legge originale. Un’impresa sia essa profit o non profit, grande, piccola o individuale sorge dal tentativo di rispondere sistematicamente a bisogni che urgono la propria vita e quella di altri uomini. Davanti a questi bisogni, l’imprenditore ha il coraggio di dire “io” e in qualche modo, secondo svariatissime circostanze, rischia. In ciò egli dà spazio e dà iniziativa alla sua libertà, la parola più sacra che l’educazione cristiana ci abitua a considerare e venerare, quella che viene immediatamente dopo la parola Dio.
Il fare Impresa, dunque, è per l’imprenditore e per chi vi collabora con la rischiosa espressione di quella chiamata allo sviluppo sostenibile, che è propria della vocazione di ogni uomo ecologico.
Il valore dell’imprenditorialità e dell’impresa, di ogni tipo e di ogni ambito d’attività, quando concepite secondo la loro natura originale. Particolare attenzione è riservata alla piccola e media impresa, per l’importanza che essa detiene nel panorama economico italiano e per la fisionomia che ha caratterizzato per esempio la « Compagnia delle Opere fin dalle sue origini. «
L’IMPRESA
L’impresa è una “comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il Soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società”
Pertanto, l’impresa è l’ambito in cui vivere “rapporti Autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità, nel rispetto e nell’onestà reciproca”.
In tal senso, l’impresa svolge un fondamentale ruolo di coesione e di integrazione all’interno della società: tra adulti e giovani, tra persone di diverse provenienze sociali, culturali ed etniche.
L’impresa non è “possesso esclusivo” di chi detiene il capitale. È un soggetto privato, ma di interesse pubblico, in quanto in essa convergono le aspettative di una grande varietà di soggetti oltre ai proprietari: i lavoratori, i clienti, le comunità di riferimento, i fornitori di beni, servizi e risorse finanziarie: i cosiddetti « portatori di interessi interni ed esterni »
L’impresa tende a generare benessere per tutti, innanzitutto realizzando prodotti e servizi destinati al soddisfacimento dei bisogni dell’uomo.
La soddisfazione dei collaboratori, dei clienti e dei conferenti capitale costituisce l’obiettivo prioritario dell’impresa. L’impresa tende dunque al profitto non come fine, ma come mezzo. “Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L’esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà.
Quanto alla sua produzione, il profitto costituisce uno degli indicatori del buon andamento dell’azienda, se ottenuto senza far ricorso a pratiche non rispettose dell’uomo, quali ad es.: l’offerta di prodotti dannosi; condizioni di lavoro che violano la dignità dei lavoratori;
L’abuso di una posizione monopolistica o oligopolistica; lo sfruttamento dei fornitori, approvando tacitamente o persino inducendo lo svolgimento di attività economiche irresponsabili, che si traducono in salari insufficienti, mancata tutela della sicurezza, lavoro minorile; la produzione di esternalità negative per l’ambiente.
Un profitto di qualità è frutto della capacità di innovare a livello di prodotto, di processo, di assetto organizzativo, di rapporti di filiera così da avanzare lungo gli assi della qualità, del servizio, della riduzione di costi.
L’impresa sana non si adagia sulle conquiste raggiunte, ma continuamente si pone in discussione e rinnova se stessa. Un profitto di qualità, infine, implica un impiego della finanza a supporto della gestione e mai concepito come fine a se stesso.
Quanto all’impiego del profitto, esso deve tendere a soddisfare in modo equilibrato numerose istanze: innanzitutto, le esigenze connesse alla sopravvivenza e allo sviluppo dell’impresa stessa; poi, le aspettative degli azionisti di una soddisfacente remunerazione, anche alla luce delle potenziali alternative di investimento; le attese di partecipazione agli utili dei collaboratori, anche considerando per ciascuno il contributo offerto e le esigenze delle singole famiglie; le attese della comunità, a cominciare da quella locale.
L’impresa, in quanto comunità di uomini, è un ambito educativo: non solo perché essa è luogo di sviluppo e di trasferimento, anche intergenerazionale, di conoscenze e competenze imprenditoriali, tecniche, commerciali, organizzative, ma anche perché nell’impresa possono maturare ed essere trasmesse per osmosi una concezione dell’uomo e del lavoro, il senso del realismo e della responsabilità, nonché virtù quali attenzione, coraggio, lealtà, perseveranza, umiltà.
Chi guida l’impresa ha la responsabilità di assicurare la continuità nel tempo, a difesa di tutti gli interessi che vi sono implicati. In determinate circostanze ambientali l’ingresso di concorrenti esteri, l’intensificazione della competizione, i processi di concentrazione del settore o aziendali come una grave sotto capitalizzazione dell’impresa, la mancanza di un ricambio generazionale, la presenza di conflitti tra i soci , il principio di continuità può suggerire varie forme di aggregazione quali alleanze, creazione di reti, consorzi, fusioni, cessioni.
La consapevolezza che l’impresa costituisce un “soggetto privato di interesse pubblico” può indurre a ricercare e definire un assetto innovativo di governance che tuteli le attese non solo della proprietà ma di tutti i principali soggetti coinvolti nella vita aziendale, assicurando unità di comando ed efficacia nelle decisioni. Riveste interesse, ad esempio, l’introduzione di forme di partecipazione dei collaboratori al capitale e/o agli organi di governo e/o agli utili.
Nel perseguimento dell’obiettivo di generare benessere per tutti, essenziale diviene l’orientamento di lungo periodo. Chi guida l’impresa agisce nel presente, ma deve considerare un orizzonte temporale ampio, che abbracci anche gli interessi delle future generazioni. La responsabilità sociale dell’impresa si manifesta innanzitutto nel vivere la concezione d’azienda fin qui suggerita; solo all’interno di questa prospettiva si inscrivono, e sono auspicabili, azioni specifiche connotate da finalità sociali e ambientali.
L’IMPRENDITORE
Il talento imprenditoriale è un dono che implica una responsabilità verso il mondo. Esso perciò va messo in gioco totalmente, senza scivolare nella ricerca del comodo e nello sfruttamento di posizioni già acquisite.
Nell’imprenditore è viva una tensione estetica: il desiderio di realizzare qualcosa di bello, di “meglio” per sé e per gli altri. È fondamentale che il successo e la conseguente ricchezza non spengano questa sete.
L’imprenditore percepisce il proprio lavoro come strumento per plasmare la realtà secondo l’immagine ideale che di essa ha rappresentato dentro di sé. Egli delinea un disegno di sviluppo attraente, capace di far convergere gli obiettivi e i contributi di un articolato gruppo di attori attorno a uno scopo comune, superando la logica della mera contrapposizione degli interessi.
Il desiderio di contribuire alla realizzazione del bene comune non attenua lo spirito imprenditoriale, anzi costituisce un movente più grande della ricerca della ricchezza personale.
Il lavoro deve lasciare spazio anche al tempo dedicato alla costruzione di sé e della propria famiglia. Senza questo, a lungo andare l’impresa non disporrà di una guida equilibrata, lungimirante, capace di mettere in discussione sé e il profilo aziendale.
L’imprenditore si distingue per lo spiccato realismo: “non pretende di imporre le sue idee alla realtà, ma impara le idee dalla realtà”: chi guida un’impresa sa di esserne lui stesso un perfetto “dipendente”.
Come i collaboratori dipendono gerarchicamente da lui, così lui in quanto al vertice dell’impresa dipende dai clienti e dalle loro preferenze, influenzate dalle strategie dei concorrenti e dall’evoluzione dell’intero contesto sociale ed economico; l’atteggiamento dell’imprenditore è allora contraddistinto da apertura, curiosità, attenzione al nuovo; nell’imprenditore domina quindi la tensione a imparare, nella consapevolezza dei propri limiti.
Egli è consapevole del fatto che validi suggerimenti possano giungere da chiunque, a cominciare dai propri collaboratori; è attento a coltivare i rapporti interpersonali già instaurati e di trarre beneficio dai nuovi incontri, a volte anche fortuiti; il frutto più compiuto della funzione imprenditoriale è dar vita a un’innovazione che crea una discontinuità.
A ben vedere, la capacità di realizzare il “sogno imprenditoriale” non contraddice la virtù del realismo, ma ne costituisce il fulcro: la visione che rompe schemi consolidati è l’intuizione del “possibile” nascosto tra le pieghe della realtà; nell’imprenditore la lungimiranza si accompagna alla capacità di apprendere dagli avvenimenti.
L’elaborazione di un piano è utile guida del cammino comune, ma deve necessariamente essere accompagnata dall’attenzione ai segnali che emergono durante il cammino stesso: i fattori imprevisti che suggeriscono di modificare, più o meno profondamente, la rotta, non devono essere vissuti come ombre che si proiettano su un piano già stabilito ma, intelligentemente, come manifestazione della superiorità della realtà rispetto alle proprie idee.
Chi smette di imparare teme la novità, perde la passione per il prodotto e i processi produttivi, perde l’attenzione a clienti e concorrenti, trascura i rapporti con i collaboratori e vede deteriorare il clima organizzativo, smette di viaggiare. L’imprenditore si mette sempre in gioco: sa che quanto ha appreso e accumulato va continuamente riconquistato.
L’assunzione del rischio è dimensione essenziale dell’operare di un imprenditore. Il Coraggio necessario per lo svolgimento dell’attività è sostenuto da due fattori: la consapevolezza che il solo fatto di essere presenti sia più importante dell’esito finale e l’esperienza di una viva amicizia. Guai all’imprenditore solo!
L’imprenditore affronta le difficoltà l’inasprirsi della competizione, l’ingresso di nuovi concorrenti, l’innovazione tecnologica introdotta da un concorrente, il calo del mercato, ecc. con lealtà e a partire da un’ipotesi positiva:la lealtà si manifesta innanzitutto nel riconoscere le avversità in tutta la loro portata, senza nasconderle a se stesso e agli altri; l’ipotesi positiva consiste nella pronta ricerca di una risposta, che precede l’accettazione della sfida del cambiamento e dell’innovazione. L’indugiare nel lamento e nell’accusa delle condizioni esterne i concorrenti esteri operanti in contesti a basso costo della manodopera, l’inefficienza della pubblica amministrazione, l’eccessiva tassazione ecc. -sono freni, se non nemici, di questa risposta.
L’imprenditore è consapevole del fatto che l’errore e l’insuccesso siano elementi inevitabili nello svolgimento della propria attività. Di fronte ad essi, allora, risponde con umiltà e indomita capacità di ripresa.
L’azione di un imprenditore responsabile facilmente travalica i confini della propria impresa e assume un ruolo attivo in altri ambiti della società in cui opera.
IL RAPPORTO CON I COLLABORATORI
La costruzione e la valorizzazione di un legame con i collaboratori fondato sulla fiducia reciproca deve essere tra le prime preoccupazioni di un imprenditore. Tale fiducia è un fattore essenziale allo sviluppo dell’impresa e rappresenta un valore economico in grado di rivalutarsi con il passare del tempo e con lo sviluppo delle competenze specialistiche. Più un collaboratore è coinvolto in un rapporto di fiducia all’interno dell’impresa, più sarà disponibile ad attuare i cambiamenti necessari alla crescita di quest’ultima.
La vita dell’azienda dipende quasi completamente dal suo rapporto con il mercato di riferimento. La consapevolezza di questo fattore oggettivo, che l’imprenditore deve considerare, non è scontata. Coinvolgere quindi i collaboratori nell’interazione con il mercato, i clienti e i fornitori, è il primo elemento per costruire la fiducia.
La definizione chiara e concreta degli obiettivi dell’impresa e la loro declinazione a tutti livelli permette la responsabilizzazione, fine ultimo del coinvolgimento dei collaboratori: stimolare una persona alla responsabilità significa aiutarla a compiere un passo fondamentale, sia sul piano umano sia professionale. Essere chiamati a collaborare per un obiettivo comune e ambizioso facilita la riduzione delle incomprensioni tra persone che agiscono in qualsiasi organizzazione umana, dunque anche nell’impresa.
Conoscenza degli obiettivi e responsabilità personale permettono di attivare nei Collaboratori l’imprenditorialità, che “prima di avere un significato professionale ne ha uno umano.
Essa è inscritta in ogni lavoratore visto come acta personæ, per cui è bene che ad ogni lavoratore sia offerta la possibilità di dare il proprio apporto in modo che egli stesso sappia di lavorare «in proprio». La chiarezza degli obiettivi e delle responsabilità corrisponde a una chiara definizione della struttura organizzativa, non intesa come fine ma come strumento utile al coinvolgimento dei collaboratori. L’enfasi non è sulla gerarchia, ma sulla possibilità di una collaborazione efficace per il raggiungimento dei risultati prefissati.
Ogni collaboratore deve conoscere il contributo che personalmente dà al raggiungimento del risultato complessivo: se ciò non è reso possibile, viene meno la coscienza del valore del proprio lavoro. Tutti i contributi, anche quelli di routine, sono importanti e conferiscono perciò dignità al lavoro di chi li svolge.
La crescita delle persone è favorita nell’impresa dall’educazione e dalla formazione. L’educazione riguarda la motivazione che la persona attribuisce all’azione, la formazione riguarda le capacità con cui agisce. Attribuire responsabilità precise rispetto a obiettivi chiari e valutare insieme il percorso lavorativo è il primo passo per attuare un percorso educativo all’interno dell’impresa. Svolgere bene il proprio lavoro ha in sé una valenza educativa che stimola e rafforza l’interesse formativo.
La formazione si pone come obiettivo primario sviluppare i talenti dei collaboratori, prima ancora di colmare le loro carenze: occorre concentrarsi sul loro potenziale, affinché possano raggiungere l’eccellenza nel contributo loro richiesto. All’imprenditore è richiesto di coltivare una visione positiva delle persone che collaborano allo sviluppo dell’impresa. Questo non significa trascurare di evidenziare e correggere errori o comportamenti inadeguati; significa, piuttosto, concentrare la propria attenzione su talenti, azioni costruttive, disponibilità e coinvolgimento personale.
L’impresa non vive solo della dimensione “oggettiva” mercato, obiettivi, responsabilità -, ma anche della percezione “soggettiva” maturata dalle persone. Da questo punto di vista, l’imprenditore ha una responsabilità decisiva nella creazione della cultura dell’impresa, che collega la dimensione oggettiva a quella soggettiva. Infatti, la cultura prende forma a partire dalle sue azioni, dai suoi giudizi espressi nei vari contesti, dalla delega realmente attribuita ai collaboratori, dalla sua disponibilità a riconoscere i propri errori e dall’entusiasmo con cui persegue in prima persona lo scopo dell’impresa.
La collaborazione non deve esaurirsi nei contratti. Occorre lavorare al consolidarsi di una “alleanza” fra chi mette a disposizione le sue capacità e chi ha fondato e/o gestisce l’impresa.
Concepire il rapporto di collaborazione come una “alleanza” rafforza sensibilmente la fiducia, perché indica il contenuto della reciprocità nel modo più trasparente possibile.
ALCUNE MODALITÀ DI AZIONE
Questa parte del documento, più legata alla situazione storica contingente e dunque Passibile nel tempo di cambiamenti, vuole declinare nel concreto del comportamento aziendale alcuni dei punti ideali precedentemente presentati. Si tratta di spunti di azione coerenti con quanto sin qui affermato, che nascono dall’osservazione diretta di molte imprese di successo in questi ultimi anni di sostanziali cambiamenti, che agiscono nelle situazioni competitive più diverse. Il fine è aiutare tutti coloro che lavorano nell’impresa a individuare una propria strategia di azione.
Cercare il confronto con chi è « più avanti »
L’impresa deve ricercare con continuità il confronto con l’esterno. Tutte le imprese che operano, devono operare nei mercati di approvvigionamento e di sbocco del lavoro e dei capitali. In questi mercati l’impresa deve privilegiare il rapporto con attori sfidanti, ovvero con chi ha saputo proporre soluzioni creative a problemi emergenti, con chi ha messo a punto prodotti, servizi, strutture e meccanismi innovativi e con chi ha affermato logiche e modalità di pensiero non ripetitive. Da questo punto di vista, è fondamentale che le imprese ricerchino con costanza e senza timore delle conseguenze un’esposizione continua alle realtà più sfidanti, quelle in grado di porre gli interrogativi più difficili e le problematiche di frontiera. Confrontarsi con chi è più bravo, sia pure limitatamente a singole aree dell’agire aziendale, ampliale opportunità di crescita, perché permette di visualizzare un più alto livello di operatività già realizzato e, dunque, imitabile, e in alcuni casi anche migliorabile.
Le imprese migliori dimostrano molta attenzione nei confronti delle realtà esterne, perché possono stimolare una riflessione sul loro futuro. Associazioni imprenditoriali, territoriali o di categoria, scuole di formazione, società di consulenza, case editrici specializzate sono settori con cui le imprese entrano in rapporto, direttamente o indirettamente, con sempre maggiore frequenza, anche se gran parte di questo interesse viene tuttora frustrato da una preparazione non adeguatamente mirata da parte di queste realtà manageriali.
Fare meglio ciò che si è sempre fatto (rendendolo visibile) molte imprese hanno sviluppato la convinzione che saper svolgere bene una determinata attività, avendolo dimostrato a sé e al mercato con i risultati raggiunti in tanti anni di lavoro, non significa automaticamente saperne svolgere altrettanto bene altre. Ne consegue una scarsa propensione alla diversificazione strategica come antidoto al cambiamento in corso. Modificare completamente la propria combinazione strategica perché ritenuta, anche a ragione, in crisi, per inseguirne altre più alla moda significa snaturare una consuetudine tipica, in particolare, delle piccole e medie imprese: l’imprenditore non è uomo per tutte le stagioni (profilo che più si avvicina alle caratteristiche di chi si muove secondo la prospettiva del finanziere) e dunque lega la propria avventura aziendale a fattori molto specifici, spesso casuali. Certo, in alcuni casi il prodotto può non essere più competitivo e allora, tentata senza successo la strada dell’innovazione, occorrerà partire dalla tecnologia fin lì utilizzata e dai mercati più conosciuti alla ricerca di evoluzioni strategiche incrementali. Si Sottolinea quindi che, anche nei momenti difficili, l’impresa deve ricercare idee strategiche a lei vicine attraverso l’apertura all’esterno: guardare lontano, fuori da sé, per trovare soluzioni di prossimità.
Per molte imprese, significa migliorare ulteriormente ciò che si è sempre fatto ed eventualmente attuare quelle diversificazioni che originino dalla combinazione strategica adottata o che servano a rafforzarla. La specializzazione è portata alle estreme conseguenze secondo una logica di personalizzazione massima rispetto alle esigenze del cliente, e migliorando la qualità e il servizio erogato. Oltre ad approfondire le proprie competenze distintive, occorre contemporaneamente sviluppare una maggiore sensibilità alla funzione commerciale, per rendere adeguatamente visibile questa rinnovata capacità di fare. La costruzione e il monitoraggio continuo di una rete di vendita o l’investimento di risorse per la creazione, il sostegno e la diffusione di un marchio, potevano apparire fino a pochi anni fa sforzi superflui proprio perché i risultati raggiunti, facendo leva esclusivamente sulle competenze distintive dell’azienda, erano più che soddisfacenti: si era talmente bravi nel fare che non c’era bisogno di “vendersi”, bastava farsi comprare”.
Saper fare innovazione (anche in settori maturi)
Il sistema competitivo è in continua evoluzione e sempre nuovi concorrenti possono Presentarsi sul mercato, sia da quello dei prodotti di massa sia dei prodotti di nicchia.
Non ci si può fermare, vince chi cambia: gli eccellenti risultati economici conseguiti non rappresentano da soli la certezza di un futuro altrettanto effervescente, pertanto non devono costituire una barriera a nuovi investimenti, ma il trampolino per la ricerca di nuove opportunità.
Non è l’innovazione in senso assoluto quella destinata a lasciare il segno tangibile e indelebile nel mondo scientifico e sul mercato, ma quella relativa alla storia della singola impresa nel segno della discontinuità e del cambiamento dei mezzi per conquistare continuità nei fini. La scintilla del cambiamento viene spesso accesa dalla circostanza fortuita, dall’incontro casuale, dallo scambio di informazioni non programmato, dalla visita di routine.
In molti casi, le imprese hanno saputo rompere i paradigmi su cui si è sempre retto il settore, mettendo in discussione le regole del gioco ormai consolidate da lungo tempo, nella convinzione che le opportunità di cambiamento siano a portata di mano, per chi le cerca, anche nelle circostanze apparentemente più difficili.
Nei settori più innovativi, invece, la rapidità con cui l’innovazione tecnologica si Manifesta deve essere monitorata di continuo, per non lasciarsi sorprendere da cambiamenti tecnologici che possono incidere in modo radicale sulle tecnologie utilizzate nei processi aziendali e nella realizzazione dei prodotti. Nelle attività di innovazione tecnologica, infine, occorre aprirsi alla collaborazione con centri di ricerca e università, canale Privilegiato per acquisire e sfruttare competenze specializzate e orientare le risorse interne verso nuove metodologie di analisi e di soluzione di problemi industriali.
Passare da una strategia fondata sulla riduzione dei costi a una tesa a realizzare qualità e servizio
Progettare i confini aziendali in maniera flessibile: sapersi muovere tra esternalizzazione e internalizzazione, attestarsi su una politica di costo, prevedere la reintroduzione di pur comprensibili misure protezionistiche significa abbandonare una prospettiva di sviluppo e di crescita di lungo periodo: ciò, come già è stato detto, è estremamente pericoloso.
Certo, per molte aziende, in particolare per quelle che hanno fatto per molti anni della riduzione dei costi l’unica strategia di presenza vincente sui mercati, questo passaggio non può avvenire in modo automatico: ciò non toglie comunque l’ineluttabilità del cambiamento. Alcuni settori saranno agevolati, altri rallentati, ma tutti dovranno confrontarsi con questo passaggio, che include un forte ripensamento sulla valorizzazione paziente delle risorse interne disponibili e sul loro possibile riutilizzo.
L’azienda che vorrà vivere attivamente questo cambiamento dovrà dunque principalmente: re-internalizzare alcune funzioni aziendali, presidiare direttamente le fasi più critiche, perseguire laddove possibile una politica di nicchia per prodotti e servizi di qualità,1 guardare all’estero più dal punto di vista commerciale e meno da quello produttivo, stabilire accordi con aziende innovative che permettano di sperimentare e non solo fatturare, investire in formazione e non solo in impianti.
In particolare, queste aziende presidieranno con grande attenzione e in modo flessibile i confini aziendali, consci dell’elevato contenuto strategico delle scelte di make or buy.
Trattare la dimensione aziendale come una variabile gestionale
Per l’impresa non esiste una dimensione aziendale di riferimento sganciata dalla specifica combinazione strategica adottata: diverse imprese possono essere considerate di successo con dimensioni di fatturato, di occupati, di numero di capannoni, di quote di mercato molto diverse tra di loro. L’impresa non deve perseguire l’aumento dimensionale fine a se stesso nell’imitazione di modelli industriali diversi dal nostro, ma solo se questo è Strettamente correlato al mantenimento nel lungo periodo di condizioni di competitività efficace. Essa non sceglie le piccole dimensioni per difendere modalità di azione, mentalità e privilegi necessariamente di breve periodo, ma sa cogliere le eventuali opportunità strategiche correlate alla minore dimensione non snaturando la propria modalità d’azione ed esaltandone le caratteristiche.
Non esiste a priori un valore della dimensione: è positiva la dimensione che permette all’impresa di competere con successo nel mercato di riferimento.
Non è più tempo di “piccolo è bello”, ma non sarà mai tempo di “grande è necessario”.
Realizzare accordi interaziendali
Le imprese possono cogliere, nelle molteplici possibilità di realizzare accordi interaziendali, più o meno strutturati, di breve o di lungo periodo, l’occasione di diventare grandi restando piccole. Nel momento della difficoltà a presidiare da soli il mercato, ma anche per raggiungere maggiori risultati nel momento dello sviluppo, esiste sempre l’opportunità della Collaborazione interaziendale: più o meno formalizzata, dai gruppi di impresa alla partecipazione in comune a una fiera, dalla rigenerazione del distretto alla fondazione di un consorzio, dalla partecipazione a una centrale acquisti alla rete in franchising, dalla condivisione dei Clienti per aziende che operano in mercati diversi alla promozione di una filiera tecnologica.
La collaborazione è realizzata non per timore o per insicurezza, ma per ottenere i benefici effetti della grande dimensione senza sopportarne i costi. Non una fuga, dunque, ma una strategia di attacco. Il territorio in cui pochi anni prima ci si è rifugiati per sentirsi protetti da vincoli fiduciari diventa distretto e la fiducia di prossimità da paravento si trasforma in facilitatore economico. Si maturano economie di specializzazione e imprenditorialità diffusa, con alcune imprese-guida che tirano le fila. Non si fugge più dalla competizione, al contrario la si affronta insieme con ritrovata fiducia nei propri mezzi.
Fare la differenza anche attraverso l’organizzazione aziendale e la gestione del capitale umano
Molti imprenditori obiettano che investire sui propri collaboratori significa spesso esporsi al rischio di perdere i migliori tra loro per scelta personale o per impossibilità di offrire adeguate occasioni di crescita professionale. Così non è, né deve essere.
Meglio avvalersi di Contributi di valore, anche se per un tempo limitato, piuttosto che di un capitale umano povero e, per questa ragione, statico. L’impresa deve considerare l’organizzazione aziendale e la Gestione del personale come fonti di vantaggio competitivo al pari del sistema di prodotto o di mercato.
Se un tempo il principio guida era migliorare le condizioni di vita dei collaboratori Anche per incrementare i risultati del lavoro, oggi si tende a migliorare la qualità del rapporto di lavoro per procrastinare nel tempo la sua durata. A queste azioni all’interno dell’azienda, cui si aggiungono le più tradizionali attività di gestione del personale in ordine a retribuzione e incentivazione, carriera e valutazione, si accompagnano iniziative riguardanti il territorio circostante.
L’immediata conseguenza di questa attenzione è una spiccata sensibilità verso tutto ciò che possa contribuire a costruire una buona reputazione dell’azienda in quel territorio e a migliorarne l’immagine. Nel contempo, possono essere pensati percorsi di carriera e nuovi sbocchi professionali anche per le risorse potenzialmente attratte dal mercato.
Si può dunque argomentare che “l’imprenditore-pioniere”, che di ogni possibile forma di innovazione fa una leva competitiva per garantire continuità alla propria impresa, deve anche essere “colono” del territorio in cui opera.
Da un punto di vista più strettamente organizzativo, l’impresa ha saputo trovare risposte efficaci al problema dell’eccessiva personalizzazione della gestione aziendale attorno alla figura dell’imprenditore: tale problema, che oggettivamente diminuisce il valore dell’impresa, se non risolto genera numerose conseguenze negative, quali l’ulteriore complicazione del già difficile processo d successione generazionale, il rallentamento dell’acquisizione da parte dell’azienda di collaboratori dall’elevata professionalità e la difficoltà a dotarsi di tecniche di gestione manageriali e tendenzialmente più oggettive. Oltre a favorire la crescita professionale dei propri collaboratori, a cui poter dunque poi delegare responsabilità sempre più elevate, l’obiettivo è costruire un gruppo dirigente aziendale composto da persone su cui l’azienda ha investito e che sappia, attraverso l’attuazione degli opportuni strumenti manageriali, coadiuvare l’imprenditore nelle decisioni strategiche.
Rimanere radicati nel territorio di appartenenza
Là, dove tutto è iniziato dieci, venti, trenta o anche ottanta anni fa, è bene che L’esperienza imprenditoriale prosegua, perché lontano da quell’origine sarebbe difficile, anche se non impossibile, ricostruire e ravvivare il patrimonio di conoscenze e di rapporti, di immagine e di valori, in sintesi di fiducia, che hanno permesso all’azienda di raggiungere il successo.
Radicamento nel territorio di origine, ossia punti di riferimento saldi, e sguardo al mondo, alla conquista di nuovi mercati e nuove tendenze. Nel pieno della globalizzazione, identità, tradizione e fiducia sono merce relativamente rara e preziosa anche nell’agire economico: la nostra è, e deve rimanere, un’economia di campanile aperta al mondo. Il fondatore di un’impresa è una persona che raccoglie idee dalla società, idee che altri non sono in grado di valorizzare, e che costruisce occasioni di lavoro: prende e dà, è un imprenditore e un datore di lavoro; è anche un “prenditore” di risorse dal territorio, risorse umane e risorse naturali, ma anche risorse immateriali, come le tradizioni e la cultura del luogo, facendo attenzione in particolare alla fase di restituzione.
Non si limita a sfruttare le risorse, ma opera all’insegna della reciprocità nello scambio, riversando nel territorio ricchezza sotto forma di posti di lavoro, di occasioni di business per altri soggetti, di iniziative culturali, di promozione e sviluppo del luogo d’origine, per evitarne il progressivo abbandono da parte della popolazione e la perdita delle tradizioni.
L’impresa deve ricercare il meglio di ciò che le abbisogna là dove questo può essere reperito:alcune risorse sono di prossimità, altre, come il know how, arrivano da lontano e non c’è alcuna contraddittorietà in questo. Si pensi, ad esempio, ai collaboratori: quelli tecnico-specialisti ci sono spesso locali, addestrati dalla consuetudine di mestiere che arricchisce il territorio; quelli con più alto tasso gestionale, necessari a supportare il processo di crescita dell’impresa, arrivano da lontano o colgono l’opportunità di fare ritorno al territorio di origine dopo esperienze professionali vissute altrove.
Avere alla guida un imprenditore forte é indubbio, e sarebbe grave dimenticarsene, che dietro il successo di un’impresa c’è sempre la dedizione intelligente di chi ci lavora, a tutti i livelli gerarchici, dal più giovane al più anziano, ma non è ancora stato adeguatamente sottolineato il ruolo fondante dell’imprenditore; il lavoratore è per definizione dipendente, a tempo indeterminato o no, assunto o con Partita IVA, perché dipende dal rischio imprenditoriale di qualcun altro senza il quale la sua posizione non esisterebbe.
Infatti, quando il lavoratore è autonomo, la sua posizione si avvicina a quella dell’imprenditore, anche se spesso non crea occasioni di lavoro per altri. Imprenditori e lavoratori dipendenti rappresentano le due facce del problema lavoro: due aspetti complementari, ma temporalmente in sequenza. Senza i primi, i secondi non hanno motivo d’essere, ogni tanto i secondi imparano dai primi il gusto del rischio e diventano imprenditori a loro volta.
Oltre a questa caratteristica di natura strategica, l’imprenditore è una persona che decide in modo tempestivo, che affronta i problemi senza lamentarsi e cercare aiuti all’esterno, che lavora con passione per garantire continuità all’impresa. Decidere in fretta e cercare di realizzare al meglio e in breve tempo quanto deciso significa non perdersi in inutili discussioni e non temporeggiare per paura o per abitudine: anche in presenza di errori, questi imprenditori ne prendono atto, cercando soluzioni alternative. Chiedere all’istanza pubblica, anche attraverso i canali della propria rappresentanza associativa, interventi che possano supportare l’azione imprenditoriale è doveroso, ma occorre poi agire come se queste richieste fossero inascoltate.
Sono imprenditori di successo, infine, coloro che non perdono nel tempo la voglia di rischiare, che sanno adattare le proprie competenze e la naturale predisposizione alle mutevoli necessità dell’azienda, che vivono questa straordinaria avventura come realizzazione di sé e servizio agli altri, un misto di fatica e privilegio.
CONCLUSIONI
Al fondo, nell’impresa l’imprenditore esercita la propria specifica creatività responsabilizzando i collaboratori e valorizzando il loro talento per far sì che, insieme, l’impresa possa Competere con successo nel mercato di riferimento. Si tratta del perseguimento del bene comune, che si basa a sua volta sul superamento alla radice del conflitto strutturale tra capitale e lavoro.
Tuttavia questa modalità è propedeutica, insieme ad altre, anche al conseguimento del più generale bene comune di un intero popolo perché, da una parte, non può che richiamare a una impostazione di vita, valida potenzialmente per chiunque in qualsiasi situazione che abbia alla propria origine il riconoscimento di un valore ricevuto e non creato da sé.
L’imprenditore ha ricevuto in eredità un’azienda, o un patrimonio, o delle specifiche abilità, che ha investito insieme al talento dei suoi collaboratori: ciò può valere per ogni persona nel gioco della propria libertà personale. Dall’altra, nel microcosmo dell’impresa, si sperimenta come le diverse creatività dei singoli possano condurre, se finalizzate ad un progetto più grande, a risultati comuni impensabili per il singolo e, contemporaneamente, alla realizzazione della persona,nonché alla soddisfazione di molti suoi bisogni.
RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano per la collaborazione alla stesura del documento Fare Impresa i membri Della Commissione Economia e PMI della CDO: Maurizio Andronico, Giuseppe Angelico, Francesco Bernardi, Enrico Biscaglia, Rossano Breno, Corrado Colombo, Graziano Debellini, Luca Erzegovesi, Marco Montagna, Marco Piuri, Vito Sinopoli, Massimo Valentini e in particolare il prof. Mario Molteni e il prof. Paolo Preti per il coordinamento dei lavori. Si ringraziano inoltre Andrea Giussani e Francesco Liuzzi per il contributo alla revisione critica dei contenuti. Milano, giugno 2010
Note 1. Luigi Giussani, L’io, il potere, le opere, p. 150.2. Cfr. Luigi Giussani, L’io, il potere, le opere, pp. 99-100.3. Cfr. Caritas in veritate, n. 16.4. Centesimus Annus, n. 35.5. Caritas in Veritate, n. 36.6. Cfr. Caritas in Veritate, n. 40.7. Caritas in veritate, n. 21.8. Cfr. Centesimus Annus, n. 35.9. Cfr. Luigi Giussani, Il senso religioso, p. 11.10. Cfr. Luigi Giussani, L’autocoscienza del cosmo, p. 49.11. Caritas in veritate, n. 41 Un ANEDDOTo indiziale
Persecuzioni a Cura di Vetralla: I Turisti braccati dalla signora vigile urbano.
Giunto davanti al sagrato in prossimità della porta della chiesa di santa Maria del soccorso di Cura mi accingevo a far entrare la vecchietta da me accompagnata nel luogo di culto raggiunto. Dove altro avrei potuto parcheggiare se non nella pertinenza ecclesiastica? Ma uscito in attesa che la persona finisse il suo raccoglimento, recatomi al bar da Cancellieri antistante per un cappuccino, le bariste, indaffarate per i molti clienti, mi avvisavano che una signora vigile urbano vigilessa mi stava facendo la multa. Uscii subito per chiedere spiegazioni, ma voilà: la persona aveva già lasciato il foglietto rosa e si era dileguata.. Ecco che cercatala la trovai e chiesto spiegazioni mi venne risposto che esisteva divieto di sosta su tutta la piazza... ma io ero sul sagrato della chiesa e non sulla piazza pubblica non ci fu niente da fare e quindi spostai la macchina un pò più avanti... Ma ecco che la signora vigile urbano mi incalzava. Nonostante avessi spiegato che avevo la vecchietta in chiesa e i soldi vicino al cappuccio. Non mi consentiva di lasciare li la macchina. Dove era appena andata via un'altra macchina parcheggiata.. Ove non sussisteva nessun segnale orizzontale e oltre la fantomatica piazza non meglio delimitata e indentificata. Lasciato il mio mezzo per un momento mi recai ostinatamente a recuperare almeno soldi e cappuccio ma ecco che la feroce signora vigile urbano entro nel bar da Cancellieri e ad alta voce mi intimava di spostare la macchina.. Ecco che allora mi precipitai fuori esclamando alle bariste: "non farete molti affari di questo passo".. E poi rimossi la mia vettura come ordinatomi. Tutto ciò non apparirebbe stranissimo se non per il fatto che io nei quaranta anni precedenti avevo sempre parcheggiato in quei luoghi e in quei modi senza aver mai intralciato nessuno e senza aver mai preso biasimo da chicchessia.
Nel giorno seguente tornai a Cura per entrare in farmacia e sostai in questo luogo periferico rispetto la piazza per il tempo necessario a prelevare i farmaci occorrenti.. Ma ecco che da lontano scorsi la impavida signora vigile urbano dirigersi a passo risoluto verso la macchina per multarla... Allora prevenni il fatto spostando la vettura in altro luogo davanti ad un bar.. Ma tutto inutile, la signora vigile urbano continuava a muovere a passo sempre più minaccioso verso di me: mi aveva preso di mira ...
Questo racconto é per dare l'idea di quanto pessime siano le direttive date dai dirigenti comunali o di quelli della polizia locale alla propria dipendente: hanno trasformato letteralmente un posticino notorio per la sua tranquillità e proverbiale accoglienza in un covo di serpi agguerrite verso il turista che porta loro solo soldi.
Niente di più controproducente verso i contribuenti che presto vedranno le loro mete commerciali disertate per questa incivile caccia al turista bisognoso delle infrastrutture di parcheggio inesistenti.
Trattandosi di comportamento capestro e coattivo sarebbero ravvisabili gli estremi di una forma di persecuzione pilotata verso il turista, che attratto dai negozi e dalla chiesa senza pero infrastruttura di parcheggio abilitata e sufficiente, si vede poi multato anche per la sua semplice fermata.
Burocrazia borbonica italiana: il vero cancro dell'economia
Date: Wed, 18 Jul 2012 11:11:09 To: <faccionet.retedi@blogger.com>
Italia improduttiva somma le ore lavorate di Germania e Francia e produce meno di Spagna.
Oltre crisi bancaria, giustizialismo borbonico, iper burocrazia fiscale, appalti, informatica, e su informazione e istruzione, sindacale, partitica, politica, associazionistica, commercialistica, ecc. ha come cancro economico fondamentale l'ineffettività del lavoro svolto. La gente somma in busta presenze, errori, danni, assenteismo, inutilità causate alla propria azienda o ente pubblico come fosse una cosa normale. Le aziende dopo l'essere colpite da tassazione sociale complessiva superiore a qualsiasi possibile giustificazione logico-aritmetica lo è anche dal malcostume delle ore dipendente pagate il doppio se non il triplo del dovuto. Se a ciò si somma l'industria del fallimento architettata per far chiudere le aziende sane senza vero motivo per per fomentare l'industria della truffa, o delle start up o dell'invasione straniera promossa dalle regioni, non si intravedono prospettive accettabili dagli imprenditori onesti e indifesi.
Il trend dell'uccisione delle p.m.i. continua anche per favorire lo sviluppo delle società quotate in borsa che devono tendere ad una crescita continua obbligata richiesta dai parametri-locomotiva inventata dagli strateghi tedeschi di Basilea. Se pensiamo infine che siamo obbligati dal contratto Prodiano a pagare un debito secolare mai pagato prima da nessuno stato, in solo pochi anni, eletti per una strana coincidenza, tra i pochi paesi a doverlo fare per primi, e con un valore delle proprie quote sociali dimezzato rispetto a quello della Germania, si chiude il quadro di prevedibilità catastrofica certa ancora da avvenire che investirà il nostro paese. Le riforme vere devono tendere a correggere questi valori e non solo il compitino dei conti in ordine svolto dai governi tecnici o meno. L'apartiticità e la democrazia diretta di rete sono gli unici strumenti che potranno correggere i nostri questi nostri cancri che altrimenti resterebbero perenni. E inutile che il Borbonico Napolitano critichi il dilettantismo dei politici della sua repubblica burocratica borbonica, é per primo lui che non si rinnova e che non compie riforme negli apparati da lui presieduti quale giustizia ed esercito. Prova ne sia la sua decisione di dare nulla osta sul vendere le caserme agli stranieri per farne alberghi.
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Parlare-decidere-fare LUNEDÌ 9 LUGLIO 2012
E' assolutamente cretino essere tenuti in gabbia da poche persone che meriterebbero di solo essere socialmente evirate. Anni di attesa per una banda larga che non arriva mai, anni di attesa per un social conference esistente in Cina da secoli come Imqq, che in Italia non sbarca mai. Anni di attesa per un servizio luce, gas acqua onesto e non depauperante. Anni di attesa per un servizio telefonico unico e pulito come quello della vecchia stipel, che è stato ammazzato dai piranhas del marketing di Accenture che hanno fatto pagare milioni di consulenze a Telecom per isolarci nell'arena caotica delle offerte in libera concorrenza, inutili e incomprensibili.
Ma da chi siamo pilotati, da sadici sociali che vogliono solo mettere in difficoltà anziché semplificare il sociale? Solo perché quella italiana è una civiltà pacifica ed onesta fatta di generazioni specializzate nel lavoro e non nella traduzione di termini contrattuali astrusi, incomprensibili e soprattutto basati su servizi inconsistenti, mal ricevuti, e mal gestiti?
L'Italia è il paese del cartello del cartello del cartello. Poveri intermediari inutili della sostanza altrui che si interpongono sino a tre livelli tra il prodotto e il consumatore. Privati direte voi? No statali, oppure dirigenti di aziende appartenenti ai poteri forti detentori dell'oligopolio del dominio della nostra nazione:
1 mediavisivi, 2 telefonici, 3 industriali, 4 politici, 5 giuridici, 6 fiscali, 7 medico-farmaceutici, 8 ludici, 10 artistici, 11 previdenziali, 12 statalisti-amministrativi, 13 statalisti-insegnanti, 14 industriali-alimentari, 15 industriali-non-alimentari.
Ognuno di questi poteri contribuisce a serrare cartelli contro la libertà individuale e la formazione degli individui. Con la perenne sottomissione delle persone essi ottengono il mantenimento del loro cartello e dell'insieme della macchina di controllo. Le altre classi popolari quali 16 Lavoratori-laureati, 17 lavoratori-non-laureati, 18 PMI-alimentari, 19 PMIi-non alimentari, 20 -Grandi-logistici-distributivi, 21-piccoli-logistici+distributivi, 22 reti di artigiani-specializzati, 23 artigiani indipendenti, 24 altri autonomi, 25 agricoltori-pastori . 26 cooperative-sociali sono tutte classi non ben rappresentate e non ben tutelate nel parlamento nazionale d europeo.
Ora, in un clima di repressione come quello Montiano, ove nessuno può neanche più esprimere la propria opinione altrimenti fa calare lo spread (Squinzi) io direi anche basta su tutto questo.
In un paese ove un comico (Grillo) che ha avuto il potere di mobilitare la massa non ingenua, continuando a ripetere: « hanno paura di noi », che non valuta nemmeno in minima parte gli abusi perpetrati di continuo dal pool dei poteri forti che ci domina in sinergia con i poteri forti internazionali della global governance, ed in più non sa da che parte cominciare a dare forza alla gente comune che gli dona cibo fatto con le proprie mani anziché comprato o anziché contributi di partito, ora sa che è giunto il momento di far scoccare la scintilla.
Eccola qua: la tobin tax mondiale, le votazioni democratiche gestite dai bar di Lottomatica, ovvero la nuova costituzione del potere mondiale, altro che secessione: votazioni in rete mondiale, eliminazione dei filtri di internet, eliminazione delle intercettazioni telecom-giuridiche. Il potere siamo noi che abbiamo le idee. Parliamo, decidiamo, facciamo. Parliamone, subito, sempre, tanto e con tutti. E,F. 9-7-2012
"Non c'è più tempo da perdere e il populismo senza idee non serve a niente: che ognuno di noi tiri fuori le sue idee."
Pubblicato nel Blog personale da EF
GIOVEDÌ 24 MAGGIO 2012
Succede...?
Perché tutto ciò che dico, penso, faccio, scrivo, in questi giorni di protesta contro lo Stato sembra che venga, ripetuto, fatto.. Da giornalisti, personaggi, persone? Forse che io abbia detto qualcosa di veramente condiviso sui miei blog peraltro non famosi? Tutti ripetono dopo che io le ho dette cose rivoluzionare contro gli effetti lesivi del fallimento bancario mondiale? Tutti lo scrivono e ripetono all'unisono ciò che ho scritto declamando gli errori governativi? Moltissime persone stanno perdendo la testa con vandalismi. omicidi, suicidi ed attentati tristi ed ingiusti... Che hanno però tutti qualcosa in comune ovvero la voglia di protestare e fermare le ingiustizie delle istituzioni.. I gesti folli e pazzi di coloro che compiono stragi ed attentati quali dimostrazioni di potenza folle che vuole forse solo dimostrare una folle reazione contro l'insofferenza provata anche se puntata verso persone innocenti che comunque ignorano il malessere generale o di qualcuno, proseguendo il proprio lavoro, o la propria vita... E solo per questo ritenuti colpevoli di non fermare ciò che la loro attività stia comunque, per qualcuno, danneggiando... Persone che possono essere facilmente eliminate solo per pura rappresaglia mafiosa o neo nazista... Che possono essere improvvisamente stroncati da frange sociali folli e disumane che non conoscono altro modo di protestare contro alcune classi sociali se non quello di provocare clamorosi dolore e distruzione sociale.. Attraverso stragi o attentati che siano esempio di crudeltà e sacrificio..
QUELLO CHE NON HO
Piccolo contributo ai conduttori di talk show e agli opinionisti di sistema, da loro richiesto pubblicamente agli ascoltatori nelle loro trasmissione televisive dell’autore.
Antroposofia
Queste brevi note antroposofiche potrebbero apparire scontate per tutti coloro, tra cui sicuramente gli stessi conduttori televisivi, che godono di una condizione sociale privilegiata, Si pensi bene che queste carenze interessano in realtà, la maggior parte delle persone in Italia e nel mondo, e conoscerle, diffonderle e promuoverne la discussione ne favorirebbe la più rapida soluzione possibile.
Mangiare bene
Non sto più cucinando quello che voglio, tutti mi danno prodotti pronti a cominciare dai supermercati, dai fast food, dagli street food con cibi pronti, cibi ai ristoranti, ecc. ma la ricetta della nonna ormai è poco usata. Non so poi se i miei nipoti ritroveranno la voglia e la passione di coltivare un loro orto per conoscere il miracolo dell’eden che Dio aveva originariamente assegnato ad Adamo perché avesse tutto ciò che bastava per mantenersi. La perdita di contatto con le cose semplici ma fondamentali è un bene prezioso che deve essere tramandato e che deve essere reso culturalmente diffuso a livello didattico nelle sedi scolastiche e nelle classi più adatte ed opportune onde non venga perduta la conoscenza di come si provvede alla propria auto-sussistenza attraverso il miracolo della natura.
Privilegiare queste conoscenze a quelle del giudizio, dell’artificiosità, del conto, e dell’amministrazione è regola fondamentale per sanificare le menti future che proseguiranno questa società, che devono conoscere le ragioni dell’auto-sussistenza prima di giudicare, creare, contare, o amministrare i propri simili. Uomini e donne compresi.
lavorare
L’uomo ha bisogno di costruire i propri ripari i propri mezzi e i propri miglioramenti. Questo istinto è innato le donne devono collaborare con l’uomo in questo prestando la loro svelta abilità nel particolare presente, a favore dell’abilità maschile nella fermezza e nella sana progettualità a lungo termine.
l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Ma nessuno sa più cosa significhi bene questa parola. Lavoro è insieme parola di derivazione latina che indica l’attività che viene intrapresa da ogni persona che voglia prepararsi qualcosa di utile nella propria giornata dal momento che si sveglia, ma ha anche un significato scientifico descritto scientificamente nella fisica elementare. Questo concetto di fisica è riassunto in questi semplici schemi mnemonici che definiscono la nullità di un lavoro: 1) “se prendo una valigia d’oro e la porto al terzo piano ho svolto un lavoro, ma se questa valigia non fermandomi al terzo piano la riportassi a terra avrei svolto un lavoro nullo” (!anche se ho faticato ed ho trascorso il mio tempo!). Oppure “Se io nella mia vita costruisco una casa e riesco a pagarmela, ma poi per colpa di qualsiasi motivo io sono costretto a venderla, alla fine della mia vita avrò svolto un lavoro nullo”. Questi concetti servono a spiegare agli italiani che svolgono lavoro nelle aziende private e pubbliche che non esiste solo il problema dell’assenteismo quale malcostume che genera il recesso della produttività nazionale. Il ben più grave ed occulto problema è quello dell’inutilismo del nostro lavoro e quindi dalla nullità del medesimo causato da frequentissimi errori lavorativi, rifacimenti di commesse o commissioni, restituzioni di merci, redazioni, progetti perché inutilizzabili, su cui nessun contratto di lavoro collettivo nazionale ha mai calcolato gli oneri lasciandoli iniquamente tutti a carico dell’imprenditore sia civilisticamente che fiscalmente. Se questa carenza di legislazione venisse corretta introducendo il parametro della produttività quale unico parametro di misura remunerabile, allora avremmo il rilancio dell’efficienza delle imprese e delle persone.
Spendere
Spendere la propria vita anche nel giusto tempo di ozio che giustifica il piacere di essere venuti al mondo contro il concetto di schiavitù verso il tempo che le affermazioni di necessità di crescita continua ci vorrebbero imporre. Spenderla per i propri hobbies ricreativi è altrettanta cosa sana come riconosciuto da tutti.
Coccolare
Ricevere coccole è una delle attitudini antropologiche fondamentali. Da qui nascono gli amori, le famiglie, la vera crescita etnica che non deve farci ricorrere necessariamente alle aperture all’immigrazione fatte negli ultimi anni per assenza di crescita demografica sufficiente. La donna italiana deve tornare all’umiltà di questa consapevolezza troncando il malcostume del separatismo legale lanciato dall’industria del fallimento imprenditoriale e familiare italiana sviluppata abnormemente nell’ultimo decennio dai i tribunali. L’esegesi e l’eidetica della corsa al divorzio per passare al marito più benestante o al mantenimento gratuito portano alla spiegazione della rinuncia al matrimonio a priori da parte dell’attuale generazione di giovani maschi in tutta Europa, ma soprattutto in Italia.
Procreare
L’altra necessità antropologica è ovviamente la rimessa di tutto ciò che si è ricevuto durante la vita ai propri eredi, non solo per una esigenza logistica e di registrazione fiscale, bensì per la certezza di poter trasferire il proprio sapere, la propria cultura provenuta alle nostre orecchie in recitazione diretta dai propri genitori e nonni. Questa cultura è il vero tesoro, quella del saper fare e del saper giudicare rispetto moltissime situazioni che i nostri avi ci hanno tramandato, permettendoci con esse di poter sviluppare le nostre carriere o addirittura le nostre aziende, che anche noi vorremmo venissero proseguite da nostri degni eredi e prosecutori di ciò che abbiamo costruito.
Protestare
In qualsiasi ogni persona può sentire il bisogno antropologico di esternare e manifestare le proprie idee sebbene conosca siano contrarie ad idee altrui o idee anche solo precedentemente concordate. In questo periodo più che mai moltissima gente, invece, non riuscendo a trovare i canali ove le proprie ragioni possano essere messe subito in esame ed eventuale accoglimento nei casi di urgenza ha visto lo svilupparsi addirittura dei suicidi pubblici quali unici mezzi di protesta possibili. Questo è il problema più grave dell’uomo: poter protestare in qualsiasi momento svolgendo attraverso la propria comunicazione un atto di democrazia diretta che i propri rappresentanti votati dovrebbero valutare immediatamente per evitare episodi di disperazione a cui abbiamo recentemente dovuto assistere. E’ nostra responsabilità non immettere nel sistema esecutivo questa importantissima funzione democratica che potrà prevenire i casi disperati già detti nelle generazioni future. Attualmente i nostri rappresentanti politici invece, già prima di essere eletti partono per un’altra dimensione quasi divina, distaccandosi addirittura anticipatamente alla loro elezione dai loro elettori, eleggendosi ad un livello di elevazione spirituale nell’estasi del preassaporamento del proprio potenziale successo. Dopo eletti addirittura scompaiono e chiunque debba rivolgersi a loro si trova di fronte ed uffici di segreteria impenetrabili, oppure, nei casi fortunati, a sessioni di ricevimento apparentemente cordiali, ma in cui l’ascolto del problema non viene praticato e l’elettore viene sistematicamente licenziato per impegni successivi al massimo dopo cinque o sei minuti di ascolto infruttuoso, che non darà seguito a nessuna risposta risolutiva del problema segnalato. Basta. Quello che manca è proprio una nuova regolamentazione delle responsabilità degli eletti, altrimenti rinunciamo agli eletti e passiamo a strumenti informatici di sola democrazia diretta.
Grazie per l’ascolto, vediamo che farete di queste mie perle. Un caro saluto a tutti voi.
Ermanno Faccio
Discussione del programma M5S
Programma M5S: da qui partire per integrare ed arricchire questo buon punto di partenza.
Oggi riporto su questo blog il programma pubblicato sul sito beppegrillo.it suddiviso in temi.
INDICE
Indice Capitoli
Stato e cittadini
Energia
Informazione
Economia
Trasporti
Salute
Istruzione
PROGRAMMA STATO E CITTADINI
L’organizzazione attuale dello Stato è burocratica, sovradimensionata, costosa, inefficiente.
Il Parlamento non rappresenta più i cittadini che non possono scegliere il candidato, ma solo il simbolo del partito. La Costituzione non è applicata. I partiti si sono sostituiti alla volontà popolare e sottratti al suo controllo e giudizio. • Accorpamenti delle province e delle altre istituzioni non integrate mediante la semplificazione e la digitalizzazione sociale della P.A. • Accorpamento dei Comuni sotto i 5.000 abitanti • Abolizione del Lodo Alfano • Insegnamento della Costituzione, delle Leggi e dei regolamenti della P.A. ed esame obbligatorio prima di ogni candidatura a portavoce pubblico • Riduzione a due mandati per i parlamentari e per qualunque altra carica pubblica • Eliminazione di ogni privilegio particolare per i parlamentari, tra questi il diritto alla pensione dopo soli due anni e mezzo di mandato • Divieto per i parlamentari di esercitare un’altra professione o avere interessenze private conflittuali durante il mandato • Stipendio parlamentare allineato alla media degli stipendi nazionali equivalenti • Divieto di cumulo delle cariche per i parlamentari (esempio: sindaco e deputato) • Non eleggibilità a cariche pubbliche per i cittadini condannati • Partecipazione diretta a ogni incontro pubblico da parte dei cittadini via web, come già avviene per Camera e Senato • Abolizione delle Authority isolate e contemporanea introduzione di una democrazia diretta partecipata • Referendum sia abrogativi che propositivi senza quorum • Obbligatorietà della discussione parlamentare e del voto nominale per le leggi di iniziativa popolare • Approvazione di ogni legge subordinata alla effettiva copertura finanziaria • Leggi rese pubbliche per la discussione on line almeno tre mesi prima delle loro approvazione per ricevere i commenti dei cittadini sul modello svizzero
ENERGIA
Passaggio dal fossile al rinnovabile
Se venisse applicata rigorosamente la legge 10/91, per riscaldare gli edifici si consumerebbero 14 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato calpestabile all’anno. In realtà se ne consumano di più. Dal 2002 la legge tedesca, e più di recente la normativa in vigore nella Provincia di Bolzano, fissano a 7 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato calpestabile all’anno il consumo massimo consentito nel riscaldamento ambienti. Meno della metà del consumo medio italiano. Utilizzando l’etichettatura in vigore negli elettrodomestici, nella Provincia di Bolzano questo livello corrisponde alla classe C, mentre alla classe B corrisponde a un consumo non superiore a 5 litri di gasolio, o metri cubi di metano, e alla classe A un consumo non superiore a 3 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato all’anno.
Nel riscaldamento degli ambienti, una politica energetica finalizzata alla riduzione delle emissioni di CO2, anche per evitare le sanzioni economiche previste dal trattato di Kyoto nei confronti dei Paesi inadempienti, deve articolarsi nei seguenti punti:
• Applicazione immediata della normativa, già prevista dalla legge 10/91 e prescritta dalla direttiva europea 76/93, sulla certificazione energetica degli edifici • Definizione della classe C della provincia di Bolzano come livello massimo di consumi per la concessione delle licenze edilizie relative sia alle nuove costruzioni, sia alle ristrutturazioni di edifici esistenti
• Riduzione di almeno il 10 per cento in cinque anni dei consumi energetici del patrimonio edilizio degli enti pubblici, con sanzioni finanziare per gli inadempienti • Agevolazioni sulle anticipazioni bancarie e semplificazioni normative per i contratti di ristrutturazioni energetiche col metodo esco (energy service company), ovvero effettuate a spese di chi le realizza e ripagate dal risparmio economico che se ne ricava
• Elaborazione di una normativa sul pagamento a consumo dell’energia termica nei condomini, come previsto dalla direttiva europea 76/93, già applicata da altri Paesi europei.
Il rendimento medio delle centrali termoelettriche dell’Enel si attesta intorno al 38%. Lo standard con cui si costruiscono le centrali di nuova generazione, i cicli combinati, è del 55/60%.
La co-generazione diffusa di energia elettrica e calore, con utilizzo del calore nel luogo di produzione e trasporto a distanza dell’energia elettrica, consente di utilizzare il potenziale energetico del combustibile fino al 97%. Le inefficienze e gli sprechi attuali nella produzione termoelettrica non sono accettabili né tecnologicamente, né economicamente, né moralmente, sia per gli effetti devastanti sugli ambienti, sia perché accelerano l’esaurimento delle risorse fossili, sia perché comportano un loro accaparramento da parte dei Paesi ricchi a danno dei Paesi poveri. Non è accettabile di per sé togliere il necessario a chi ne ha bisogno, ma se poi si spreca, è inconcepibile. Per accrescere l’offerta di energia elettrica non è necessario costruire nuove centrali, di nessun tipo. La prima cosa da fare è accrescere l’efficienza e ridurre gli sprechi delle centrali esistenti, accrescendo al contempo l’efficienza con cui l’energia prodotta viene utilizzata dalle utenze (lampade, elettrodomestici, condizionatori e macchinari industriali).
Solo in seguito, se l’offerta di energia sarà ancora carente, si potrà decidere di costruire nuovi impianti di generazione elettrica. Nella produzione di energia elettrica e termica, una politica energetica finalizzata alla riduzione delle emissioni di CO2 anche accrescendo l’offerta, deve articolarsi nei seguenti punti:
• Potenziamento e riduzione dell’impatto ambientale delle centrali termoelettriche esistenti
• Incentivazione della produzione distribuita di energia elettrica con tecnologie che utilizzano le fonti fossili nei modi più efficienti, come la co-generazione diffusa di energia elettrica e calore, a partire dagli edifici più energivori: ospedali, centri commerciali, industrie con processi che utilizzano calore tecnologico, centri sportivi ecc.
• Estensione della possibilità di riversare in rete e di vendere l’energia elettrica anche agli impianti di micro-cogenerazione di taglia inferiore ai 20 kW • Incentivazione della produzione distribuita di energia elettrica estendendo a tutte le fonti rinnovabili e alla micro-cogenerazione diffusa la normativa del conto energia, vincolandola ai kW riversati in rete nelle ore di punta ed escludendo i chilowattora prodotti nelle ore vuote
• Applicazione rigorosa della normativa prevista dai decreti sui certificati di efficienza energetica, anche in considerazione dell’incentivazione alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che essi comportano • Eliminazione degli incentivi previsti dal CIP6 alla combustione dei rifiuti in base al loro inserimento, privo di fondamento tecnico-scientifico, tra le fonti rinnovabili
• Legalizzazione e incentivazione della produzione di bio-combustibili, vincolando all’incremento della sostanza organica nei suoli le produzioni agricole finalizzate a ciò • Incentivazione della produzione distribuita di energia termica con fonti rinnovabili, in particolare le biomasse vergini, in piccoli impianti finalizzati all’autoconsumo, con un controllo rigoroso del legno proveniente da raccolte differenziate ed escludendo dagli incentivi la distribuzione a distanza del calore per la sua inefficienza e il suo impatto ambientale
• Incentivazione della produzione di biogas dalla fermentazione anaerobica dei rifiuti organici.
INFORMAZIONE
L’informazione è uno dei fondamenti della democrazia e della sopravvivenza individuale. Se il controllo dell’informazione è concentrato in pochi attori, inevitabilmente si manifestano derive antidemocratiche. Se l’informazione ha come riferimenti i soggetti economici e non il cittadino, gli interessi delle multinazionali e dei gruppi di potere economico prevalgono sugli interessi del singolo. L’informazione quindi è alla base di qualunque altra area di interesse sociale. Il cittadino non informato o disinformato non può decidere, non può scegliere. Assume un ruolo di consumatore e di elettore passivo, escluso dalle scelte che lo riguardano.
Le proposte:
Cittadinanza digitale per nascita, accesso alla rete gratuito per ogni cittadino italiano
Eliminazione dei contributi pubblici per il finanziamento delle testate giornalistiche
Nessun canale televisivo con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranza da alcun soggetto privato, l’azionariato deve essere diffuso con proprietà massima del 10% • Le frequenze televisive vanno assegnate attraverso un’asta pubblica ogni cinque anni • Abolizione della legge del governo D’Alema che richiede un contributo dell’uno per cento sui ricavi agli assegnatari di frequenze televisive • Nessun quotidiano con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranza da alcun soggetto privato, l’azionariato diffuso con proprietà massima del 10% • Riforma dell’Ordine dei giornalisti • Vendita ad azionariato diffuso, con proprietà massima del 10%, di due canali televisivi pubblici • Un solo canale televisivo pubblico, senza pubblicità, informativo e culturale, indipendente dai partiti • Abolizione della legge Gasparri • Copertura completa dell’ADSL a livello di territorio nazionale • Statalizzazione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia, e l’impegno da parte dello Stato di fornire gli stessi servizi a prezzi competitivi ad ogni operatore telefonico • Introduzione dei ripetitori Wimax per l’accesso mobile e diffuso alla Rete • Eliminazione del canone telefonico per l’allacciamento alla rete fissa • Allineamento immediato delle tariffe di connessione a Internet e telefoniche a quelle europee • Tetto nazionale massimo del 5% per le società di raccolta pubblicitaria facenti capo a un singolo soggetto economico privato • Riduzione del tempo di decorrenza della proprietà intellettuale a 20 anni • Abolizione della legge Urbani sul copyright • Divieto della partecipazione azionaria da parte delle banche e di enti pubblici o para pubblici a società editoriali • Depenalizzazione della querela per diffamazione e riconoscimento al querelato dello stesso importo richiesto in caso di non luogo a procedere (importo depositato presso il tribunale in anticipo in via cautelare all’atto della querela) • Abolizione della legge Pisanu sulla limitazione all’accesso wi-fi. ECONOMIA E POLITICA • Introduzione il potenziamento della class action • Abolizione delle scatole cinesi in Borsa • Abolizione di cariche multiple da parte di consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate • Introduzione di strutture di reale rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate • Abolizione della legge Biagi • Impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno • Vietare gli incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale • Introdurre la responsabilità degli istituti finanziari sui prodotti proposti con una compartecipazione alle eventuali perdite • Impedire ai consiglieri di amministrazione di ricoprire alcuna altra carica nella stessa società se questa si è resa responsabile di gravi reati
• Impedire l’acquisto prevalente a debito di una società (es. Telecom Italia) • Introduzione di un tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante o maggioritaria dello Stato
• Abolizione delle stock option • Abolizione dei monopoli di fatto, in particolare Telecom Italia, Autostrade, ENI, ENEL, Mediaset, Ferrovie dello Stato • Allineamento delle tariffe di energia, connettività, telefonia, elettricità, trasporti agli altri Paesi europei • Riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e on l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari • Vietare la nomina di persone condannate in via definitiva (es. Scaroni all’Eni) come amministratori in aziende aventi come azionista lo Stato o quotate in Borsa • Favorire le produzioni locali a km. zero • Sostenere le società no profit • Sussidio di disoccupazione garantito • Disincentivi alle aziende che generano un danno sociale (es.distributori di acqua in bottiglia).
TRASPORTI
• Disincentivo dell’uso dei mezzi privati motorizzati nelle aree urbane • Sviluppo di reti di piste ciclabili protette estese a tutta l’area urbana ed extra urbana • Istituzione di spazi condominiali per il parcheggio delle biciclette • Istituzione dei parcheggi per le biciclette nelle aree urbane • Introduzione di una forte tassazione per l’ingresso nei centri storici di automobili private con un solo occupante a bordo • Potenziamento dei mezzi pubblici a uso collettivo e dei mezzi pubblici a uso individuale (car haring) con motori elettrici alimentati da reti • Blocco immediato del Ponte sullo Stretto • Blocco immediato della Tav in Val di Susa • Proibizione di costruzione di nuovi parcheggi nelle aree urbane • Sviluppo delle tratte ferroviarie legate al pendolarismo • Copertura dell’intero Paese con la banda larga • Incentivazione per le imprese che utilizzano il telelavoro • Sistema di collegamenti efficienti tra diverse forme di trasporto pubblici • Incentivazione di strutture di accoglienza per uffici dislocati sul territorio collegati a Internet • Incentivazione dei mercati locali con produzioni provenienti dal territorio • Corsie riservate per i mezzi pubblici nelle aree urbane • Piano di mobilità per i disabili obbligatorio a livello comunale.
SALUTE
Informazione sulla salute L’Italia è uno dei pochi Paesi con un sistema sanitario pubblico ad accesso universali. Due fatti però stanno minando alle basi l’universalità e l’omogeneità del Servizio Sanitario Nazionale: la devolution, che affida alle Regioni l’assistenza sanitaria e il suo finanziamento e accentua le differenze territoriali, e la sanità privata che sottrae risorse e talenti al pubblico. Si tende inoltre ad
organizzare la Sanità come un’azienda e a far prevalere gli obiettivi economici rispetto a quelli di salute e di qualità dei servizi.
GRATUITÀ DELLE CURE ED EQUITÀ DI ACCESSO
• Garantire l’accesso alle prestazioni essenziali del Servizio Sanitario Nazionale universale e gratuito • Ticket proporzionali al reddito per le prestazioni non essenziali • Monitorare e correggere gli effetti della devolution sull’equità d’accesso alla Sanità
FARMACI
• Promuovere l’uso di farmaci generici e fuori brevetto, equivalenti e meno costosi rispetto ai farmaci “di marca” (che in Italia costano spesso di più che all’estero) e più sicuri rispetto ai prodotti di recente approvazione • Prescrizione medica dei principi attivi invece delle marche delle singole specialità (come avviene ad esempio in Gran Bretagna)
• Programma di educazione sanitaria indipendente pubblico e permanente sul corretto uso dei farmaci, sui loro rischi e benefici • Politica sanitaria nazionale di tipo culturale per promuovere stili di vita salutari e scelte di consumo consapevoli per sviluppare l’autogestione della salute (operando sui fattori di rischio e di protezione delle malattie) e l’automedicazione semplice • Informare sulla prevenzione primaria (alimentazione sana, attività fisica, astensione dal fumo) e sui limiti della prevenzione secondaria (screening, diagnosi precoce, medicina predittiva), ridimensionandone la portata, perché spesso risponde a logiche commerciali • Sistema di misurazione della qualità degli interventi negli ospedali (tassi di successo, mortalità, volume dei casi trattati ecc.) di pubblico dominio
MEDICI
per la salute
• Proibire gli incentivi economici agli informatori “SCIENTIFICI” sulle vendite dei farmaci
• Separare le carriere dei medici pubblici e privati, non consentire a un medico che lavora in strutture pubbliche di Operare nel privato • Incentivazione della permanenza dei medici nel pubblico, legandola al merito con tetti massimi alle tariffe richieste in sede privata
• Criteri di trasparenza e di merito nella promozione dei primari
ORGANIZZAZIONE
per la salute
• Liste di attesa pubbliche e on line • Istituzione di centri unici di prenotazione on line • Convenzioni con le strutture private rese pubbliche e on line • Investire sui consultori familiari • Limitare l’influenza dei direttori generali nelle ASL e negli ospedali attraverso la reintroduzione dei consigli di amministrazione • Allineare l’Italia agli altri Paesi europei e alle direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella lotta al dolore. In particolare per l’uso degli oppiacei (morfina e simili)
RICERCA
per la salute
• Possibilità dell’8 per mille alla ricerca medico-scientifica • Finanziare la ricerca indipendente attingendo ai fondi destinati alla ricerca militare • Promuovere e finanziare ricerche sugli effetti sulla salute, in particolare legate alle disuguaglianze sociali e all’inquinamento ambientale dando priorità ai ricercatori indipendenti • Promuovere la ricerca sulle malattie rare e spesare le cure all’estero in assenza di strutture nazionali • Introdurre, sulla base delle raccomandazioni dell’OMS, a livello di Governo centrale e regionale, la valutazione dell’impatto sanitario delle politiche pubbliche, in particolare per i settori dei trasporti, dell’urbanistica, dell’ambiente, del lavoro e dell’educazione
AMMINISTRATORI PUBBLICI
per la salute
• Eliminazione degli inceneritori • Introduzione del reato di strage per danni sensibili e diffusi causati dalle politiche locali e nazionali che comportano malattie e decessi nei cittadini nei confronti degli amministratori pubblici (ministri, presidenti di Regione, sindaci, assessori).
ISTRUZIONE
• Abolizione della legge Gelmini • Diffusione obbligatoria di Internet nelle scuole con l’accesso per gli studenti • Graduale abolizione dei libri di scuola stampati, e quindi la loro gratuità, con l’accessibilità via Internet in formato digitale • Insegnamento obbligatorio della lingua inglese dall’asilo • Abolizione del valore legale dei titoli di studio • Risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica • Valutazione dei docenti universitari da parte degli studenti • Insegnamento gratuito della lingua italiana per gli stranieri(obbligatorio in caso di richiesta di cittadinanza) • Accesso pubblico via Internet alle lezioni universitarie • Investimenti nella ricerca universitaria • Insegnamento a distanza via Internet • Integrazione Università/Aziende • Sviluppo strutture di accoglienza degli studenti
Dipendere dal fiocchista?
Caro collaboratore, cara collaboratrice, come datore di lavoro non devi proprio considerarmi. Considerami invece come compagno ed organizzatore del viaggio su una barca a vela di cui tu sei fiocchista ed io timoniere. Io non ti do lavoro. Se vogliamo arrivare tu cazzi la randa e io tengo la direzione. Ogni tanto ti faccio tenere il timone, ma tu me lo restituisci sempre. Preferisci cazzare la randa e lascare il fiocco. E quando siamo sulla mia locomotiva tu vuoi infilare la legna nella caldaia, ed io devo sempre fare il conduttore. Quando siamo sul mio aereo, tu vuoi riempirlo di carburante o servire i passeggeri, ma io devo sempre pilotarlo. Devo acquistare io il mezzo, il carburante, pagare le manutenzioni, e gestirne la guida... Tu vuoi solo e sempre partecipare al viaggio. E quando il viaggio non è ancora concluso tu magari mi dici che hai fame, sete e mi chiedi quando arriviamo, quando arriva la paga. Ma non consideri che io sto viaggiando con te e mi sto accollando la responsabilità del medesimo. Senza di te non potrei arrivare lo so, ma tu sembri non sapere che senza di me non saresti mai partito. E se capita un incidente, finisce la benzina o il vento, se si rompe il mezzo, è sempre colpa mia. 40 anni a pagare, bollette, tasse, associazioni, professionisti, sentenze pazze, cartelle usurarie, aggiustarti la fotocopiatrice e il computer che si rompe, ricomprarti il toner... Il muletto, rifare le vetrine.. Il negozio.. Acquistare nuove attrezzature.. Pensare nuove campagne.. Sempre io.. E tu.. Semplicemente al mio fianco. E con la crisi, privarmi del mio stipendio per darlo a te... Resistere per portarti alla pensione alla quale sei quasi arrivato e che io invece.. Non avrò mai.. Perché Per sentirmi dire che .. Con tutti i soldi che ti devo... Ti faccio ridere se ti indico che mi hai fatto perdere qualcosa.. 10 euro Per il tuo ennesimo errore.. Per la tua trascuratezza.. La tua leggiadria di non essere mai responsabile se non della perenne sfida a resistere con te che mi hai lanciato tutti i giorni della nostra vita insieme... E che ho sempre raccolto.. Per lo spirito innato dell'agricoltore che vuole raccogliere i frutti da distribuire a tutti... Per l'istinto innato del capoclan che vuole che i propri collaboratori stiano sempre bene.. E come non perdonarti? Per l'ennesima volta io ti perdono come ho sempre perdonato i cinquanta dipendenti avuti che volandosene via mi hanno regalato il loro ricordo azionando avvocati.. O migrando da concorrenti.. Chi più stoico e stronzo di me nello stesso tempo per voler ancor oggi superare la burrasca creata dall'uragano Euro? Chi più folle di me che speri si salvarsi nel mare in tempesta ove banche, governatori e giudici vogliono far naufragare tutte le aziende? Chi più inconsapevole di me che tutte le sere cenando pane ed erba guarda il telegiornale sperando che il Presidente della propria nazione repubblicana costituita sul lavoro pronunci una sola parola a favore di coloro che come me hanno mantenuto in tutti questi anni, banche, politici, giudici e statali?
La riforma del lavoro deve essere questa: coloro che lavorano devono considerarsi componenti responsabili del viaggio e non semplici marinai che amano ammutinarsi contro il proprio capitano, quando il vero problema è l'oceano euro in tempesta grazie a coloro che lo agitano furbescamente.
Ermanno F.
L'ARIDO PROFILO DEL GOVERNO ITALIANO
In questo fumetto pubblicato su http://www.bastardidentro.it/index/56, sono riassunte le tecniche Montiane, adottate verso il popolo italiano. Non ci voleva persona migliore per farci incazzare tutti. E uno che fa incazzare, non è la soluzione che cercavamo. La sensibilità di Monti e del suo governo composto da parenti della famiglia Addams, è pari a zero. Lui non sente nulla, non distingue le persone nelle loro peculiarità. La sua e la loro esistenza e venuta al governo non sono state delle benedizioni di Dio ma una calamità. Lui e loro non si rendono ancora conto di non aver mai fatto realmente niente nelle loro carriere niente per rendere migliore il mondo che li circonda. Solo fallimenti bancari, dell'istruzione, dell'economia. E per questo lui e i suoi apostoli portano al mondo tutta la loro invidia, la loro gelosia, predicando a tutti la loro brama di crescita, di competitività, di potere ma soprattutto di imposizione di un metodo fiscale violento e sanguisuga verso coloro che lavorando sono riusciti a produrre ogni giorno della loro vita, qualcosa di reale. In realtà costoro, i Montiani, non hanno mai saputo fare nulla per crescere davvero, per divenire consapevoli delle peculiarità di ognuno, più amorevoli verso il prossimo, più estatici, più creativi economicamente parlando hanno solo saputo tartassare il popolo come avrebbe potuto fare l'ultimo dei galeotti ladroni -, più intelligenti, più dialoganti con le parti. Come tutti i bancari, essi hanno saputo e sanno solo rendere il mondo un campo di battaglia, come fossero assetati della sofferenza altrui, rendendo anche i propri clienti ed adepti assetati di sofferenza altrui. Hanno saputo e sanno solo togliere agli uomini ai loro stessi dipendenti, ai loro clienti verso i terzi in difficoltà la loro umanità originaria, con la quale si comprendeva e si aiutava il prossimo in difficoltà tendendo verso di lui la mano ausiliaria pubblica, collettiva e solidale con i più deboli.
Hanno saputo e sanno solo contribuire a far cadere l'uomo al di sotto della sua umanità, e perfino più in basso degli animali. Il loro fiore umano non sboccerà mai e gli uccellini non cinguetteranno mai vicino loro. Per loro sarà sempre meglio crocefiggere Gesù e avvelenare Socrate in modo di non doversi sentire spiritualmente inferiori.
E. F.
Pilastri della società
DOMENICA 18 MARZO 2012
Un Paese non è solo il suo territorio; il territorio non è che uno dei suoi domini. Il Paese confina e contiene la tradizione culturale che sorge e si tramanda sul medesimo ad opera delle sue genti fondatrici; Chi pensa al proprio Paese ne ha pensiero d'amore e di comunione che lo stringe con tutti i figli di quel territorio, che valgono come coi suoi fratelli. E quindi siamo avvisati che:
1 Finché esista uno solo tra i nostri fratelli non sia più rappresentato dal proprio voto nello sviluppo della vita nazionale
2 Finché esista che uno solo di essi resti abbandonato dagli altri nell’errore, nell’ignoranza o nella mancanza di formazione professionale, solo, fra gli altri dotti e preparati
3 Finché succeda che uno solo di essi, capace e desideroso di lavoro utile per sè e per gli altri detto lavoro solo quello dell’azione compiuta, e non quello del tempo trascorso inutilmente e perso coscientemente a danno di tutti debba restare nell'umiliazione, per assenza di opportunità o continuità di lavoro, e in uno stato di miseria rispetto le altre classi sociali
4 Finché avvenga che un solo Magistrato, esattore, ministro, fiscalista, sindacalista, amministratore, assicuratore sociale, coscientemente, a danno di un solo singolo o di tutti emetta o applichi Tasse, sanzioni, leggi, ordinanze, o sentenze di peso sociale o individuale ingiustamente letale per gli interessati, perché di entità tripla od oltre rispetto il valore dell'oggetto da tassare, sanzionare, legiferare, ordinare, sentenziare, curando superficialmente di applicare la mera teoria della regola vigente, senza approfondire la comprensione della circostanza reale causale e consequenziale, generante il fatto umano e l'effetto reale consequenziale al suo giudizio
Noi non meriteremo più il Bel Paese che dovremmo ben gestire come tradizione ci ha insegnato, il Paese di tutti, il Paese per tutti. E allora lo perderemo quel Bel Paese che abbiamo ereditato e con esso i nostri figli e la loro fiducia in noi.
Il voto, l'educazione, il lavoro sono i tre primi pilastri fondamentali della economia di un paese sano. L'Equità ne è il quarto. Ciascuno di noi NON DEVE AVERE RIPOSO finché questi pilastri, non siano, per opera nostra, di ciascuno di noi, solidamente riinnalzati.
Non abbiamo bisogno di insegnamenti stranieri. (N.d.r.) (based on a Mazzinian thought)
MARTEDÌ 13 MARZO 2012
Italia Povera
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GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO 2012
www.ilsole24ore.com
Napolitano destabilizzante?
Napolitano: “Cari giovani che noia il posto fisso .. meglio cambiare!!... questa sconsiderata affermazione annunciata questa mattina al tg1 verso le ore 9 e dieci minuti, svela l’attitudine pragmatica e non riflessiva di colui che dovrebbe rappresentare l’unità e la storia d’Italia, anziché difendere tout cour l’operato dell’azione rapinatrice dei beni dello Stato e de privati, bancaria-europea. Ma si sà che lui, rappresentante delle toghe, nulla conosce delle attitudini personali delle persone, per una materia piuttosto che per un’altra, specialmente oggi, che lui riveste una carica ove pare si possa esprimere tutto e il contrario di tutto a proprio piacimento.
Perché non dà l’esempio lui per primo? che cambi lavoro e si dedichi all’economia, di cui non sa nulla, oppure che si metta a fare il pane, cosa di cui sarà sicuramente incapace per capire che la frase da lui pronunciata è assolutamente sciagurata e impraticabile.
Come se Raffaello fosse stato improvvisamente spinto dal Verrocchio o da altri ad occuparsi di ragioneria, e Leonardo da Vinci spinto ad occuparsi di religione o di ostetricia (magari solo lui ci sarebbe pure riuscito), oppure Pannella ad occuparsi di erboristeria piuttosto che di radicalità.
Una persona che nutre passione per una materia deve potersi dedicare a quella materia giungendo a compiere la migliore carriera possibile nella sua specializzazione preferita, e non deve essere costretto da esigenze dei bancari, alla mobilità continua. Ma vogliamo formare delle persone o riempire dei manicomi?
Napolitano, già non eri messo bene dopo aver aizzato gli studenti di giurisprudenza napoletani, ma ora mi sembra che stai proprio trascurando la misura delle tue parole. Chiarisci o smentisci se puoi.
TG1 Cronaca: "La moldava: ero in plancia, affascinata da Schettino giovedì, 02 febbraio 2012
Interrogatorio di sei ore e mezzo per Domnika Cemortan, la bionda vista con il comandante della Concordia al momento del naufragio. Intanto il maltempo rinvia l'estrazione del carburante, il relitto perde pezzi in mare. Sospesa in via definitiva le ricerca dei dispersi."
TG1 Cronaca: "Nevica su mille chilometri autostrade
mercoledì, 01 febbraio 2012
Forti nevicate su molti tratti autostradali in Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Umbria. Stop ai mezzi pesanti in diverse città. Obbligo di catene a bordo anche sull'A3."
TG1 Cronaca: "Buste con proiettili a Fornero, Marcegaglia e sindacalisti
martedì, 31 gennaio 2012
Sono state intercettate in un centro postale di Lamezia Terme. Le buste sono firnate dal Movimento Fronte Rivoluzionario. Nei volantini si fa riferimento a vicende che riguardano il lavoro."
TG1 Cronaca: "Ivano risponde a 7 ore di domande.
Martedì deporrà la mamma di Sarah martedì, 31 gennaio 2012Il ragazzo è il presunto movente dell'omicidio di cui sono accusate Sabrina e Cosima Serrano. Il padre di Sarah: "Dopo la sua scomparsa, quel 26 agosto, Sabrina venne a casa due volte". Martedì la prossima udienza."
Auguri con tesi sull'euro-dollaro.
Centocinquanta anni di Unità d'Italia: tante raccomandazioni dell'ill.mo Pres. Napolitano, sul rimanere uniti.
Ma uniti a chi?
Ecco la storia dell'Europa: leggi
Si sa che i napoletani soprattutto sono soliti dire ogni capodanno, "chi ha avuto, ha avuto, e chi ha dato ha dato scurdammece 'o passsato.... ecc,", ma questa, è forse equità?
Come sempre in tutte le "Unioni" solo gli "svelti" portano a casa qualcosa, mentre gli "altri" vengono spesso turlupinati e spesso se ne stanno pure in silenzio.
Ecco gli Auguri di fine anno da parte di retedi.
Con questo nome abbiamo voluto denominare la rete di Italiani e di Intelligenti, che, come noi, i conti comunque potrebbero anche saperli fare.
Se le genti inermi non hanno voce perché troppo deboli o troppo vecchie, daremo quindi noi loro la voce per chiedere ragione di una nazione sull'orlo della sottomissione al computer bancari.
Coloro che amano strozzare la gente facendo troppo belle le loro vesti, rimarranno presto anche fuori dalla sana continenza fisica e mentale.
Chi continua a stampare debiti verso se stesso o verso il proprio popolo indebitando persino i propri nonni e i propri nipoti, al solo fine di non ammettere la propria tensione finanziaria se non il proprio fallimento, promuove equità o non vuole semplicemente ammettere che il sistema è chiaramente già fallito perché fondamentalmente erroneo?
Ci non ammette che la crescita di ogni organismo non può essere lineare o iperbolica, ma è classicamente parabolica, non compie forse un grave errore strutturale e progettuale dell'economia di una società?
Mangiare case, non è possibile per nessuno, e neanche costruirle o mantenerle gratis.
La propria casa rappresenta il proprio credito e il proprio debito contemporaneamente, sia per il beneficio utilitaristico che ne rappresenta l'utilizzo o l'affitto, che per il costo energetico, gestionale, e per la quota di reintegrazione da accantonare ogni anno per la sua futura e certa necessità di manutenzione, in quanto bene soggetto ad invecchiamento.
Molte case, quindi fanno molto mercato , ma troppe fanno un eccesso dannoso per la collettività.
La crescita non può quindi essere continua, perché l'albero adulto non deve essere tagliato perché non aumenta continuamente la sua produzione, al contrario deve essere lasciato stare nel cuore della sua maturità e nella linearità appiattita della curva della sua produttività.
Ma tutti alla televisione continuano a parlare di crescita da riprendere, da ricostituire: professori, leader, premier, presidenti, cronisti, opinionisti, tutti insomma.
Ma il paese non può più crescere, perché le Regioni hanno venduto il territorio ai Francesi che con Auchan e Leroy Merlin hanno aggredito il commercio locale eleggendo pure sede nei paradisi fiscali, e ai tedeschi che con RDB, Nestlé, Metro, Obi stanno anch'essi saturando il nostro spazio territoriale con il benestare delle regioni italiane.
Il molto parlare dei media disturba quindi solo l'anima dei semplici, coloro che sanno che l'invasione è ormai attuata, e che la crescita quindi la faranno loro non noi.
Intere città che hanno visto la chiusura dei negozi e il proliferare delle agenzie bancarie, delle scommesse, e dei centri massaggio cinesi, sono la prove certa della fine della crescita italiana: perché allora Napolitano, il nostro Presidente, il rappresentante dell'unità, dice che dobbiamo riprendere a crescere? Non ha visto anche lui come è cambiato il territorio da anni? Il capo dell'unità, non poteva orientare i politici prima che tutto ciò succedesse? Ed ora che vuole? Che crescano le nostre banche con la moneta che non possono prelevare per eccesso di indebitamento nazionale?
Se è pur vero che è impossibile che l'acqua torni pura senza rimanere ferma, è anche vero che il sonno di chi non vuole parlare, l'immobilità di chi ha paura ad esporre le proprie idee, o la festa senza misura dei giovani o degli irresponsabili che non vogliono prendere in mano questo Paese offuscano la coscienza comune.
L'immobilità assoluta della politica per gli italiani sarà la morte degli stessi.
Chi mantiene gli italiani in questo stato di torpore?
Chi continua ad assicurare che anche con la crisi ce la faremo se resteremo uniti? Ma uniti a chi?
Non è grande chi regala qualcosa a tutti, bensì chi non arreca ingiustizia a nessuno.
Immobilizzare un sistema economico bimillenario è un'ingiusta causa di morte sie delle sue genti che dei loro giovani.
Continuare a dare pane e giochi al popolo, per distrarlo da una tassazione sociale impossibile da sostenere è povera pratica politica illusoria che avrà vita breve perché porta all'esasperazione un popolo che da benestante ora sta diventando povero, un'esasperazione che può portare al suicidio, alla remissione in umiltà, oppure alla reazione politica.
Abbiamo visto tutti gli aumenti di suicidi o le insurrezioni che si sono registrate quest'anno.
L'educazione sociale al gioco d'azzardo e la diseducazione alle prove reali non sono buona pedagogia né per le genti né per i loro giovani.
Chi fugge la prova utile fugge la vita eterna.
Il vero popolo italiano, quello autonomo, quello dell'economia reale, ora chiama la vera giustizia umana.
Una giustizia che non può essere quella forense che è ormai pura farsa, o quella bancaria che pura concorrenza ai propri stessi clienti, e non quella fiscale che è fatta della inutile catena di Sant'Antonio creata dalle stesse banche, Fisco, Inps ed Equitalia.
Fermiamo subito tutti questi errori operativi.
Fermiamo subito chi ha voluto e vuole venderci alle macroregioni, e fermiamo per un momento la tav non chiesta dagli italiani, che vuol far lavorare solo il paese Gallico, bucandoci l'alpe protettrice.
Reagiamo ad una una moneta che gioca al gatto col topo e che così non serve a nessuno.
Chi specula coi mezzi di scambio compie abominevole scempio in ogni economia come sancito dallo stesso Aristotele come nel suo libro intitolato "Politica".
Se le banche acclamano crescita continua per la propria autoalimentazione, allora vuol dire che sono legate a leggi matematiche innaturali, ovvero iperboliche e non paraboliche, e quindi insostenibili dalla società che può essere solo a crescita parabolica.
Se di banche ce ne sono quindi troppe, se ne chiudano subito la metà. Come fare questo? semplicissimo.
Se l'euro continuasse ad imporci cose impossibili, piuttosto che perire potremmo allora tornare ad altri sistemi di scambio economico, sino a che i politici di eurolandia non avranno capito la lezione dell'equità necessaria tra i bund dei tedeschi e i buoni degli altri stati.
Come se in una nuova società alcuni soci che pretendessero di avere un prezzo delle proprie azioni quintuplo rispetto quello degli altri soci, vedrebbero questi ultimi uscire dalla società, lo stesso si deve fare con la storia degli spread dei bund tedeschi verso i buoni degli altri paesi.
Gli stati non possono fallire, possono solo dire di essere poveri rispetto ad altri stati.
Nei paesi poveri, da sempre esiste un doppio corso monetario: ovvero quello ufficiale rappresentato dalla moneta locale, e quello parallelo rappresentato da una moneta forte di riferimento.
Anche per noi, la soluzione dei nostri problemi, potrebbe essere il ricorso a questo ammortizzatore sociale, che potrebbe attutire gli effetti dell'espropriazione del territorio, delle banche, e dello stesso euro presidiato dalla tedesca BCE, e presto del sistema fiscale italiano che pare debba essere trasferito a Berna, come dettato dalle delibere e dagli effetti della recente ultima presidenza tedesca in Europa.
Ricorrendo alla moneta forte dei paesi poveri, un euro-dollaro per esempio anziché l'Euro, potremmo esercitare una nostra legittima facoltà di autodeterminazione, verso una banca tedesca che ci impone prezzi differenziati dei bund contro buoni.
Reintegrando i contratti di swap commerciale, ovvero gli anticipi su fattura, o i fidi di castelletto, gli accrediti s.b.f., che sono stati letteralmente annullati dal sistema bancario italiano nel corso degli anni 2010 e 2011, per quanto sottoscritto dall’abi a Basilea 1,2,3 ecc., mettendo quasi sul lastrico migliaia di piccole aziende che si basavano su questo storico tipo di contratto commerciale bancario, potremmo ridare rilascio alle imprese.
Lo swap commerciale bancario, corrisponde al baratto rapido del credito: un mezzo questo, che ci ha accompagnato dal 1957 ad oggi.
Con questo strumento annullato da Basilea e Tier, potremmo rivitalizzare tutti i nostri conti commerciali a costo zero per tutti.
Fondo San Sisto Theory E. Faccio 52
Ma ciò è contrario ai costumi dei tedeschi e degli austriaci ove tutto si paga sempre in anticipo, per la loro notoria diffidenza sociale verso tutti e verso loro stessi, e questa cultura rigida, pare non possa essere superata dalla cultura maggiormente elastica e comunicativa dei paesi sud europei.
Se l'euro ci dice no, allora, per salvarci, per riemergere più rapidamente, potremmo acquistare dollari simultaneamente con la rete di Bankitalia o altra banca, riprendendoci le nostre sane attitudini al mercato dell'autocredito commerciale, tanto deprecato dai signori della Baviera, che ritengono che il credito non possa essere concesso dalle stesse aziende commerciali tra loro stesse, bensì solo dalle banche.
Ma che succederebbe se tutti acquistassimo dollari contro euro?
Proviamo ad immaginare.
Se acquistassimo per esperimento il 7 gennaio con la metà degli euro giacenti nei nostri conti, dei bei dollari vedremmo l'inizio dei fuochi d'artificio perché l'euro comincerebbe a calare di valore.
Essendosi deprezzato da solo, per la manovra Monti forse, dal cambio contro dollaro di 1370 a1290 ovvero del sei per cento circa in sole due settimane, se dei 1600 miliardi depositati nei conti delle banche italiane venissero acquistati 800 miliardi di dollari, prevedibilmente l'euro perderebbe subito un altro dieci per cento secco.
Ma questo non sarebbe ottimo per i restanti euro giacenti nei nostri conti che si svaluterebbero quindi immediatamente del decimo.
Ma ciò è fisiologico per la supportazione dell'operazione, che necessita una doppia ripresa.
Se poi acquistassimo il 14 gennaio ancora dollari con i restanti euro, vedremmo questi ultimi deprezzarsi inesorabilmente di un ulteriore decimo, ma ciò farebbe prevedibilmente schizzare lo spread buoni-bund italo-tedeschi dagli attuali 520 punti negativi a 520 punti positivi.
Come risultato ci troveremmo con 1600 miliardi di dollari apprezzatisi su euro di un bel venti per cento, quindi avremmo immediatamente guadagnato 320 miliardi, coi quali potremmo comprare in dollari quasi gratuitamente i fondi overnight attualmente giacenti nella casse bce, che essendosi svalutati da euro 500 miliardi ad euro 400 miliardi, ci costerebbero per differenza solo 80 miliardi.
Allora il problema passerebbe al franz-reicht e noi potremmo passare a dettare legge. Ma costoro farebbero fuoco e fiamme pur di difendersi.
Fondo San Sisto Theory E. Faccio 53
Allora, se dicessimo ai nostri parlamentari che entro il 10 febbraio si votasse che l'euro venisse definitivamente secondarizzato dal sistema bancario italiano avendo noi l'esigenza di adottare una nuova lira, necessaria secondo la nostra politica economica nazionale interna, necessaria per il ripristino della nostra autonomia gestionale storica (circa due millenni di storia), vedremmo definitvamente Merkel & C. Messi fuori gioco.
Tanto siamo appoggiati dagli americani, che ci importa di loro?
Nel viaggio di ricostituzione dell’euro federale, loro sarebbero pienamente disponibili ad assisterci con il dollaro.
Ciò aumenterebbe sensibilmente la nostra indipendenza verso BCE e allora potremmo puntare sulla costituzione di una vera e propria banca federale europea senza differenze di spread tra i buoni degli stati aderenti, nella quale riproporre l'ingresso a tutti i paesi europei, che sarebbero tutti d'accordo ad uscire dalle imposizioni di BCE.
Poi se si votasse che il nostro debito in BOT, BTP venisse assorbito dalla nuova moneta allora non dovremmo più nulla a nessun investitore anonimo per auto derteminazione, ma sopratutto perché con gli euro-dollari con cui potremmo coniare pure, in caso di ulteriore emergenza, delle “nuove lire”, bankitalia potrebbe anche ricomprarsi tutto il debito pubblico residuale, in un piano pluriennale, acquistato dai paesi stranieri come Cina, Giappone, Israele, Francia, Inghilterra e Usa, che essendo in euro anch'esso verrebbe svalutato dal super dollaro e da 1900 miliardi passerebbe a 1520 milardi con ulteriore guadagno di 380 miliardi.
Ecco che imposteremmo non la perdita dell’amministrazione statale, bensì la riconquista dell’indipendenza.
L'acquisizione sarebbe finanziata dal nuovo EURO-DOLLARO o successivamente dalla NUOVA-LIRA, che avrebbe naturalmente dei tassi di prestito agevolati preconcordati.
Solo così facendo metteremmo subito a nanna tutti questi rimedi dell'uomo della strada adottati dai teutonicissimi professori, del governo Monti, & c..
Ecco perché bisogna sostenere che un quartetto di veementi servitori del franz reicht non ci serve adesso.
Ci serve azione in qualità di stock holder money-holder. La recente enciclica che vuole la promozione dell'equità potrebbe così essere attuata.
Fermare quindi subito il quartetto macabro dei professori tristi che ci sta disseminando la vita di una moltitudine di trappole sociali è priorità assoluta nell'agenda del nuovo anno.
Punto.
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L'euro-dollaro è a nostra disposizione perché gli U.s.a. non vedono l'ora di aderire a questa iniziativa intelligente e anche proficua per loro.
La nuova lira o il nuovo Euro sono la nostra unica difesa contro l'atteggiamento normannico di BCE e c.
Far girare subito questa determinazione per raccogliere l'approvazione dei politici è essenziale.
E subito dopo andare in banca a aprire un conto in valuta è altrettanto urgente.
Altro che correre con la freccia rossa a suddividere i soldi del nonno in libretti al portatore da mille euro.
Cose da pazzi.
No, alla miseria dei fiammiferai nordici che di economia non sanno un bel nulla, e sì alla possibilità di investire da subito e ampiamente da parte delle piccole imprese come hanno sempre fatto.
No al trasferimento del fisco a Berna, e all'espropriazione del territorio e delle Poste italiane attualmente in corso di esecuzione.
Stop ad Equitalia fino a che produzione e commercio siano tornati nelle mani degli italiani e degli europei simpatizzanti come Spagna, Grecia, Serbia.
La potenza e la sovranità futura europea apparterranno solo ai popolo autonomi europei non sudditi della Banca di solo uno degli stati.
Bankitalia può benissimo tornare a lavorare per il dollaro.
Gli americani sono sempre i nostri alleati e noi siamo pieni dei loro insediamenti militari.
Vivere adesso significa non mancare la prova reale adesso.
Dobbiamo farlo per noi e per noi e per la nostra storia non centocinquantennale bensì plurimillenaria italiana.
E Auchan, e Leroy Merlin eccetera?
Potremo acquistarli a vantaggiosi prezzi di realizzo dopo il deprezzamento dell’euro del tutto teutonico, trasferendo tra l’altro, le loro sedi fiscali vergognosamente insediate presso le isole vergini nel territorio fiscale italiano, e non certo svizzero.
Rivolta?
No, giustizia umana e sociale. Non più usura bancaria, fiscale, legale. Solo giustizia Civile. Buon anno a tutti.
EF
La storia della Organizzazione Economica moderna
“Correva l’anno 2011 d.c., quando la società globale del pianeta terra stava per essere totalmente dominata dalla razza umana allora predominante ovvero da quella casta globale dei burattinai anche detta dei “rettiliani, illuminati, massoni, anglo mafiosi”, che avevano rifondato le regole globali secondo i propri scopi monetaristici privati. Ad opera dei burattini bancari, giuridici, politici, mediatici e televisivi da essa forgiati quali intrattenitori, satrapi, guru, terroristi, ragionieri tutti servi dell’algoritmo bancario, abilmente indotti nel loro inconsapevole lavoro quotidiano dell’ignorare i lati umani del povero ed eseguire rigidamente le prassi aziendali, la casta globale mantenevano abilmente la manipolazione globale del branco, sottoponendo la società a continue torture mediatiche e catastrofali pilotate.. ”
“Questa razza subumana purtroppo dominante, sviluppatasi silenziosamente e in modo strisciante nel corso degli anni dai tempi dei Babilonesi ad oggi, proveniva da una genealogia non ben definita, ma da alcuni considerata come ultraterrena; una razza particolare come quella dei “Neither Man” che era già stata definita dai tempi dei Romani.
Dopo la crisi dei derivati del 2008, la società non mostrando ancora sufficienti segni di cedimento, necessitava di un’ulteriore ondata di terrore universale, onde far cadere “il branco” nella sottomissione psicologica totale ad opera della casta mondiale.”
“Siamo alla vigilia di una trasformazione globale: ci serve solo la crisi giusta e le nazioni accetteranno il nuovo ordine del mondo”
David rockefeller
Alla famosa ricetta dittatoriale dell’epoca Romana “Panem et Circenses” la casta a partire dall’ anno 1995 pensò e deliberò che si dovesse sin da allora aggiungere una correzione letale per definitivamente addivenire alla depravazione sociale totale.
La miscela “Auctione, Alea et Meretricium” propria dell’allora vigente epopea “espropristica, borsistica, lotteristica e sessista” che la governance internazionale stava mantenendo in tutti i paesi del Globo, sembrava la più adatta per gettare i popoli di tutte le nazioni nell’oblio della retta via, nella perdita di fiducia nei valori istituzionale, civili e religiosi.
Fu così che presto si giunse alle soglie di una nuova grande e importante crisi mondiale, come quelle che in passato ci furono negli anno 1929 ecc.
La crisi mondiale, veniva vissuta come una novità intangibile, e con una totale inconsapevolezza storica da parte dei popoli nuovi, che invadevano ormai tutti i Paesi una volta loro coloni, per la legge creata dalle di questi stessi ultimi, indotte dalla casta e ad opera delle gerontocrazie di burattini politici, stanchi ed esausti, ormai caduti in una sorta di sindrome psicologica di involuzione post colonialista.
Le piazze dei paesi
Le piazze dei paesi e delle cittadine Europee, erano ormai piene di gente, coppie e carrozzine con bambini di tutte le razze, tranne quella autoctona ormai in via d’estinzione e le genti nelle strade parlavano lingue sconosciute ai locali, che venivano via via sempre più isolati dal gruppo lavoratore attivo, sia come gruppo etnico che idiomatico.
Gli immigrati provenienti da paesi poveri, affamati e preoccupati solo ad ottenere un risultato, riuscivano infatti in pochi anni a formare e ad aprire anche tre o quattro aziende, senza difficoltà.
Mentre i residenti invece, pur proprietari di abitazioni o aziende storiche, colpiti dalle tasse e dalle banche prestatrici di denaro che veniva stampato ormai a piacere, perché conosciuti come proprietari immobiliari, subivano gli effetti della crisi del debito, e chiudevano a raffica le loro ditte o vedevano chiudere le ditte per le quali lavoravano per i più svariati motivi tra i quali crisi settoriale, livello di produttività basso, clima aziendale pessimo, macchinari e attrezzature obsolete, scarsa organizzazione, canali di vendita inadeguati, insufficienza delle vendite, insolvenza grave dei clienti, evoluzione della domanda, incapacità manageriale, legislazioni destabilizzanti, mancanza di tutela da parte dei pubblici amministratori, demotivazioni personali dei titolari, alti indebitamenti, fallimenti, ecc..
Le nuove fabbriche e i nuovi sindaci
Se le piazze dei paesi erano visibilmente ormai gremite da popolazioni non autoctone, appartenenti alle culture più svariate, e in ogni negozio gestito da Cinesi appariva puntualmente un gruppo di bambini Cinesi, e così in un negozio gestito da arabi, egiziani, turchi, greci, rumeni, marocchini, tunisini, indiani, ecc, l’osservatore ne deduceva che ben presto i capi delle fabbriche del paese, presto sarebbero divenuti stranieri, e così sarebbe avvenuta necessariamente a breve anche per il padrone della stessa fabbrica, il Prete della Chiesa, e il Sindaco del Paese, e così infatti fu.
Mentre a San Marino la legge stabiliva che per possedere la cittadinanza sanmarinese si dovesse permanere nel granducato per almeno sette generazioni, in Italia ed Europa ne bastava solo una, e forse solo mezza e nessuna legge fu mai varata per tutelare il patrimonio etnico italiano.
I muri che i nonni dei cittadini autoctoni avevano lasciato in eredità dopo averli strenuamente difesi nelle guerre storiche, mantenuti e tramandati alla generazione attuale, sia per cessione, sia per fallimento, venivano levati a quest’ultima, che si vedeva così “soffiare” millenni di storia in un solo ventennio di “world globalization”.
Ma quali furono le vere cause di tutto questo processo? Perché gli americani fecero entrare da sempre nei loro territori prima orde di navi con lavoratori africani, e poi altri da tutto il resto del mondo, facendo dell’immigrazione un buisness per lo stesso mantenimento statale in vita?
Perché i Francesi prima colonizzanti e poi colonizzati dai suoi stessi coloni, che di riflusso sono entrati ad invadere la Francia da diversi anni non è stata capace di riprodursi a sufficienza, per creare il numero di contribuenti voluto dal proprio capo di gabinetto del tesoro, utilizzando la genealogia autoctona?
Perché lo stesso hanno fatto i tedeschi, tanto che un turista che passava casualmente da Hannover, assisteva all’effettiva invasione di Turchi nelle discoteche tedesche, unica razza questa ben tollerata evidentemente dal razzismo ariano?
E Perché ora tutto questo stava avvenendo nella sacra Italia, nonostante nessun cittadino lo avesse voluto?
Doppio papato straniero uguale a doppia immigrazione indesiderata
E’ vero che ormai si può ipotizzare qualunque cosa ci passi per la testa, ma quella del Papa polacco prima, e del papa tedesco poi, oltre che a trasformare le auto blu statali, da marca italiana ad estera, ha sicuramente influito sull’aumento dell’afflusso di circolazione di stranieri dall’Africa per l’Europa, attraverso il territorio italiano.
Che dire poi, durante questo doppio papato, della sparizione dell’autorità ecclesiastica di un tempo, durante il quale se si parlava male, si veniva censurati, e in tv non si praticava certo il torpiloquio odierno.
Per fortuna che l’ultima fumata bianca ci ha regalato la simpatia di Papa Francesca, che, senza togliere nulla ai suoi predecessori, detiene sicuramente il merito della popolarità, nel senso relativo del termine.
Senza inoltrarci nelle spiegazioni di questo fenomeno, possiamo dire che la grande audience di Bergoglio è dovuta sia alla sua particolare formazione gesuita che evidentemente ha un effetto reale sui popoli che alla sua personale intelligenza viva e semplice: l’umano sa riconoscere bene questi valori.
Ma cosa riesce a portarci questo nuovo papa, anch’esso seppur potente, limitato dalle contestualità vaticane e internazionali? Staremo a vedere. Sicuramente non possiamo fare anticipazioni profetiche, ma solo accennare alla sensazione di convincimento che questo Pontefice riesce ad offrire alle persone, può essere un indizio che giustificherà il sempre crescente audience che sta avendo questo grande vescovo della Comunione tra i Popoli.
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo
Le recenti discussioni sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportano di attualità un vecchio quesito: quale andamento ha lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda è stata analizzata la dimensione economica dei primi Paesi (con popolazione superiore a un milione di abitanti) dal 2000 al 2008, convertendo in dollari i loro dati sul Prodotto interno lordo (Pil).
E per evitare le distorsioni causate dal fluttuare dei cambi – per cui da un anno all'altro il Pil in dollari di un Paese può anche raddoppiare o dimezzarsi, togliendo ogni significato alle comparazioni internazionali – si è adottato il metodo dei "cambi di lungo termine".
Infatti, secondo la dottrina delle parità di potere d'acquisto, dati due Paesi, esiste tra loro un tasso di cambio di equilibrio a lungo termine la cui variazione dipende dalle oscillazioni del rapporto tra prezzi interni ed esteri.
Il cambio di equilibrio include anno per anno un aggiustamento per il differenziale d'inflazione. Sarebbe però necessario scegliere un anno-base al quale agganciare la compensazione.
Per superare tale arbitrarietà, il metodo del cambio di lungo termine consente di definire sia i valori annuali del cambio, sia la generale posizione di equilibrio a lungo termine.
Per la crescita reale dei Paesi dal 2000 al 2008 e per la popolazione sono stati utilizzati dati e stime del Fmi, tratti dall'ultimo "World Economic Outlook", dell'ottobre 2007.
Nel 2008 il Pil mondiale era previsto in 56.777 miliardi di dollari a prezzi correnti e la popolazione in 6.658 milioni, rispetto a 6.028 milioni e 35.960 miliardi nel 2000. Esclusa l'inflazione del dollaro, l'incremento risulta del 3,4% annuo. Con 14.596 miliardi gli Stati Uniti rappresentavano il 25,7% del Pil mondiale; valore analogo denunciava la Ue a 27 (14.070 miliardi), ma in un contesto assai disomogeneo e con 497 milioni di abitanti, contro i 306 milioni degli Usa.
Usando il Pil come indicatore della dimensione dei mercati, confrontiamo ora lo sviluppo di due aree con buone prospettive per il nostro export e cioè l'Asia, esclusi Giappone e Cina (tanto grande da costituire un'area a sé), e i 28 Paesi ex-comunisti, compresa la Russia.
Negli anni attuali, vendiamo che tutti i precedenti dati sono aumentati nel settennio di circa il 56% di incremento medio e questo dato conferma che il sistema della selezione banco-finanziaria produce valori sempre crescenti, anche se non viene precisato in quale parte siano costituiti da cartolarizzazioni di prodotti finanziari quali ad esempio derivati, edge funds, etf, ecc. e quanto siano riferiti a prodotti dell’economia reale.
Il loro Pil, che nel 2000 rappresentava un mercato di 2.581 miliardi di dollari, è ora stimato in 5.021, (+ 61% l'aumento reale). Passando da 2.723 miliardi a 5.068 i 16 Paesi asiatici mostrano invece un aumento del 54% "soltanto". È sorprendente constatare come sia proprio la "vecchia" Europa a nascondere l'area più dinamica del globo dopo la Cina e ciò perché i progressi europei sono diffusi in quasi tutti i Paesi.
Ancor più utile per lo studio dei mercati è il Pil procapite. Esso varia tra un massimo di 51.472 dollari per la Norvegia (che ha spodestato al vertice la Svizzera) e un minimo di 236 $ per la Repubblica democratica del Congo. In totale, 50 Paesi hanno un Pil procapite superiore a 10.000 $, 45 oltre i 2.000 e 55 al di sotto. Il gruppo più ricco comprende 1.367 milioni di abitanti, quello intermedio (che include la Cina) 3.180 $ procapite e 2.653 milioni, quello più povero, con l'India (1.411 $), 2.629 milioni.
L'Italia nel 2008 figurava al 20° posto con 26.476 dollari, a mezza via tra Gran Bretagna (32.293 $) e Spagna (21.069 $).
Per meglio illustrare l'economia dei Paesi nella tabella sottostante sono stati usati altri parametri: il consumo di energia procapite (in chili annui di petrolio equivalente) e le auto in circolazione, i telefoni fissi, i cellulari e i personal computer ogni 1.000 abitanti. È inoltre stretto il legame inverso tra Pil procapite e la quota dell'agricoltura: 6 Paesi hanno solo l'1% (tra essi Usa, Germania e Gran Bretagna); otto il 2%, tra cui Giappone, Francia e l'Italia (che nel dopoguerra aveva il 40%), tutti con reddito procapite di oltre 25.000 $. La media varia tra il 2% per i primi 25 Paesi e il 33% per gli ultimi 25. All'opposto, poiché la terziarizzazione economica è progredita senza soste, c'è una altissima correlazione tra reddito e percentuale dei servizi: Usa e Francia sono arrivati addirittura al 77%, un record mondiale; la Gran Bretagna è al 73%, l'Italia al 71%, la Germania al 69% e il Giappone al 68%.
I principali indicatori di consumo sono l'energia e le auto. Per l'energia si passa da un massimo di 8.649 chili annui procapite del Canada (per gli Stati Uniti 7.985 kg) a un minimo di 180 kg del Bangladesh. L'Italia è al livello più basso tra i Paesi industrializzati: solo 3.366 kg, rispetto ai 3.706 kg della Spagna e ai 4.126 dell'Irlanda. Le auto variano tra 768 ogni 1.000 abitanti degli Usa e una soltanto per gli ultimi 6 Paesi. L'Italia è al 4° posto (1° in Europa) con 658 auto, davanti a Germania (624) e Giappone (587). Di nuovo stretto è il legame tra questi indicatori e il Pil: la media dei primi 25 Paesi (con un reddito procapite di 36.879 $) è 487 auto e 4.905 kg, quella degli ultimi 25 (reddito procapite 472 $) è 5 auto e 362 kg.
Nei dati sui telefoni, oltre alla consueta relazione con il reddito (si passa da 523 ogni 1.000 abitanti per i primi 25 Paesi a 12 per gli ultimi 25), impressiona la crescita dei cellulari: 54 Paesi sono giunti a oltre 1.000 apparecchi ogni 1.000 abitanti. Poiché i costi continuano a scendere, sembra davvero realizzabile il sogno che l'elettronica possa aiutare i Paesi poveri. Nel Congo, ad esempio, unico Paese al mondo dove c'è meno di una linea fissa ogni 1.000 abitanti (secondo l'Itu, soltanto 0,2), si sta arrivando a 100 cellulari; nel Mozambico, con 4 linee fisse, a 200 cellulari.
Altrettanto notevole è la diffusione dei personal computer, che già ha raggiunto un miliardo di unità! Rispetto ai cellulari, maggiore è la concentrazione a livello di Paesi: da una media di 674/1.000 per i primi 25 Paesi, per i Paesi tra il 51° e il 75° posto si scende già a 117/1.000, mentre vi sono ancora 6 Paesi con solo un personal computer ogni 1.000 abitanti. L'Italia, recuperando il ritardo, sta superando 400/1.000, mentre Usa, Gran Bretagna e Australia sono oltre gli 800. La posizione dei Pvs, in questo caso, è diversa dal solito: se l'Italia, ad esempio, sta arrivando a 40 milioni di automobili (contro 25 in Cina, 20 in Brasile, 11 in India), vi sono 66 milioni di pc in Cina, 34 in Brasile, 32 in India, rispetto ai 26 nostri.
Interessante è anche una nuova statistica della Witsa sulla spesa informatica. Con aumenti annui del 10-40%, essa è arrivata a 98 miliardi di $ per l'Italia (6,2% del Pil), a 198 miliardi per la Gran Bretagna (10,0%) e a 222 per la Cina (5,3%), per non parlare del gigantesco mercato Usa di 1.220 miliardi (8,4%). Poiché ormai si tratta ovunque del 5-10% del Pil, sembra opportuno che gli uffici statistici nazionali aggiungano un quarto settore alla classica suddivisione del Pil. Dopo aver però risolto un difficile problema: le spese informatiche rappresentano un consumo corrente, oppure un investimento per il futuro? E c'è un modo corretto di raggrupparle in un'unica categoria?
Le recenti discussioni sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportano di attualità un vecchio quesito: quale andamento ha lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda è stata analizzata la dimensione economica dei primi Paesi
Le recenti discussioni sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportano di attualità un vecchio quesito: quale andamento ha lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda è stata analizzata la dimensione economica dei primi Paesi
Il deprezzamento dei beni per asta giudiziaria
Mentre veniva considerata deprecabile la svalutazione dei beni di un’azienda per via dell’effetto borsistico oltre una certa soglia di guardia, nel mercato delle aste giudiziarie, si era creata una nuova moda: quella del “Fallo fallire che mi serve un capannone”.
Ecco che beni aventi valori di mercato reale pari a 100 venivano venduti ed acquistati liberamente anche a 10, compiendo il più aberrante gesto di sterminio del lavoro umano, mai concepito da una civiltà pacifica prima di allora.
Solo la guerra o il terremoto potevano essere comparati a questa silenziosa azione devastante le sorti di una EER.
Questo terrorismo mobiliare ed immobiliare imperversò per anni arricchendo ingiustamente ed indebitamente migliaia di persone, avvocati e giudici, ai danni di altrettante persone cadute nell’impossibilità di pagare per via della crisi.
Eliminazione dei Tribuni di classe dai tribunali
Per avere l’assoluto dominio della giustizia la Ndrango-Massoneria-Giustizialista ha pensato di attivare delibaratamente ed impunitamente le seguenti forme di auto boicottaggio delle proprie strutture affinché non potessero appositamente funzionare se non attraverso la propria decisione o il proprio intervento diretto:
1. Mantenimento del caos dei documenti cartacei
2. Mantenimento dell’uso di scrivere manualmente durante le udienze attraverso avvocati di controparte che usavano appositamente zampe di gallina, per non far comprendere l a propria scrittura
3. Inerzia assoluta verso qualsiasi forma di regolarizzazione organizzativa interna, quantomai dovuta per diritto a tutti i cittadini
4. Eliminazione della responsabilità dei giudici per referendum popolare
5. Eliminazione delle composizioni dei giudici di tribuni di classe che difendessero una specifica classe sociale od economica con la propri acompetenza specifica, altrimente assente nei giudici di cultura ordinaria.
Alcune recenti sentenze pubbliche da me assistite risultavano palesemente inique: una pensionata veniva condannata a pagare 90000 euro per un impunito errore di notifica del postino, e nonostante la palese assenza di base imponibile. un importatore condannato a pagare 30000 euro perché il suo parquet è stato fatto posare dal direttore lavori del cliente in una casa umida fondata su terreno poi risultato ex risaia non risanata e la casa non isolata. un privato cittadino condannato a pagare 30 mila euro per aver inviato una mail di richiesta di offerta per un terreno ad una famiglia calabrese recidiva in “terrorismo legale” per carenza legislativa e nozionale da parte delle giudici stesse della fattispecie di responsabilità precontrattuale... un concessionario ceramico condannato a pagare 15000 euro perché il gatto della cliente ha macchiato la piastrella con il suo liquido organico e la cliente non poteva trovare il prodotto giusto al supermercato.. un rivenditore di parquet condannato a pagare 40000 euro perché il parchettista della cliente non avrebbe potuto secondo la giudice, non poter dare martellate sulla vernice del parquet prefinito all’impazzata… un’azienda commerciale non riusciva mai ad incassare i propri crediti perché i professionisti della truffa e dell’inadempienza crescevano giorno per giorno tutelati dal sistema statale della giustizia le aziende dell’economia reale vengono affossate dalle persecuzioni bancarie senza che un’istituzione fosse ancora riuscita a porre fine a questi abusi di posizione dominante
Un cittadino ala domenica in una pubblica piazza chiedeva, “Amici ma cosa abbiamo fatto togliendo la responsabilità ai giudici?” Non vediamo forse che tutte queste sentenze sono “letteralmente pazze”? Non ci conviene rimettere la responsabilità al suo posto prima che questo sistema impazzito ci espropri delle nostre case?
Infatti L’art. 55 del c.c. inerente la responsabilità civile dei magistrati era stato abrogato con d.p.r. 497/87 a seguito di referendum popolare.
La materia era allora regolata dalla legge 13.04.1988 n. 117, secondo la quale, chi aveva subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia, poteva agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali ed anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.
Ma chi avrebbe agito contro lo Stato?
Non sarebbe forse stato come agire contro se stessi?
Perché avrebbero dovuto attendere quindi oltre vedendo la chiusura di tutte le aziende italiani per sentenze inique?
Perché quindi non proporre una legge che riformasse il concetto di responsabilità dei magistrati quanto ai necessario e urgente?
Così facendo avrebbero interrotto quello che era diventato un vero e proprio stillicidio di sentenze pazze che rovinavano iniquamente ditte, aziende, e privati proprietari.
Così facendo il numero di “sentenze palesemente inique” sarebbe stato immediatamente inferiore e le medesime sarebbero risultate più eque e razionali.
Così facendo il cittadino ingiustamente o iniquamente leso avrebbe potuto agire immediatamente contro il magistrato iniquo o disinformato tecnicamente, poiché regolarmente coperto da polizza assicurazione, come tutti gli altri professionisti dovevano esserlo.
Gli Illuminati
Nei Protocolli dei Savi di Sion”. In 24 paragrafi, viene descritto come soggiogare e dominare il mondo con l’aiuto di un sistema economico.
Mayer Amschel Rothschild aiuta e finanzia l’ebreo Adam Weishaupt, un ex prete gesuita, che a Francoforte crea un Gruppo Segreto dal nome “Gli Illuminati di Baviera”. Weishaupt prendendo spunto dai “ Protocolli dei Savi di Sion” elabora all’incirca verso il 1770 “Il Nuovo Testamento di Satana” un piano che dovrà portare, non più gli Ebrei ma un gruppo ristretto di persone (gli Illuminati o Banchieri Internazionali) ad avere il controllo ultimo del mondo intero.
La strategia di Weishaupt era basata su principi molto fini e spietati. Bisognava arrivare alla soppressione dei Governi Nazionali e alla concentrazione del potere in Governi ed Organi Sopranazionali ovviamente gestiti dagli Illuminati. Ecco alcuni esempi operativi sulle cose da fare:
* Creare la divisione delle masse in campi opposti attraverso la politica, l’economia, gli aspetti sociali, la religione, l’etnia etc … Se necessario armarli e provocare incidenti in modo che si combattano e si indeboliscano.
* Corrompere (con denaro e sesso) e quindi rendere ricattabili i politici o chi ha una posizione di potere all’interno di uno stato.
* Scegliere il futuro capo di stato tra quelli che sono servili e sottomessi incondizionatamente.
Avere il controllo delle scuole (licei ed Università) per fare in modo che i giovani talenti di buona famiglia siano indirizzati ad una cultura internazionale e diventino inconsciamente agenti del complotto.
* Assicurare che le decisioni più importanti in uno stato siano coerenti nel lungo termine all’obiettivo di un Nuovo Ordine Mondiale.
* Controllare la stampa, per poter manipolare le masse attraverso l’informazione.
* Abituare le masse a vivere sulle apparenze e a soddisfare solo il loro piacere, perché in una società depravata gli uomini perdono la fede in Dio.
Secondo Weishaupt, mettendo in pratica le sue raccomandazioni si doveva arrivare a creare un tale stato di degrado, di confusione e quindi di spossatezza, che le masse avrebbero dovuto reagire cercando un protettore o un benefattore al quale sottomettersi liberamente. Da qui il bisogno di costituire degli Organi Sovranazionali pronti a sfruttare questo stato di cose, fingendosi i salvatori della patria, per istituire un Unico Governo Mondiale .
Nel 1871 il piano di Weishaupt viene ulteriormente completato da un suo seguace Americano Albert Pike che elabora un documento per l’istituzione di un Nuovo Ordine Mondiale attraverso tre Guerre Mondiali.
Il suo pensiero era che questo programma di guerre avrebbe generato nelle masse un tale bisogno di pace, che sarebbe diventato naturale arrivare alla costituzione di un Unico Governo Mondiale. Non a caso dopo la Seconda Guerra Mondiale venne fatto il primo passo in questa direzione con la formazione dell’ONU, che possiamo definire la polizia del mondo degli Illuminati. Tornando al pensiero di Pike, la Prima Guerra Mondiale doveva portare gli Illuminati, che già avevano il controllo di alcuni Stati Europei e stavano conquistando attraverso le loro trame gli Stati Uniti d' America, ad avere anche la guida della Russia. Quest’ultima avrebbe poi dovuto interpretare un ruolo che doveva portare alla divisione del mondo in due blocchi. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe dovuta partire dalla Germania, manipolando le diverse opinioni tra i nazionalisti tedeschi e i sionisti politicamente impegnati. Inoltre avrebbe portato la Russia ad estendere la sua zona di influenza e reso possibile la costituzione dello Stato di Israele in Palestina. La Terza Guerra Mondiale sarà basata sulle divergenze di opinioni che gli Illuminati avranno creato tra i Sionisti e gli Arabi, programmando l’estensione del conflitto a livello mondiale.
Col passare degli anni il Quartiere Generale di questo complotto passa dalla Germania (Francoforte), alla Svizzera, poi all’Inghilterra (Londra) ed infine agli Stati Uniti d’America (New York). E’ quindi dal 1700 che le famiglie degli Illuminati, generazione dopo generazione, influenzano la storia per raggiungere i propri traguardi. Ecco un elenco dei fatti principali che negli ultimi 3 secoli sono stati architettati, fomentati o finanziati dagli Illuminati:
la Rivoluzione Francese, le Guerre Napoleoniche, la nascita dell’ideologia Comunista, la I Guerra Mondiale, la Rivoluzione Bolscevica, la nascita dell’ideologia Nazista, la II Guerra Mondiale, la fondazione dell’ONU, la nascita dello Stato di Israele, la Guerra del Golfo, la nascita dell’Europa Unita…
La rete di potere che gli Illuminati si sono costruiti in quasi 300 anni. Ovviamente non potevano pensare di conseguire i loro obiettivi da soli, avevano ed hanno bisogno di una “struttura operativa”, composta da organizzazioni o persone che esercitando del potere operino più o meno consapevolmente nella stessa direzione. Come potete constatare gli Illuminati controllano o hanno i loro uomini ovunque, possiamo tranquillamente dire che sono i signori del mondo. La loro strategia ha fatto leva su 2 capisaldi: a) la forza del denaro, hanno costituito e controllano il Sistema Bancario Internazionale; b) la disponibilità di persone fidate, ottenuta attraverso il controllo delle Società o Associazioni Segrete (logge massoniche). Queste ultime con i loro diversi gradi di iniziazione hanno garantito e garantiscono tutt’ora quell’alone di discretezza necessario al piano degli Illuminati. Gli Illuminati, e chi con loro controlla queste Società, sono Satanisti e praticano la magia nera. Il loro Dio è Lucifero e attraverso pratiche e riti occulti manipolano e influenzano le masse. E pensare che la cultura dominante ci dice che la magia non esiste anzi, considera ridicolo chi ci crede. E’ anche da questa scienza di tipo occulto, che gli Illuminati hanno sviluppato la teoria sul controllo mentale delle masse. Per chiarire ecco un esempio:
A quanto sembra anche Hollywood, le maggiori Case Cinematografiche e Discografiche internazionali, fanno parte della rete degli Illuminati. Molte volte i loro prodotti sono usati come strumenti di indottrinamento e agiscono in modo “invisibile” sulla psiche. Penso che nessuno possa negare che oggi esistono certi tipi di musica, privi di qualsiasi qualità, il cui unico effetto voluto è quello di provocare nei giovani apatia, robotismo, violenza ed essere uno stimolo all’uso di droghe per renderli dei robot …. Umanoidi simili agli zombi. Intanto crediamoci, siamo stati programmati anche per questo.
Mistic.it 14 2005
Dipartimento "Governance, Repubblica, Sicurezza
Edito dall’istituto di sviluppo economico Tedesco
Deutsches Institut für Entwicklungspolitik (DIE)
Tulpenfeld 6
53113 Bonn
Germania
Telefono: +49 (0) 228 94927-0
Fax: +49 (0) 228 94927-130
DIE@die-gdi.de
www.facebook.com / DIE.Bonn
Il Dipartimento si concentra sull'analisi della trasformazione politica e la stabilità dei diversi ordini politici e sulla capacità degli Stati di adempiere le funzioni pubbliche. Esaminiamo governance e modelli di conflitto correlati a queste problematiche e incorporare le nostre analisi nel più ampio contesto internazionale.
La nostra competenza principale consiste nella analisi empirica da una prospettiva di economia politica, che è la teoria-driven e suono metodologici. La nostra profonda competenza in diverse regioni ci permette di andare oltre il paese o la regione specifica analisi verso i confronti interregionali. La nostra conoscenza tacita sui campi di assistenza allo sviluppo e la politica estera ci consente di promuovere la comunicazione tra ricercatori e professionisti, nonché per fornire consulenza a base di ricerca per i decisori politici.
Attualmente la nostra attività si concentrano su tre aree principali:
• Trasformazione: Democratizzazione e determinanti esterni di ordine politico
• Stabilità: gli Stati fragili e conflitti armati
• Stato Capacità: Decentramento e finanza pubblica
Progetti in corso
• Responsabilità in Mozambique: sfide e opportunità per la cooperazione allo sviluppo
• Obiettivi contrastanti della promozione della democrazia
• Promozione della democrazia nell'era di Social Media digitali: sfide e opportunità
• Valutare l'intervento di governo con metodi rigorosi
• Governance nei Paesi donatori e la qualità degli aiuti esteri
• Cartolarizzazione degli aiuti esteri
L'efficacia del sostegno di bilancio
L'impatto della Russia, India e Cina per le strutture nella loro governance regionale per l'ambiente (RICGOV)
Dipartimento "Competitività e lo Sviluppo Sociale" "Competitività e lo Sviluppo Sociale" reparto lavora sul rapporto tra crescita economica, innovazione, competitività, produttività e sviluppo, da una parte e (proventi) la distribuzione e la povertà nei paesi in via di sviluppo dall'altra. Sulla base dei risultati delle sue ricerche, il team sviluppa concetti per le politiche economiche e sociali che servono a rafforzare la competitività a lungo termine dei paesi in via di sviluppo, e sono allo stesso tempo socialmente inclusiva e sostenibile. Il team di sviluppo consiglia anche le istituzioni tedesche e internazionali. attuali attività del dipartimento di ricerca e consulenza concentrano su:
• promozione attiva di affari e business in settori quali la promozione SMI e di integrazione nella catena del valore;
• innovazioni per una crescita ecologicamente sostenibile e socialmente inclusivo ;
• determinanti di un clima favorevole agli investimenti nei paesi emergenti , che pone le basi per una crescita inclusiva e le misure di sostegno più adatto allo scopo;
• efficienza di sensibilizzazione e di riduzione della povertàdella politica agricola e dello sviluppo rurale ;
• sistemi di protezione sociale nei paesi in via di sviluppo e trasformazione ;
• pro scarsa crescita in India e Brasile .
Oltre a questo focus della ricerca, il dipartimento è attualmente responsabile del coordinamento del progetto di cooperazione con i paesi di ancoraggio . Questo progetto analizza lo sviluppo della cooperazione tedesca con questo gruppo paese e sviluppa concetti di cooperazione tra agenzie.
• La produzione di biocarburanti in zona subsahariana
• Innovazioni per uno sviluppo ecologicamente sostenibile
• Nuove strategie di governance per la ricerca multilaterale per affrontare le sfide globali
• Shaping catene del valore in vista di esigenze di sviluppo
• Aggiornamento delle PMI: le barriere alla crescita per le piccole imprese
• L'impatto della crisi finanziaria ed economica globale sulle famiglie, piccole imprese e mercati del lavoro
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: I punti di forza e di debolezza e che cosa questo significa per il futuro orientamento della politica di sviluppo globale?
Il commento del 12 agosto 2011
Su http://www.social-europe.eu il 2011/12/08 di Daniel Gros. Gli investitori stanno anticipando il dipanarsi del 21 luglio 2011 "soluzione" e una ripartizione del mercato interbancario, che avrebbe gettato l'economia in una "recessione immediata", come quella vissuta dopo il fallimento Lehman.Questa colonna sostiene che questo accadrà senza un'azione rapida e coraggiosa. Il EFSF non può funzionare come previsto, ma se fosse registrato come una banca che le permette di accedere a un numero illimitato BCE rifinanziamento i governi potrebbero fermare il crollo generalizzato di fiducia, lasciando la gestione del debito pubblico in mano della finanza ministri.
Canarini sono stati tenuti nelle miniere di carbone perché muoiono più velocemente di quanto gli esseri umani quando sono esposti ai gas pericolosi. Quando smise di cantare gli uccelli, i minatori saggio sapeva che era tempo di marcia le procedure d'emergenza.
Grecia, a quanto pare, era canarino della zona euro. Il canarino è stato rianimato e un meccanismo di salvataggio piccolo è stato istituito per far rivivere un canarino ulteriore o due ma oltre a questo l'avvertimento è stato ignorato. I minatori continuando a lavorare. Si convinse che questo era il problema del canarino.
Grecia: non si trattava di un caso speciale
I problemi della Grecia non avrebbero dovuto essere interpretato come un caso speciale. Avrebbero dovuto essere visti come la prima manifestazione di un problema generale:
• Come segno che la crisi globale si diffondeva attraverso il meccanismo del debito pubblico;
• Come segno che i mercati di capitali non sarebbero stati in grado di rifinanziare a lungo l’eccessivo debito pubblico, specialmente verso membri dell'Eurozona che non potevano più contare sul sostegno delle banche centrali.
Questo è diventato particolarmente evidente dopo il Consiglio europeo del luglio 2011 ove l'incontro che avrebbe dovuto porre fine alla crisi e risolvere il caso greco con una miscela di tassi di interesse più bassi e qualche ristrutturazione del settore privato e pubblico.
Il pubblico greco avrebbe potuto non apprezzare, ma avrebbe ricevuto comunque un trattamento preferenziale da parte dell’UE.
Con le decisioni prese al Consiglio europeo di luglio, la Grecia essenzialmente avrebbe avuto tutto il suo fabbisogno finanziario per il successivo decennio e si sarebbero potuti organizzare in sicurezza per pagare meno del 2% sul nuovo debito da essa assunto. Gli altri due paesi con un programma, Irlanda e Portogallo, avrebbero avuto tassi di interesse bassi e altrettanti prestiti a lungo termine, ma sarebbero rimasti ancora in attesa per affrontare la prova dei mercati negli anni successivi.
I timori sul debito raggiungono il culmine
Ma mentre Grecia, Irlanda, Portogallo hanno tassi più bassi per i loro ufficiali finanziamento a lungo termine, Spagna e Italia sperimentato un aumento nella loro oneri finanziari. Essi stanno pagando vicino al 6% per dieci anni i soldi.
E 'chiaro che questi paesi non si può pretendere di fornire miliardi di euro di crediti verso la Grecia al 3,5%, quando sono loro stessi pagando molto di più. I leader europei ha voluto essere generoso con la Grecia, ma l'offerta di fondi a buon mercato è limitata. Non tutti possono essere serviti in questo modo.
Il EFSF è stato progettato per una crisi periferica
Questo vale in particolare per fondo di salvataggio della zona euro, il Fondo europeo per la stabilità finanziaria (EFSF). Questo semplicemente non hanno fondi sufficienti per effettuare gli acquisti di bond massiccia ora necessario per stabilizzare i mercati. E 'stato sufficiente a fornire il finanziamento promesso di Grecia, Irlanda e Portogallo.
Inoltre la struttura del EFSF lo rende vulnerabile ad una catena di domino.
• Le regole del EFSF implica che i paesi che hanno bisogno di finanziamenti o si volto 'uscire' gli elevati oneri finanziari, cioè non forniscono più garanzie per la EFSF.
• Se i costi di indebitamento di Italia e Spagna rimanere a livelli di crisi, o se questi due paesi hanno bisogno per salvare se stessi, solo i membri dell'Eurozona nucleo rimarrebbe a sostenere la EFSF.
A questo punto, il peso del debito sul core sarebbe diventato insopportabile.
Pericoli di applicare la soluzione periferia al centro
Importante, la più grande è la EFSF, più velocemente la caduta domino. La posizione del governo francese che l'EFSF deve essere aumentata non ha senso anche da un punto stretto di vista francese.
• I mercati finanziari hanno capito questo e aumentare così i costi di finanziamento per la Francia il paese nucleo più in pericolo di perdere il suo rating AAA.
• Se la Francia deve 'uscire' del EFSF, Germania (e alcuni dei suoi vicini più piccoli), avrebbe dovuto portare tutto il peso.
Questo sarebbe troppo anche per la Germania il debito pubblico italiano da solo è equivalente all'intero PIL tedesco.
Come questo effetto ha guidato i mercati
La situazione è così critica, perché questo effetto domino ha iniziato ad operare.
◦ I mercati finanziari non aspettare che paese dopo paese siano degradati.
◦ Gli investitori tendono ad anticipare il finale della partita ovvero il disfacimento di tutta la struttura EFSF / ESM.
◦ Siccome la risposta dell'Eurozona al problema del debito è stata proprio la procedura EFSF centrale, la sua scomparsa avrebbe lasciato la zona euro, con un grosso problema e nessuna soluzione.
La trappola banca-governo-debito
Come al solito, le banche sono l'anello più debole e sono soggette a un altro effetto domino.
▪ Molte banche contengono grandi quantità di debito pubblico dell'Eurozona;
▪ Il loro rating non può mai essere superiore a quella del loro proprio ente sovrano.
▪ Se qualcuno si aspetta il downgrade di un paese deve anche vendere le azioni delle sue banche.
Questo, a sua volta, aumenta il costo del capitale per le banche vulnerabili rendendole ancora più vulnerabili.
▪ Altre banche che vedono la caduta dei corsi azionari della banca e l'ampliamento del credit default che si diffonde reagisce rifiutandosi di fornire alle banche vulnerabili la liquidità interbancaria.
▪ Questa ripartizione del mercato interbancario, a sua volta, porta ad una ripartizione del circuito del credito.
Questo è ciò che conduce alla "recessione immediata" vissuta che il fallimento di Lehman ha dimostrato.
Già dal 2011 sembrava che i mercati azionari stessero anticipando uno scenario apocalittico con l'economia vche iniziava ad andare in recessione bruscamente in quanto il mercato interbancario si rompeva proprio sotto l'anticipazione di ulteriori problemi del debito pubblico. Purtroppo la tendenza descritta si è perfettamente realizzata perché la ripartizione del mercato interbancario non ha trovato mai una soluzione rapida da parte della direzione F.M.I., B.c.e., Commissione europea.
Cosa avrebbe dovuto essere fatto
A questo punto la zona euro ha bisogno di una massiccia infusione di liquidità. Dato che la struttura a cascata di dell'EFSF è parte del problema, la soluzione non può essere un massiccio aumento della sua dimensione. Tuttavia, il EFSF potrebbe semplicemente essere registrato come banca e potrebbe quindi avere accesso a un numero illimitato ri-finanziamento da parte della BCE, che è l'unica istituzione in grado di fornire la liquidità necessaria rapidamente e in quantità convincente.
Questa soluzione avrebbe il vantaggio che lascia la gestione dei problemi del debito pubblico in mano dei ministeri delle finanze, ma fornisce loro il fermo di liquidità che è necessaria quando c'è un crollo generalizzato di fiducia e di liquidità. Questo è esattamente quando un prestatore di ultima istanza è più necessario.
Sarebbe ovviamente molto meglio se la BCE non ha dovuto 'salvare' il meccanismo europeo di salvataggio, ma in questo caso si deve scegliere tra due mali. Anche un forte aumento nel bilancio della BCE (che se l'esperienza degli Stati Uniti è una guida non porterà l'inflazione) costituisce un male minore rispetto ad un collasso del sistema finanziario dell'Eurozona.
Il contro commento del 12 agosto 2011
Dato da http://www.social-europe.eu Il 2011/12/08 di Andrew Watt
« Nuove proposte da due commentatori che porta sulla crisi dell'euro: perché signori così tardi?
Due pezzi recenti di commentatori che parlano sulla crisi dell'area Euro stanno per darmi una pausa di riflessione.
Daniel Gros ha scritto un tipico conciso e penetrante commento sull'ultima fase della crisi presa l'area dell'euro.
E 'molto buona l'interazione tra banca e del debito sovrano ed espone le debolezze del EFSF nella sua composizione attuale. Egli conclude che una massiccia infusione di liquidità è necessario. Sono d'accordo. La sua raccomandazione è per dell'EFSF essere dichiarato una banca in modo che possa essere backstopped dalla BCE.
Non ho una visione forte su questo.
Per me va bene se il denaro proviene direttamente dalla BCE. Ma solo se un miglioramento e non se facilita solo il sonno dei banchieri centrali sul fatto di evitare il gioco di prestigio che la miscelazione della politica fiscale con quella monetaria potrebbe creare ulteriori ristrettezze per le persone.
Tuttavia, alcuni articoli letti riguardanti il corso del dibattito tutto negli ultimi 18 mesi, mi lasciano perplesso. Cominciamo con il fatto che non è corretto dire che i mercati dei capitali non siano disposti a finanziare l’innalzamento del debito pubblico, come è illustrato dai tassi estremamente bassi che vengono applicati sul debito emesso da paesi come gli Stati Uniti (nonostante il downgrade), Regno Unito e Giappone, il cui debito e PIL è uguale o superiore a molti dei paesi dell'area dell'euro zona (per non parlare della media dell'area dell'euro). Il problema è quindi specifico per i soli paesi dell'area dell'euro.
È difficile capire esattamente però, il motivo per cui i 'mercati' chiedano rendimenti molto elevati, al fine di concedere prestiti ai paesi come il Portogallo, Grecia e Irlanda e, più recentemente, Spagna e Italia, in un'epoca in cui i tassi americani, inglesi e tedeschi del debito sovrano siano così bassi e in continuo calo. E la risposta è semplice: sono preoccupati di prendere le perdite derivanti da una qualche forma di qualunque sia l’educato altro termine che possa essere usato default sovrano. E perché sono preoccupati per tali perdite? Beh, perché i responsabili politici europei, guidati dal cancelliere Merkel, hanno insistito sul settore privato del quale partecipano al salvataggio: questo è ciò che significa la partecipazione: perdite. I politici lo hanno fatto per vari motivi (è stata particolarmente fuori luogo la rabbia popolare su ciò che è stato dipinto come « il dare soldi agli immeritevoli »), ma uno di loro era importante che gli economisti e i commentatori avevano chiamato 'default ordinato', come un modo per risolvere la crisi. E uno dei sostenitori più importanti di questo approccio è stato Daniel Gros, il cui appello per un Fondo monetario europeo Già avvenuto all'inizio del 2010 era stato molto influente, in linea con la sua fama di commentatore « top » della politica economica europea. (E io trovavo che conteneva anche molte idee utili.)
Un commento simile sul punto è stato fatto dall’altrettanto illustre di Charles Wyplosz, autore libri di testo, consigliere della Commissione europea, e altro ancora, che ha invitato i politici dell'UE, che, diceva sempre di « non comprendere », per consentire alla BCE di agire liberamente come prestatore di ultima istanza e comprare debiti in sofferenza da ogni governo come richiesto. Egli affermava che questo era diventato necessario, ma che era anche una conseguenza indesiderata del fallimento delle politiche 'a seguire il suo consiglio di maggio 2010, che è stato quello per la Grecia di andare al FMI in default e di imporre in seguito un taglio di capelli agli stessi creditori.
Hmm. Lo è solo per me, o anche per voi risulta evidente che siano stati proprio questi discorsi di default a diffondere inesorabilmente il contagio?
Dubbi sul rimborso integrale del debito pubblico con elevato rendimento e spread.
Questo nutrito insieme di dubbi sempre maggiori circa la sostenibilità di bilancio, hanno spaventato i mercati e anche egli lettorati. La spirale di morte sfilata sempre più velocemente. Tutto ad un tratto un paese come la Francia che ha non meno titoli di Stato quante sono state le guerre napoleoniche! si trova sotto la minaccia di un attacco speculativo, e sta tentando con frenesia di annunciare ulteriori misure di austerità in un probabilmente vano tentativo di placare i mercati.
In realtà, come ho sempre sostenuto durante la crisi, la giusta strategia era quella di escludere un nuovo aumento di default del debito sovrano, inaudito in Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale, quando sin all’inizio erano le obbligazioni a fornire sostegno agli investimenti e alla ripresa economica, il tutto in cambio di un credibile impegno di consolidamento fiscale a medio termine. Certo, ci sarebbe stata opposizione a questo, ma il problema era tutta politico, non economico. Le somme coinvolte all'epoca erano minuscole: Grecia, Irlanda e Portogallo insieme rappresentano solo il 6% del PIL dell'area dell'euro. I problemi che si manifestavano in Grecia e gli altri erano il chiarissimo risultato di un precedentemente mal capito malfunzionamento della zona dell'euro nel suo insieme, piuttosto che di errori grossolani della olitica dai singoli governi. Quello che sembrava essere solidarietà, era invece « chiaramente illuminato interesse » e avrebbe potuto facilmente essere venduti come tale agli elettorati euro scettici.
Riassumendo. Il motivo centrale per la diffusione della crisi è stata la prospettiva di perdite sulle attività finanziarie proprio sui titoli di stato europei, che erano in precedenza e giustamente considerati sacrosanti. Pieno appoggio al debito sovrano degli stati della zona euro da parte della BCE, che è la cosa giusta da fare. Ma non lo è lo spiacevole risultato di non aver voluto insistere su di un default meno un anno fa. Al contrario, era ciò che si sarebbe dovuto fare all'inizio. Il fatto è che ora sembra una operazione più difficile e costosa (anche se non riesco a capire un sistema economico in cui la banca centrale, e solo essa, possa creare soldi a volontà) e già è proprio perché la minaccia di insolvenza è stata sollevata inutilmente. Le persone che oggi stanno discutendo per il pieno sostegno da parte dell'autorità monetaria, in una forma o nell'altra, dovrebbero riconoscere questo ritardo.
Ciò che è bello è che ora sono tutti d'accordo su ciò che doveva essere fatto.
Ciò che non cresce non è detto che debba necessariamente marcire
Solo un falso vecchio proverbio
Un agricoltore pugliese un giorno disse a “Linea Verde”:
“Quello che non cresce, marcisce”
Molti ascoltatori pensarono che quello “statement economico scarno ed essenziale”, avesse una certa ragionevolezza, ma riflettendoci in seguito non riuscirono a trovarlo assolutamente convincente.
In ogni telegiornale, talk-show, discussione spesso i facinorosi intellettuali dall’eloquenza cronacale economica, sfoggiavano incoscientemente il ritrito luogo comune che la “crescita è vitale e necessaria, per la salvezza dell’economia” come se si basassero sullo statement del contadino pugliese.
In realtà tali signori ignoravano appieno ogni verità sull’argomento.
Gli unici istituti sociali, realmente interessati alla persistenza della crescita economica continua, erano e potevano essere solo quelli bancari, previdenziali, assistenziali, finanziari, ovvero tutti quelli raggruppabili sotto il nome di “venditori dei mezzi di scambio” acronimizzabili con la sigla “VMS”.
Costoro, in quanto produttori di un’economia garantistica meramente virtuale, quindi irreale e intangibile sul piano economico sostanziale, temevano perennemente il loro stesso “fault” , per via dei loro stessi bilanci redatti da loro stessi nel modo più attrattivo possibile ovvero “pro investors”, fatti per garantirsi la fidelizzazione permanente degli azionisti o degli obbligazionisti, anche se riportanti dividendi non convenientemente sostenibili.
Basando i loro guadagni sui contratti come Bonds, Repos, Swaps, Swap options, Caps/Floors, FRAs, CDSs., ETF, HF, F, FOF, e altri circa 50 tipi di contratti aleatori, tutti giochi d’azzardo comunemente conosciuti come “derivati”, essi hanno così appeso le sorti dei valori reali, aziendali e monetari, su vere e proprie “scommesse borsistiche legalizzate” relative a previsioni su disponibilità future dei mezzi di scambio , sulle performance delle alle imprese e sull’oscillazione di valore dei beni reali.
Quindi, tutti i valori dati dalla borsa, erano da ritenersi più che mai falsi e falsati, perché constavano in mere valutazioni istantanee basate sui fattori emozionali di mercato, collettivi o individuali, con i quali si attribuivano i prezzi di acquisto di entità economiche reali (EER).
Ma queste ultime in realtà avevano valori reali basati su ben altri concetti di estimazione.
Per esempio i criteri di valutazione di un’azienda erano realmente quelli del suo costo di costruzione immobiliare, del suo prezzo di mercato immobiliare, del costo di avviamento commerciale, del valore di mercato del suo avviamento in base al valore del fatturato effettivo e potenziale, ma in borsa, se in una giornata veniva diffusa la notizia che i suoi prodotti fossero cancerogeni, le sue azioni potevano crollare a zero e sespese per eccesso di ribasso.
Essi soltanto potevano ben sperare sull’esistenza costante di tale “crescita” senza la quale, data la loro specialità di produttori della catena di sant’Antonio del denaro virtuale e degli effetti borsistici, la loro esistenza non avrebbe potuto avere seguito.
Sopratutto per parare gli errori previsionali, e le perdite scaturite dagli andamenti imprevisti dei derivati, si è verifcata la necessità del ripetersi continuo e crescente della richiesta di denaro, senza la quale le banche non avrebbero potuto infatti sopravvivere a lungo.
I fallimenti storici delle banche verificatisi nel 29 e nel 75? Nel 89? Stava riavvicinandosi e tutti gli istituti mondiali non volevano crederlo possibile.
Ecco allora che si arrivò ad assistere a richiami solenni prima di piccole agenzie di rating fatte ad interi stati, poi addirittura di banche centrali che per imitazione iniziavano a richiamare gli stati con deficit superiore alla norma, anziché essere il concerto di questi ultimi a comandare le banche che dopotutto altro non sono che istituti di custodia!
Revisione dei concetti economici errati, diffusi tra le credenze popolari e degli esperti aziendali.
L'economia di un paese non è detto che debba crescere continuamente ogni anno: può benissimo assestarsi su un livello massimo standard che rispetti gli equilibri energetici ed ecologici, e conseguentemente economici locali e mondiali, per potersi definire "sistema compiuto".
Non è vero che ciò che non cresce CONTINUAMENTE, debba necessariamente marcire... oppure debba essere colto: gli olivi giunti alla maturità producono annualmente sempre quel quantitativo di frutto, tranne negli anni di malattia, infestazione, gelo, o altro disequilibrio esterno, per tornare alla normalità passata ogni crisi.. Ma non per questo debbono essere tagliati, estirpati o debbano darsi per morti o marcenti... anzi guai a chi tocca questi alberi sacri.
Guida per il cittadino: Rileggere la legge
Ora che un ragazzo di vent’anni si uccida
Restare impotenti spettatori nella nuova Euro-Italia dal caotico mondo politico-legislativo, fiscal-giustizialista propiziato da questa storica fase di europeizzazione garantista della nuova una moneta comune il cui uso si è rivelato subito fonte di un inesauribilmente e crescente quanto incomprensibile indebitamento individuale, oppure proporre utili quanto urgenti accorgimenti economici correttivi dell'attuale situazione "recessiva", prima che diventi "depressiva"?
Plaudire gli inventori dei diabolici strumenti ed algoritmi borsistici basati sulle leggi della scommessa e dell'assoluta aleatorietà usati a decimazione selvaggia e impunita dei capitali delle persone oppure impedire la prosecuzione di questo malcostume della scommessa e dell'azzardo sviluppato da scaltri operatori che giocano sfruttando i soldi dei molti malcapitati quanto ignari investitori?
Subire tacitamente gli errori puramente logici presenti talvolta nei testi di legge, nelle sentenze di qualsiasi ordine o grado, nelle circolari bancarie od in quelle ministeriali, nei comunicati stampa, oppure intervenire liberamente da casa raccontando i propri torti subiti sui comodissimi blog, per ricevere un rapido aiuto?
Favorire la prosperità e l'impunità di Cassatori senza parte, satrapi, usurai, bulli e boia che nel loro dna, non posseggono la benché minima molecola di propensione ad un equa ed utile giustizia sociale, oppure lavorare per eliminare il clientelarismo italiano dagli uffici pubblici?
Permettere la prosecuzione impunita dello sfruttamento e del vilipendio da parte de sistema "burocrazia italiana" degli onesti lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori, dei semplici operatori delle arti, dei giusti padri di famiglia, dei giovani e geniali free lancers, degli studenti di successo, unici produttori e preparatori della nuova economia reale nonché eredi della cultura tradizionale italiana e degli antichi principi sani e civili, ereditati da stimabili nonni e genitori che hanno affidato loro questo meraviglioso e storico territorio che é l'Italia, oppure affermare delle inviolabili regole di rispetto da parte dei pubblici poteri verso queste categorie ora ingiustamente troppo vulnerabili?
Essere il popolo sovrano, non più suddito dei principi delle borse, dei satrapi, del giustizialisti tout cour o degli "omini del paese dei balocchi", o del "mondo delle scommesse"
oppure permettere che "le male caste" continuino sottrarre sostanze preziose a chi vuole solo creare, lavorare e pianificare e riprodursi nel giusto, senza eccessi, sprechi, economici ed ecologici?
Report storico degli anni 2008-2013
La realtà globale del business era stata modificata in modo profondo e permanente dallo sconvolgimento economico e finanziario.
Tale trasformazione avrebbe ripreso caratteristiche e intensità diverse nei vari settori.
Eppure tutti i dirigenti, nel valutare le misure da adottare, dovevano tenere ben presenti le cinque dimensioni del cambiamento.
ehman Brothers, icona di Wall Street, inghiottita dalla più grande bancarotta della storia.
L'Islanda, uno stato tra i più floridi al mondo, a rischio di insolvenza.
IPIC, il fondo d'investimento di Abu Dhabi, compra in fretta e furia le azioni di compagnie energetiche, industrie chimiche e imprese di costruzioni che non navigavano in buone acque in Spagna, Germania e Canada.
Cosa stava accadendo?
La crisi del credito ( o del debito) e la conseguente recessione globale avevano rivoluzionato il mondo degli affari.
In uno scenario nel quale stavano emergendo nuove realtà economiche e commerciali, i dirigenti aziendali si trovavano costretti a rivedere la strategia di successo che avevano tradizionalmente adottato, se non ad abbandonarla del tutto.
In che modo questa evoluzione stava influendo sulle tre aree critiche per il successo delle imprese ovvero il cliente, le dinamiche concorrenziali e le prospettive di crescita?
E quali sarebbero state le implicazioni per le metodologie adottate dai manager per gestire il business e guidare i loro team?
Nuovi valori dei clienti
Presto la parola d'ordine divenne "sobrietà".
Gli esempi di una riscoperta della semplicità abbondavano:
dalle comunità dedicate al baratto dove gli scambi non prevedono esborsi di denaro al revival del fai da te, fino alla diffusione di offerte commerciali e retail format più orientati al valore.
Viceversa l'ostentazione era decisamente in declino, come segnala l'ansia crescente che serpeggia nel settore dei beni di lusso.
Nonostante ciò, sui monti ginevrini, in vicinanza forzieri del mondo, gente comune poteva assistere a scene di sceicchi pagavano conti di 40 k euro al tavolo di capodanno 2011, dove i loro pargoli sbranavano distrattamente intere confezioni di caviale mentre i genitori si affogavano del miglior champagne.
Che si volesse o meno dieci clienti di questo tipo in tutto il mondo erano ancora rimasti.
Comunque si prevedeva, già allora, che il fascino della semplicità sarebbe rimasto in auge per altri 3-5 anni anche dopo la ripresa economica.
Le ragioni erano molteplici.
Innanzitutto i consumatori che avevano accumulato montagne di debiti, fiduciosi che il valore delle loro case e di altri investimenti sarebbe continuato ad aumentare, si trovavano improvvisamente a fare i conti con i creditori e quindi non si poteva dire fosse certo il momento di sperperare.
In secondo luogo la crescente fetta di consumatori anziani che sarebbero andati in pensione avrebbe avuto meno soldi da spendere.
Infine fattori quali la crescente pressione fiscale, il crollo delle quotazioni e l'eliminazione degli incentivi avrebbero limitato il budget di spesa anche dei consumatori più benestanti.
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si sarebbero fatte decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Anche la durabilità sarebbe stato un fattore determinante in quanto i clienti si sarebbero attesi di acquistare un prodotto e tenerlo per un periodo più lungo.
Negli Stati Uniti, per esempio, il tempo medio di permuta delle auto era passato da 68 mesi nel quarto trimestre del 2006 a 76 mesi alla fine del 2008.
Benché da un lato questo andamento fosse in parte dovuto alla carenza di credito per l'acquisto di nuovi veicoli, dall'altro rifletteva sicuramente anche un miglioramento della qualità della produzione: se in precedenza un'automobile veniva cambiata ogni 100.000 chilometri, allora il nuovo standard sarebbe salito a 200.000 e più.
Ciò significava che i clienti, anziché acquistare una nuova vettura dopo tre-cinque anni di utilizzo, avrebbero potuto tenere più a lungo quella che possedevano, magari fino al momento della rottamazione.
Al servizio del cliente
In molti settori il valore percepito dai clienti e il loro comportamento d'acquisto erano cambiati, spesso radicalmente.
Erano cambiamenti temporanei o si sarebbero consolidati nel tempo?
E quali opportunità ne sarebbero potute derivare in termini di nuove esigenze e conquista di quote di mercato da sottrarre alla concorrenza?
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si facevano decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Le imprese avrebbero quindi adottato opportunità di condivisione di costi e rischi degli investimenti di capitale creando consorzi o joint venture terze che permettessero a ex concorrenti diretti di condividere un'infrastruttura comune e un costo più basso.
Questo già avviva nel settore dell'editoria dei quotidiani e della telefonia mobile, dove reti e infrastrutture comuni erano ormai la norma.
Fornitori terzi di servizi quali fatturazione e riscossione, che allora servivano più concorrenti appartenenti allo stesso settore, avrebbero assunto anch'essi una sempre maggiore importanza.
Mentre da un lato le aziende erano alla ricerca di soluzioni per ridurre i costi, dall'altro i fornitori terzi erano chiamati ad ampliare la propria offerta includendovi vendita, servizio assistenza e infrastruttura IT, permettendo così di liberare risorse di liquidità e lasciando alle imprese la possibilità di concentrarsi sui propri principali punti di forza.
La risorsa dei consumatori emergenti
La recessione e il periodo che la avrebbe seguita avrebbe avuto un impatto diverso per tutti i paesi e le regioni.
Le economie dei paesi occidentali sviluppati, impegnate a tener testa alle conseguenze del tracollo dei mercati finanziari, avrebbero fatto probabilmente registrare una crescita più lenta per un lungo periodo.
Per quanto riguarda i mercati emergenti, invece, sebbene il rallentamento della domanda globale ne avesse frenato l'espansione, la crescita costante del ceto medio in particolare in India, Brasile, Sudafrica, Cina e in altre economie in via di sviluppo avrebbe costituito un'importante fonte di nuova domanda per le multinazionali.
Per esempio, nel 2011 le vendite al dettaglio in Cina rimasero molto più sostenute rispetto a quelle di altre grandi economie; a spendere in modo importante non erano solo le città tradizionali a rapido sviluppo raggruppate intorno al delta dello Yangtze e del Fiume delle Perle, ma anche città dell'entroterra e a più basso profilo: in tutte, il crescente ceto medio cinese continuava a spendere.
Sempre un più alto numero di nuove società di collegamento e mediazione commerciale, aprivano alle foci del fiume della Perle, a Guang Zhou al fine di commercializzare il valore dello sfruttamento commerciali dei più famosi marchi di moda, di Italian Wine and oil, di design europei e mondiali.
Altri valori, come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa, avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori stavano abbandonando i modelli di consumo indiscriminato del passato e diventavano più selettivi nell'operare le proprie scelte.
Un numero crescente di aziende investiva già nella conquista di credenziali verdi che, con i gruppi di attivisti determinati a puntare i riflettori sui principali trasgressori, erano diventate un parametro di misurazione della performance d'impresa sempre più importante.
Nel frattempo, le conseguenze della allora crescente opposizione allo sfruttamento degli animali da pelliccia venivano avvertite pesantemente dal già tormentato Settore dei beni di lusso.
Simili cambiamenti non potevano non influenzare i buyer industriali.
L'attenzione costante e pervasiva per la gestione dei costi avrebbe portato all'adozione sempre più diffusa di pratiche d'acquisto professionali, come per esempio le reverse auction, o aste inverse, e il ricorso a servizi di approvvigionamento specializzati forniti di terzi, e a livelli sempre maggiori di sensibilità al prezzo, in tutti i settori.
Il perdurare della difficoltà di accesso al credito per le aziende di tutti i tipi, avrebbe potuto inoltre far crescere l'interesse per nuovi modelli di proprietà, soppiantando per esempio la proprietà diretta con i modelli di pagamento a consumo “pay-per-use”.
Per esempio, erano sempre più numerose le compagnie aeree che avevano scelto di percorrere la strada della logistica prestazionale, basata sull'approccio alla proprietà dei motori per aereo “Power by the Hour” elaborato da Rolls-Royce, che prometteva un costo fisso per ore di volo del motore per tutta la durata del contratto.
Dal canto loro, i governi degli Stat Uniti e della Gran Bretagna stavano stipulando contratti per velivoli militari e altre apparecchiature basati sulla disponibilità, lasciando ai costruttori il compito di fornire pezzi di ricambio e altri servizi on demand.
Anche le aziende di una vasta gamma di settori avrebbero cercato di individuare Valori come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori avevano abbandonato i modelli di consumo indiscriminato del passato.
Nell'ambito dei suoi piani di ristrutturazione, per esempio, il gruppo Chrysler stava annullando i contratti con 800 dei 3200 concessionari presenti negli Stati Uniti, mentre la General Motors Corp.
aveva annunciato l'intenzione di rescindere i contratti di franchising con 1100 concessionari degli USA.
In tempi migliori, questi provvedimenti avrebbero comportato cospicui indennizzi.
Quando GM annunciò la chiusura della divisione Oldsmobile nel 2000, infatti, dovette versare più di 1 miliardo di dollari ai concessionari a titolo di risarcimento.
Guardando invece a valle, un peggioramento della situazione finanziaria dei clienti si sarebbe ripercosso in risalita sulla supply chain, trascinando società per altro sanein mezzo a difficoltà da cui molte non sarebbero riuscite a riprendersi.
I produttori di componenti elettronici, per esempio, avevano già avvertito l'impatto della contrazione della domanda di elettronica di consumo, e una situazione simile si era delineata più in alto nella catena per i costruttori del settore automotive.
Nel comparto dell'editoria, il crollo del fatturato da pubblicità aveva accellerato il declino della redditività per quotidiani e riviste, portando molti sull'orlo dell'insolvenza.
Nuovi concorrenti
I fallimenti e le difficoltà finanziarie avrebbero cambiato la fisionomia di molti settori.
In alcuni casi avrebbero comportato una riduzione della capacità, con un potenziale miglioramento del rendimento per le aziende che restano sul mercato.
Tuttavia, la capacità avrebbe potuto anche semplicemente cambiare mani, spesso a prezzi stracciati che avrebbero consentito ai nuovi entranti di competere partendo da una base di costi molto inferiore.
Alterazione degli equilibri di potere nella catena del valore
In molti settori, gli squilibri fra domanda e offerta, dovuti alla tendenza a sottoinvestire durante la recessione, avrebbero creato una situazione di volatilità dei prezzi con la ripresa della domanda.
La World Steel Association, l'associazione mondiale che riuniva le società siderurgiche, prevedeva per esempio un calo globale della domanda di acciaio del 15% nel 2009, trascinata da una contrazione superiore al 25% in Europa e Nord America.
Tali picchi non saranno stati limitati ai settori delle materie prime.
I comparti delle costruzioni navali e della costruzione di aeromobili rappresentavano solo due dei settori in cui un rallentamento della domanda e una conseguente riduzione della capacità produttiva avrebbe potuto creare delle carenze e spingere i prezzi al rialzo nel medio termine.
Nel primo trimestre del 2009, Airbus, la divisione aerospaziale commerciale di EADS, si era aggiudicata soltanto otto nuovi ordini netti (dopo le disdette), rispetto ai 395 nuovi ordini netti dello stesso periodo del 2008.
Sebbene dovesse ancora consegnare una quantità consistente di ordini arretrati, Airbus annunciò un lieve rallentamento della produzione verso la fine dell'anno e previse ulteriori riduzioni per il successivo futuro.
Lo spettro del fallimento che incombeva sui fornitori avrebbe potuto indurre i clienti a valle a rilevarne la società allo scopo di garantirsi l'accesso a risorse limitate o difficilmente replicabili.
La fusione di più fornitori o il loro fallimento avrebbero potuto creare ulteriori problemi per i clienti, alterando gli equilibri di potere e annullando regole consolidate e contratti.
Nuovo panorama competitivo
In seguito alla congiuntura economica negativa, interi settori avrebbero sofferto pesantemente e forse sarebbero stati trasformati in modo permanente.
Come sarebbe potuto cambiare il rapporto di potere fra acquirenti e fornitori? Chi sarebbero stati i nuovi concorrenti, e come sarebbero cambiate le regole del gioco?
Nuove regole
Una maggiore regolamentazione sarebbe stata parte integrante della nuova realtà per molti comparti, in quanto i governi desideravano svolgere un ruolo più attivo nella gestione di settori chiave come quello bancario, dell'edilizia abitativa, della produzione e della sanità.
Si andava dunque dalla proposta delle cosiddette norme cap-and-trade finalizzate a controllare le emissioni industriali dei gas a effetto serra a iniziative orientate a un settore specifico come le misure di abbattimento dell’anidride carbonica per le industrie automobilistiche dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti.
Il risultato finale sarebbe stato misurabile in costi aggiuntivi e nuovi vincoli in relazione a quello che le aziende potevano e non potevano fare.
Guardando agli aspetti positivi, la continua progressione verso l'armonizzazione degli standard regolatori globali in settori così variegati come quello dell'automotive (controllo delle emissioni e sicurezza) e delle telecomunicazioni avrebbe dovuto contribuire a ridurre i costi per i protagonisti presenti a livello globale.
Volatilità cronica
Si diceva che le fluttuazioni dei tassi di cambio sarebbero continuate fin tanto che i governi avrebbero cercato di reperire ingenti fondi per finanziare salvataggi economici.
Si pensava anche che i prezzi di una vasta gamma di materie prime, e di servizi quali spedizioni e trasporti, non avrebbero mai smesso di oscillare finché il mercato non avrebbe trovato un equilibrio stabile fra domanda e offerta.
Gli investitori restevano cauti anche mentre le economie riemergevano dalla congiuntura negativa, e questo avrebbe contribuito a generare una maggiore volatilità, con il risultato che le reazioni a variazioni dei principali indicatori economici sarebbero state ancora più rapide ed estreme e l'andamento dei mercati azionari si sarebbe mantenuto instabile.
Nel frattempo, opportunità di acquisizione a prezzi interessanti probabilmente avrebbero attirato nuovi investitori nei mercati occidentali.
Numerose multinazionali dei mercati emergenti avevano già dato prova dell'intenzione di sfruttare le fusioni e acquisizioni come base per espandere la propria presenza sui mercati più redditizi dei Paesi sviluppati.
La cinese Sichuan Tengzhong Heavy Industrial Machinery Co., per esempio, era prossima a concludere l'acquisizione del marchio Hummer di General Motors, specializzato nella produzione di SUV di grandi dimensioni e pick-up, mentre Industrial and Commercial Bank of China è in procinto di acquisire il 70% della filiale canadese di Bank of East Asia, conquistando così un prezioso avamposto nel mercato canadese.
Anche gli investitori in titoli di società in crisi attuavano ampiamente un meccanismo di riciclaggio di società sofferenti.
Aziende statunitensi come Apollo Investment Corporation, Oaktree Capital Management e Centerbridge, per esempio, potevano acquisire delle società per una frazione del loro valore precedente, spesso per 20 30 centesimi per dollaro, per poi riportarle sul mercato con profitto.
Si attendeva un'accelerazione della tendenza alle fusioni in molti comparti, in particolare nel settore delle costruzioni, dell'energia, nel settore bancario e retail, in quanto la congiuntura negativa costringeva le aziende a stringere alleanze per sopravvivere, e il valore fortemente depresso degli asset rendeva l'affare più interessante per le società più forti.
Anche questo avrebbe cambiato le regole del gioco per gli attuali player, consentendo alle aziende più grandi di realizzare economie di scala e offrire ai clienti vantaggi che i player più piccoli non potevano neanche immaginare di proporre.
Coloro che non disponevano di credito sufficiente o di tasche molto profonde, dovevano contare su un patrimonio netto più costoso per finanziare la crescita.
La caduta drammatica del valore dei fondi pensionistici sarebbe gravata non poco sulle aziende con una forte presenza di persone prossime alla pensione e ne avrebbe limitato la capacità di investire in nuova crescita.
Per citare un esempio molto eloquente, l'operatore di telecomunicazioni britannico BT Group aveva annunciato in maggio che avrebbe dovuto quasi raddoppiare la somma versata per il programma di pensionamento, da 280 milioni di sterline nel 2008 a 525 milioni di sterline, per ciascuno dei successivi tre anni, a causa di un ammanco previsto di 4 miliardi di sterline nel suo fondo pensione.
Questi versamenti avrebbero assorbito quasi un quarto del cash flow disponibile della società previsto per quel periodo.
Per raccogliere denaro e rimborsare i debiti, alcune imprese avrebbero dovuto svendere delle attività, creando opportunità per protagonisti del settore più solidi dal punto di vista finanziario.
L'attività generale di fusioni e acquisizioni si sarebbe intensificatasi già verso la fine del 2009 e accelerata nel 2010 quando le valutazioni delle aziende si sarebbe stabilizzata maggiormente e i concorrenti finanziariamente solidi avrebbero fatto le loro mosse per approfittare del ridotto valore degli assets.
Già nel 2009 avevano fatto parlare di sé un paio di operazioni commerciali degne di nota: in gennaio, Pfizer ha annunciato l'intenzione di acquisire Wyeth per 68 miliardi di dollari, mentre in giugno Fiat ha acquisito gli asset principali di Chrysler nell'ambito di un accordo in cui il governo USA ha fatto da intermediario.
In seguito a questi e altri cambiamenti, la leva finanziaria media per tutte le aziende si sarebbe ridotta, mentre i tassi di crescita positivi dei mercati emergenti avrebbero continuato ad attirare investimenti a discapito delle economie sviluppate a crescita più lenta.
Le organizzazioni avrebbero potuto avere bisogno di prendere in considerazione strutture di capitale differenti e trovare nuova liquidità per finanziare innovazioni, nuova capacità, miglioramento delle competenze, espansione geografica o acquisizioni.
I manager dovettero anche rivedere piani e prospettive di crescita organica per adattarli alla nuova realtà dei clienti.
Al di là di queste questioni fondamentali, i dirigenti dovettero esaminare attentamente il proprio portafoglio di prodotti e servizi, chiedendosi se fossero ancora adeguati alle mutate esigenze dei clienti e alle nuove dinamiche concorrenziali.
Nella loro analisi dovettero rilevare tutte le lacune che andavano colmate, o anche le opportunità di abbandonare rami d'azienda che non contribuivano allo slancio strategico di fondo dell'impresa o non soddisfavano i requisiti minimi di performance.
Potendo disporre di una quantità inferiore di denaro da investire, le aziende dovettero fare scelte difficili su come distribuire la spesa fra mercati emergenti o sviluppati e fra crescita organica e operazioni di fusione e acquisizione.
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere contribuì ad ampliare il divario fra vincenti e perdenti del futuro.
Le aziende vincenti continuarono a investire in ricerca e sviluppo anche durante la congiuntura negativa, e terranno a disposizione del denaro per approfittare di opportunità di fusione/acquisizione a prezzi stracciati, rispondendo alle mutate esigenze dei clienti con nuove proposte innovative conquistando per tempo posizioni libere e ben salde nei mercati emergenti.
Questi investimenti apportarono enormi vantaggi a queste aziende, sospingendole verso performance ancora migliori una volta uscite dalla recessione.
Prospettive di crescita
Gli euforici giorni del contante disponibile e del credito facile sembravano già un ricordo lontano.
In che modo le imprese potevano sostenere la propria capacità di investire in crescita e come potevano dove e come crescere?
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere avrebbe ampliato il divario fra vincenti e perdenti.
Questi marcati cambiamenti nel comportamento dei clienti, l'ambiente competitivo e le prospettive di crescita avrebbero avuto un impatto rilevante in due aree fondamentali: modalità operative delle aziende e utilizzo del talento a tutti i livelli dell'organizzazione.
Di conseguenza, le aziende dovettero acquisire nuove capacità e ripensare le attività da intraprendere, e dove.
In una realtà in cui i finanziamenti esterni continuavano a scarseggiare, le imprese dovrettero prendere in considerazione nuovi modi per conservare il denaro.
Outsourcing e delocalizzazione crebbero probabilmente in modo significativo a fronte della tendenza delle aziende a cercare modi per trarre vantaggio dalle differenze in termini di costo del lavoro e attingere all'elevata efficienza operativa degli specialisti del settore.
A riprova di ciò, una inchiesta condotta presso multinazionali britanniche rivelò che più dell'80% di esse stesse valutando l'ipotesi di trasferire all'estero nei prossimi cinque anni almeno una delle funzioni di business principali, con l'obiettivo di tagliare i costi.
A mano a mano che le aziende si espasero in tutto il mondo, diventò sempre più importante sfruttare in modo più efficace la forza delle proprie dimensioni, sia in attività di back-office, quali la gestione delle risorse umane, l'amministrazione e gli acquisti, e in applicazioni di front-office, quali la progettazione del packaging, l'analisi di marketing, la pubblicità e l'attività promozionale.
Anziché duplicare competenze di difficile reperimento in ciascuna regione, i centri globali di eccellenza, potenziati dalle tecnologie informatiche, consentirono ai protagonisti più avanzati del settore di fornire prestazioni di livello mondiale a tutte le aree geografiche.
Altri fattori influenzarono la scelta dei modelli di business.
Il numero crescente di accordi internazionali diede vita a nuove sfide in termini di integrazione di culture diverse, di clienti e di ambienti competitivi.
Questo valse in particolare per le aziende con un piede nei mercati dei Paesi sviluppati e un altro nei mercati emergenti.
Più in generale, con l'espansione delle aziende a livello internazionale, la necessità di far leva sulle dimensioni globali, personalizzando al tempo stesso sia l'offerta che la governance per adeguarle alle esigenze di mercati molto diversi fra loro, richiedesse strutture, processi e competenze rinnovate.
La tecnologia continuò a trasformare il modo di fare business, facilitando una maggiore mobilità e la distribuzione geografica delle attività.
Una crescente carenza di competenze nell'Occidente e la relativa abbondanza delle stesse competenze in Paesi emergenti come India e Cina indusse le aziende a delocalizzare attività sempre più sofisticate, inclusi importanti segmenti della catena del valore della funzione di ricerca e sviluppo.
Migliore gestione del rischio
La congiuntura negativa face nascere l'esigenza di nuove competenze nella gestione del rischio e rispetto delle normative.
Per esempio, per evitare il ripetersi dell'ultima crisi, le banche dovettero definire politiche di governance più robuste e obiettive per quanto riguarda il rischio.
Due banche spagnole, BBVA e Banco Santander, aprirono la via costituendo dei comitati di rischio, comprendenti una forte rappresentanza di dirigenti non esecutivi, cui fu affidato il compito di esaminare le nuove richieste di prestito e discutere i rischi più consistenti.
Molti osservatori hanno attribuito a questo processo il fatto che alle due istituzioni sia stata in larga misura risparmiata la ricaduta delle stretta creditizia.
Con il perdurare della situazione di volatilità, sempre più aziende di un numero sempre maggiore di settori dovettero
Nuovi modelli di business
Le nuove sfide richiedono nuovi modi di operare.
In che modo le aziende si adatteranno alla nuova realtà competitiva e cosa comporterà questo cambiamento per i modelli, la governance e le competenze aziendali?
Dopo la guerra del Golfo, paesi con sovrabbondanza di capitale, ma capacità agricola insufficiente per coprire le loro esigenze acquistarono o affittarono terreni agricoli all'estero.
Questo li protesse da una futura volatilità dei prezzi e, aspetto ancor più importante, garantì la sicurezza dell'approvvigionamento di cibo in un mondo in cui la minaccia dei divieti di esportazione da parte dei paesi produttori era diventata molto più concreta.
Adottare strategie di copertura e stoccaggio per una serie di materie prime, allo scopo di gestire questi rischi e proteggere i profitti futuri poteva essere per molti paesi era un’ottima soluzione.
E garantirsi l'accesso a risorse limitate avrebbe assumendo una sempre maggiore importanza quando la crescita sarebbe ripresa.
Per citare un esempio delle nuove strategie di copertura, Cina, Corea del Sud e Stati Uniti hanno dovuto quindi tener conto di un potenziale buco in corrispondenza delle posizioni senior più critiche, appena sotto a quella di CEO.
Dopo la congiuntura economica negativa la corsa ai talenti riprenderà slancio in quanto le aziende, ansiose di risollevarsi, si daranno da fare per reclutare le competenze necessarie e ricostituire la capacità persa a causa della recessione.
La sfida pose particolari difficoltà nei settori in cui le competenze specialistiche sono state perse, come per esempio nel settore finanziario, in alcuni casi in modo permanente, in quanto i lavoratori se ne andarono via o cambiarono mansioni.
Nell'Europa occidentale e in Giappone la forza lavoro che invecchiava aggravò la carenza di competenze, costringendo i governi a considerare la possibilità di favorire l'immigrazione o di ricorrere all'outsourcing.
Un altro problema ormai molto sentito in queste regioni è la fuga dei talenti.
La Germania, per esempio, sta perdendo un numero crescente di professionisti qualificati e di lavoratori.
Nel 2008, più di 3.000 medici hanno lasciato il paese, portando il numero di medici tedeschi che lavorano all'estero a quasi 20.000 unità.
Il ritorno dei « baby boomer »
Un fenomeno che la congiuntura economica ha portato con sé è stato il ritorno dei baby boomer nella forza lavoro.
L'adattamento ai cambiamenti indotti dalla crisi impose alle aziende di cambiare agilmente direzione a seconda delle esigenze del momento, abbandonando piani e mentalità ormai superate e riorientando gli sforzi verso aree nuove e più promettenti.
In quest'ottica, la qualità della leadership fu più importante che mai per determinare la sopravvivenza di un'organizzazione.
La congiuntura economica impose alla dirigenza di effettuare scelte difficili e spesso dolorose: quanto tagliare e cosa mantenere, dove investire le limitate risorse di crescita, quali mercati o attività abbandonare, come guidare con fiducia i team attraverso il cambiamento.
I consigli di amministrazione aziendali sostituirono i leader deboli che non riuscivano a fare le scelte giuste o a elaborare una visione che le loro organizzazioni trovassero convincenti.
Nelle aziende in cui la dirigenza fece un buon lavoro, invece, venne chiesto ad alcuni CEO o gruppi di dirigenti prossimi alla pensione di restare un po’ più a lungo per guidare l'organizzazione fuori dal guado.
Questo creò difficoltà alla nuova generazione di dirigenti, che vollero perseguire nuove opportunità in modo da avere maggiori possibilità di promozione ai vertici.
La pianificazione della successione in tali situazioni dovette dare valorizzazione dei talenti riconosciuti a livello nazionale.
L'ambiente in rapida evoluzione pose nuove sfide alla leadership aziendale e in termini di valorizzazione dei talenti.
In che modo dovettero adattarsi i leader per creare una maggiore capacità di reazione a fronte di una elevata volatilità?
Come si potettero coltivare i talenti più critici durante la congiuntura negativa, e come si ricreano le competenze perse quando la crescita sarebbe ripresa?
La società ha cominciato a offrire corsi di base in gestione della turnazione che equivalgono ai certificati A-level (un certificato di formazione generica di livello avanzato) rilasciati nel Regno Unito.
Al corso si sono iscritte più di 2.500 persone, incluse svariate centinaia di laureati desiderosi di intraprendere questo corso di formazione pratica.
Le aziende dovettero anche studiare nuovi modelli di impiego per attrarre e trattenere i giovani lavoratori più brillanti, che spesso, a proposito di carriera e lavoro, hanno punti di vista diversi dai loro genitori.
Una ricerca ha rivelato che molti dei cosiddetti figli del millennio (i nati fra il 1980 e il 2000), per esempio, hanno sentito fortemente l'esigenza di raggiungere un equilibrio fra vita e lavoro; di conseguenza avrebbero potuto optare per strutture di lavoro più flessibili e benefit diversi da quelli tipicamente offerti.
Una ricerca, per esempio, ha dimostrato che i figli del millennio vogliono poter usare tecnologia di consumo (smartphone, lettori MP3), applicazioni di social networking e software open source anche sul posto di lavoro.
Nuovi Ricchi e vecchi poveri
La penuria di talenti venne avvertita più fortemente a livello delle posizioni di knowledge worker qualificati, istruiti ed esperti.
In determinati settori, tuttavia, il passaggio di mano del potere economico avrebbe potuto comportare la perdita permanente di posti di lavoro.
Al giugno 2009, più del 25% di tutti i posti di lavoro persi negli Stati Uniti dall'inizio della recessione era concentrato nel settore manifatturiero.
Molti di questi erano presso costruttori di automobili e fornitori correlati.
Senza incentivi del governo e altre forme di intervento, molti di questi lavori avrebbero potuto essere stati trasferiti in sedi a costo inferiore, ma solo creando la minaccia di una disoccupazione su larga scala e a lungo termine in quei comparti.
Le differenze in termini di contributi, produttività e stipendio fra knowledge worker altamente qualificati, istruiti ed esperti dicembre 2007 e il maggio 2009, negli Stati Uniti sono andati persi 5,7 milioni di posti di lavoro, portando la percentuale totale dei disoccupati all'8,9%, il livello più alto degli ultimi 25 anni.
Eppure, fra il dicembre 2007 e il dicembre 2008, il numero di americani di 55 anni o più presenti fra le fila della forza lavoro è cresciuto di oltre 870.000 unità.
A fronte di piani pensione più esigui e di aspettative di prepensionamento ridimensionate, un numero sempre maggiore di baby boomer decise di restare nella forza lavoro.
La ripresa della crescita avrebbe ptotuto spingere molte di queste persone a lasciare il posto di lavoro, aggravando così la situazione di penuria delle competenze in alcuni settori.
Le aziende che reclutavano talenti di altissimo livello durante la congiuntura negativa potettero conquistare dei vantaggi sul lungo periodo.
Avendo meno opportunità a disposizione, infatti, i nuovi laureati ampliano il raggio d'azione della loro ricerca di lavoro.
Quando alla fine del 2008 nella City di Londra le assunzioni precipitarono, alcune aziende che tradi zionalmente avevano difficoltà ad attirare i laureati migliori videro un'opportunità.
Aldi, catena di supermercati discount, registrò un aumento del 280% delle domande di lavoro e ha incrementato il proprio target di assunzioni del 50% per approfittare delle condizioni eccezionali del mercato del lavoro.
Sul lungo periodo, anche se il settore finanziario riconquistò un po' del suo prestigio e riuscì ad accaparrarsi alcuni di questi giovani ambiziosi e pieni di talento, datori di lavoro come Aldi furono in una posizione migliore per proporsi nei campus delle università facendo leva proprio su questi ex-allievi.
La possibilità di diventare un datore di lavoro dalle indiscutibili attrattive dipendette dalla capacità di preparare una proposta di valore per i dipendenti che attirasse l’interesse delle giovani generazioni.
Nel 2008, McDonald’s è diventato uno dei primi datori di lavoro britannici autorizzati a rilasciare propri certificati di formazione.
Infine, i paesi dove il costo del lavoro era estremamente basso, come Laos, Cambogia e varie regioni dell'Africa, furono oggetto di notevole interesse da parte delle aziende e registrarono significativi livelli di crescita quando le multinazionali si trovarono a gestire i costi della manodopera alla ripresa dell'economia globale e una schiera in rapida espansione di lavoratori disponibili ma prevalentemente non qualificati avrebbe potuto dare origine a una situazione di conflittualità sindacale.
Questa, a sua volta, avrebbe potuto indurre i governi a intervenire, per esempio, con norme che limitassero il trattamento differenziale dei dipendenti.
La congiuntura economica negativa accelerò importanti cambiamenti nel comportamento degli acquirenti, nella struttura industriale e nelle dinamiche competitive e aprì un divario fra vincenti e perdenti che probabilmente crebbe in modo significativo nei successivi anni a venire.
L'opportunità di successo al momento della ripresa dipendette dalla capacità della leadership di precorrere e reagire a questi cambiamenti e a quelli che vennero, e di aver operato scelte oculate, spesso molto difficili su come e dove investire, come strutturare le attività e come preservare e ricostituire le competenze chiave quando la fase di crescita avrebbe ripreso.
8 possibili tipi di crisi mondiali
Nei prossimi anni il mondo cambierà.
Bisogna vedere se in meglio o in peggio.
Intanto ecco 8 accadimenti che dobbiamo sperare che NON succedano...
Da un articolo del Sole 24 Ore di lunedì 6 novembre 2006, alcune indicazioni sui possibili scenari per i prossimi 100 anni, su 8 potenziali fattori di crisi planetaria e sui rispettivi elementi di pessimismo/ottimismo.
LE GRANDI MIGRAZIONI
Gli scontri fra i paesi ricchi per garantirsi un tenore di vita troppo elevato porteranno a guerre per l'acqua, crisi finanziarie e grandi migrazioni.
• Fattori di pessimismo: Secondo il rapporto Mapping the Global Future del governo Usa, l'aumento dei consumi occidentali e la nuova ricchezza asiatica saranno i motori della crisi
• Fattori di ottimismo: La Banca Mondiale sostiene che lo sviluppo è sostenibile, a patto che sia guidato da regole chiare e dalla "mano invisibile" del mercato
• Probabilità di accadimento: 90%: CRISI N°2: ANNO 2020 D.C.
LA CRISI DEL PETROLIO
La produzione si ridurrà di un terzo e il prezzo del greggio arriverà sopra i 500 $: il poco petrolio rimasto non sarà più utilizzabile economicamente.
• Fattori di pessimismo: L'Unione Europea ha già individuato la data, che alcuni esperti anticipano addirittura di un decennio (2030).
L'UE dovrà importare il 70% del proprio fabbisogno annuo
• Fattori di ottimismo: Con le fonti alternative già oggi all'8% della produzione mondiale di energia, secondo l'International Energy Agency la fine del petrolio sarà praticamente "indolore"
• Probabilità di accadimento: 75%: CRISI N°3: ANNO 2047 D.C.
LA FINE DEI GIORNALI CARTACEI
Viene stampata l'ultima copia di giornale cartaceo.
E' la fine dell'informazione realizzata da professionisti.
• Fattori di pessimismo: Secondo lo studioso Philip Meyer, il modello attuale sta venendo ucciso da Internet.
La pubblicazione andrà in rete e l'informazione sarà affidata a volontari (?) online
• Fattori di ottimismo: Secondo Barry Schwartz, la gente preferirà scegliere fra poche alternative ma di qualità; il futuro del giornalismo professionista è garantito!
• Probabilità di accadimento: 15%: CRISI N°4: ANNO 2047 D.C.
L'APOCALISSE CLIMATICA
Effetto serra, riscaldamento globale, innalzamento dei mari; le terre emerse si ridurranno di un terzo (!!), mentre uragani e siccità colpiranno il pianeta.
• Fattori di pessimismo: WWF e Accademia delle Scienze svizzera sostengono che serve un nuovo pianeta
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio di New Scientist, non abbiamo ancora sufficienti conoscenze sul clima per poter fare previsioni di lungo periodo
• Probabilità di accadimento: 65%
CRISI N°5: ANNO 2060 D.C.
LA BOMBA NANOTECH
Macchine microscopiche e autoreplicanti sfuggono al controllo umano e distruggono tutte le forme di vita sul pianeta.
• Fattori di pessimismo: Un'apocalisse minuscola ma letale, prevista da Nick Bostrom dell'Università di Oxford e dallo scrittore Michael Crichton
• Fattori di ottimismo: Secondo i ricercatori del Mit di Boston, le nanotecnologie saranno una delle risorse chiave (e non una minaccia) per costruire un futuro migliore per l'umanità
• Probabilità di accadimento: 25%: CRISI N°6: ANNO 2070 D.C.
IL CRACK DELL'OCCIDENTE
Bancarotta completa per l'economia mondiale a causa delle guerre per le risorse e come effetto del clima impazzito.
Le Borse di tutto il mondo potrebbero venir chiuse .
• Fattori di pessimismo: La previsione della compagnia di assicurazioni Swiss RE è basata su sofisticati modelli di analisi di previsione del rischio
• Fattori di ottimismo: I sistemi di governo mondiale si difenderanno con nuove regole sugli scambi economici
• Probabilità di accadimento: 55%: CRISI N°7: ANNO 2080 D.C.
LA FINE DELLE RISORSE
Usa, Ue, Cina e India esauriranno tutte le risorse disponibili sul pianeta con la loro crescita dissennata.
• Fattori di pessimismo: Molte associazioni ambientaliste e perfino uno studio commissionato dal governo britannico sostengono che, salvo repentini cambiamenti di rotta, la catastrofe è annunciata
• Fattori di ottimismo: Secondo il Dipartimento per il commercio Usa, le possibilità offerte da sempre nuove tecnologie permetteranno una crescita sostenibile e quindi senza limiti
• Probabilità di accadimento: 50%: CRISI N°8: ANNO 2100 D.C.
IL RITORNO AL BARATTO (E di nuovo ALLA STAMPA DI TITOLI DI CREDITO COMUNALI n.d.r.)
Si vivrà in un nuovo Medio Evo, senza tecnologia, scienza o Stato.
Malattie, guerre tribali, baratti ed una popolazione ridotta al 15% di quella attuale.
• Fattori di pessimismo: Secondo il futurologo americano John Michael Greer, i fondamentalismi e la fiducia dissennata per la scienza porteranno il mondo alla rovina
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio della rivista Usa Nature, il futuro non sarà il giardino dell'Eden, ma di sicuro neanche un inferno post-industriale
• Probabilità di accadimento: 10%
Fonte: www.ilsole24ore.com
I fallimenti bancari sottaciuti
Il più grande fallimento della storia.
Il fallimento di Lehman Brothera è il pù grande nella storia delle bancarotte mondiali.
Lehman ha superato infatti il 'crac' di WorldCom, il gruppo telefonico che finì in amministrazione controllata nel 2002 per via di alcune grosse irregolarità contabili.
Lehman Brothers ha un debito pari a circa 613 miliardi di dollari ed ha superato di conseguenza oltre a WorldCom anche Drexel Burnham Lambert, fallimento avvenuto nel 1990.
Lehman Brothers è inoltre debitrice di qualche cosa come oltre 157 miliardi di dollari nei confronti di una decina di creditori non privilegiati e nei riguardi degli obbligazionisti.
In questo caso sottolinea l' Agenzia Bloomberg questi debiti potranno essere saldati solo dopo che saranno stati rimborsati i creditori privilegiati.
La stessa Lehman ha precisato che fra i creditori non privilegiati figurano Commerzbank e Bank of New York Mellon, per il ruolo svolto da questi istituti nel prestare garanzie agli obbligazionisti.
L' esposizione degli obbligazionisti sarebbe pari a 155 miliardi di dollari, quindi pressoché la totalità del credito non garantito.
La graduatoria dei maggiori crack nella storia societaria statunitense, in base a dati elaborati da Bloomberg (fra parentesi gli asset espressi in miliardi di dollari):
1) LEHMAN BROTHERS (639 miliardi)
2) WORLDCOM (103,9 miliardi)
3) ENRON (63,4 miliardi)
4) CONSECO (61,4 miliardi)
5) TEXACO (35,9 miliardi)
6) Financial Corp.
of America (33,9 miliardi)
7) Refco (33,3 miliardi)
8) IndyMac Bancorp (32,7 miliardi)
9) Global Crossing (30,2 miliardi)
10)Calpine (27,2 miliardi)
FOTOGRAFIA ECONOMICA DELLA SITUAZIONE VALUTARIA INTERNAZIONALE DEL 2010
Cronaca delle 15.56 04/01/2010
Borsa altalenante.
Negli ultimi 25 anni, i mercati azionari europei hanno reso mediamente il 13% all'anno? La Borsa italiana addirittura meglio: le azioni quotate a piazza degli Affari, dal 1975 a oggi, hanno reso mediamente il 18% all'anno.
Si tratta naturalmente di una media.
Controllando infatti l'andamento dell'indice di Borsa anno per anno, si scoprono alti e bassi vertiginosi.
Nel 1977, per esempio, le quotazioni sono scese del 23%, nel 1980 sono salite addirittura del 122% (la vetta degli ultimi 25 anni), nel 1987 sono crollate del 32% (la fossa assoluta); nel 1993 sono salite del 37%, nel 1997 del 58%, nel 1998 del 41% e nel 1999 del 22%.
Si noti sempre inoltre che lo yen dall’anno 1990 è passato dal cambio
di 8.756 Lit. per 1 Jpy.
al cambio del 2010
di 14,5 Lit. per 1 Jpy.
ovvero
di 0,0075 Eur per 1 Jpj
che significa che l'economia del Giappone in soli 40 anni ha fatto guadagnare alla propria moneta un ulteriore potere di acquisto, rmaggiore ispetto a quello italiana con tasso di rivalutazione totale pari al 65% ovvero pari al tasso medio annuo del 3,28% per tutto il ventennio!
Al cambio del 2020
di 0,008557348 Eur oer 1 Jpy
Ovvero
di 16,56914 Lit. per 1 Jpy.
che l'economia del Giappone in 40 anni ha fatto guadagnare alla propria moneta un potere di acquisto, maggiore rispetto a quello italiano europeo, con tasso di rivalutazione totale pari al 89,23% ovvero pari al tasso medio annuo del 4,73% per tutto il quarantennio!
Si veda invece la tabella (1), ove si trovano le quotazioni monetarie degli altri paesi, che pur superando quasi tutte quella italo-eurolandese, hanno determinato un distacco differente secondo l'eziologia di ciascuna realtà economica.
Tabella 1
U.s.a.
1990: 1 Usd = 1.268,50 Lit.
2010: 1 Usd = 1.352,37 Lit.
con crescita del 6.66% pari allo 0.333 % annuo per il venntennio
Inghilterra
1990: 1 Gbp = 2.054,00 Lit.
2010: 1 Gbp = 2.183,31 Lit
con crescita del 6.29% pari allo 0,31 % annuo per il venntennio
Svizzera
1990: 1 Chf = 816,95 Lit.
2010: 1 Chf = 1.305,52 Lit
con crescita del 59.80% pari allo 2,99 % annuo per il venntennio
Spagna
1990: 1 Esp = 11,54 Lit.
2010: 1 Esp = 11,62 Lit
praticamente paritetica
Francia
1990: 1 Frf = 219,40 Lit.
2010: 1 Frf = 295,18 Lit
con crescita del 34,50% pari allo 1,725 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Germania
1990: 1 Dem = 750,12 Lit.
2010: 1 Dem = 989,99 Lit
con crescita del 31,97% pari allo 1,598 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Austria
1990: 1 Ats = 106,58 Lit.
2010: 1 Ats = 140,61 Lit
con crescita del 31,93% pari allo 1,596 % annuo per il venntennio
Russia
1990: 1 Rub = 33,74 Lit.
2010: 1 Rub = 44,77 Lit
con crescita del 32,69% pari allo 1,63 % annuo per il venntennio
Svezia
1990: 1 Sek = 205,07 Lit.
2010: 1 Sek = 188,19 Lit
con decrescita del 8.23% pari allo 0,004 % annuo per il venntennio
Brasile
1996: 1 Brl = 1621.42 Lit.
2010: 1 Brl = 775,22 Lit
con decrescita del 52.18% pari allo 3,26 % annuo per il quattordicennio
Cina
1996: 1 Cny= 189,50 Lit.
2010: 1 Cny = 198,01 Lit.
con crescita del 4.49% pari allo 0.28 % annuo per il quattordicennio
DELAZIONI SULLA GOVERNANCE INTERNAZIONALE
BANCHE, MONETA, POTERE DI EMISSIONE E CAPITALISMO FINANZIARIO
“Il culmine del potere nel mondo di oggi sta nel potere di emissione del denaro.
Se tale potere venisse democratizzato e focalizzato in una direzione che tenga conto dei problemi sociali ed ecologici allora potrebbe ancora esserci la speranza di salvare il mondo” Thomas H. Greco, Jr.
“I disordini non avranno mai fine, non avremo mai una sana amministrazione della cosa pubblica, se non acquisteremo una nozione precisa e netta della natura e della funzione del denaro.” Ezra Pound.
“L’attività bancaria fu fecondata con l’ingiustizia e nacque nel peccato. I banchieri posseggono il mondo.
Se glielo toglierete via lasciando loro il potere di creare denaro, con un colpo di penna creeranno abbastanza depositi per ricomprarselo. Toglieteglielo via in qualunque modo e tutti i grandi patrimoni come il mio scompariranno, ed è necessario che scompaiano affinché questo diventi un mondo migliore in cui vivere. Ma se preferite restare schiavi dei banchieri e pagare voi stessi il costo della vostra stessa schiavitù, lasciate che continuino a creare denaro.” Sir Josiah Stamp, Direttore della Banca d’Inghilterra negli anni venti, considerato a quel tempo il secondo uomo più ricco di tutta l’Inghilterra.
“Tutte le perplessità confusioni, e afflizioni in America sorgono non tanto dai difetti della Costituzione, né dalla mancanza d’onore o di virtù quanto dall’assoluta ignoranza della natura della moneta, del credito, e della circolazione.” John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America.
“Davamo a questo popolo il maggior beneficio che abbia mai avuto: la sua propria carta [moneta] per pagare i propri debiti.” John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America.
Art. 1, Sezione 8. pp. 5 della Costituzione degli Stati Uniti d’America: Il congresso avrà diritto di batter moneta, e di determinarne il valore (delle unità), e di fissare i criteri dei pesi e delle misure.
Firmato George Washington, presidente e deputato della Virginia (17 settembre 1787).
“Oggi il nome «democrazia» è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro.” Ezra Pound (1933).
“Discutere dei governi delle così dette democrazie: Inghilterra, Francia, Stati Uniti, è una semplice perdita di tempo, sino a che non si distingue tra teoria e fatto. Questi tre paesi sono controllati dagli usurai, sono usurocrazie o daneistocrazie, ed è perfettamente inutile di parlarne come se fossero controllati e governati dai loro popoli o dai delegati che rappresentano i loro popoli, o nell’interesse dei loro popoli.” Ezra Pound (1933).
“L’usuraio distruggerà ogni ordine sociale, ogni decenza, ogni bellezza.” Ezra Pound (1933).
“Il denaro non rappresenta altro che una nuova forma di schiavitù impersonale, al posto dell’antica schiavitù personale.” Lev Tolstoj.
“Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche.” TATANKA IOTANKA (Toro Seduto).
“Il ricco domina sul povero e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.” La Bibbia Antico Testamento – Proverbi, cap. 22, versetto 7.
“La storia testimonia che i cambiavalute hanno usato ogni sorta di inganno, macchinazione, frode e violenza possibile al fine di mantenere il controllo sui governi per gestire il denaro e la sua emissione.” President James Madison.
“Voi siete un covo di vipere e ladri e io intendo sconfiggervi, e per il Padreterno, vi sconfiggerò.
Se il Congresso ha la prerogativa di emissione di moneta cartacea, ciò gli é stato dato per venir usato dallo stesso e non per essere delegato a individui o corporazioni..” Andrew Jackson al Congresso degli Stati Uniti d’America (1829).
“Le banche hanno provocato più danni alla religione, alla moralità, alla tranquillità, alla prosperità e anche alla ricchezza della nazione rispetto al bene che possono aver fatto finora o che mai faranno.” John Adams, Presidente degli Stati Uniti d’America (1819).
“Oltre a questi obiettivi pragmatici, i poteri del capitalismo finanziario avevano un altro scopo più ampio, nientemeno che di creare un sistema mondiale di controllo finanziario, in mani private, capace di dominare il sistema politico di ciascun paese e l’economia del mondo nel suo insieme. Questo sistema deve essere controllato in un modo feudalista da parte delle banche centrali del mondo che agiscono di concerto, attraverso accordi segreti cui si arriva durante frequenti incontri e conferenze private. L’apice del sistema è la Bank for International Settlements [BIS] di Basilea, in Svizzera, una banca privata di proprietà e sotto il controllo delle banche centrali mondiali, esse stesse corporazioni private. Ogni banca centrale cerca di dominare il proprio governo tramite la sua capacità di controllare i prestiti al Tesoro, di manipolare i tassi di cambio della valuta estera, di influire sul livello delle attività economiche nazionali e di fare pressioni sui politici compiacenti tramite successive ricompense economiche nel mondo degli affari.”
Citation from Tragedy and Hope – A History of the World in Our Time, by Carroll Quigley, GSG Associates, California 1966.
“I nostri nemici su questo pianeta, sono meno di dodici persone. Sono i membri della Banca d’Inghilterra e di altri più alti circuiti finanziari. Essi posseggono le catene di giornali ed essi sono, come se non bastasse, in tutte le istituzioni che si occupano di salute mentale che sono sorte nel mondo. (…) E questi, apparentemente, hanno deciso in un momento lontano del passato, una particolare strategia. Avendo il controllo della riserva aurifera del pianeta, sono entrati in un programma per portare ogni governo alla bancarotta e sotto al loro dominio, cosicché nessun governo sarebbe stato capace di iniziative politiche senza il loro appoggio” Ron Lafayette Hubbard, ex ufficiale dei servizi segreti della Marina USA, fondatore di Scientology – settembre 1967.
“Io ho due grossi nemici: l’esercito del Sud di fronte a me e le società finanziarie in retroguardia. Dei due, quello in retroguardia è il mio peggior nemico… Prevedo l’avvicinarsi di una crisi che mi snerverà e mi farà tremare per la sicurezza della mia patria. Al termine della guerra, le grandi imprese saranno elevate al trono, ne seguirà un’era di corruzione nei posti più influenti, le forze più ricche del paese si sforzeranno di prolungare il proprio regno facendo leva sui pregiudizi della gente, finché la ricchezza sarà concentrata in poche mani e la Repubblica sarà distrutta. In questo momento, sento ancora più ansietà di prima per la sicurezza del mio paese, nonostante mi trovi nel mezzo di una guerra.” Abraham Lincoln.
“Il capitale deve proteggersi in ogni modo possibile con alleanze e legislazione.
I debiti devono essere riscossi, le obbligazioni e i contratti ipotecari devono esser conclusi in anticipo e il più rapidamente possibile.
Quando, mediante processi giuridici, le persone comuni perderanno le proprie case, diventeranno sempre più docili e saranno tenute a freno con più facilità attraverso il braccio forte del governo al potere, azionato da una forza centrale di ricchezza sotto il controllo di finanzieri di primo piano.
Questa verità è ben conosciuta tra i nostri uomini di spicco, adesso impegnati nel costituire un imperialismo del Capitale che governi il mondo.Dividendo gli elettori attraverso il sistema dei partiti politici, possiamo fare spendere le loro energie per lottare su questioni insignificanti.
Di conseguenza, con un’azione prudente abbiamo la possibilità di assicurarci quello che è stato pianificato così bene e portato a termine con tanto successo.” USA Banker’s Magazine (Rivista dei banchieri americani), 25 Agosto 1924.
“Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti.
Essi hanno di già messo in piedi un’aristocrazia facoltosa che ha attaccato il Governo con disprezzo.
Il potere di emissione deve essere tolto via dalle banche e restituito al popolo, al quale esso appartiene propriamente.” Thomas Jefferson.
“Se gli Americani consentiranno mai a banche privati di emettere il proprio denaro, prima con l’inflazione e poi con la deflazione, le banche e le grandi imprese che ne cresceranno attorno, priveranno la gente delle loro proprietà finché i loro figli si sveglieranno senza tetto nel continente conquistato dai loro padri. “ Thomas Jefferson (1776).
“Potrete ingannare tutti per un pò. Potrete ingannare qualcuno per sempre. Ma non potrete ingannare tutti per sempre.” Abramo Lincoln.
“Nelle Colonie, emettiamo la nostra moneta cartacea.
Si chiama ‘Cartamoneta provvisoria coloniale’.
La emettiamo nelle giuste proporzioni per produrre merci e farle passare facilmente dai produttori ai consumatori.
In questo modo, creando noi stessi il nostro denaro cartaceo, ne controlliamo il potere d’acquisto e non abbiamo interessi da pagare a nessuno.Vedete, un Governo legittimo può sia spendere che prestare denaro in circolazione, mentre le banche possono soltanto prestare cifre considerevoli attraverso i loro biglietti di banca promissori, per cui questi biglietti non si possono né dare né spendere se non per una piccola frazione di quelli che servirebbero alla gente.
Di conseguenza, quando i vostri banchieri in Inghilterra mettono denaro in circolazione, c’è sempre un debito fondamentale da restituire e un’usura da pagare.
Il risultato è che c’è sempre troppo poco credito in circolazione per dare ai lavoratori una piena occupazione.
Non si hanno affatto troppi lavoratori, ma piuttosto pochi soldi in circolazione, e quelli che circolano portano con sé un peso senza fine di un debito impagabile e usura.” Benjamin Franklin, Autobiografia, (1763).
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità.
La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.” Abraham Lincoln, Presidente degli Stati Uniti d’America, morto assassinato
“Se questa malefica strategia finanziaria, che ha le sue origini nel nord America, perdurerà fino a mettere radici, allora il Governo fornirà il proprio denaro senza alcun costo.
Estinguerà i propri debiti e rimarrà senza alcun debito.
Avrà tutto il denaro necessario per portare avanti il proprio commercio.
Diventerà prospero senza precedenti nella storia mondiale.
Le menti e le ricchezze di tutti i paesi andranno nel nord America.
Questo paese deve essere distrutto o distruggerà ogni monarchia sulla faccia della terra.” The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, citazione apparsa sul London Times nell’anno 1865, riferendosi alla pratica di emissione dei Green Backs di Abraham Lincoln.
“Il grande debito che i nostri amici, i capitalisti dell’Europa, faranno in modo di far sortire da questa guerra, verrà adoperato per manipolare la circolazione (monetaria).
Noi non possiamo permettere che i biglietti statali [Greenbacks] circolino perché non possiamo regolarli.” The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862
“Lo schiavismo sarà probabilmente abolito dalle forze in guerra e la proprietà di schiavi verrà totalmente abrogata.
Io e i miei amici europei siamo a favorevoli a questo: che la schiavitù si limiti al possesso del lavoro e che si trasferisca nell’interesse del lavoratore, nel frattempo il progetto europeo guidato dall’Inghilterra consisterà nel controllare il lavoro attraverso il controllo sui salari.
Il vasto debito che i capitalisti vedranno costituirsi su di esso dalle guerre, deve essere usato come mezzo per controllare il volume del denaro.
Per portare a termine questo obiettivo bisogna usare le obbligazioni ipotecarie come punto di partenza fondamentale del sistema bancario.
Stiamo aspettando che il Segretario del Tesoro faccia tale raccomandazione al congresso.
Non consentirà ai Greenback, come vengono chiamati, di circolare come denaro in nessun caso, dal momento che non possiamo controllarlo.
Ma possiamo controllare le obbligazioni statali e attraverso di esse le emissioni bancarie.” The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862.
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
(…) Il privilegio del Governo della creazione e dell’emissione del denaro è la sua più grande opportunità creativa.
Attraverso l’adozione di tali principi, il desiderio lungamente sentito di usare un mezzo di pagamento uniforme sarà soddisfatto.
Il finanziamento di tutte le imprese pubbliche, il mantenimento di un governo stabile e di un progresso ordinato, e la conduzione del Tesoro diventerà una questione di pratica amministrativa.
Il popolo potrà e sarà rifornito con una valuta sicura quanto il proprio governo.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità.
La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.” Abraham Lincoln, documento del Senato degli Stati Uniti d’America numero 23, Pagina 91, anno 1865.
“Chiunque controlli la massa monetaria in qualsiasi paese è il padrone assoluto dell’intera industria e del commercio.” James A. Garfield, Presidente degli Stati Uniti d’America.
“La morte di Lincoln fu un disastro.
Ho paura che i banchieri stranieri con la loro astuzia e i loro contorti inganni otterranno il controllo su tutte le sovrabbondanti ricchezze dell’America e useranno il proprio potere per corrompere in modo sistematico la civiltà moderna.
Essi non esiterebbero a far piombare l’intera cristianità nella guerra e nel caos per farsì che l’intero pianeta diventi loro eredità.” Otto Von Bismarck, commemorando l’assassinio di Abraham Lincoln.
“Nel nostro tempo è ormai evidente che la ricchezza e un immenso potere sono stati concentrati nelle mani di pochi uomini.
Questo potere diventa particolarmente irresistibile se esercitato da coloro che controllano e comandano la moneta, poichè costoro sono anche in grado di gestire il credito e di decidere a chi deve essere assegnato.
In questo modo forniscono il sangue vitale all’intero corpo dell’economia.
Loro hanno potere sull’intimo del sistema produttivo, così che nessuno può azzardare un respiro contro la loro volontà.” Papa Pio XI, Quadragesimus Annus 106-9, 1931.
“Quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi e non i capi del governo controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve… Il denaro non ha madrepatria e i finanzieri non hanno patriottismo né decenza; il loro unico obiettivo è il profitto.” Napoleone Bonaparte, 1815.
“La terra, nel suo stato naturale e incolto era, e sempre dovrebbe continuare ad essere, proprietà comune della razza umana.
Non appena la terra viene coltivata, il valore del miglioramento, e solo quello senza il terreno su cui giace, è da considerare proprietà individuale. Ciascun proprietario di terreni coltivati deve corrispondere alla comunità un affitto ..a tutte le persone, ricche o povere..
perché questo soggiace all’eredità naturale che, come di diritto, spetta ad ogni uomo, al di sopra della proprietà che egli possa aver creato o ereditato da quelli che l’hanno fatta.” Thomas Paine 1796, p. 611; 612-613.
“È un bene che gli abitanti della nazione non capiscano abbastanza il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo facessero, credo che ci sarebbe una rivoluzione prima di domattina.” Henry Ford.
“Chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia.” Ezra Pound.
“In qualsiasi società che abbia superato lo stato selvaggio il monopolio fondamentale è il monopolio del denaro.” Ezra Pound.
“La moneta non è valida se è titolo a qualche cosa di non consegnabile.” Silvio Gesell, Ordine Naturale dell’Economia.
“La storia americana del ventesimo secolo ha registrato gli sbalorditivi risultati dei banchieri centrali della Federal Reserve. Primo, lo scoppio della prima guerra mondiale, che è stata resa possible dai fondi disponibili dalla banca centrale degli Stati Uniti. Secondo, la recessione agricola del 1920. Terzo, il venerdì nero del crollo di Wall Street dell’ottobre del 1929 e l’insorgere della Grande depressione. Quarto, la seconda guerra mondiale, quinto la conversione del patrimonio degli stati uniti e dei propri cittadini da beni reali a cartacei dal 1945 fino a oggi trasformando l’america vittoriosa e la più prospera potenza del 1945 al più grande paese debitore del mondo nel 1990. Oggi questa nazione si trova in rovina economica, devastata e destituita, quasi nelle stesse tremende difficoltà incui la Germania e il Giappone si ritrovarono nel 1945. Gli Americani agiranno per ricostruire la nostra nazione così come fecero la Germania e il Giappone quando dovettero fa fronte alle stesse condizioni in cui ci troviamo oggi di fronte, o continueremo ad essere schiavizzati dal sistema babilonese della moneta-debito che ci fu imposto dal Federal Reserve Act nel 1913, e completare la nostra totale distruzione? Questa è la sola domanda alla quale dobbiamo rispondere, e non ci resta molto tempo per farlo.” Eustace Mullins.
“…i Rothschild hanno conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari…” Frederic Morton.
TASSE E DEBITO PUBBLICO
“La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere benefici.
Le guerre devono essere dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere.” Amschel Mayer Rothschild (1773).
“Il fatto che un risparmio nazionale si presenti come profitto privato, non scandalizza per niente l’economia borghese, poiché il profitto in genere è comunque appropriazione di lavoro nazionale.
C’è forse qualche cosa di più pazzesco dell’esempio offertoci dalla Banca d’Inghilterra per il periodo 1797-1817? Mentre le sue banconote hanno credito unicamente per il fatto di essere garantite dallo Stato, essa si fa pagare dallo Stato e quindi dal pubblico, nella forma di interessi sui prestiti, per il potere che lo Stato le conferisce di convertire questi stessi biglietti di carta in denaro e darli poi in prestito allo Stato?” K. Marx, Il Capitale, Ed. Riuniti, 1974 – VIII ed. Cap. 33 pag. 635.
“Io mi rifiuto di pagare le tasse il cui impiego ritengo destinato a scopi ingiusti e immorali.” Henry David Thoreau.
“Le guerre sono concepite per creare debito.” Ezra Pound.
la Libertà d’informazione e la sua manipolazione
da parte dei detentori dei “poteri forti”
“Bisogna capire che tutta la moda letteraria e tutto il sistema giornalistico controllato dall’usurocrazia mondiale è indirizzato a mantenere l’ignoranza pubblica del sistema usurocratico e dei suoi meccanismi.” Ezra Pound, 1933.
“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.” George Orwell.
“Nel tempo della cleptocrazia occidentale, dire la verità è un atto sconsiderato.” Marco Saba, parafrasando George Orwell.
“Se un popolo si aspetta di poter essere libero restando ignorante, spera in qualcosa che non è mai stato e che mai sarà” President Thomas Jefferson.
“Noi siamo così grati al Washington Post, al New York Times, al Time Magazine e alle altre pubblicazioni i cui direttori hanno partecipato alle nostre riunioni rispettando le loro promesse di discrezione per almeno 40 anni. Per noi sarebbe stato impossibile sviluppare il nostro progetto per il mondo se fossimo stati soggetti alla brillante luce della pubblicità.” David Rockefeller, founder and member of the CFR and the TC, at Bilderberger Global Strategy mtg, 1991, Clinton attended.
English: “Beware the leader who bangs the drums of war in order to whip the citizenry into a patriotic fervor, for patriotism is indeed a double-edged sword.
It both emboldens the blood, just it narrows the mind.
And when the drums of war have reached a fever pitch and the blood boils with hate and the mind has closed, the leader will have no need in seizing the rights of the citizenry.
Rather, the citizenry, infused with fear and blinded by partiotism, will offer up all of their rights unto the leader and gladly so.
How do I know? For this is what I have done.
And I am Caesar.”
Italiano: “Attenti al leader che colpisce i tamburi di guerra per frustare la cittadinanza in un fervore patriottico, perché il patriottismo è davvero un'arma a doppio taglio. Incoraggia entrambi il sangue, solo ristringe la mente. E quando i tamburi della guerra hanno raggiunto il culmine della febbre e il sangue ribolle di odio e la mente si è chiusa, il leader non avrà alcun bisogno di cogliere i diritti della cittadinanza.
Piuttosto, la cittadinanza, infusa dalla paura e accecata dal partitismo, offrirà tutti i suoi diritti al leader e con piacere.
Come lo so? Per questo è quello che ho fatto.
E io sono Cesare.”
Latino: “Cave belli dux, qui percusserit tympanis et verberabunt autem conversatio in piae religionis studio, sedulitate et ingenitae erga patriam caritatis est romphaea anceps acuta quidem est duplex.
Et cum tympanis et pervenit apicem belli et febricitantem et Minerua et odio animus est, et clausit, non opus est te duce carpe de civitate.
Sed civitas terrore obcaecatae infusa partium principis iura dabunt omnes cum gaudio.
Quid enim scio? Et hoc est quod egi.
Et ego Caesar.”
” Julius Caesar, Giulio Cesare, Julio Cæsar.
AFORISMI SULL’UMANITA’
“Il materialismo e la moralità stanno in relazione inversa –quando uno cresce l’altra diminuisce” Mahatma Gandhi.
“I migliori scienziati non sono quelli che conoscono la maggior parte delle informazioni; ma coloro che sanno ciò che stanno cercando.” Noam Chomsky
“L’incompetenza si manifesta con l’uso di troppe parole.” Ezra Pound
“Non c’è alcuna crisi energetica, solo una crisi di ignoranza.” Buckminster Fuller SCIENZA E SOCIETA’
“La scienza non è nient’altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità.” Nikola Tesla.
“Mi piacerebbe credere che le persone abbiano un istinto per la libertà, che vogliano veramente avere il controllo delle proprie circostanze.
Che non amino essere tiranneggiate, ricevere ordini, essere oppresse, ecc.
e che desiderino avere l’opportunità di fare cose sensate come un lavoro costruttivo in condizioni che possano controllare, o magari controllare insieme ad altri.” Noam Chomsky.
“Qualche volta la gente inciampa nella verità.
La maggior parte però si rialza subito e se ne va come se niente fosse” Winston Churchill
“Sono un contadino che ha fatto per hobby il professore d’università.” Giacinto Auriti
“…nel nuovo mondo ognuno metterà a disposizione di tutti la sua esperienza e le sue idee, e gli altri lo ricompenseranno liberamente per questo…” La profezia di Celestino
“Schiavo è chi aspetta qualcuno che venga a liberarlo.” Ezra Pound
“Un popolo che non s’indebita fa rabbia agli usurai” Ezra Pound
“L’attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari.
La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto” Maurice Allais, Nobel per l’Economia nel 1988
“… Pochi comprenderanno questo sistema (assegni e credito), coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo per fa soldi, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi.” Lettera spedita da un membro della famiglia Rothschild alla Ditta Kleheimer, Morton e Vandergould di New York in data 26 giugno 1863
“Oggi la nosta moneta nasce di proprietà della banca che la emette prestandocela.
Noi vogliamo che nasca di proprietà dei cittadini e che sia accreditata ad ognuno come reddito di cittadinanza.
Per scrivere questa frase che è valida per tutte le monete in circolazione sono occorsi 36 anni di studi universitari (tesi di laurea, convegni ecc.) presso l’ateneo di giurisprudenza di Teramo e “La Sapienza” di Roma.
Poiché democrazia significa sovranità politica popolare, il popolo deve avere anche la sovranità monetaria che di quella politica è parte costitutiva ed essenziale in un sistema di democrazia vera o integrale in cui la moneta va dichiarata, a
Il Manifesto del partito comunista
Data di pubblicazione 21 Feb 1848, ideologia: marxismo.
Originariamente intitolato Manifesto del Partito Comunista ( tedesco : Manifest der Kommunistischen Partei ) è un breve libro scritto dal 1848 il tedesco marxista politico teorici Karl Marx e Friedrich Engels . Da allora è stato riconosciuto come uno dei manoscritti più influenti politici del mondo. [ 1 ] commissionato dalla Lega dei Comunisti , ha gettato le finalità della Lega e il programma. Essa presenta un approccio analitico alla lotta di classe (storica e presente) ed i problemi del capitalismo, piuttosto che una previsione di forme future potenzialità del comunismo. [ 2 ]
Il libro contiene Marx ed Engels 'teorie marxiste sulla natura della società e della politica, che nelle loro stesse parole, "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe." [ 3 ] E 'anche funzioni brevemente le loro idee su come la società capitalista del tempo sarebbe poi sostituito dal socialismo , e poi alla fine del comunismo.
Paternità di Engels
A Friedrich Engels è stata spesso attribuita a comporre le prime bozze, che ha portato il Manifesto del partito comunista . Nel luglio del 1847, Engels è stato eletto nella Lega comunista, dove è stato assegnato a redigere un catechismo. Questo divenne il Progetto di una confessione di fede comunista. Il progetto conteneva quasi due dozzine di domande che hanno contribuito a esprimere le idee di entrambi Engels e Karl Marx in quel momento. Nel mese di ottobre 1847, Engels, compose il suo secondo progetto per la Lega dei comunisti dal titolo I principi del comunismo. Il testo rimasto inedito fino al 1914, nonostante la sua base per Il Manifesto. Da Engels bozze Marx ha potuto scrivere, una volta commissionato dalla Lega dei comunisti, Il Manifesto del partito comunista, dove ha combinato di più delle sue idee con bozze di Engels e del lavoro, La condizione della classe operaia in Inghilterra. [ 4 ]
Sebbene i nomi di entrambi Engels e Karl Marx appaiono sul frontespizio accanto alla "assunzione persistente di joint-autore", Engels, nell'introduzione prefazione all'edizione 1883 tedesca del Manifesto, ha detto che il Manifesto è "essenzialmente di Marx lavoro" e che "il pensiero di base ... appartiene solo ed esclusivamente a Marx." [ 5 ]
Engels ha scritto dopo la morte di Marx,
"Non posso negare che sia prima che durante la mia collaborazione quarant'anni 'con Marx ho avuto una certa quota indipendente nel gettare le fondamenta della teoria, ma la maggior parte dei suoi principi guida fondamentali appartengono a Marx .... Marx era un genio , noi altri erano nella migliore delle ipotesi talento Senza di lui la teoria non sarebbe di gran lunga quello che è oggi è dunque porta giustamente il suo nome "... [ 6 ]
Nonostante la modestia di Engels in queste due citazioni, in realtà ha fatto i maggiori contributi al Manifesto, a partire con il suggerimento di abbandonare "la forma di un catechismo e di diritto che il comunistaManifesto ". Inoltre, Marx, Engels entrato in Bruxelles per la redazione del Manifesto. Non ci sono prove di ciò che il suo contributo alla stesura finale sono state, ma il Manifesto reca l'impronta di stile di scrittura più retorico di Marx. Tuttavia, sembra chiaro che Engels contributi giustificare la comparsa del suo nome sul frontespizio, dopo Marx. [ 7 ]
Storia testuale
Il Manifesto del partito comunista è stato pubblicato la prima volta (in tedesco) a Londra da un gruppo di rifugiati politici tedeschi nel 1848. E 'stato anche serializzato a circa lo stesso tempo in un giornale di lingua tedesca di Londra, il londinese di Deutsche Zeitung . [ 8 ] La prima traduzione in inglese è stato prodotto da Helen Macfarlane nel 1850, e il libro fu pubblicato la prima volta negli Stati Uniti da Stephen Pearl Andrews . [ 9 ] Il Manifesto ha attraversato un certo numero di edizioni 1872-1890; notevoli nuove prefazioni sono state scritte da Marx ed Engels per il 1872 edizione tedesca, del 1882 edizione russa, il 1883 edizione francese, e il 1888 edizione inglese. Questa edizione, tradotto da Samuel Moore con l'aiuto di Engels, è stato il testo più comuni inglese dal.
Tuttavia, alcune edizioni recenti inglese, come Phil Gasper ha annotato "road map" ( Libri Haymarket , 2006), hanno utilizzato un testo leggermente modificato in risposta alle critiche della traduzione Moore fatta da Draper Hal nel suo 1994 storia del Manifesto , Il avventure del "Manifesto Comunista" (Centro per la Storia socialista, 1994).
Contenuto del “Manifesto”
Il Manifesto è diviso in un'introduzione, tre sezioni sostanziali e una conclusione.
Introduzione
Il breve preambolo al testo principale del Manifesto di Marx ed Engels coinvolge brevemente commentando il timore che essi ritengono i governi europei possesso del comunismo, e offre anche un po 'a corto di consigli su come i comunisti europea dovrebbe procedere a promuovere la loro causa . Mentre si apre il testo:
Uno spettro si aggira per l'Europa-lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa sono entrati in una santa alleanza per esorcizzare questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e tedeschi di polizia-spie.
Dov'è il partito di opposizione che non è stato denunciato come comunista dai suoi avversari al potere? Dov'è il partito di opposizione che non ha gettato indietro il rimprovero di branding del comunismo, contro i partiti d'opposizione più avanzate, come pure contro i suoi avversari reazionari? [ 10 ]
Proseguendo da questo, hanno continuato a dichiarare che "E 'ora che i comunisti dovrebbero apertamente, di fronte al mondo intero, pubblicare le loro opinioni, i loro scopi, le loro tendenze, e rispondere a questa favola dello spettro del comunismo con un manifesto del partito stesso. " [ 11 ]
I borghesi e proletari
Il primo capitolo del Manifesto ", borghesi e proletari", esamina la concezione marxista della storia, descrivendo come:
La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi, stettero sempre in contrasto tra loro, sostennero una ininterrotta, ora nascosta, ora lotta aperta, una lotta che ogni tempo finito, o con una trasformazione rivoluzionaria della società in generale, o nella comune rovina delle classi in lotta. [ 12 ]
La sezione continua a sostenere che la lotta di classe nel capitalismo è tra coloro che possiedono i mezzi di produzione, la classe dirigente o borghesi , e quelli che lavorano per un salario, la classe operaia e proletaria .
La borghesia, ovunque essa ha il sopravvento, ha messo fine a tutte le feudali, patriarcali, idilliache. E '... ha lasciato sussistere altro legame tra uomo e uomo che il nudo interesse, il crudele "pagamento in contanti" ... per lo sfruttamento, velato da illusioni religiose e politiche, ha sostituito nudo, senza vergogna, diretto, brutale sfruttamento ... Rivoluzionando costante della produzione, disturbo ininterrotto di tutte le condizioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese da tutte quelle precedenti ... Tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria, tutto ciò che è sacro viene profanato, e l'uomo è finalmente costretto a fronteggiare sobriamente, le sue reali condizioni di vita, ei suoi rapporti con il suo genere.
Tuttavia:
La condizione essenziale per l'esistenza e dominio della classe borghese è l'accumulazione di ricchezza in mani private, la formazione e l'aumento di capitale, la condizione essenziale del capitale è lavoro salariato. Lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza tra i lavoratori.
Questa sezione spiega inoltre che i proletari alla fine ascesa al potere attraverso la lotta di classe: la borghesia sfrutta costantemente il proletariato per il suo lavoro manuale e salari a basso costo, in ultima analisi, di creare profitto per la borghesia, il proletariato ascesa al potere attraverso la rivoluzione contro la borghesia, come sommosse o la creazione di sindacati. Gli stati Manifesto del partito comunista che, mentre c'è ancora la lotta di classe tra la società, il capitalismo sarà rovesciato dal proletariato solo per ricominciare in un prossimo futuro, in ultima analisi il comunismo è la chiave per la classe di uguaglianza tra i cittadini d'Europa.
Proletari e comunisti
La seconda sezione, "Proletari e comunisti", inizia a delineare il rapporto tra comunisti consapevole al resto della classe operaia:
▪ "I comunisti non formano un partito separato differenza di altri partiti della classe operaia".
▪ "Non hanno interessi distinti da quelli del proletariato nel suo complesso."
▪ "Non impostare alcun principio settario propria, con cui modellare il movimento proletario".
▪ "I -comunisti di professionesi distinguono dagli altri partiti della classe operaia da questi soli elementi: 1. Nel lotte nazionali dei proletari dei diversi paesi, fanno notare e portare in primo piano gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente da tutte le nazionalità 2.. Nelle varie fasi di sviluppo che la lotta della classe operaia contro la borghesia deve passare, sempre e ovunque rappresentare gli interessi del movimento nel suo complesso. "
Si va avanti per difendere il comunismo da varie obiezioni, come ad esempio l'affermazione che i comunisti avvocato " amore libero ", e la pretesa che la gente non si esibirà lavoro in una società comunista perché non hanno alcun incentivo a lavorare.
La sezione si conclude delineando una serie di richieste a breve termine:
1. Abolizione della proprietà fondiaria e l'applicazione di tutte le rendite di terreni per finalità pubbliche.
2. Un pesante progressiva sul reddito o laureato.
3. Abolizione del diritto di eredità .
4. Confisca dei beni di tutti gli emigrati e ribelli .
5. La centralizzazione del credito nelle mani dello Stato , per mezzo di una banca nazionale con lo Stato di capitale e di un monopolio esclusivo.
6. La centralizzazione dei mezzi di comunicazione e di trasporto nelle mani dello Stato.
7. Estensione delle fabbriche e strumenti di produzione di proprietà dello Stato, la messa in coltivazione di rifiuti-terre , e il miglioramento del suolo generalmente secondo un piano comune .
8. Pari responsabilità di tutti al lavoro. Stabilimento industriale di eserciti , specialmente per l'agricoltura.
9. Combinazione di agricoltura con la produzione delle industrie ; graduale abolizione della distinzione tra città e campagna, da una più equa distribuzione della popolazione sul territorio.
10. L'istruzione gratuita per tutti i bambini nelle scuole pubbliche . Abolizione del lavoro in fabbrica dei bambini nella sua forma attuale. Combinazione di formazione con la produzione industriale. [ 13 ]
L'attuazione di tali politiche, secondo gli autori creduto, essere un precursore del apolidi e società senza classi .
Uno si occupa passaggio particolarmente controversa con questo periodo di transizione:
Quando, nel corso dello sviluppo, [ 14 ] differenze di classe sono scomparsi, e tutta la produzione si è concentrata nelle mani di una associazione vasta di tutta la nazione, il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Il potere politico propriamente detto, è solo il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato nel corso della sua lotta contro la borghesia è costretta, dalla forza di cose, di organizzare se stessa come classe, se, per mezzo di una rivoluzione, si rende la classe dirigente, e, come tale, spazza via con la forza il vecchi rapporti di produzione, allora sarà, insieme a queste condizioni, hanno spazzato via le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe e delle classi in generale, e quindi hanno abolito la propria supremazia come classe.
E’ questa concezione della transizione dal socialismo al comunismo, che molti critici del Manifesto , soprattutto durante e dopo l'era sovietica, hanno evidenziato. Gli anarchici, liberali e conservatori hanno chiesto come un'organizzazione come la potrebbe mai stato rivoluzionario (come Engels messo altrove) "appassito".
In una controversia relativa, poi marxisti fare una separazione tra "socialismo", una società governata dai lavoratori, e "comunismo", una società senza classi. Engels scrive poco e Marx scrisse meno sugli aspetti specifici della transizione al comunismo, così l'autenticità di questa distinzione rimane un oggetto di controversia.
III. Letteratura socialista e comunista
La terza sezione, "Letteratura socialista e comunista," il comunismo si distingue dalle altre dottrine socialiste prevalenti al momento del Manifesto è stato scritto. Mentre il grado di rimprovero di Marx ed Engels verso prospettive rivale varia, tutti sono alla fine licenziati per aver sostenuto il riformismo e non riconoscere il ruolo preminente della classe operaia. In parte a causa della critica di Marx, la maggior parte delle ideologie specifiche descritte in questa sezione è diventato politicamente irrilevante per la fine del XIX secolo.
Posizione dei “comunisti” in relazione con i vari partiti di opposizione
La sezione conclusiva "posizione dei comunisti in relazione con l'vari partiti di opposizione,", discute brevemente la posizione comunista lotte in paesi specifici nella metà del XIX secolo, come la Francia, Svizzera, Polonia e Germania, e dichiara che la Germania " è alla vigilia di una rivoluzione borghese ", e prevede una rivoluzione mondiale che si aggiungeranno. Si conclude poi con una dichiarazione di sostegno per le altre rivoluzioni comuniste e un invito ad agire:
In breve, i comunisti ovunque sostenere ogni movimento rivoluzionario contro l'ordine sociale esistente e politico delle cose.
I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e obiettivi. Essi dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti solo con il rovesciamento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Che le classi dominanti tremino ad una rivoluzione comunista . I proletari non hanno nulla da perdere se non le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare.
Operai di tutti i paesi, unitevi!
-Marx e Engels, Manifesto del Partito Comunista
La successiva accoglienza
Un certo numero di ventunesimo secolo, gli scrittori hanno commentato Manifesto del partito comunista ' rilevanza s continua. Accademico John Raines, scrivendo nel 2002, ha osservato che "Ai nostri giorni questa rivoluzione capitalistica ha raggiunto gli angoli più remoti della terra. Lo strumento di denaro ha prodotto il miracolo del nuovo mercato globale e il centro commerciale onnipresente. Leggi il Manifesto del partito comunista , . scritto più di 150 anni fa, e scoprirete che Marx aveva previsto tutto " [ 15 ] Scrivendo nel 2003, il marxista inglese Chris Harman ha descritto il lavoro, affermando che:
C'è ancora una qualità compulsiva alla sua prosa come si fornisce una visione dopo visione nella società in cui viviamo, da dove viene e dove la sua intenzione di. E 'ancora in grado di spiegare, come gli economisti mainstream e sociologi non si può, il mondo di oggi di guerre ricorrenti e ripetute crisi economica, della fame di centinaia di milioni da un lato e "sovrapproduzione" dall'altro. Ci sono passaggi che potrebbero provenire da scritti più recenti di globalizzazione. [ 16 ]
La costante pertinenza delle teorie marxiste trovano all'interno del testo è stata sostenuta anche dal marxismo accademico Alex Callinicos , direttore del socialismo internazionale , che ha affermato che "Questo è davvero un manifesto per il 21 ° secolo." [ 17 ]
Scaletta delle domande per una corretta politica futura
• Una società deprecabile perché depravata può continuare a creare sofferenza in modo indisturbato?
• Perché i Cinesi sono vincenti?
• Esportare diritto e sindacati italiani per vendere una storia di contraddizioni agli altri? Anche sì, ma solo come commedia teatrale da portare in tour mondiale?
• Mantenere i cervelli in Patria e mandare operai all’estero, aprire all’immigrazione, oppure anche tutto il contrario?
• Eliminare le inadempienze che creano carenze fiscali, contributive, ambientali, debitorie, economiche, patrimoniali, monetarie, deficitarie, attraverso redditi base di cittadinanza, sociali, di necessità, di eccezione, oppure lasciare andare tutto in miseria e desolazione?
• Agire sulle leve algoritmiche delle manovre annuali evitando aumenti impositivi e fiscali nonché i deficit, oppure lasciare tutto al caso come succede adesso?
• Applicare la pedagogia sociale opportuna nelle scuole per combattere la discriminazione razziale e di genere e il mobbing sociale, oppure continuare ad avere violenza sociale a tuti i livelli?
• Sviluppare una politica bio agricola, bio ambientale, bio industriale, bio urbanistica e bio energetica oppure installare il 7 G anche sotto la rete metallica del proprio materasso?
• Passare da economia monetaristica tradizionale ad un’economia a titoli di credito rappresentati da gettoni economici di risparmio, di spesa necessaria e di lavoro, oppure restare schiavi di un Europa filo bancaria dei prestiti a strozzo?
• Passare dalla sanità curativa alla sanità preventiva, oppure restare schiavi del big farma, della ricerca isolata non condivisa, e della sanità privata inaccessibile ai più?
• Passare dalla farmacia sintetica alla farmacia bionaturalistica, oppure continuare a subire gli effetti collaterali e le reazioni avverse anche mortali citate nei bugiardini di quasi tutti i farmaci?
• Espropriare le scommesse private per pareggiare il costo previdenziale, oppure lasciare che una sola società privata in Italia detenga tutta la ricchezza prodotta dalla disperazione e dalla dipendenza ludica dei pensionati e dei non abbienti?
• Proteggere in modo perennemente costituzionale la proprietà mobiliare e immobiliare privata e personale oppure subire leggi nazionali ed europee che permettano al fisco o alle banche di entrare nei propri conti correnti e di appropriarsi d’ufficio delle proprie proprietà immobiliari sulla base di accertamenti presuntivi basati su dati non aggiornati e quindi falsi’
• Proteggere in modo perennemente costituzionale le persone e le p..m.i. dall’usura statale, bancaria e privata in genere e dalla semplice proponibilità di contratti capestro o truffaldini a persone sprovvedute e per questo incolpevoli, oppure iniziare a creare una svolta verso il cambiamento radicale del pensare sociale vietando una volta per tutte tali pratiche per legge permanente e perenne costituzionale?
Le pratiche neoliberiste da evitare
Dalla corporate governance alla categoria politica di governance
Nel 2015 era almeno un ventennio che assetavamo all’uso crescente del termine « governance » nei più diversi ambiti istituzionali, politici e di ricerca e con significati e implicazioni differenti nei diversi contesti d’utilizzo.
In particolare, nella comunità scientifica essa attraversa le contemporanee dottrine dell’amministrazione e dello stato (New Public Management, dottrine o teorie della regolazione), le teorie dell’organizzazione delle corporazioni economiche (corporate governance), i dibattiti sul governo locale e urbano, alcuni sviluppi della politica internazionale (global governance).
In tutti questi contesti il termine è talvolta utilizzato con un’accezione descrittiva, e quindi finalizzato a fotografare le articolazioni concrete che assumono i rapporti tra gli attori e i meccanismi decisionali, altre volte esprime invece una tensione analitica, e quindi copera come strumentazione tecnica finalizzata all’interpretazione dei mutamenti in atto, oppure nasconde un intento prescrittivo tentando di favorire l’applicazione o l’assunzione da parte di attori di norme, princìpi, standards, codici regolativi o auto-regolativi.
È quest’ultimo il caso di documenti come l’importante Libro bianco sulla governance europea prodotto nel 2001 oppure il report On Our Global Neighborhood risalente al 1995 ed ancora prima i documenti del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale nei quali venivano stabiliti standards o princìpi di buona governance nella conduzione dei rapporti economico-politici a livello mondiale.
Infine, non è difficile incontrare un uso retorico-pubblicistico del termine: in tal senso, il politologo Gerry Stoker ha sottolineato come talvolta esso sia «used to provide the acceptable face of spending cuts» (STOKER, 1998: 18) ed il linguista Norman Fairclough ritiene che «Summing up on language in relation to governance, the discourse on governance has a significant effect in representing, cementing and stimulating changes in practices of governance… At the same time, the establishment of new linkages between policy communities within new institutional entities of governance includes new articulations and recontextualizations of discourses» (FAIRCLOUGH, 2004: 3).
Particolarmente significativa è la definizione della governance presente nel rapporto On Our Global Neighborhood (1995) stilato dalla Commissione sulla Governance Globale delle Nazioni Unite.
Con governance s’intende «the sum of the many ways individuals and institutions, public and private, manage their common affairs.
It is a continuing process through which conflicting or diverse interests may be accommodated and co-operative action may be taken.
It includes formal institutions and regimes empowered to enforce compliance, as well as informal arrangements that people and institutions either have agreed to or perceive to be in their interest» (CGG, 1995: 5).
In questa accezione, la governance è descritta principalmente nei termini di un processo di tipo negoziale tra interessi differenti o conflittuali con lo scopo di raggiungere, e far valere, pratiche cooperative e di composizione delle fratture.
Accezioni differenti dello stesso termine e che in parte attraversano anche questo stesso documento indicano con lo stesso termine un insieme di strutture finalizzate a porre in relazione attori istituzionali e non istituzionali.
In questi casi, con governance si vogliono descrivere o analizzare modalità particolari o innovative di rapporto, azione o coordinamento tra istituzioni e interessi pubblico-privati.
Si accentua, quindi, l’attenzione sui rapporti tra attori diversi istituenti procedure e dispositivi che si affiancano e condizionano i moduli più tradizionali del governo.
I continui spostamenti tra una governance articolata a partire dai processi ed una sua definizione centrata intorno alle strutture e agli attori restano tra i fattori di maggiore ambiguità nei contemporanei dibattiti sull’argomento.
In tal senso, sia sui piani della comunicazione e dell’informazione politica più ampia quanto su quello scientifico, la governance resta un concetto opaco, e ancora oggi la gran parte degli studiosi ne ricostruiscono i tratti generali per via di differenziazione o di opposizione al governo.
Si intende allora come possa essere difficile delineare una compiuta teoria della governance per ciò che concerne la teoria politica.
In tal senso, importanti politologi l’hanno definita una proto-teoria, e quando si è tentato di offrirne una definizione in positivo si è ricorso ad un lungo elenco di aggettivi come multilivello, non-gerarchica, partecipativa, complessa.
Per tale ragione il politologo Bob Jessop le ha attribuito una natura pre-teorica ed una funzione eminentemente critica: «governance theory tends to remain at the pretheoretical stage of critique: it is much clearer what the notion of governance is against than what it is for» (JESSOP, 1995: 318).
Similmente, Meghnad Desai, introducendo un lavoro collettaneo dedicato alla global governance, ha sottolineato come «The word… presents dangers and opportunities to anyone who would re-open the question of global governance, thought the term itself lacks in precision… beyond that negative stance, the concept of global governance needs to be clarified, amplified and, if thought desiderable, made operational» (DESAI, 1995: 7).
Ad oggi il testo più rilevante sull’argomento è forse Governance without Government di James N.
Rosenau ed Ernest -O.
Czempiel nelle cui pagine appare una definizione di governance come «order plus intentionality» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 5).
Con ordine s’intende l’insieme delle regole formali e informali che permettono agli attori di raggiungere determinati obiettivi; regole, tuttavia, che possono darsi solo in un contesto di intenzionalità condivisa, «Governance is thus a system of rule that is as dependet on intersubjective meanings as on formally sanctioned constitutions and charter.
Put more emphatically, governance is a system of rule that works only if it is accepted by the majority (or, at least, by the most powerful of those it affects), whereas governments can function even in the face of widespread opposition to their policies» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 4).
Nello stesso volume, Czempiel definisce invece la governance come «the capacity to get things done without the legal competence to command that they be done» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 250).
Tutte queste definizioni, pure fortemente evocative, sono state ritenuta da più parti concettualmente poco chiara (LAKE, 1995; FINKELSTEIN, 1995).
1. per un’etimologia della governance Può essere utile, in via preliminare, tornare alla radice etimologica del termine governance ed al lungo percorso che l’ha portato a differenziarsi da quello originariamente sinonimico di government.
Col termine governo in italiano indichiamo indifferentemente un’istituzione, una particolare attività (quella di governare) ed il suo risultato.
Ed è forse per tale motivo che la traduzione italiana del documento Un libro bianco sul sistema di governo europeo, stilato dal gruppo di lavoro europeo sulla governance e preparatorio al Libro bianco, riporta l’espressione sistema di governo come corrispettivo dell’inglese governance (SEC, 2000).
In inglese, infatti, con government si indica l’istituzione del Governo mentre è con l’espressione governing che si intende la pratica del governare; l’espressione governance nel suo uso generico è invece utilizzata per indicare il risultato dell’azione del government.
La governance ha la sua radice più antica nel greco kubernân usato per indicare l’atto di condurre una nave oppure un carro.
Nelle opere di Platone il termine indica il governo degli uomini e di qui attraverserà la storia politica nella sua forma latina gubernare.
In Francia, nel XIII secolo, il termine gouvernance mostra due inflessioni diverse: nella prima più generica esso era usato per indicare le modalità del governo nella sfera domestica e nell’ambito politico-amministrativo; nella seconda, che compariva in ambito giuridico, si designavano in modo più specifico le modalità di autogoverno dell’Artoise e della Fiandra dotate di un particolare status.
In Inghilterra il termine indicava innanzitutto l’atto di governare: «The action or manner of governing» (OED, 1989: 710).
Esso però era collegato sia al governo come comando del principe, sia a quell’insieme di norme, consuetudini, statuti e libertates che rappresentavano l’intreccio dei diritti e dei poteri costituenti l’organizzazione politica e civile inglese.
In tal senso, il termine evidenzia quelle relazioni molteplici che nel corpo politico e civile concorrono a determinare l’ordine politico.
Esemplare, in tal senso, è l’uso fattone da Sir John Fortescue nel suoOn the Laws and Governance of England, scritto tra il 1471 e il 1476, nel quale la governance è descritta come un insieme ordinato di leggi, consuetudini ed istituti che si affiancano e limitano il potere del principe e che costituiscono il dominium politico et regale.
Poco meno di un secolo dopo, nel 1628, il giurista Coke scriverà di good governance per riferirsi ad un governo nel quale «full right is done to every man» (OED, 1989: 711).
Sarà, comunque, proprio la governance intesa come modalità d’esercizio del governo a riemergere nella seconda metà del XX secolo, pian piano arricchendosi di una pluralità di significazioni diverse che faranno da base al suo crescente utilizzo a partire dagli anni ’80 da parte di economisti, politologi, scienziati della politica, istituti ed organismi internazionali.
Momento importante è senz’altro il dibattito sulla riforma delle strutture e istituzioni di governo metropolitano negli Stati Uniti, a partire dal quale il termine viene consapevolmente utilizzato in opposizione al government.
Ciò avviene certamente in un contesto teorico specifico determinato dell’individualismo metodologico e dal public choice approach.
Poco dopo, nell’ambito diverso dell’analisi dell’organizzazione delle corporazioni economiche e finanziarie, emerge il tema della corporate governance che nei suoi caratteri più generali sarà ripreso verso la fine degli anni ’80 da istituzioni finanziarie sovranazionali quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale per definire standards o norme comportamentali da utilizzare come indicatori per l’assegnazione di prestiti o finanziamenti agli Stati fino a giungere nel 1995 alla sua esplicita codifica da parte delle Nazioni Unite.
Sul piano dell’analisi, invece, in un importante saggio del 1999 Renate Mayntz ha individuato tre diverse accezioni del termine.
La prima indica «un nuovo stile di governo, distinto dal modello del controllo gerarchico e caratterizzato da un maggior grado di cooperazione e dall’interazione tra stato e attori non-statuali all’interno di reti decisionali miste pubblico/private» (MAYNTZ, 1999: 3).
La governance si presenta come policy network, come co-decisione e negoziazione diffusa.
In una seconda accezione la governance sta per «quelle modalità distinte di coordinamento delle azioni individuali, intese come forme primarie di costruzione dell’ordine sociale.
In particolare questo secondo uso è derivato dall’economia dei costi di transazione, dall’analisi di mercato e della gerarchia quali forme alternative di organizzazione economica» (MAYNTZ, 1999: 4).
Infine, l’uso del termine include entrambe le precedenti interpretazioni nelle loro accezioni più ristrette in veste di sotto-tipi.
A ben guardare, dice la Mayntz, lo sviluppo della governance non è altro che il frutto dei mutamenti intervenuti nelle teorie della direzione politica (steuerungstheorie).
Ad oggi, la gran parte degli studiosi della governance particolarmente quelli di matrice anglo-americana concorda su una definizione ampia del termine secondo cui esso connota tutti i processi di svolgimento dell’azione collettiva (organizing collective action): «Governance is ultimately concerned with creating the conditions for ordered rule and collective action» (STOKER, 1998: 17).
Definizione, questa, certamente utile quando s’intenda stabilire un piano di riferimento tra discipline diverse, ma poco efficace quando si vogliano individuare i tratti caratterizzanti quelle pratiche di organizzazione dell’azione collettiva che nei diversi contesti, e particolarmente in quello politico, vengono correntemente descritte come pratiche di governance.
In altre parole, poco utile a chiarire le differenze e specificità di espressioni sempre più ricorrenti e con un loro uso specifico quali social governance, political governance, local governance o anche global governance.
La questione è allora definire i tratti costitutivi, ed il complesso dei significati, di una teoria della governance politica che costituisca quella cornice entro la quale s’innestano pratiche differenti adattate a contesti d’esercizio diversi.
Ciò permettebbe di separare la governance intesa come governing (in italiano qualcuno traduce governanza) da una governance più specifica, intesa quindi come un paradigma politico radicalmente differente dal governo inteso in senso moderno.
La governance « corporata » e la natura degli attori
L’uso del termine di governance in un’accezione distinta da quella di governo compare in due campi di ricerca tra loro profondamente differenti: lo studio del governo locale e urbano, sul quale si dirà qualcosa più oltre, e l’economia delle corporazioni.
È utile cominciare con quest’ultima poiché è dal mondo della finanza, a partire dallo sviluppo da parte della Banca Mondiale del concetto di buona governance come criterio per l’attribuzione di prestiti ai paesi in via di sviluppo, che il termine è diventato centrale nel confronto politico internazionale.
Peraltro, le difficoltà incontrate dai teorici della governance corporata relativamente alla definizione del ruolo dei diversi attori e particolarmente intorno alla definizione degli interessi propri di stakeholder e shareholder prefigurano alcuni dei temi cruciali nelle contemporanee teorie della governance politica; non ultima, la sostanziale difficoltà incontrata nell’offrirne una definizione compiuta.
Anche nell’economia delle corporazioni, infatti, vi sono definizioni diverse e parzialmente contraddittorie, che rispondono a premesse di base tra loro differenti e che sono legate alla natura degli attori coinvolgibili più che alla composizione dei processi.
In una prima utile definizione la «corporate governance is concerned with ways of bringing the interests of investors and managers into line and ensuring that firms are for the benefit of investors» (MAYER, 1997: 154).
In questa accezione essa rappresenta un insieme di meccanismi e procedure finalizzato ad armonizzare ed ottimizzare gli interessi degli investitori in relazione a quelli diversi della struttura manageriale.
L’obiettivo è tutelare gli shareholder a fronte dell’operato di una dirigenza con interessi propri, anche se non necessariamente divergenti o contraddittori rispetto a quelli degli investitori.
Una definizione diversa è invece offerta da Deakin e Hughes per i quali la governance corporata «is concerned with the relationship between the internal governance mechanics of corporations and society’s conception of the scope of corporate accountability» (DEAKIN / HUGHES, 1997: 2).
Gli attori, in questo caso, sono da un lato la corporazione, o più propriamente i meccanismi interni che ne costituiscono il funzionamento; dall’altro, la società generalmente intesa come l’insieme di owneship e di dirigenza, che è quella che definisce finalità e limiti della corporate accountability.
Ancora diversa, e più ampia, è la definizione offerta da Keasey e Wright secondo la quale l’oggetto della governance corporata include tutte quelle «structures, processes, cultures and systems that engender the successful operation of the organisations» (KEASEY / WRIGH, 1997: 2).
Gli attori di cui tenere conto sono, allora, diversi anche se accomunati dal concorrere, attraverso il loro operato, al successo della compagnia.
Queste definizioni trovano oggi e non senza difficoltà una categorizzazione più ampiamente condivisa, ma anche più generale, dei sistemi di governance corporata come di quei meccanismi economici e legali finalizzati alla definizione della natura della proprietà (ownership) e del controllo dell’organizzazione entro una data economia (COOK / DEAKIN, 1999: 2).
Tali meccanismi, che pure possono essere alterati dall’esterno per via di procedimenti giuridici o politici, poggiano solitamente su Company laws o su forme e procedure autoregolative (il City Code on Takeover and Mergers inglese, gli Stock Exchange Listing Rules, gli Accounting Standards).
La governance corporata, quindi, concerne quei processi di autoregolazione e quindi di attribuzione autonoma di norme così come di procedure di controllo e verifica attraverso cui si rende più efficiente, più trasparente e più sicuro l’operato della corporazione a beneficio degli attori coinvolti (ROSSI, 2003: 71-97).
Restano aperti, tuttavia, alcuni snodi importanti sulla natura degli attori.
In primo luogo la categoria di ownership è una categoria problematica, che mostra una differenza significativa tra le realtà corporate statunitensi e inglesi, da un lato, e quelle europee e asiatiche dall’altro lato.
Le prime si fonderebbero su un’idea di natura prettamente finanziaria secondo la quale con proprietari si deve intendere gli shareholders, che dispongono in ultima istanza dei diritti residuali di proprietà e controllo.
Poiché il controllo o la gestione dell’impresa sono diversi e separati dalla proprietà, l’obiettivo della governance sarebbe proprio «aligning the objectives of management with the objective of shareholder wealth maximization» (COOK / DEAKIN, 1999: 3).
La struttura di simili corporazioni definita come outsider system of corporate governance è sostanzialmente diversa dai modelli tedesco (e più generalmente europeo) e giapponese dell’insider system of corporate governance caratterizzato da «cross-shareholdings, cross-representation of directorates, large investor involvement in corporate decision making, and concentrations of share ownership» (COOK / DEAKIN, 1999: 4).
Il primo rappresenta un sistema nel quale il controllo appartiene al compartodegli azionisti nel quale risiede la supervisione, la decisione residuale e la proprietà.
Nel secondo, invece, gli investitori incidono maggiormente nel processo manageriale e quindi il controllo è esercitato dall’interno, non essendoci una forte separazione tra ownership ed il comparto dirigenziale.
Altro aspetto di rilievo è quello dato dalla differenziazione tra shareholder e stakeholder; il secondo termine essendo più generale del primo.
In un’interpretazione più ristretta della governance corporata gli interessi e i benefici da garantire e sui quali costruire i processi di accountability e sorveglianza sono esclusivamente quelli degli azionisti (shareholder) nei quali risiede il controllo residuale sulle operazioni della dirigenza.
In modelli di governance più ampi, invece, tutti gli stakeholder ossia tutti coloro i quali abbiano un interesse nelle scelte operate dalla compagnia debbono essere considerati propriamente attori.
In questo caso diviene necessario definire i criteri a partire dai quali alcuni attori possono essere considerati portatori di interessi ed altri no.
Se agli inizi degli anni ’80 come stakeholders erano considerati tutti coloro i quali potevano condizionare la compagnia o erano condizionati da essa (FREEMAN / REED, 1983; FREEMAN, 1984; FREEMAN / EVAN, 1990), le più recenti definizioni hanno tentato di restringerne il significato.
Donaldson e Preston a partire da una teoria dei diritti di proprietà basata su una nozione pluralistica di giustizia distributiva ritengono che stakeholders siano tutti coloro che hanno un interesse morale nelle attività della compagnia (DONALDSON / PRESTON, 1995: 65-91).
Modelli più strettamente economici puntano invece l’attenzione su coloro che hanno interessi di lunga durata nel successo economico dell’impresa (BLAIR, 1995); più recentemente si è invece definiti stakeholders «those whose relations to the enterprise cannot be completely contracted for, but upon whose cooperation and creativity depends for its survival and prosperity» (SLINGER / DEAKIN, 1999: 1), includendo cioè tutti coloro che sono direttamente impegnati in un rapporto lavorativo, commerciale o finanziario con l’impresa.
Azionisti, finanziatori, management, collaboratori, impiegati e per certi versi anche clienti, fornitori, retailers, sarebbero tutti attori impegnabili nei diversi momenti della governance corporata.
Solo a partire dalla definizione degli attori è quindi possibile stabilire quei princìpi di accountability che, quando rispettati, e quando capaci di garantire anche il successo della compagnia, rappresentano una good governance.
L’aggettivo buona ha quindi la funzione di differenziare in via analitica tra una governance intesa come categoria descrittiva di meccanismi di controllo, circolazione delle informazioni e decisione o co-decisione che sottendono all’organizzazione della compagnia, ed una governance intesa come modello prescrittivo che stabilirebbe quei criteri (o standards) di accountability, di efficienza e trasparenza che dovrebbero caratterizzare l’organizzazione della corporazione.
Particolarmente importante, in tal senso, è la stesura da parte dell’Organization for Economic Cooperation and Development (OECD, 1999) dei Principles on Corporate Governance, affermatisi come princìpi e standards di buona governance corporata e che nascono dall’esigenza di vedere garantite trasparenza e accountability nel governo delle corporazioni.
Il moltiplicarsi degli stati i cui assetti economici sono orientati al mercato e l’accelerazione dei processi di privatizzazione nei settori pubblici e dell’energia hanno favorito l’allargarsi del loro ruolo e potere nel contesto internazionale.
A questi sviluppi hanno fatto seguito gravi e ripetute crisi economiche e finanziarie nei diversi mercati macroregionali ed il moltiplicarsi degli scandali finanziari e delle critiche e delle accuse per il disinteresse verso i diritti dei lavoratori, la tutela ambientale e più in generale il benessere complessivo della società.
Lo scopo del documento stilato dell’OECD è quello di stabilire alcuni criteri a partire dai quali è possibile dare vita ad buona governance capace di «assure that corporations use their capital efficently.
… ensure that corporation take into account the interests of a wide range of constituencies, as well as of the communities within which they operate, and that their board are accountable to the company and shareholders.
… to assure that corporations operate for the benefit of the society as a whole» (OECD, 1999:7).
Da un lato, quindi, si vuole incidere su quegli aspetti più propriamente legati alla natura finanziaria della corporazione per garantirne l’efficienza degli investimenti ed il controllo nell’operato da parte degli shareholders; dall’altro lato, si vuole favorire il rispetto da parte della compagnia degli interessi più complessivi della società.
A parere dell’OECD, ciò permetterebbe di accrescere la fiducia nella compagnia di capitali e investitori a lungo termine così da offrire un assetto stabile, trasparente e con responsabilità chiare.
In questo documento la definizione di governance è consapevolmente ampia e vaga poiché con essa sono da intendersi quegli «internal means by which corporations are operated and controlled» (OECD, 1999: 7).
In altri termini, «a set of relationships between a company’s management, its board, its shareholders and other stakeholders» (OECD, 1999: 11).
La ragione di questa genericità è data dall’osservazione per molti aspetti cruciale che una good governance è possibile solo nel rapporto tra le scelte operative e strategiche della corporazione ed il regulatory climate definito dagli Stati e dal contesto istituzionale e legale nel quale essa si muove.
È questa la ragione per cui «there is no single model of good governance» (OECD, 1999: 8).
La good corporate governance esprime una responsabilità condivisa (shared responsibility), nei termini in cui essa è anche il risultato dell’azione e delle scelte di istituzioni ed enti nazionali e internazionali, di associazioni e gruppi diversi, e degli investitori.
Il documento è comunque solo una carta d’intenti, nella quale sono definiti princìpi e standards dal valore esclusivamente propositivo «although the principles are non-binding, it ultimately is a matter of self-interest for countries and corporations to assess their own corporate governance regimes and to take these Principles to heart» (OECD, 1999: 8).
Non è utile ricostruire l’insieme delle indicazioni presenti nel documento, basti tenere presente che al primo punto vi sono quelle procedure di corretta comunicazione, informazione e definizione degli assetti societari che debbono garantire i diritti degli shareholders e il loro equo trattamento.
Seguono, quindi, quei suggerimenti in favore del riconoscimento del ruolo e dei diritti degli stakeholders (la cui tutela è comunque demandata a soggetti istituzionali, legali o para-istituzionali esterni alla corporazione); la definizione dei princìpi di trasparenza (transparency) e apertura (disclosure); infine, le responsabilità che appartengono al consiglio d’amministrazione (board).
Come vedremo più avanti, il quadro problematico che emerge dal mondo delle corporazioni non è molto diverso da quello che si presenta quando si osservano realtà differenti quali il governo locale, l’amministrazione oppure l’organizzazione internazionale dei poteri.
La definizione degli attori coinvolti o coinvolgibili nel processo di policy-making, infatti, è il presupposto senza il quale non è possibile definire alcun criterio di accountability o stabilire le concrete procedure di partecipazione ai meccanismi di governance.
Peraltro, la riformulazione in chiave politica della distinzione tra shareholders e stakeholders se da un lato definisce l’ampiezza e il senso della partecipazione democratica negli assetti di governance politica dall’altro lato presenta il rischio dell’esclusione e della marginalizzazione.
Non è un caso che, se appare meno problematica la definizione degli shareholders, di maggiore difficoltà è lo stabilire la natura degli stakeholders ed il limite partecipativo o consultivo che si è disposti ad offrire loro.
È evidente che se definizioni diverse degli stakeholders comportano obiettivi e strategie differenti da parte delle imprese, allo stesso modo il mutamento degli scopi o degli orientamenti della compagnia può comportare una sostanziale trasformazione del ruolo e della funzione degli stakeholders.
Peraltro, se è vero che il documento stilato dall’OECD è esclusivamente un documento d’intenti e su alcuni punti significativi estremamente generico nelle definizioni -, appare evidente come la definizione dei termini di accountability, transparency o più generalmente good governance sia il frutto, in ultima istanza, del management stesso ben più che dell’assemblea degli azionisti la cui esigenza di governo efficace resta certamente prioritaria.
Come vedremo, è questa in nuce la discrasia tra necessità dell’efficienza ed esigenze di partecipazione e legittimità che emerge con forza anche nel dibattito sulla governance urbana.
3. La governance delle aree urbane
Il termine governance, nella sua piena differenziazione dal government, è presente già dagli anni ’60 in molti studi tesi a descrivere le caratteristiche di nuovi modelli gestionali delle amministrazioni locali o delle municipalità cittadine.
Pionieristico, in tal senso, è stato uno scritto diVincent Ostrom e Charles Tiebout nel quale veniva favorevolmente proposto un modello di gestione centrato su un sistema di attori molteplici, in concorrenza tra loro nel proporsi come fornitori di servizi pubblici in un contesto policentrico e pluralistico (OSTROM / TIEBOUT / WARREN, 1961).
Lo scopo della ricerca era quello di definire i tratti di una gestione delle risorse pubbliche capace di far fronte ai tradizionali dilemmi dell’azione collettiva attraverso il sapiente utilizzo delle potenzialità offerte dal mercato e da un’organizzazione non gerarchica dei poteri e degli attori.
L’autorità pubblica non doveva intervenire direttamente nella gestione dei servizi ma era tenuta a fissare standards, controllare gli attori ed esercitare un potere di coordinamento ed intervento residuale.
Negli anni in cui veniva presentato e discusso questo lavoro, era forte negli Stati Uniti il dibattito sull’opportunità di avviare una complessiva riforma del sistema metropolitano dei servizi pubblici che rafforzasse il ruolo, i poteri e le competenze delle istituzioni, a fronte di un’organizzazione tradizionalmente frammentata e fortemente localistica.
La ricerca dei due studiosi, invece, voleva mettere in evidenza l’utilità di un sistema metropolitano di tipo policentrico, organizzato intorno ad una molteplicità di attori diversi rappresentati da poteri pubblici, soggetti appartenenti al terzo settore o al settore privato, agenzie e compagnie con funzioni specifiche.
Il cittadino rappresentato come attore razionale sarebbe stato capace di scegliere tra quei servizi ritenuti più efficienti, effettivi e responsive evitando le problematiche tradizionalmente associate al monopolio dell’offerta dei servizi da parte del soggetto pubblico.
Il principio di fondo era stato elaborato qualche anno prima dallo stesso Tiebout ed è comunemente riassunto nell’espressione voting with one’s feet: l’esistenza di molteplici e concorrenti costituencies locali permette al cittadino di scegliere quella giurisdizione dotata del sistema di servizi/costi a lui più favorevole (TIEBOUT, 1956; DOWDING / PETER / BRIGGS, 1994).
Il quadro di riferimento complessivo è quello dell’individualismo metodologico ed ancora oggi nei diversi modelli che costituiscono il panorama della teoria delle scelte razionali esso costituisce uno degli approcci più rilevanti alla governance (BEVIR / RHODES, 2001).
Anche in questo caso il dibattito è segnato da profonde differenze tra Stati Uniti ed Europa, particolarmente sulla natura altamente frammentata delle aree urbane statunitensi a confronto con il maggiore accentramento amministrativo che caratterizza quelle europee.
È comunque possibile identificare due tradizioni diverse e oppositive che a partire dagli anni ’60 hanno costituito gli estremi dell’asse di dibattito e d’intervento sulla riforma delle amministrazioni metropolitane: la metropolitan reform tradition da un lato, ed il public choice approach dall’altro lato.
Se la prima pone la propria attenzione sulla necessità di consolidare il governo locale in funzione delle necessità e dell’evoluzione urbana, la seconda metteva al centro dei propri percorsi il mercato e la società civile che sarebbero dovuti diventare i principali attori di sviluppo in un contesto pluralistico.
Nelle sue diverse forme il dibattito tra reformers e teorici della transaction costs metropolitan governance è durato a lungo, fino a trasformarsi negli anni più recenti grazie ai contribuiti comparativi che provengono dagli Stati Uniti ma anche dalle ricerche europee, asiatiche ed africane.
Se i nodi problematici del dibattito sui sistemi di riforma urbana sono gli stessi, i temi ed i modelli d’intervento appaiono completamente mutati.
A partire dagli inizi degli anni ‘90 ha assunto una crescente importanza la new metropolitan governance che pur rielaborando i presupposti del dibattito precedente ne evidenzia la distanza dalle contemporanee realtà metropolitane.
Il nuovo approccio «argues that metropolitan governance is constructed through the relations between policy relevant actors within incrementally assembled, issue-based co-operational arrangments» (D.
KÜBLER / H. HUBERT, 2002: 9; DENTE, 1990; LE GALÈS, 1995; HEALEY ET ALII, 1995; BAGNASCO / LE GALÈS, 1997; BENZ, 2001).
La governance urbana costituisce, in sostanza, un processo di negoziazione e pianificazione che coinvolge attori molteplici, gerarchicamente non omogenei, la cui cooperazione è però alla base dei processi di policy-formulation e policy-making.
Le modalità di negoziazione e cooperazione, così come il ruolo e la natura degli attori, non sono definibili a priori ma sono il prodotto di condizioni specifiche.
Questo nuovo approccio non ha fatto scomparire il dibattito tra reformers ed esponenti della transaction costs governance, poiché gli schemi di coordinamento di politiche orientate allo scopo (purpose-oriented schemes of policy coordination) e che costituiscono il nucleo di ciò checompone la corrente e più generale definizione della nuova governance urbana s’integrano con gli assunti di fondo delle due precedenti tradizioni.
Nella prima, essi costituiscono gli stati intermedi verso il consolidamento istituzionale, nei teorici della public choice invece essi non rappresentano altro che una parte del sistema delle autonomie locali.
La nuova governance urbana ha dato vita a moduli di presa della decisione pubblica fondati su forme molteplici di cooperazione tra attori, e non su quelli più tradizionali dell’obbligazione politica o centrati sulla concorrenza del mercato.
Né, quindi, un modello che tende verso la costruzione di strutture di governo territoriali accentrate, e neppure un modello che sposi l’immagine di località autonome tra loro in competizione; piuttosto, un policy network approach teso a mostrare come gli aggregati metropolitani possano dare vita a sistemi di organizzazione che restano ibridi tra mercato e gerarchia.
In tal senso, Kübler e Hubert sottolineano come questa «new vision on metropolitan governance is reflecting debates in political science which have addressed the shift “from government to governance” since the last twenty or thirty years by emphasising the importance of functional interest intermediation as opposed to territorial interest intermediation, i.e.
based on territorially defined system of representation and parliamentary decision making» (KÜBLER / HUBET, 2002: 10).
La maggiore elasticità di questo approccio ha dato vita ad una grossa mole di ricerche comparative tra modelli di gestione urbana esercitati in contesti differenti (SAVITCH, 1988; BARNEKOV / BOYLE / RICH, 1989; JUDD / PARKINSON, 1990; LOGAN / SWANSTROM, 1990; KEATING, 1991; STOKER / MOSSBERG, 1994; JUDGE / STOCKER / WOLMAN, 1995; per un approccio comparativo con un’attenzione particolare al contesto nazionale della governance urbana: KANTOR / SAVITCH / HADDOCK, 1997; WOLMAN / GOLDSMITHS, 1992; FAINSTEIN, 1994.
Ancora diverso è l’approccio di Di Gaetano e Klemanski, 1999).
In tutti questi casi, i temi di dibattito restano il ruolo delle istituzioni di governo locale, gli obiettivi cui le pratiche di governance urbana possono concretamente aspirare a raggiungere, il ruolo dei cittadini nel processo di policy-making, la qualifica e la natura degli attori deputati alla partecipazione al processo amministrativo e gestionale.
Ugualmente significativa è la molteplicità dei progetti internazionali di governance urbana sviluppatisi nell’ultimo decennio: tra essi il progetto Urban Development Cooperation delle Nazioni Unite; lo Urban Management Programme (UMP) sviluppato da UNDP/UNCHS e dalla Banca Mondiale; il LIFE (Local Initiative Facility to the Urban Environment) finalizzato a promuovere la cooperazione e il dialogo tra municipalitità, organizzazioni non governative e comunità attraverso l’implementazione di progetti su piccola scala; il Public-Private Partnerships Programme for the Urban Environment (PPPUE) che supporta joint ventures finalizzate a trasformare in opportunità di sviluppo economico le problematiche ambientali che si presentano in diversi contesti urbani; lo Urban Governance Initiative (TUGI) il cui campo d’interventi è su scala macroregionale riguardando l’Asia e il Pacifico.
Tutti questi progetti, in sostanza, hanno a modello teorico di riferimento quello che è stato definito policy network approach e sembrano avere come assunti di riferimento quelli della legittimità (legitimacy) dell’operato, della sua effettività (e ectiveness) e della efficienza (e iciency) (OECD, 2001).
Tuttavia, il rapporto tra efficienza amministrativa e partecipazione democratica resta ambiguo, poiché se una certa chiusura del processo di policy-making è rivendicata come necessaria per garantirne l’efficienza, il livello e le forme di tale chiusura condizionano direttamente le possibilità di esercizio di una cittadinanza partecipativa.
Il nodo cruciale nella costruzione di quell’insieme di policy networks che strutturano un sistema di governance urbana starebbe proprio nella tensione tra questi due termini e, come si mostrerà più avanti, questa stessa tensione è presente al centro dei più significativi mutamenti dell’amministrazione statale.
4. la governance e le trasformazioni nell’amministrazione e nel diritto amministrativo
I mutamenti intervenuti nel governo locale e urbano con la comparsa di attori nuovi e con l’attuazione di processi di policy-making dalla natura purposive e multidimensionale hanno incisoprofondamente nell’organizzazione degli stati, ed hanno determinato l’uso crescente delle pratiche di governance nella pubblica amministrazione.
Se a ciò si aggiunge il ruolo crescente giocato dalle istituzioni sovranazionali e le trasformazioni proprie delle contemporanee democrazie rappresentative, ci si rende conto che l’amministrazione, così come è andata sviluppandosi in quello che è stato definito lo stato keynesiano, è significativamente mutata.
Un primo, significativo, cambiamento è relativo proprio alla natura dello spazio amministrativo, sia in ragione delle trasformazioni del ruolo e degli attori decisionali, sia in relazione alla crescente importanza assunta dal mercato come fattore regolativo.
Il confine che separa il governo e l’amministrazione da ciò che risiedeva al loro esterno sembra essere sempre più incerto, e se è vero che il governo e gli organi amministrativi e burocratici continuano ad essere i principali motori del processo di presa ed attuazione della decisione pubblica, è anche vero che sempre più spesso e nei contesti più disparati un numero crescente di altri attori sono chiamati ad operarvi legittimamente.
Come ha convincentemente argomentato Martin Shapiro «the decisionmaking process is no longer seen as one in which private activity occurs around government decision-making, or seek to influence decision-making.
Rather, the very distinction between governmental and non-governmental has become blurred, since the real decision-making process now continually involves, and combines, public and private actors» (SHAPIRO, 2001: 369).
Similmente, Jan Koiman ha sottolineato che «the place of the boundaries between state and society changes», ed ha messo in evidenza come i confini stessi tra questi due termini tendono a diventare sempre più permeabili.
L’interazione crescente tra stato e società avrebbe così ad oggetto proprio la natura del loro confine e le responsabilità da attribuire ai rispettivi attori.
Ed in questo innovativo processo d’interazione risiederebbe la «basic matters of governance» (KOOIMAN, 1993: 4).
Governance che a suo parere può essere tanto più effettiva quanto è capace di cogliere la dinamicità, complessità e multiformità che caratterizza le società contemporanee.
Particolarmente negli Stati Uniti, il processo di trasformazione dei confini tra stato e società è cominciato già negli anni ’60 attraverso la complessiva riforma dell’apparato burocratico e amministrativo ispirata a princìpi teorico-politici di matrice pluralista.
Obiettivo della riforma era quello di rendere lo stato più trasparente, trasformando il processo di rule-making nel frutto di un dialogo tra parti sociali e istituzioni.
Il risultato è stato il mutamento significativo dell’istituzione pubblica in soggetto mediatore e regolativi il cui scopo è quello di agire come «facilitator of a direct agreement among interest groups» (SHAPIRO, 2001: 371).
Questo processo, attraverso il ricorso all’interazione tra gruppi d’interesse e la partecipazione a networks consultivi o attuativi, nonché alle più diverse comunità epistemiche, ha effettivamente ampliato la partecipazione ai momenti della decisione politica ed alla gestione dell’amministrazione pubblica.
Il progressivo sottrarsi dell’autorità politica dal controllo e dalla gestione di molti dei settori dell’amministrazione attraverso la riformulazione della legge amministrativa in un senso «more market-oriented, flexible, cooperative, and informal» (AMAN, 2001: 381) ha però comportato la deregulation di ambiti tradizionalmente gestiti dal settore pubblico.
Queste trasformazioni hanno profondamente scosso la base procedurale pubblica stabilita dall’Administrative Procedure Act e dalla Due Process clause; il primo finalizzato a definire le procedure di garanzia per il cittadino a fronte dello stato, il secondo teso a stabilire gli spazi di autonomia decisionale del potere pubblico.
È accaduto che un’amministrazione fortemente ancorata agli interessi del mercato, organizzata su procedure negoziali tra attori pubblici e privati, e provvista di alto grado d’informalità, è venuta via via sostituendo il proprio potere decisionale con l’esercizio di funzioni regolative o di supervisione.
Ciò però ha comportato il depotenziamento della propria capacità di operare a garanzia dei singoli cittadini, poiché nei percorsi della negoziazione non gerarchica e informale proprie delle nuove pratiche amministrative le regole stabilite dal Due Process Clause non si applicano (STEWART, 1975).
Per quanto concerne il panorama europeo, invece, i mutamenti più significativi nell’amministrazione pubblica non tanto sono definiti nei termini della costruzione di un modello amministrativo orientato al mercato, quanto dall’adeguamento delle strutture dei diversi stati membri al complesso amministrativo comunitario.
Per quanto concerne l’Italia, Giorgio Giraudi, in un suo studio sulla nascita di una politica dell’antitrust in Italia, ha messo in evidenza come essa sia stata «un importante esempio di policy change che avviene in un contesto di transizione sistemica sotto la spinta di un vincolo esterno» (GIRAUDI, 2000: 285).
L’intreccio tra le dinamiche di trasformazione del governo di partito in Italia ed i mutamenti nella governance europea avviati con l’approvazione dell’Atto Unico Europeo avrebbero permesso che le spinte provenienti dall’interno dell’arco politico ed economico italiano verso l’affermazione di una legislazione in materia di “anti trust” trovassero un esito positivo.
Legislazione, peraltro, che si è mossa a favore dell’istituzione di un’autorità amministrativa indipendente attraverso la legge 297/90 sulla scia delle scelte europee.
Nel suo lavoro, Giraudi ha anche messo in evidenza come l’approvazione dell’Atto Unico ed il nascere di un mercato unificato abbiano reso possibile il costituirsi di uno spazio amministrativo europeo sovraordinato rispetto a quello nazionale che può concretamente fungere da potere superiore «perché è in grado di formare l’agenda politico-istituzionale e di influenzare marcatamente il timing del processo legislativo…; perché ha una forte influenza nell’indicazione preventiva di quali debbano essere le scelte istituzionali da compiere affinché la normativa nazionale trovi il consenso degli organi comunitari…; perché la prevalenza del diritto comunitario e delle conseguenti regolamentazioni fa sì che il dibattito nazionale sia costretto a rincorrere le novità provenienti dal livello comunitario» (GIRAUDI, 2000: 277).
Significativo, allora, è il depotenziamento di quella modalità di rapporto tra gli stati europei che è stata definita come intergovernamentalista, basata cioè sul presupposto dell’unanimità necessaria a raggiungere una qualsiasi decisione a livello europeo.
La possibilità che su aspetti importanti dell’economia e dell’amministrazione possa valere il principio di maggioranza ha sottratto potere agli stati nazionali che, con la regola dell’unanimità, potevano conservare un sostanziale controllo residuale esercitabile nella forma del veto.
Il processo di armonizzazione degli ordinamenti amministrativi dei singoli stati all’ordinamento europeo è oggi condizionato anche da altri temi cruciali quali l’applicazione dei princìpi di proporzionalità e sussidiarietà nelle sue varianti verticale e orizzontale che sono tra i fattori di maggiore trasformazione e riassetto dello spazio politico comunitario.
Questi princìpi, sui quali torneremo più ampiamente nelle prossime pagine, definiscono le procedure per l’individuazione dei soggetti che di volta in volta devono farsi carico del policy-making e della produzione di legislazione su temi specifici.
Ciò dovrebbe rendere possibile la definizione chiara dei livelli d’intervento delle istituzioni europee così come di quelle nazionali, regionali e locali.
Evidentemente, ciò implica il complessivo ristrutturarsi dei livelli di governo (e di governance) europei.
Trasformazioni che hanno importanti ricadute sulla tenuta della democrazia rappresentativa.
Un ulteriore piano problematico è offerto proprio dall’ampliarsi e dal rafforzarsi del ruolo svolto da authorities e agencies.
Lo stesso Giraudi, insieme con Maria Stella Righettini ha sottolineato come, sul piano dell’amministrazione, la governance richiami l’idea di un insieme di sub-sistemi di governo basati sull’interdipendenza e la co-decisione tra attori nessuno dei quali in una posizione di assoluto predominio nel controllo di una determinata risorsa.
In sostanza, essa attuerebbe un sistema di controllo pluralistico e negoziato le cui modalità d’azione sono finalizzate a ridurre il conflitto o la sua espansione nell’attività di governo.
In questo contesto, se vale la rappresentazione della governance come network, le A.A.I.
opererebbero come nodi di reti e verrebbero chiamate ad esercitare poteri decisionali pubblici ma esterni allo stato.
Come sottolineano i due studiosi, l’istituzione di un numero crescente di authorities è divenuta un elemento caratterizzante del nuovo governo delle policies in opposizione al più tradizionale governo della politics: «le autorità indipendenti possono essere considerate tra i fenomeni più rilevanti dell’evoluzione dei sistemi di governance delle democrazie occidentali.
Esse rappresentano il passaggio da sistemi istituzionali di governo, prevalentemente fondati sulle istituzioni della rappresentanza (partiti e parlamenti) e orientati alla centralità delle funzioni di inputs, a sistemi digoverno orientati alla rivalutazione di modalità d’azione più orientate all’efficienza e all’efficacia degli outputs» (GIRAUDI / RIGHETTINI, 2002: 202).
La ragione di questo processo risiede nel tentativo attuato attraverso la delega delle funzioni di policy-making ad istituzioni non rappresentative di dare una risposta al problema della scarsa continuità e stabilità degli indirizzi di programmazione, generata dall’acuìrsi dello scarto temporale e programmatico tra il ciclo di policy e quello elettorale.
La formazione di agenzie semiindipendenti e la creazione di A.A.I.
accentua la de-politicizzazione della funzione regolativa dell’amministrazione.
I processi di adattamento dell’amministrazione e del diritto amministrativo alle evoluzioni del mercato ed alle trasformazioni dello stato in un contesto globalizzato hanno incontrato, e ancora incontrano, forti resistenze.
Le ragioni sono molteplici e valgono per tutte le trasformazioni in atto sia nelle strutture amministrative europee, sia in quella molto diversa degli Stati Uniti.
In primo luogo, esse implicano una maggiore apertura dell’amministrazione statale a norme, procedure e leggi internazionali; in secondo luogo, al depotenziamento dell’autorità pubblica segue quasi parallelamente un allargamento degli spazi discrezionali degli attori coinvolti nel processo di decision making; in terzo luogo, un simile approccio è accusato di favorire un populismo di mercato che sbilancia il processo di decisione politica o amministrativa a favore di interessi forti.
Infine, alla maggiore trasparenza dello stato avrebbe fatto seguito, quasi paradossalmente, l’opacità dei percorsi e dei soggetti decisionali.
Con l’affermarsi di un numero crescente di policy networks è difficile per il cittadino poter esercitare un controllo sulla decisione politica poiché sono sempre meno chiari i luoghi in cui essa è assunta, ed i soggetti realmente decisionali, «“Governance” by “network” and epistemic community has the opposite effect ».
While every interested group may partecipate in the decision-making progress, the voters have no idea whom to reward or blame for results they like or dislike» (SHAPIRO, 2001: 371).
Esemplare, in tal senso, è l’operato della Commissione Europea che, a fronte dell’evidente crisi di legittimità del proprio ruolo ed operato, ricerca attraverso strumenti non rappresentativi, ma consultivi e partecipati, una nuova fonte di legittimità politica.
Così facendo, da un lato, si allarga lo spazio disponibile per gli attori nel processo di policy-making (e resta comunque diverso quanto accade per il processo di policy-formulation o per le procedure di definizione dell’agenda), dall’altro lato, tuttavia, si restringono gli spazi per la partecipazione degli individui, che vedono depotenziato lo strumento elettivo e rappresentativo sul quale si basa ancora oggi l’esercizio della cittadinanza politica moderna.
È una delle contraddizioni più evidenti quella secondo cui, alla maggiore partecipazione dei gruppi d’interesse alla presa di decisione politica o più generalmente pubblica, si affianca la crescente opacità degli spazi a disposizione del singolo cittadino.
Il Libro bianco sull’unica possibile forma di governance europea
Il documento preparatorio alla stesura del Libro bianco, intitolato « Un libro Bianco sul sistema di governo europeo » esprimeva la convinzione che la promozione di nuove forme di governo per l’Europa fosse tra le maggiori sfide che l’Unione doveva porsi nel nuovo millennio.
Rifacendosi al documento « On our global Neighbordhood », la Commissione U.E. riteneva di dover accogliere il suggerimento a darsi regole che le offrissero consenso e che trovassero «effettiva applicazione su scala planetaria, anche in mancanza di un governo mondiale» (SEC, 2000: 3).
Prospettando un sistema di governo multilivello strutturato sui princìpi di trasparenza, responsabilizzazione ed efficienza, si è in realtà voluto affrontare il problema della democrazia nella Comunità Europea poiché «la riforma dei metodi di governo europeo si inquadra a tutti gli effetti nella prospettiva di un approfondimento della democrazia europea» (SEC, 2000: 4).
La governance del Libro bianco nasce da questi presupposti, presentandosi come la trasformazione dell’assetto esecutivo ed amministrativo dell’Unione.
Essa è genericamente definita come «le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai princìpi di:
apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza» (COM, 2001: 8n).
Lo scopo della Commissione è quello di adottare per il governo dell’Unione «un’impostazione meno verticistica … integrando in modo più efficace i mezzi d’azione delle sue politiche con strumenti di tipo non legislativo» (COM, 2001: 4).
I mutamenti proposti vanno innanzitutto nella direzione di garantire l’apertura delle politiche europee verso i cittadini attribuendo un più ampio ruolo consultivo alle parti sociali e garantendo una competente informazione sui percorsi dell’Unione; perché questo sia possibile è necessario stabilire standards e buone pratiche di consultazioni sulle proprie politiche, e favorire l’istituzione di accordi di partenariato e collaborazione con attori extra e para-istituzionali nell’implementazione delle policies.
La partecipazione dei cittadini è quindi richiesta per il processo di policy-making, ed è resa possibile solo per via indiretta attraverso gli strumenti della consultazione allargata al processo di policy-formulation.
In tal senso, la partecipazione dei cittadini assume le vesti di una expertise allargata più che quella dell’attiva collaborazione ai processi di formulazione ed esecuzione.
Un secondo obiettivo posto al processo di riforma della governance europea è quello di migliorare le politiche e gli strumenti di normazione e legislazione.
A tal fine la Commissione s’impegna a diversificare gli strumenti a propria disposizione, a semplificare il diritto comunitario, ad utilizzare maggiormente il parere degli esperti, a fissare i criteri per istituire nuove agenzie di regolazione ed a definire il contesto giuridico nel quale queste ultime dovranno operare.
Infine, è apparso necessario anche ripensare il ruolo delle istituzioni europee, particolarmente dell’esecutivo, per garantire una maggiore coerenza alle politiche attuate, stabilire responsabilità chiare, e definire orientamenti strategici a lungo termine.
In tal senso, il Libro bianco sulla governance europea, prima ancora che la definizione dei princìpi di una buona governance, sia una riflessione sul potere esecutivo dell’Unione, sugli strumenti di cui esso dispone, sui suoi rapporti con gli altri poteri.
Quasi a testimonianza della lontananza dell’Unione dai propri cittadini, le consultazioni intorno al Libro bianco, durate otto mesi, hanno raccolto un numero relativamente limitato di contributi, circa 250, per la gran parte provenienti dal mondo politico e, significativamente, dalla Gran Bretagna.
I pareri emersi sono, tuttavia, importanti perché presi complessivamente indicizzano gli aspetti problematici del modello di governance proposto dalla Commissione Europea.
Come sottolinea la stessa Commissione di studi sulla governance «the public response has largely supported the White Paper’s definition of the principles underlying European governance of openess, partecipation, accountability, e ectiveness and coherence, while principles such as democratic legitimacy and subsidiarity have been proposed as addictions» (COM, 2002:2).
In questo stesso report, la Commissione riassume in tre punti i suggerimenti ricevuti dalla consultazione.
In primo luogo verrebbe confermato l’intento di valorizzare i percorsi di partecipazione dal basso (bottom-up) sia nei processi di implementazione delle policies, sia in quelli di policy-formulation.
In secondo luogo, è accolta l’idea di estendere il ventaglio degli strumenti legislativi ed esecutivi «to respond to new governance challenges» attraverso la definizione di nuovi e più flessibili dispositivi di policy (policy tools) da affiancare alla legislazione e amministrazione tradizionale.
Infine, è emersa l’esigenza di prestare una maggiore attenzione alle istituzioni europee esistenti per attribuire loro responsabilità e ruoli più chiari.
Un’ampia parte del dibattito sul Libro bianco ha contestato l’immagine di una governance articolata a partire dal principio di maggiore efficienza, e ciò perché non si è posta una sufficiente attenzione al problema della legittimità democratica degli strumenti e degli attori coinvolti nel policy-making.
Più in generale, non si è in alcun modo diminuito quel deficit democratico che ha a lungo caratterizzato i processi di integrazione europea.
Nel report, tuttavia, si sottolinea come «…the White paper focused on improving the Commission’s own role as policy initiator and executive, and less on its role as a European civil service and public administrator» e si rimandano, quindi, questi temi alla definizione di uno «stable institutional and Treaty framework with a reinvigorated method at its core» (COM, 2002: 6); assetto che sarebbe garantito dai lavori della Convenzione Europea da ultimarsi nel 2004.6.
il nodo della sussidiarietà Tra le critiche più forti svolte al progetto di riforma sulla governance europea, e più in generale intorno al riassetto dei poteri e delle competenze, vi sono quelle che giungono dalle diverse municipalità e regioni.
Sono critiche che si soffermano su di un particolare aspetto della proposta di riforma della governance europea, quello del ruolo svolto dal governo locale, regionale e municipale nei processi di policy-making dell’Unione.
In risposta al Libro bianco, la presidenza del Parlamento basco sottolineava come «it is difficult to ask for active involvement in the practical setting up of any project from those who have been excluded from its initial planning stage. When applying principles of complementarity and co-operation, the participation of sub-state entities when they have power in the field in question, ought to include the three phases of the decision making process: planning of measures, decision-making and programme monitoring»
(PRESIDENCY OF THE BASQUE PARLIAMENT, 2003).
Su un piano diverso, ma complementare, il Consiglio delle Municipalità e delle Regioni Europee (CEMR), ha messo in evidenza come il Libro bianco avrebbe dovuto definire più chiaramente quei princìpi e quelle buone pratiche costituenti la base per il futuro governo dell’Unione.
In particolare, l’attuazione concreta di una governance centrata sulla prossimità delle istituzioni ai cittadini non dovrebbe esulare dalla riformulazione dei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità, resi inefficaci dal loro regolare esclusivamente i rapporti tra Comunità Europea e stati membri (CEMR, 2003).
Infatti, la riforma dell’esecutivo europeo si affianca al processo di ristrutturazione politica e amministrativa che ha preso avvio con l’approvazione dell’articolo 3B del trattato di Maastricht, diventato poi l’articolo 5 del Trattato di Amsterdam (1997), e che ha il principio di sussidiarietà al suo centro.
Principio secondo il quale «l’azione della Comunità, entro i limiti delle sue competenze, sia ampliata laddove le circostanze lo richiedano e, inversamente, ristretta e sospesa laddove essa non sia più giustificata» (EU, 1997, disp. 1).
Sintetizza bene Enrico Bonelli quando scrive che «il nucleo irriducibile del concetto è, in ogni caso, il suo carattere relazionale: fra entità istituzionali e/o sociali di dimensioni diverse, la cura degli interessi deve essere rimessa, di norma e di preferenza, alla entità più piccola, perché più vicina a colui che è portatore dell’interesse considerato» (BONELLI, 2001: 19-20).
Principio diverso, ma la cui applicazione viaggia parallelamente a quello della sussidiarietà, è quello di proporzionalità, secondo cui «l’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del trattato» (EU, 1997, disp. 1).
In altre parole, esso impone che l’autorità superiore utilizzi i mezzi strettamente necessari al raggiungimento dello scopo preferendo la via più semplice e ricorrendo solo in ultima istanza alla via legislativa tradizionale.
In allegato al trattato di Amsterdam vi è un Protocollo sull’applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità nel quale è previsto che ogni anno la Commissione s’impegni a stilare un bilancio su detta applicazione a livello comunitario.
L’importanza di questi princìpi per quanto concerne la riforma della governance europea risiede in almeno tre aspetti: a) in primo luogo il principio di sussidiarietà identifica la serie degli attori istituzionali europei secondo una precisa scala gerarchica, determinandone in via generale i rapporti così da favorire quelli collocati più vicino ai cittadini.
Tuttavia, se è vero che il principio è finalizzato a limitare l’intervento dei poteri più alti, è pure vero che in assenza di un giudice istituzionalmente deputato a risolvere i conflitti tra i poteri (giustiziabilità), oppure di una precisa codifica delle procedure e dei campi di applicazione (procedimentalizzazione), il principio può funzionare come strumento d’ingerenza dei poteri gerarchicamente più alti a fronte di quelli inferiori.
In breve, la concreta attuazione del principio di sussidiarietà può favorire oppure ostacolare una governance intesa come ridefinizione in senso non gerarchico e partecipativo del policy-making europeo.
b) L’attuazione chiara del principio di sussidiarietà e l’applicazione dei criteri di necessarietà e di proporzionalità/adeguatezza possono offrire un assetto più chiaro al rapporto tra istituzioni europee e stati.
Tuttavia, col trattato di Amsterdam, il quadro normativo si è confuso ulteriormente, poiché se nella prima parte dell’allegato si mira ad attenuare l’incidenza del principio col timore che possa depotenziare il processo di accentramento politico dell’Unione, le disposizioni espresse nella seconda parte del Protocollo riportano invece al centro i limiti dell’azione comunitaria, particolarmente quando si sostiene che l’intervento della Comunità deve essere giustificato da indicatori qualitativi o quantitativi che mostrino chiaramente che l’azione autonoma degli stati membri in un dato ambito problematico non sia efficace.
c) Il principio di sussidiarietà, insieme con i criteri di necessarietà e di proporzionalità/adeguatezza, quando non identifichi esclusivamente dei criteri di riparto tra le competenze di diversi attori istituzionali organizzati secondo un governo multilivello, può costituire un effettivo principio di governo locale e non gerarchico.
In effetti, nella scia del dibattito sorto intorno al Libro bianco si è cominciato a riflettere su una diversa formulazione del principio di sussidiarietà, la cui funzione tuttavia sarebbe complementare al modello tradizionale di tipo verticale.
Nella sua versione orizzontale essa definirebbe le relazioni e i rapporti tra l’autorità pubblica europea (o statale) e la società civile variamente intesa; particolarmente nei contributi provenienti dalle organizzazioni non governative, del terzo settore, dei movimenti civili e politici, essa è individuata come uno strumento capace di limitare il deficit democratico dell’Unione.
Se la sussidiarietà verticale potrebbe garantire percorsi di performance legitimacy e di regime legitimacy, il principio nel suo senso orizzontale offrirebbe invece quella più ampia polity legitimacy che la governance europea e particolarmente il modello emerso nel Libro bianco non è in grado di produrre.
In tal senso, il modello che compare nel Trattato di Amsterdam sarebbe espressione di una executive subsidiarity finalizzata quindi alla protezione delle prerogative dell’esecutivo europeo e non di una democratic subsidiarity tesa ad offrire le più ampie garanzie verso i diritti dei cittadini (BERMANN, 1994).
Come nota de Búrca (1999: 10): «…in the EU context, the rhetoric of citizens’ rights and closeness to the citizen is regularly invoked, although what appears in the primary legal text is the executive version, with subsidiarity as a principle appearing to protect Member State powers against encroachment by the Community organs rather than to protect individual rights and interests in the making of policy».
In tal senso, la definizione di una qualche sussidiarietà democratica costituisce un’esigenza particolarmente pressante anche in relazione alla precisa affermazione della Commissione europea secondo cui il principio di sussidiarietà «has nothing to do with a ‘democratic deficit’ that has to be made good: it should not be confused with democratic control of Community action» (COM, 1998: 3).
Tuttavia, a differenza del principio di sussidiarietà verticale, la sua interpretazione orizzontale manca di una qualsiasi forma di concreta attuazione politica o giuridica rimanendo, in sostanza, un criterio orientativo senza alcuna pratica indicizzazione o implementazione.
Infine, è ancora diversa la codifica del principio di sussidiarietà attiva teso a valorizzare i percorsi di partecipazione diretta ai processi politici da parte di soggetti dalla natura istituzionale e non istituzionale (vedi: POCHET, 2001; CALAME, 2003).
Le difficoltà di attuazione del principio di sussidiarietà, anche solo nella sua variante verticale, sono molteplici e risiedono principalmente nel carattere ancora incerto del rapporto tra la sovranità statale e ordinamento politico comunitario (DE BÚRCA, 1999).
Se da un lato la sussidiarietà sembrerebbe conservare prerogative d’intervento e d’esercizio del potere politico agli stati, dall’altro lato, la sua attuazione in senso radicalmente federalistico o municipalistico sposterebbe l’equilibrio politico su un asse costituito dalle istituzioni comunitarie e dalle regioni (su questo tema vedi: COTTURRI, 2001).
È evidente come su questo tema siano in gioco la natura e l’articolazione della sovranità europea che a partire da una governance multilivello potrebbe prendere corpo come sovranità divisa (divided sovereignty) o come sovranità condivisa (shared sovereignty).
7. Global governance, difficoltà dello Stato-Nazione e crisi della sovranità politica
Il confronto sulla governance politica, sia quella che coinvolge gli spazi amministrativi o metropolitani, sia quella che colloca al proprio centro i nuovi modi di produrre decisione politica a livello macro regionale (UE) o globale (ONU), parte dal presupposto che le forme tradizionali del government statale siano in difficoltà.
Una condizione, questa, che non è la semplice espressione della difficoltà di gestire per via istituzionale una realtà in continuo cambiamento, ma che rimanda ad una crisi, o pretesa crisi, dello Stato-Nazione, ed alla tenuta sempre più labile dei meccanismi della sovranità politica moderna.
Così come lo spazio tradizionalmente assegnato all’amministrazione statale si assottiglia e diviene sempre più incerto, allo stesso modo quello spazio politico e territoriale sul quale si è costituita l’autorità politica statuale sembra perdere consistenza: «Globalization is reshaping the fixed and firm boundary between domestic and international spheres, and changing our conception of the proper domain of domestic and international politics and law» (JAYASURIYA, 1999: 1).
A ben guardare, il confronto ancora aperto sulle forme ed il senso della contemporanea crisi dello stato condiziona profondamente le diverse ipotesi di governance, ed è certamente utile tracciare un indice di quei fattori di difficoltà dell’autorità politica moderna che ne sono lo stimolo e il presupposto.
Non è semplice indicizzare tutti i fattori che incidono e condizionano lo stato nei suoi poteri, ed è ancora più complesso anche se più rilevante a lungo termine fare luce sulle ragioni profonde che risiedono alla base delle difficoltà dell’impianto giuridico-politico della sovranità.
La gran parte degli studiosi mettono oggi in evidenza come il ruolo e il potere dello StatoNazione territorialmente organizzato venga progressivamente trasformandosi, sia in relazione agli sviluppi ad esso esterni, sia in relazione alle sue intrinseche trasformazioni.
Nel suo The Retreat of State, Susan Strange ha descritto la condizione di progressiva ritirata dello stato a fronte degli sviluppi di un sistema dell’economia mondiale sempre più impersonale e autonomo (STRANGE, 1996 e 1995).
Lo stato è obbligato a disertare e sottrarsi all’esercizio del tradizionale ruolo di gestione e controllo delle dinamiche economiche internazionali poiché i mercati e in particolar modo quello finanziario sfuggono alla presa di soggetti organizzati territorialmente.
In ragione del fatto che gli spazi ed i tempi dell’economia non coincidono più con quelli dello stato, il rapporto tra quest’ultimo e la politica si configura come un elemento destabilizzante e di crisi della sovranità statale.
La tesi della studiosa statunitense è certamente importante, tuttavia le ragioni delle difficoltà della sovranità statale sembrano essere più complesse.
La ricerca contemporanea mette in rilievo anche altri fattori, tra i quali il potenziarsi del ruolo svolto dalle istituzioni sovranazionali che sottraggono dall’alto alla sovranità statale funzioni e poteri, ed il progressivo strutturarsi di una rete di poteri pubblici globali che costringono l’autorità statale in una maglia di rapporti e relazioni strutturate e formalizzate.
Lo stato sembra perdere autonomia decisionale (sia sul piano legislativo che su quello esecutivo) e potere d’intervento in alcuni dei campi cruciali della politica: l’economia, la moneta, la gestione delle risorse ambientali, i flussi migratori.
Certamente su altri aspetti fondanti la sovranità, quali l’integrità territoriale o il potere di dichiarare la guerra, poco sembra essere cambiato, anche se la costituzione di forze multinazionali d’intervento o la pressante intermediazione (talvolta ingerenza) d’istituzioni internazionali nei conflitti tra stati sono indici importanti dei mutamenti in atto.
Ancora, all’affermarsi di una sempre più pervasiva globalizzazione economica si accompagna lo svolgersi di una mondializzazione dei processi culturali che mette in scacco la pretesa di identità culturale che sottende il modello dello « stato nazione ».
Arjun Appadurai ha evidenziato come si compongano spazi comunicativi ed esperienziali che attraversano i soggetti in modo trasversale e che compongono identità multiple, articolate intorno ad una dimensione spaziale globale (APPADURAI, 1996).
Di rilievo è anche la tesi del sociologo tedesco Ulrich Beck (1986: 18) che ha descritto il costituirsi di una nuova società del rischio nella quale «l’accrescimento del potere del “progresso” tecnico-economico è messo sempre più all’ombra dalla produzione dei rischi….
Essi non possono più essere circoscritti a luoghi o gruppi come avveniva nel XIX e nella prima metà del XX secolo con i rischi relativi al lavoro di fabbrica o ad un’attività professionale, e mostrano invece una tendenza alla globalizzazione che comprende produzione e riproduzione, sfugge ai confini nazionali, e in questo senso produce minacce globali sovranazionali indipendenti dall’appartenenza di classe…».
Anche solo questi pochi indici mettono in rilievo l’erosione progressiva dei poteri e della consistenza di quello che è stato definito come lo stato westfaliano.
Le variabili geopolitiche definite dalle allocazioni delle risorse energetiche, ambientali e comunicative privilegiano modelli di organizzazione economica e politica di tipo macro regionale o globale.
Gli sviluppi di un’economia mondiale sempre più globalizzata, anche grazie al ruolo crescente svolto dalle tecnologie dell’informazione e comunicative, ha completamente ridefinito gli spazi ed i tempi dell’agire politico.
In tal senso, dopo l’89 sembra essersi avviata una complessiva e accelerata redistribuzione dei poteri su scala planetaria che, da un lato, ha confermato l’affermazione di una relativa supremazia statunitense, ma che, dall’altro lato, ha pure favorito l’accelerazione del processo di unificazione europea, al pari del costituirsi di altre rilevanti aree geopolitiche relativamente autonome.
A questi fattori di erosione del modello di sovranità statale territoriale legati alla globalizzazione economica ed alla mondializzazione dei rapporti sociali, politici, culturali, si affiancano i processi diversi ma complementari dello svuotamento di poteri dello stato, sia per l’affermazione di processi di governance amministrativa, sia per l’erosione dei suoi poteri verso il basso a favore di regioni, autorità locali e municipalità.
Il progressivo policentrismo dell’ordinamento statale, l’affermarsi di poteri pubblici non statali, la crisi del welfare state sono fattori che sottraggono poteri e funzioni cruciali alla tenuta del tradizionale modello « giuridico politico » della sovranità.
Non ultime le difficoltà di quelle procedure di governo rappresentativo su cui poggia l’architettura complessiva della cittadinanza politica nelle contemporanee democrazie rappresentative.
Come sintetizza efficacemente Kanishka Jayasuriya, «the concept of the sovereign state as an entity that has exclusive jurisdiction over its territory (with the concomitant limitation on external enchroachment on its power), as well as the notion of an internal sovereignty reflected in the internal unity of the State and its “monistic” legal order, need rethinking» (JAYASURIYA, 1999: 1).
Il moltiplicarsi degli organismi e dei poteri internazionali strutturati secondo multiple loyalties, la condizione di profonda ambiguità nell’assetto dei poteri e delle autorità politiche, il ruolo crescente svolto da élites transnazionali, il crollo della centralità del fattore spaziale nella costruzione dei poteri pubblici: tutti questi fenomeni hanno spinto alcuni critici ad interpretare la nuova organizzazione mondiale dei poteri come un processo di rifeudalizzazione (CERNY, 1998; MINC, 1993; RUGGIE, 1993; KOBRIN, 1999).
Con quest’analogia si vuole in particolare mettere in evidenza la rete sempre più fitta dei rapporti tra poteri diversi, non sempre gerarchicamente ordinati, che favoriscono lealtà multiple e dipendenze reciproche.
Il sistema internazionale degli “stati-nazione”, nato con la pace di Westfalia, sarebbe messo definitivamente in crisi dall’emergere di una pluralità di attori diversi che fondano la propria presenza sulla scena globale a partire da presupposti diversi da quelli che caratterizzavano la politica estera dei tradizionali poteri sovrani.
Peraltro, questa condizione corrisponderebbe ad una parallela balcanizzazione degli esecutivi degli stati dovuta al moltiplicarsi di agenzie, authorities e poteri locali.
Fenomeno, quest’ultimo, da intendersi come la progressiva moltiplicazione nelle strutture di governo di A.A.I.
dotate di funzioni legislative ed esecutive autonome (o relativamente autonome).
Da un simile panorama emergono almeno tre differenti ipotesi relative alla condizione dello stato.
Una prima ipotesi è relativa al suo progressivo declino e arretramento, in ragione dell’incapacità a reagire ai mutamenti intervenuti a causa della globalizzazione economico finanziaria.
In atto ci sarebbe un percorso di vera e propria dissoluzione dello stato (prospettiva costruzionista) a favore di attori nuovi (CAPORASO, 2000; CAMILLERI / FALK, 1992).
Una seconda ipotesi, che trova un maggiore consenso nel dibattito scientifico, è quella secondo cui lo stato attraverserebbe una fase di erosione dei suoi poteri, assorbiti e sottratti da spinte regionalizzanti o macroregionali.
L’autorità statale si avvia a diventare un potere intermedio in una nuova scala di autorità pubbliche assumendo ruoli e funzioni diverse (STRANGE, 1996; ROSENAU, 1992; CASSESE, 1999; KUDRLE, 1999; KAHLER / LAKE, 2003; NYE / DONHAUE).
Infine, altri autori sostengono che le difficoltà dello stato quando non siano meramente congiunturali non sono indicative di un processo di decadimento dell’autorità politica statale, ma del suo adattarsi ad un contesto nuovo (KRASNER, 1999; per una interpretazione critica: BORDIEU, 1998).
Lo stato si starebbe riarticolando per affrontare con strumenti nuovi i processi di globalizzazione e di accelerazione dei mutamenti intervenuti attraverso le nuove tecnologie comunicative (CERNY, 1999; MAJONE / LA SPINA, 2000).
Peraltro, le linee essenziali di questo sviluppo sembrano seguire l’immagine tradizionale dello stato minimo, ed effettivamente i fautori di questo modello tendono ad interpretare la globalizzazione economica come la variabile indipendente di un processo complesso nel quale le scelte dell’autorità pubblica si configurano, invece, come variabile dipendente.
Tutti questi temi si accompagnano al dibattito crescente sul deficit democratico che caratterizza sia gli ordinamenti internazionali, sia i processi di ridefinizione del policy-making a livello locale, regionale, nazionale e internazionale.
Come ha messo in luce Ralph Dahrendorf, la crisi della democrazia oggi è in gran parte «una crisi di controllo e legittimità di fronte ai nuovi sviluppi economici e politici» (DAHRENDORF, 2001: 7).
Questa crisi vede strettamente connessi due momenti diversi: in primo luogo quello della ristrutturazione dell’ordinamento giuridico-politico della sovranità nazionale a fronte dei processi di mondializzazione economico-finanziaria e di globalizzazione culturale e politica; in secondo luogo, il riassetto a livello planetario dei poteri in particolare attraverso la costruzione di organismi sovranazionali dal carattere non rappresentativo (WTO, G8, IMF, Nato, World Bank...).
Lo stesso Dahrendorf ritiene che esista un collegamento diretto tra la crisi della democrazia e quella degli Stati-Nazione.
Questo aspetto del contemporaneo confronto politico è di rilevante importanza per comprendere le ragioni e le critiche ai contemporanei modelli di governance politica.
Infatti, le contemporanee ipotesi sulla governance partono dal presupposto che le tradizionali procedure del governo rappresentativo non consentono un’efficace partecipazione alla presa di decisione pubblica della società civile; pertanto, attraverso i meccanismi diversi del partenariato, della negoziazione, delle reti di networks o delle consultazioni allargate si ritiene di poter recuperare una partecipazione qualificata alla politica.
Per altri versi, l’allargarsi di queste procedure, con il moltiplicarsi del numero e della natura degli attori e lo spostamento della presa di decisione pubblica in contesti diversi da quelli istituzionalmente codificati, rende sempre più difficile la comprensione e la partecipazione del singolo cittadino.
La natura collettiva degli attori e degli interessi che emergono nei nuovi processi decisionali sottrae spazio e terreno all’individuo portatore di diritti su cui si basa il moderno governo rappresentativo.
Le molteplici e spesso differenti articolazioni della governance globale si pongono come obiettivo quello di offrire una risposta efficace ai problemi della convivenza planetaria, senza utilizzare i moduli tradizionali della politica inter statale.
In effetti, sul piano della politica mondiale vige un regime di rapporti nel quale l’unica organizzazione planetaria l’Organizzazione delle Nazioni Unite non sembra esercitare alcun effettivo potere coercitivo.
Peraltro, la sovranità statale si mostra incapace nell’affrontare le sfide e i rischi della globalizzazione e della mondializzazione.
Pertanto, la governance globale si presenta come la trasposizione su di un piano politico nuovo dei temi e dei problemi posti della globalizzazione economica e dalla mondializzazione sociale e culturale.
La global governance rappresenta in primo luogo il tentativo di identificare sullo scenario planetario attori diversi dagli stati.
In secondo luogo, essa vuole proporre rapporti politici ed economici non organizzati (o non esclusivamente organizzati) intorno ai tradizionali moduli delle relazioni interstatali che possano contribuire al benessere ed allo sviluppo complessivo del pianeta.
Infine, essa rappresenta una nuova definizione della misura e dei rapporti tra i poteri su scala planetaria.
In tal senso, la definizione di governance offerta da James Rosenau mette proprio in evidenza come essa presupponga la costruzione di un ordine globale centrato sull’operato intenzionale di attori molteplici: «governance and order are clearly interactive phenomena.
As intentional activities designed to regularize the arrangements which sustain world affairs, governance obviusly shapes the nature of the prevailing global order.
It could not do so, however, if the patterns constituting the order did not facilitate governance» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 8).
Essi utilizzano modalità diverse e non conflittuali di rapporto e cooperazione per raggiungere fini comuni non specifici, ed in tal senso rappresentano un piano sostanzialmente diverso da quello degli international regimes.
Peraltro, il momento dell’intenzionalità sottolinea come nei rapporti di governance l’aspetto prescrittivo l’uso in sostanza della forza sanzionatoria propria dello stato sia esclusivamente una variabile contestuale.
Sul piano critico, le osservazioni di Rosenau sono certamente utili e ci permettono di evidenziare come il concetto di ordine che sottende l’idea di una governance globale esprima sia una tensione analitica, sia una tensione normativa.
Da un lato, essa rappresenta una categoria per la descrizione dei tratti di governo globale propri dei processi di globalizzazione o di mondializzazione, dall’altro essa è utilizzata per proporre buone pratiche (good governance).
In particolare, è a partire da questo secondo aspetto che si possono tracciare le differenze più significative tra modelli differenti di governance che, se trovano nei tre aspetti segnalati in precedenza i loro tratti unificanti, sul piano del dibattito e dell’intervento politico propongono soluzioni sensibilmente diverse.
La buona governance che emerge dallo Human Development Report 2002 curato dalle Nazioni Unite è centrata su alcuni indicatori (benchmarks) attraverso i quali quantificare il grado di sviluppo economico, politico e civile dei diversi stati.
Tra essi vi sono indicatori per la quantificazione della corruzione, delle tensioni etniche, della qualità amministrativa, dell’accountability democratica, della stabilità governativa, delle condizioni socioeconomiche generali.
A questi indicatori propri di una governance politica se ne affiancano altri, relativi a quelle economica e civica: se per la prima troviamo l’inflazione, il deficit pubblico, l’incidenza sul prodotto interno lordo delle spese per l’educazione e la sanità, per la governance civica gli indicatori sarebbero rappresentati dalla libertà d’espressione, dalla non-discriminazione, dalla partecipazione politica, dall’effettività del rule of law 1 .
Profondamente diverso, invece, è l’approccio di realtà più vicine al mondo dell’associazionismo, delle NGO’s e dei movimenti civili e politici per le quali un compiuto discorso sulla buona governance rappresenta innanzitutto un discorso sui nuovi diritti di globalizzazione e su di una cittadinanza mondiale (FONDATION CHARLES LEOPOLD MAYER, 2001; CALAME, 2003; FALK, 1994, 1999).
Se appare problematica l’affermazione di attori politici con una dimensione mondiale capaci di farsi promotori di processi di integrazione e sviluppo comune e coordinato a livello planetario, è tuttavia importante che in contesti come questi si cerchi di armonizzare i percorsi della governance globale ai diritti e ai doveri di attori collettivi ma anche individuali.
Certamente, i tradizionali appelli all’ONU si scontrano con la realtà interstatali che non permetteno l’attribuzione di un ruolo centrale né alle Nazioni Unite e neppure ad una tanto vagheggiata, quanto inesistente, comunità internazionale.
Peraltro, l’affermazione della centralità dei diritti umani quando non si accompagni ad una loro riformulazione e ad un’attenzione ai percorsi della partecipazione politica e della legittimità democratica rischia di scivolare nella giustificazione dei moderni conflitti e nell’astratta tutela di diritti non fruibili; oltre a costituire uno strumento di controllo più che di effettiva liberazione.
Brevi considerazioni conclusive sulla governance politica
I temi e i problemi che compongono ciò che si usa codificare con il termine governance sono complessi e diversificati.
Tuttavia, è forse possibile individuare alcune linee tematiche e concettuali attraverso le quali caratterizzare e accomunare l’emergere di diversi discorsi in un ambito politico.
Se lo scopo di questo contributo è stato quello di mettere in evidenza i principali percorsi tematici di alcuni tra i contemporanei usi della governance, è tuttavia importante segnalare alcuni snodi di particolare rilievo per la teoria politica che emergono da questi percorsi.
In tal senso, interpretazioni della governance che attribuiscono a questa categoria ogni forma di organizzazione dell’azione collettiva, e che quindi non hanno ad esplicito riferimento quelle nuove forme politiche che affiancano o sostituiscono il tradizionale governo, non sono l’oggetto di queste riflessioni; riflessioni, peraltro, che valgono esclusivamente come indici di una ricerca appena avviata.
1 È forse indicativo delle contraddizioni di un metodo quantitativo il fatto che nel report delle Nazioni Unite Israele mostri un coefficiente di human development più alto di stati come il Portogallo e la Grecia.In primo luogo, l’apparente confusione tra i diversi contesti semantici ed i molteplici livelli operativi e d’intervento che segnano le contemporanee teorie della governance non è la semplice espressione di un lavoro ancora in fieri della comunità scientifica oppure il frutto di una vulgata mass mediatica: piuttosto, ci sembra costituisca un tratto essenziale di una modalità di organizzazione politica che si caratterizza proprio per la trasversalità nei livelli d’intervento (locale, nazionale, internazionale), per la multiformità dei moduli operativi e dei saperi esperti che ne codificano l’intervento, per la pluralità degli attori.
Il rapporto stretto tra la governance e l’economia di mercato, con la centralità riferita ai momenti diversi della definizione degli obiettivi e degli attori, struttura il legame tra la governance economica e quella politica.
Valgano le osservazioni della sezione di questo lavoro dedicate alla governance corporata per mostrare come anche in ambito politico la definizione degli stakeholders costituisca un criterio cruciale.
La governance nasce in un contesto pluralistico nel quale gli attori interagiscono attraverso una razionalità che consiste innanzitutto nella relazione tra costi e benefici.
Similmente stretto è il rapporto con i piani diversi dell’amministrazione, del governo locale, del governo nazionale o sovranazionale, della globalizzazione economica.
La governance mostra quanto ogni livello sia sistematicamente interrelato con tutti gli altri; l’incontro tra le tecniche e i saperi che guidano l’intervento in ognuno di essi deve incontrare quelli provenienti dagli altri livelli.
Per fare un semplice esempio, i progetti di riforma e riassetto urbano sono strutturati intorno alla relazione tra attori e problemi locali, regionali e macroregionali.
In secondo luogo, la governance è un modello di conflict resolution tra attori portatori di interessi potenzialmente conflittuali; essa rappresenta un insieme di dispositivi di problem solving e di governo del conflitto.
In tal senso, ricondurla al panorama delle diverse teorie della conduzione politica (steering) permette di indicare come al di là delle reti di co-decisione e della molteplicità degli attori sia sempre possibile individuare un luogo di direzione politica.
Similmente, lo studioso Paul C.
Schmitter ha rilevato come dietro le politiche di governance ci sia sempre presente the shadow of the state, l’ombra dello stato a garanzia dell’esercizio di un potere coercitivo 2 .
Ci sembra utile, in tal senso, l’indicazione di B.
Guy Peters secondo la quale se intendiamo i processi di globalizzazione come la variabile indipendente, la governance è allora la variabile dipendente; le istituzioni di qualunque natura costituiscono invece quella interveniente (PETERS, 1998; PETERS / PIERRE, 2000a e 2000b).
Come abbiamo visto in precedenza, la definizione della Commission on Global Governance è da questo punto di vista indicativa: la governance è descritta come un processo di composizione d’interessi differenti e conflittuali che si pone l’obiettivo di definire pratiche cooperative e interessi comuni.
In un simile contesto, la composizione del conflitto non è la ricerca di un accordo sulla politica da seguire, piuttosto essa è la definizione di obiettivi specifici (setting goals) e degli strumenti più idonei al loro raggiungimento.
Attraverso questa pratica di basso profilo si ritiene di poter indirizzare e neutralizzare il conflitto politico.
Abbiamo visto come nell’UE, a partire dal Libro bianco, ma anche intorno ad una serie diversa di documenti e temi relativi alla comitology, all’OMC e alla sussidiarietà, si tenti di dare una risposta alla natura altamente conflittuale delle istituzioni e degli attori che la compongono: i rapporti difficili tra stati membri e istituzioni europee, quello altrettanto complesso tra potere esecutivo e potere legislativo, quello tra governi locale, nazionale ed europeo, infine la sfiducia e la distanza più volte segnalata dai popoli d’Europa.
Tutte queste linee di frattura richiedono un intervento che i tradizionali moduli della politica interstatale, del governo rappresentativo e dell’organizzazione gerarchica non sono capaci di offrire; e ciò a fronte della particolarissima sfida posta dal processo di unificazione politica.
È forse questo il senso di quella che viene comunemente descritta come governance multilivello.
La sussidiarietà, particolarmente per il panorama europeo, rappresenta lo snodo dell’articolazione dei poteri e dei conflitti nei diversi contesti.
Importante, in tal senso, è l’osservazione di Gráinne De Búrca sulla sussidiarietà europea secondo cui essa «can also be more 2 In una comunicazione orale tenuta a Napoli il 4 maggio 2004 per il dottorato di Analisi e Interpretazione della Società Europea, Dipartimento di Discipline Storiche “E. Lepore”.
Egli sottolinea pure come a quella dello stato si affianca quella del mercato; entrambe fungono da precondizioni della governance. « Broadly understood as part of a language which attempts to rearticulate and to mediate, albeit within this particular geographical and political context, some fundamental questions of political authority, government and governance which arise in an increasingly and interdependent world » DE BÚRCA, 1999: 3).
Ancora, Jachtenfuchs (2001: 246) sottolinea come la governance rappresenti «the intentional regulation of social relationships and the underlying conflicts by reliable and durable means and institution, instead of the direct use of power and violence».
Essa non elimina, ma ritraduce la forza e la violenza attraverso i propri dispositivi particolari.
Non è un caso che per alcuni studiosi il rapporto tra conflitti e governance sia ancora più profondo; Ernest-Otto Czempiel, in particolare, sottolinea che i conflitti nella moderna società industriale rappresentano un complesso sistema di organizzazione sociale: «Conflicts between industrialized societies should be understood as highly complex system of governance» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 270).
Se ciò è vero, i conflitti si configurano come una dimensione ineliminabile di quella che è comunemente definita globalizzazione.
Scrive ancora lo studioso che «to understand modern conflicts as systems of governance is to grasp the growing importance of societies and the degree of interdependence between them» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 270).
Secondo questo modello i conflitti sono parte ed espressione naturale di una governance globale.
Parallelamente, il percorso di democratizzazione liberale che è il motore di questo processo attribuisce una nuova centralità all’individuo, rendendolo oggetto del sistema internazionale: «Understanding international systems as systems of governance also leads to the insight that the object (and subject) of foreign policy is not the state but the individual.
While strategy of deterrence and neo-realism neglected the individual, the strategy of democratization, and liberal theory, center around it» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 271).
Czempiel coglie un punto importante quando sottolinea che l’individuo è l’oggetto della politica estera rappresentata dalla governance liberale e democratica.
L’importanza di quest’aspetto appare evidente nei termini in cui gli attori dei diversi sistemi di governance sono corpi collettivi e gruppi: corporazioni, ONG, associazioni, governi, assemblee, istituti.
La buona governance si presenta agli individui sui quali interviene come uno strumento di miglioramento della loro condizione, pur non lasciando loro alcuno spazio significativo d’intervento e di azione.
Il percorso di depotenziamento dei moduli tradizionali della sovranità politica apre sicuramente a sviluppi innovativi; tuttavia, la permanenza della centralità negli attuali sistemi politici democratici dell’individuo portatori di diritti universali in un contesto nel quale i meccanismi di garanzia e tutela di questi diritti risultano progressivamente indeboliti non può che suscitare forti contraddizioni.
Se è vero che la governance è «explicitly concerned with the regulation of all “social relationship”, including those ‘private’ social and economic actors» (WALKER, 2001) si può forse sostenere che l’individuo è prevalentemente un oggetto di discorso e d’intervento, e non certo il soggetto di politiche nuove.
In tal senso, appaiono rilevanti le notazioni di Eriksen sulla domestication che la definizione di una buona governance opera sulla società nel suo complesso, quasi a riproporre un modello di contemporaneo disciplinamento.
Altre importanti indicazioni su quest’aspetto provengono da studiosi che mettono in evidenza la relazione stretta tra le contemporanee pratiche di governance e quanto il filosofo francese Michael Foucault ha definito come governamentalità (DOUGLAS, 1999; WOLF, 2000; e Borrelli nella presente raccolta).
In terzo luogo, su un piano diverso e più strettamente legato all’esercizio del potere politico, uno degli aspetti più significativi della governance è il suo rappresentare un insieme di processi di ristrutturazione del potere fortemente centrati sull’esecutivo, e che pongono al centro dei propri percorsi i corpi e gli interessi collettivi.
Il depotenziamento dei dispositivi dell’obbligazione politica determinato dalla output legitimacy e la centralità che assume il momento dell’attuazione delle politiche comportano l’accrescimento della discrezionalità nell’operato politico.
Lo spostamento progressivo da un operato legato alla politics verso il primato della policy segna il profondo mutamento del termine stesso di politico che assume vesti nuove legate alla volontarietà delle consultazioni, all’operato dei saperi esperti, al ruolo primario delle gerarchie informali e della base economica e finanziaria.
Il rischio costante di una governance dei comitati, degli esperti, deivoluntary agreement o delle consultazioni informali è dato della negoziazione occulta tra interessi e poteri forti.
In sostanza, è quella governance post parlamentare dagli esiti profondamente elitistici che emergeva come esito possibile del percorso europeo.
Si potrebbe argomentare, e in modo forse paradossale, che in un contesto simile è la partecipazione ai processi di governance a garantire la cittadinanza e la legittimità del ruolo di ogni attore; nel contempo, tuttavia, i canali della partecipazione e gli spazi di agibilità politica si restringono per tutti quegli attori i cui interessi non trovino un’adeguata rappresentazione collettiva.
Le difficoltà profonde dello Stato-Nazione e delle organizzazioni politiche democratico rappresentative sono innegabili.
Che la governance, variamente intesa o applicata, possa rappresentare uno strumento realmente innovativo e capace di allargare gli spazi di partecipazione politica è probabilmente un giudizio prematuro.
E ciò è tanto più vero se si considera che i rischi di un esito neo-oligarchico e tecnocratico di questa nuova saggezza conservativa restano alti 3 .
Il misconoscimento del carattere politico e conflittuale della governance e l’illusione di poter fare completamente a meno del piano della tradizionale legittimità democratica per via rappresentativa rischiano di renderla lo strumento di interessi forti.
E non vi è semplicemente da tener conto dell’esigenza di strutturare un corretto equilibrio tra partecipazione politica ed efficienza per rendere la governance una buona governance.
Importante è anche porre al centro di questi nuovi processi il singolo, prima ancora che gli interessi strutturati; non il soggetto astratto della modernità politica, che nei meccanismi sperimentati della rappresentanza politica ha trovato nel bene e nel male i percorsi del proprio sviluppo.
E neppure il soggetto razionale del mercato la cui realtà resta parziale e profondamente conflittuale (BORRELLI, 2001).
Se del primo la governance vuole esplicitamente fare a meno, poiché l’architettura dei poteri che lo costituiscono e che ne offrono la realizzazione quel panorama insomma ancora oggi offerto dalla sovranità appare un fattore frenante più che un termine d’innovazione, il secondo resta un modello possibile.
Modello, tuttavia, che taglia la complessità e multiformità della vita associata sull’unico aspetto dell’uomo economico.
È da una diversa attenzione alla complessità dei singoli, ed a partire dai loro contesti di vita, che è forse possibile tentare di definire una più compiuta partecipazione politica e civile.
A partire da qui, ogni sperimentazione e percorso d’innovazione delle istituzioni sociali e politiche sarebbe forse possibile.
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Euro vs. Gettoni di spesa
Dovreste tutti sapere che da sempre Cina, Russia, Usa, Corea, Brasile, ecc. stampano valuta a piacere. Lo fanno anche se i nostri bancari sono RETICENTI sull’argomento oppure dicono addirittura che ciò non é vero. Noi cosa possiamo stampare ? Buoni. Quanti ne vogliamo. Anche voi potete, figuratevi lo Stato.
C'è poi un'altra novità: i « gettoni di spesa » sono detti ad es. Bitcoin e ne esistono ormai circa altri 300 tipi con nomi diversi nomi.
Non é corretto chiamarle cripto valute perché « valute » non sono.
Se lo Stato stampasse dei buoni obbligazionari di risparmio,, non in valuta ufficiale ma in gettoni elettronici di spesa come i bit Coin, non creerebbe debiti verso euro ad esempio e quindi non dovrebbe chiedere il permesso all'euro banca B.c.e.
In pratica dovremmo sostenere l'economia delle piccole imprese e le routine essenziali minime quali quelle del mantenimento sanitario, alimentare e sociale interne al Paese, supportando questa economia di base interna con dei buoni di spesa o di lavoro interni emessi in gettoni di spesa anziché in valuta ufficiale.
Se ripercorriamo la storia dell'Euro possiamo tutti ricordare che il medesimo ci ha fatto perdere il 50% dei nostri valori immobiliari e mobiliari immediatamente alla sua instaurazione.
Infatti a ricordarti tutti che il cambio fissato ad un mezzo circa è stato per noi una perdita immediata.
Successivamente l'euro fallimento si è manifestato con la perdita del 25/30 percento rispetto il dollaro che è sotto gli occhi di tutti accumulata nel primo ventennio di vita di questa euro moneta.
Quindi abbiamo pagato circa 9 miliardi di interessi per 20 anni a questa banca che ministro è la moneta unica per un totale di circa 20 miliardi all'anno per vent’anni, accumulando così un debito totale di circa 200 miliardi per interessi e spread, verso quell’Europa bancaria dei quali siamo stati pure co fondatori.
Oltre a questo abbiamo portato il nostro debito pubblico dai 1600 miliardi iniziali ai 2400 miliardi attuali con un ulteriore indebitamento di 800 miliardi verso Europa.
In totale quindi siamo già perdenti dei mille miliardi verso l'Europa adesso ne chiedessimo altri mille così per fronteggiare l'emergenza presto saremo costretti a dover svegliare i nostri territori italiani al Benelux e a Germania e Francia solo per pagare il debito pubblico creato dagli interessi illegittimi e dalle restrizioni creditizie pilotate.
La BCE questo lo sa benissimo ed è per questo che vuole continuare a propinarci il MES è lo strumento debitorio per Stati falllimentari.
In realtà è che la commissione Europea è un organo troppo capoccione testone zuccone per deliberare nuovi strumenti finanziari e quindi vuole propinarci il suo Mass e neppure prende in considerazione la stampa di un nuovo strumento di liquidità attraverso l'emissione di « buoni coronavirus europei ».
Ulteriormente per fronteggiare la crisi coronavirus gli altri paesi del mondo hanno stampato 2000 miliardi Stati Uniti 1000 miliardi Giappone chissà quanti la Cina chissà quanti Brasile perché loro possono fare quello che vogliono stampano quello che vogliono mentre noi italiani abbiamo assistito alla Germania che si è auto assegnata 1150 miliardi attraverso il sistema dei punti la Francia ne ha chiesti 500 e noi inizialmente avevamo chiesto solo 350 e siamo ancora oggi nel dubbio di passare attraverso lo strumento del Mes piuttosto che lo strumento dei buoni di liquidità coronavirus europei che ancora non sono stati decretati.
La realtà che gli Zucconi europei ci mettono troppo a mettersi al tavolo e fare una delibera di un nuovo strumento avrebbero dovuto fare questi buoni europei subito chiamandoli coronavirus bond per esempio invece sono ancora lì che insistono come degli Zucconi a propinarci lo strumento del Mes che si usa solo per i paesi fallimentari come si è dimostrato la Grecia rischia di diventare poi come la medesima ovvero un paese che deve cedere il proprio territorio ai paesi che dominano La bici è che sono Germania Lussemburgo Belgio e Olanda.
Non so perché non sussista sensibilità in Italia su queste reali possibilità di evitare la morsa del debito nella quale ci vogliono spingere questi paesi europei ma probabilmente è perché il pensiero dominante del main stream continua utilizzare le masse ei risparmiatori Borghesi provinciali dipendenti dalle destre e benpensanti bancari perché loro hanno il conto in banca pieno facendo credere loro che vada tutto bene e che l'unico Dio valutario che possa esistere su questo mondo sia solo l'euro.
Quindi noi non riusciamo a prendere una decisione sull'adozione di questi semplici buoni di risparmio e di lavoro e Messi in unità di conto alternativa che possiamo chiamare benissimo pietroni di spesa o gettoni di lavoro?
il motivo principale è appunto che il sistema bancario vuole sostenere se stesso a tutti i costi: l'esistenza dei posti di lavoro bancari che altro non fanno che accendere nuovi debiti per far fallire il sistema le imprese e le persone onde poter sequestrare casa abitazione beni mobili e immobili ed averi per pagare i debiti e in ultima istanza ricadrebbero su di loro ovvero su tutti noi.
Il motivo predominante é la mancanza di coraggio collettiva e quindi del presidente che non vuole fare brutte figure vorrebbe che tutta la gente fosse d'accordo mentre tutta la gente pensa che sia il presidente insieme al governo a dover decidere la soluzione migliore. Questo empasse fa peggiorare sempre di più la situazione. Per creare dei buoni in bitcoin non ci vuole niente eppure nessuno lo fa perché i canali main stream non lo sostengono. Non possono sostenerlo altrimenti fallirebbe immediatamente l'euro gruppo che non avrebbe più modo di vederci la moneta unica. Siamo italiani, noi abbiamo inventato le monete e la civiltà dobbiamo di dimostrare ancora una volta a tutti quello che valiamo.
Anche il Papa e il Vaticano sanno della possibilità di questi buoni alternativi ma non vogliono o non possono dirlo.
Anche la Banca di B. conosce questa potenzialità di concessione naturale del credito, come tutte le banche lo sanno, solo che non possono dirlo, perché altrimenti chiuderebbero i loro battenti.
Tiriamo un po' fuori tutti quanti le palle?
Grazie.
Note a piè pagina
Questo sono solo alcuni degli Autori impegnati nella materia della governance globale
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Eliminare i
Burattinai disumani
Trattato sulla riorganizzazione mondiale all’insegna della equità dell’economia e della fiscalità globale, dell’etica civica multietnica, della democrazia diretta apartitica che curi in tempo reale le priorità reali
DATI CONTENUTI NELL’OPERA
Bevi cenni di storia economica contemporanea
Quadro congiunturale previsionale 2016-2021 con commenti e osservazioni
Considerazioni del post colonialismo commerciale e bancario e dei suoi effetti sociali nel primo quarto di secolo del secondo millennio A.C.
A.d. 2020:
La sopravvivenza dei burattinai NON E’ AVVENUTA
Citazioni che hanno ispirato il teorema del libro
“Herman fabulae huic ponit historiam observationes fecit vitae posteritatis”
“In un epoca di menzogne universali, dire la verità è un atto rivoluzionario”
George Orwell
La favolosa storia dell’ Organizzazione Domestica moderna
“Correva l’anno 2011 d.c., quando la società globale del pianeta terra stava per essere totalmente dominata dalla razza umana allora predominante ovvero da quella casta globale dei burattinai anche detta dei “rettiliani, illuminati, massoni, calabro anglosassoni ecc.”, che avevano rifondato le regole globali.
Ad opera di burattini da essa forgiati quali intrattenitori, satrapi, guru, terroristi, e ragionieri… abilmente indotti nel loro inconsapevole lavoro quotidiano dell’ignorare i lati umani del povero ed eseguire rigidamente le prassi aziendali, la casta globale mantenevano abilmente la manipolazione globale del branco, sottoponendo la società a continue torture mediatiche e catastrofali pilotate... ”
Ermanno Faccio (Possibile incipit di un nuovo colossal)
“Questa razza subumana ma dominante, sviluppatasi silenziosamente e in modo strisciante nel corso degli anni dai tempi dei Babilonesi ad oggi, proveniva da una genealogia non ben definita, ma da alcuni considerata come ultraterrena; una razza particolare come quella dei “Neither Man” che era già stata definita dai tempi dei Romani.
Dopo la crisi dei derivati del 2008, la società non mostrando ancora sufficienti segni di cedimento, necessitava di un’ulteriore ondata di terrore universale, onde far cadere “il branco” nella sottomissione psicologica totale ad opera della casta mondiale.”
“Siamo alla vigilia di una trasformazione globale: ci serve solo la crisi giusta e le nazioni accetteranno il nuovo ordine del mondo”
David rockefeller
Alla famosa ricetta dittatoriale dell’epoca Romana “Panem et Circenses” la casta a partire dall’ anno 1995 pensò e deliberò che si dovesse sin da allora aggiungere una correzione letale per definitivamente addivenire alla depravazione sociale totale.
La miscela “Auctione, Alea et Meretricium” propria dell’allora vigente epopea “espropristica, borsistica, lotteristica e sessista” che la governance internazionale stava mantenendo in tutti i paesi del Globo, sembrava la più adatta per gettare i popoli di tutte le nazioni nell’oblio della retta via, nella perdita di fiducia nei valori istituzionale, civili e religiosi.
Fu così che presto si giunse alle soglie di una nuova grande e importante crisi mondiale, come quelle che in passato ci furono negli anno 1929 ecc.
La crisi mondiale, veniva vissuta come una novità intangibile, e con una totale inconsapevolezza storica da parte dei popoli nuovi, che invadevano ormai tutti i Paesi una volta loro coloni, per la legge creata dalle di questi stessi ultimi, indotte dalla casta e ad opera delle gerontocrazie di burattini politici, stanchi ed esausti, ormai caduti in una sorta di sindrome psicologica di involuzione post colonialista.
Le piazze dei paesi
Le piazze dei paesi e delle cittadine Europee, erano ormai piene di gente, coppie e carrozzine con bambini di tutte le razze, tranne quella autoctona ormai in via d’estinzione e le genti nelle strade parlavano lingue sconosciute ai locali, che venivano via via sempre più isolati dal gruppo lavoratore attivo, sia come gruppo etnico che idiomatico.
Gli immigrati provenienti da paesi poveri, affamati e preoccupati solo ad ottenere un risultato, riuscivano infatti in pochi anni a formare e ad aprire anche tre o quattro aziende, senza difficoltà.
Mentre i residenti invece, pur proprietari di abitazioni o aziende storiche, colpiti dalle tasse e dalle banche prestatrici di denaro che veniva stampato ormai a piacere, perché conosciuti come proprietari immobiliari, subivano gli effetti della crisi del debito, e chiudevano a raffica le loro ditte o vedevano chiudere le ditte per le quali lavoravano per i più svariati motivi tra i quali crisi settoriale, livello di produttività basso, clima aziendale pessimo, macchinari e attrezzature obsolete, scarsa organizzazione, canali di vendita inadeguati, insufficienza delle vendite, insolvenza grave dei clienti, evoluzione della domanda, incapacità manageriale, legislazioni destabilizzanti, mancanza di tutela da parte dei pubblici amministratori, demotivazioni personali dei titolari, alti indebitamenti, fallimenti, ecc..
Le nuove fabbriche e i nuovi sindaci
Se le piazze dei paesi erano visibilmente ormai gremite da popolazioni non autoctone, appartenenti alle culture più svariate, e in ogni negozio gestito da Cinesi appariva puntualmente un gruppo di bambini Cinesi, e così in un negozio gestito da arabi, egiziani, turchi, greci, rumeni, marocchini, tunisini, indiani, ecc, l’osservatore ne deduceva che ben presto i capi delle fabbriche del paese, presto sarebbero divenuti stranieri, e così sarebbe avvenuta necessariamente a breve anche per il padrone della stessa fabbrica, il Prete della Chiesa, e il Sindaco del Paese, e così infatti fu.
Mentre a San Marino la legge stabiliva che per possedere la cittadinanza sanmarinese si dovesse permanere nel granducato per almeno sette generazioni, in Italia ed Europa ne bastava solo una, e forse solo mezza e nessuna legge fu mai varata per tutelare il patrimonio etnico italiano.
I muri che i nonni dei cittadini autoctoni avevano lasciato in eredità dopo averli strenuamente difesi nelle guerre storiche, mantenuti e tramandati alla generazione attuale, sia per cessione, sia per fallimento, venivano levati a quest’ultima, che si vedeva così “soffiare” millenni di storia in un solo ventennio di “world globalization”.
Ma quali furono le vere cause di tutto questo processo? Perché gli americani fecero entrare da sempre nei loro territori prima orde di navi con lavoratori africani, e poi altri da tutto il resto del mondo, facendo dell’immigrazione un buisness per lo stesso mantenimento statale in vita?
Perché i Francesi prima colonizzanti e poi colonizzati dai suoi stessi coloni, che di riflusso sono entrati ad invadere la Francia da diversi anni non è stata capace di riprodursi a sufficienza, per creare il numero di contribuenti voluto dal proprio capo di gabinetto del tesoro, utilizzando la genealogia autoctona?
Perché lo stesso hanno fatto i tedeschi, tanto che un turista che passava casualmente da Hannover, assisteva all’effettiva invasione di Turchi nelle discoteche tedesche, unica razza questa ben tollerata evidentemente dal razzismo ariano?
E Perché ora tutto questo stava avvenendo nella sacra Italia, nonostante nessun cittadino lo avesse voluto?
Doppio papato straniero uguale a doppia immigrazione indesiderata
E’ vero che ormai si può ipotizzare qualunque cosa ci passi per la testa, ma quella del Papa polacco prima, e del papa tedesco poi, oltre che a trasformare le auto blu statali, da marca italiana ad estera, ha sicuramente influito sull’aumento dell’afflusso di circolazione di stranieri dall’Africa per l’Europa, attraverso il territorio italiano.
Che dire poi, durante questo doppio papato, della sparizione dell’autorità ecclesiastica di un tempo, durante il quale se si parlava male, si veniva censurati, e in tv non si praticava certo il torpiloquio odierno.
Per fortuna che l’ultima fumata bianca ci ha regalato la simpatia di Papa Francesca, che, senza togliere nulla ai suoi predecessori, detiene sicuramente il merito della popolarità, nel senso relativo del termine.
Senza inoltrarci nelle spiegazioni di questo fenomeno, possiamo dire che la grande audience di Bergoglio è dovuta sia alla sua particolare formazione gesuita - che evidentemente ha un effetto reale sui popoli - che alla sua personale intelligenza viva e semplice: l’umano sa riconoscere bene questi valori.
Ma cosa riesce a portarci questo nuovo papa, anch’esso seppur potente, limitato dalle contestualità vaticane e internazionali? Staremo a vedere. Sicuramente non possiamo fare anticipazioni profetiche, ma solo accennare alla sensazione di convincimento che questo Pontefice riesce ad offrire alle persone, può essere un indizio che giustificherà il sempre crescente audience che sta avendo questo grande vescovo della Comunione tra i Popoli.
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo
Le recenti discussioni sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportano di attualità un vecchio quesito: quale andamento ha lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda è stata analizzata la dimensione economica dei primi Paesi (con popolazione superiore a un milione di abitanti) dal 2000 al 2008, convertendo in dollari i loro dati sul Prodotto interno lordo (Pil).
E per evitare le distorsioni causate dal fluttuare dei cambi – per cui da un anno all'altro il Pil in dollari di un Paese può anche raddoppiare o dimezzarsi, togliendo ogni significato alle comparazioni internazionali – si è adottato il metodo dei "cambi di lungo termine".
Infatti, secondo la dottrina delle parità di potere d'acquisto, dati due Paesi, esiste tra loro un tasso di cambio di equilibrio a lungo termine la cui variazione dipende dalle oscillazioni del rapporto tra prezzi interni ed esteri.
Il cambio di equilibrio include anno per anno un aggiustamento per il differenziale d'inflazione. Sarebbe però necessario scegliere un anno-base al quale agganciare la compensazione.
Per superare tale arbitrarietà, il metodo del cambio di lungo termine consente di definire sia i valori annuali del cambio, sia la generale posizione di equilibrio a lungo termine.
Per la crescita reale dei Paesi dal 2000 al 2008 e per la popolazione sono stati utilizzati dati e stime del Fmi, tratti dall'ultimo "World Economic Outlook", dell'ottobre 2007.
Nel 2008 il Pil mondiale era previsto in 56.777 miliardi di dollari a prezzi correnti e la popolazione in 6.658 milioni, rispetto a 6.028 milioni e 35.960 miliardi nel 2000. Esclusa l'inflazione del dollaro, l'incremento risulta del 3,4% annuo. Con 14.596 miliardi gli Stati Uniti rappresentavano il 25,7% del Pil mondiale; valore analogo denunciava la Ue a 27 (14.070 miliardi), ma in un contesto assai disomogeneo e con 497 milioni di abitanti, contro i 306 milioni degli Usa.
Usando il Pil come indicatore della dimensione dei mercati, confrontiamo ora lo sviluppo di due aree con buone prospettive per il nostro export e cioè l'Asia, esclusi Giappone e Cina (tanto grande da costituire un'area a sé), e i 28 Paesi ex-comunisti, compresa la Russia.
Negli anni attuali, vendiamo che tutti i precedenti dati sono aumentati nel settennio di circa il 56% di incremento medio e questo dato conferma che il sistema della selezione banco-finanziaria produce valori sempre crescenti, anche se non viene precisato in quale parte siano costituiti da cartolarizzazioni di prodotti finanziari quali ad esempio derivati, edge funds, etf, ecc. e quanto siano riferiti a prodotti dell’economia reale.
Il loro Pil, che nel 2000 rappresentava un mercato di 2.581 miliardi di dollari, è ora stimato in 5.021, (+ 61% l'aumento reale). Passando da 2.723 miliardi a 5.068 i 16 Paesi asiatici mostrano invece un aumento del 54% "soltanto". È sorprendente constatare come sia proprio la "vecchia" Europa a nascondere l'area più dinamica del globo dopo la Cina e ciò perché i progressi europei sono diffusi in quasi tutti i Paesi.
Ancor più utile per lo studio dei mercati è il Pil procapite. Esso varia tra un massimo di 51.472 dollari per la Norvegia (che ha spodestato al vertice la Svizzera) e un minimo di 236 $ per la Repubblica democratica del Congo. In totale, 50 Paesi hanno un Pil procapite superiore a 10.000 $, 45 oltre i 2.000 e 55 al di sotto. Il gruppo più ricco comprende 1.367 milioni di abitanti, quello intermedio (che include la Cina) 3.180 $ procapite e 2.653 milioni, quello più povero, con l'India (1.411 $), 2.629 milioni.
L'Italia nel 2008 figurava al 20° posto con 26.476 dollari, a mezza via tra Gran Bretagna (32.293 $) e Spagna (21.069 $).
Per meglio illustrare l'economia dei Paesi nella tabella sottostante sono stati usati altri parametri: il consumo di energia procapite (in chili annui di petrolio equivalente) e le auto in circolazione, i telefoni fissi, i cellulari e i personal computer ogni 1.000 abitanti. È inoltre stretto il legame inverso tra Pil procapite e la quota dell'agricoltura: 6 Paesi hanno solo l'1% (tra essi Usa, Germania e Gran Bretagna); otto il 2%, tra cui Giappone, Francia e l'Italia (che nel dopoguerra aveva il 40%), tutti con reddito procapite di oltre 25.000 $. La media varia tra il 2% per i primi 25 Paesi e il 33% per gli ultimi 25. All'opposto, poiché la terziarizzazione economica è progredita senza soste, c'è una altissima correlazione tra reddito e percentuale dei servizi: Usa e Francia sono arrivati addirittura al 77%, un record mondiale; la Gran Bretagna è al 73%, l'Italia al 71%, la Germania al 69% e il Giappone al 68%.
I principali indicatori di consumo sono l'energia e le auto. Per l'energia si passa da un massimo di 8.649 chili annui procapite del Canada (per gli Stati Uniti 7.985 kg) a un minimo di 180 kg del Bangladesh. L'Italia è al livello più basso tra i Paesi industrializzati: solo 3.366 kg, rispetto ai 3.706 kg della Spagna e ai 4.126 dell'Irlanda. Le auto variano tra 768 ogni 1.000 abitanti degli Usa e una soltanto per gli ultimi 6 Paesi. L'Italia è al 4° posto (1° in Europa) con 658 auto, davanti a Germania (624) e Giappone (587). Di nuovo stretto è il legame tra questi indicatori e il Pil: la media dei primi 25 Paesi (con un reddito procapite di 36.879 $) è 487 auto e 4.905 kg, quella degli ultimi 25 (reddito procapite 472 $) è 5 auto e 362 kg.
Nei dati sui telefoni, oltre alla consueta relazione con il reddito (si passa da 523 ogni 1.000 abitanti per i primi 25 Paesi a 12 per gli ultimi 25), impressiona la crescita dei cellulari: 54 Paesi sono giunti a oltre 1.000 apparecchi ogni 1.000 abitanti. Poiché i costi continuano a scendere, sembra davvero realizzabile il sogno che l'elettronica possa aiutare i Paesi poveri. Nel Congo, ad esempio, unico Paese al mondo dove c'è meno di una linea fissa ogni 1.000 abitanti (secondo l'Itu, soltanto 0,2), si sta arrivando a 100 cellulari; nel Mozambico, con 4 linee fisse, a 200 cellulari.
Altrettanto notevole è la diffusione dei personal computer, che già ha raggiunto un miliardo di unità! Rispetto ai cellulari, maggiore è la concentrazione a livello di Paesi: da una media di 674/1.000 per i primi 25 Paesi, per i Paesi tra il 51° e il 75° posto si scende già a 117/1.000, mentre vi sono ancora 6 Paesi con solo un personal computer ogni 1.000 abitanti. L'Italia, recuperando il ritardo, sta superando 400/1.000, mentre Usa, Gran Bretagna e Australia sono oltre gli 800. La posizione dei Pvs, in questo caso, è diversa dal solito: se l'Italia, ad esempio, sta arrivando a 40 milioni di automobili (contro 25 in Cina, 20 in Brasile, 11 in India), vi sono 66 milioni di pc in Cina, 34 in Brasile, 32 in India, rispetto ai 26 nostri.
Interessante è anche una nuova statistica della Witsa sulla spesa informatica. Con aumenti annui del 10-40%, essa è arrivata a 98 miliardi di $ per l'Italia (6,2% del Pil), a 198 miliardi per la Gran Bretagna (10,0%) e a 222 per la Cina (5,3%), per non parlare del gigantesco mercato Usa di 1.220 miliardi (8,4%). Poiché ormai si tratta ovunque del 5-10% del Pil, sembra opportuno che gli uffici statistici nazionali aggiungano un quarto settore alla classica suddivisione del Pil. Dopo aver però risolto un difficile problema: le spese informatiche rappresentano un consumo corrente, oppure un investimento per il futuro? E c'è un modo corretto di raggrupparle in un'unica categoria?
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo
Le recenti discussioni sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportano di attualità un vecchio quesito: quale andamento ha lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda è stata analizzata la dimensione economica dei primi Paesi
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo
Le recenti discussioni sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportano di attualità un vecchio quesito: quale andamento ha lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda è stata analizzata la dimensione economica dei primi Paesi
Il deprezzamento dei beni per asta giudiziaria
Mentre veniva considerata deprecabile la svalutazione dei beni di un’azienda per via dell’effetto borsistico oltre una certa soglia di guardia, nel mercato delle aste giudiziarie, si era creata una nuova moda: quella del “Fallo fallire che mi serve un capannone”.
Ecco che beni aventi valori di mercato reale pari a 100 venivano venduti ed acquistati liberamente anche a 10, compiendo il più aberrante gesto di sterminio del lavoro umano, mai concepito da una civiltà pacifica prima di allora.
Solo la guerra o il terremoto potevano essere comparati a questa silenziosa azione devastante le sorti di una EER.
Questo terrorismo mobiliare ed immobiliare imperversò per anni arricchendo ingiustamente ed indebitamente migliaia di persone, avvocati e giudici, ai danni di altrettante persone cadute nell’impossibilità di pagare per via della crisi.
Eliminazione dei Tribuni di classe dai tribunali
Per avere l’assoluto dominio della giustizia la Ndrango-Massoneria-Giustizialista ha pensato di attivare delibaratamente ed impunitamente le seguenti forme di auto boicottaggio delle proprie strutture affinché non potessero appositamente funzionare se non attraverso la propria decisione o il proprio intervento diretto:
1. Mantenimento del caos dei documenti cartacei
2. Mantenimento dell’uso di scrivere manualmente durante le udienze attraverso avvocati di controparte che usavano appositamente zampe di gallina, per non far comprendere l a propria scrittura
3. Inerzia assoluta verso qualsiasi forma di regolarizzazione organizzativa interna, quantomai dovuta per diritto a tutti i cittadini
4. Eliminazione della responsabilità dei giudici per referendum popolare
5. Eliminazione delle composizioni dei giudici di tribuni di classe che difendessero una specifica classe sociale od economica con la propri acompetenza specifica, altrimente assente nei giudici di cultura ordinaria.
Alcune recenti sentenze pubbliche da me assistite risultavano palesemente inique: - una pensionata veniva condannata a pagare 90000 euro per un impunito errore di notifica del postino, e nonostante la palese assenza di base imponibile. - un importatore condannato a pagare 30000 euro perché il suo parquet è stato fatto posare dal direttore lavori del cliente in una casa umida fondata su terreno poi risultato ex risaia non risanata e la casa non isolata. - un privato cittadino condannato a pagare 30 mila euro per aver inviato una mail di richiesta di offerta per un terreno ad una famiglia calabrese recidiva in “terrorismo legale” per carenza legislativa e nozionale da parte delle giudici stesse della fattispecie di responsabilità precontrattuale... - un concessionario ceramico condannato a pagare 15000 euro perché il gatto della cliente ha macchiato la piastrella con il suo liquido organico e la cliente non poteva trovare il prodotto giusto al supermercato.. - un rivenditore di parquet condannato a pagare 40000 euro perché il parchettista della cliente non avrebbe potuto secondo la giudice, non poter dare martellate sulla vernice del parquet prefinito all’impazzata… - un’azienda commerciale non riusciva mai ad incassare i propri crediti perché i professionisti della truffa e dell’inadempienza crescevano giorno per giorno tutelati dal sistema statale della giustizia - le aziende dell’economia reale vengono affossate dalle persecuzioni bancarie senza che un’istituzione fosse ancora riuscita a porre fine a questi abusi di posizione dominante
Un cittadino ala domenica in una pubblica piazza chiedeva, “Amici ma cosa abbiamo fatto togliendo la responsabilità ai giudici?” Non vediamo forse che tutte queste sentenze sono “letteralmente pazze”? Non ci conviene rimettere la responsabilità al suo posto prima che questo sistema impazzito ci espropri delle nostre case?
Infatti L’art. 55 del c.c. inerente la responsabilità civile dei magistrati era stato abrogato con d.p.r. 497/87 a seguito di referendum popolare.
La materia era allora regolata dalla legge 13.04.1988 n.
117, secondo la quale, chi aveva subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia, poteva agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali ed anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.
Ma chi avrebbe agito contro lo Stato?
Non sarebbe forse stato come agire contro se stessi?
Perché avrebbero dovuto attendere quindi oltre vedendo la chiusura di tutte le aziende italiani per sentenze inique?
Perché quindi non proporre una legge che riformasse il concetto di responsabilità dei magistrati quanto ai necessario e urgente?
Così facendo avrebbero interrotto quello che era diventato un vero e proprio stillicidio di sentenze pazze che rovinavano iniquamente ditte, aziende, e privati proprietari.
Così facendo il numero di “sentenze palesemente inique” sarebbe stato immediatamente inferiore e le medesime sarebbero risultate più eque e razionali.
Così facendo il cittadino ingiustamente o iniquamente leso avrebbe potuto agire immediatamente contro il magistrato iniquo o disinformato tecnicamente, poiché regolarmente coperto da polizza assicurazione, come tutti gli altri professionisti dovevano esserlo.
Gli Illuminati
Nei Protocolli dei Savi di Sion”. In 24 paragrafi, viene descritto come soggiogare e dominare il mondo con l’aiuto di un sistema economico.
Mayer Amschel Rothschild aiuta e finanzia l’ebreo Adam Weishaupt, un ex prete gesuita, che a Francoforte crea un Gruppo Segreto dal nome “Gli Illuminati di Baviera”. Weishaupt prendendo spunto dai “ Protocolli dei Savi di Sion” elabora all’incirca verso il 1770 “Il Nuovo Testamento di Satana” un piano che dovrà portare, non più gli Ebrei ma un gruppo ristretto di persone (gli Illuminati o Banchieri Internazionali) ad avere il controllo ultimo del mondo intero.
La strategia di Weishaupt era basata su principi molto fini e spietati. Bisognava arrivare alla soppressione dei Governi Nazionali e alla concentrazione del potere in Governi ed Organi Sopranazionali ovviamente gestiti dagli Illuminati. Ecco alcuni esempi operativi sulle cose da fare:
* Creare la divisione delle masse in campi opposti attraverso la politica, l’economia, gli aspetti sociali, la religione, l’etnia etc … Se necessario armarli e provocare incidenti in modo che si combattano e si indeboliscano.
* Corrompere (con denaro e sesso) e quindi rendere ricattabili i politici o chi ha una posizione di potere all’interno di uno stato.
* Scegliere il futuro capo di stato tra quelli che sono servili e sottomessi incondizionatamente.
Avere il controllo delle scuole (licei ed Università) per fare in modo che i giovani talenti di buona famiglia siano indirizzati ad una cultura internazionale e diventino inconsciamente agenti del complotto.
* Assicurare che le decisioni più importanti in uno stato siano coerenti nel lungo termine all’obiettivo di un Nuovo Ordine Mondiale.
* Controllare la stampa, per poter manipolare le masse attraverso l’informazione.
* Abituare le masse a vivere sulle apparenze e a soddisfare solo il loro piacere, perché in una società depravata gli uomini perdono la fede in Dio.
Secondo Weishaupt, mettendo in pratica le sue raccomandazioni si doveva arrivare a creare un tale stato di degrado, di confusione e quindi di spossatezza, che le masse avrebbero dovuto reagire cercando un protettore o un benefattore al quale sottomettersi liberamente. Da qui il bisogno di costituire degli Organi Sovranazionali pronti a sfruttare questo stato di cose, fingendosi i salvatori della patria, per istituire un Unico Governo Mondiale .
Nel 1871 il piano di Weishaupt viene ulteriormente completato da un suo seguace Americano Albert Pike che elabora un documento per l’istituzione di un Nuovo Ordine Mondiale attraverso tre Guerre Mondiali.
Il suo pensiero era che questo programma di guerre avrebbe generato nelle masse un tale bisogno di pace, che sarebbe diventato naturale arrivare alla costituzione di un Unico Governo Mondiale. Non a caso dopo la Seconda Guerra Mondiale venne fatto il primo passo in questa direzione con la formazione dell’ONU, che possiamo definire la polizia del mondo degli Illuminati. Tornando al pensiero di Pike, la Prima Guerra Mondiale doveva portare gli Illuminati, che già avevano il controllo di alcuni Stati Europei e stavano conquistando attraverso le loro trame gli Stati Uniti d' America, ad avere anche la guida della Russia. Quest’ultima avrebbe poi dovuto interpretare un ruolo che doveva portare alla divisione del mondo in due blocchi. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe dovuta partire dalla Germania, manipolando le diverse opinioni tra i nazionalisti tedeschi e i sionisti politicamente impegnati. Inoltre avrebbe portato la Russia ad estendere la sua zona di influenza e reso possibile la costituzione dello Stato di Israele in Palestina. La Terza Guerra Mondiale sarà basata sulle divergenze di opinioni che gli Illuminati avranno creato tra i Sionisti e gli Arabi, programmando l’estensione del conflitto a livello mondiale.
Col passare degli anni il Quartiere Generale di questo complotto passa dalla Germania (Francoforte), alla Svizzera, poi all’Inghilterra (Londra) ed infine agli Stati Uniti d’America (New York). E’ quindi dal 1700 che le famiglie degli Illuminati, generazione dopo generazione, influenzano la storia per raggiungere i propri traguardi. Ecco un elenco dei fatti principali che negli ultimi 3 secoli sono stati architettati, fomentati o finanziati dagli Illuminati:
- la Rivoluzione Francese, le Guerre Napoleoniche, la nascita dell’ideologia Comunista, la I Guerra Mondiale, la Rivoluzione Bolscevica, la nascita dell’ideologia Nazista, la II Guerra Mondiale, la fondazione dell’ONU, la nascita dello Stato di Israele, la Guerra del Golfo, la nascita dell’Europa Unita…
La rete di potere che gli Illuminati si sono costruiti in quasi 300 anni. Ovviamente non potevano pensare di conseguire i loro obiettivi da soli, avevano ed hanno bisogno di una “struttura operativa”, composta da organizzazioni o persone che esercitando del potere operino più o meno consapevolmente nella stessa direzione. Come potete constatare gli Illuminati controllano o hanno i loro uomini ovunque, possiamo tranquillamente dire che sono i signori del mondo. La loro strategia ha fatto leva su 2 capisaldi: a) la forza del denaro, hanno costituito e controllano il Sistema Bancario Internazionale; b) la disponibilità di persone fidate, ottenuta attraverso il controllo delle Società o Associazioni Segrete (logge massoniche). Queste ultime con i loro diversi gradi di iniziazione hanno garantito e garantiscono tutt’ora quell’alone di discretezza necessario al piano degli Illuminati. Gli Illuminati, e chi con loro controlla queste Società, sono Satanisti e praticano la magia nera. Il loro Dio è Lucifero e attraverso pratiche e riti occulti manipolano e influenzano le masse. E pensare che la cultura dominante ci dice che la magia non esiste anzi, considera ridicolo chi ci crede. E’ anche da questa scienza di tipo occulto, che gli Illuminati hanno sviluppato la teoria sul controllo mentale delle masse. Per chiarire ecco un esempio:
A quanto sembra anche Hollywood, le maggiori Case Cinematografiche e Discografiche internazionali, fanno parte della rete degli Illuminati. Molte volte i loro prodotti sono usati come strumenti di indottrinamento e agiscono in modo “invisibile” sulla psiche. Penso che nessuno possa negare che oggi esistono certi tipi di musica, privi di qualsiasi qualità, il cui unico effetto voluto è quello di provocare nei giovani apatia, robotismo, violenza ed essere uno stimolo all’uso di droghe per renderli dei robot …. Umanoidi simili agli zombi. Intanto crediamoci, siamo stati programmati anche per questo.
Mistic.it - 1- 4 - 2005
Dipartimento "Governance, Repubblica, Sicurezza
Edito dall’istituto di sviluppo economico Tedesco
Deutsches Institut für Entwicklungspolitik (DIE)
Tulpenfeld 6
53113 Bonn
Germania
Telefono: +49 (0) 228 94927-0
Fax: +49 (0) 228 94927-130
DIE@die-gdi.de
www.facebook.com / DIE.Bonn
Il Dipartimento si concentra sull'analisi della trasformazione politica e la stabilità dei diversi ordini politici e sulla capacità degli Stati di adempiere le funzioni pubbliche. Esaminiamo governance e modelli di conflitto correlati a queste problematiche e incorporare le nostre analisi nel più ampio contesto internazionale.
La nostra competenza principale consiste nella analisi empirica da una prospettiva di economia politica, che è la teoria-driven e suono metodologici. La nostra profonda competenza in diverse regioni ci permette di andare oltre il paese o la regione specifica analisi verso i confronti interregionali. La nostra conoscenza tacita sui campi di assistenza allo sviluppo e la politica estera ci consente di promuovere la comunicazione tra ricercatori e professionisti, nonché per fornire consulenza a base di ricerca per i decisori politici.
Attualmente la nostra attività si concentrano su tre aree principali:
• Trasformazione: Democratizzazione e determinanti esterni di ordine politico
• Stabilità: gli Stati fragili e conflitti armati
• Stato Capacità: Decentramento e finanza pubblica
Progetti in corso
Responsabilità in Mosambique: sfide e opportunità per la cooperazione allo sviluppo
Obiettivi contrastanti della promozione della democrazia
Promozione della democrazia nell'era di Social Media digitali: sfide e opportunità
Valutare l'intervento di governo con metodi rigorosi
Governance nei Paesi donatori e la qualità degli aiuti esteri
Cartolarizzazione degli aiuti esteri
L'efficacia del sostegno di bilancio
L'impatto della Russia, India e Cina per le strutture nella loro governance regionale per l'ambiente (RICGOV)
Dipartimento "Competitività e lo Sviluppo Sociale"
"Competitività e lo Sviluppo Sociale" reparto lavora sul rapporto tra crescita economica, innovazione, competitività, produttività e sviluppo, da una parte e (proventi) la distribuzione e la povertà nei paesi in via di sviluppo dall'altra. Sulla base dei risultati delle sue ricerche, il team sviluppa concetti per le politiche economiche e sociali che servono a rafforzare la competitività a lungo termine dei paesi in via di sviluppo, e sono allo stesso tempo socialmente inclusiva e sostenibile. Il team di sviluppo consiglia anche le istituzioni tedesche e internazionali. attuali attività del dipartimento di ricerca e consulenza concentrano su:
• promozione attiva di affari e business in settori quali la promozione SMI e di integrazione nella catena del valore;
• innovazioni per una crescita ecologicamente sostenibile e socialmente inclusivo ;
• determinanti di un clima favorevole agli investimenti nei paesi emergenti , che pone le basi per una crescita inclusiva e le misure di sostegno più adatto allo scopo;
• efficienza di sensibilizzazione e di riduzione della povertàdella politica agricola e dello sviluppo rurale ;
• sistemi di protezione sociale nei paesi in via di sviluppo e trasformazione ;
• pro scarsa crescita in India e Brasile .
Oltre a questo focus della ricerca, il dipartimento è attualmente responsabile del coordinamento del progetto di cooperazione con i paesi di ancoraggio . Questo progetto analizza lo sviluppo della cooperazione tedesca con questo gruppo paese e sviluppa concetti di cooperazione tra agenzie.
• La produzione di biocarburanti in zona subsahariana
• Innovazioni per uno sviluppo ecologicamente sostenibile
• Nuove strategie di governance per la ricerca multilaterale per affrontare le sfide globali
• Shaping catene del valore in vista di esigenze di sviluppo
• Aggiornamento delle PMI: le barriere alla crescita per le piccole imprese
• L'impatto della crisi finanziaria ed economica globale sulle famiglie, piccole imprese e mercati del lavoro
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: I punti di forza e di debolezza - e che cosa questo significa per il futuro orientamento della politica di sviluppo globale?
Il commento del 12 agosto 2011
Su http://www.social-europe.eu il 2011/12/08 di Daniel Gros
Gli investitori stanno anticipando il dipanarsi del 21 luglio 2011 "soluzione" e una ripartizione del mercato interbancario, che avrebbe gettato l'economia in una "recessione immediata", come quella vissuta dopo il fallimento Lehman.Questa colonna sostiene che questo accadrà senza un'azione rapida e coraggiosa. Il EFSF non può funzionare come previsto, ma se fosse registrato come una banca - che le permette di accedere a un numero illimitato BCE rifinanziamento - i governi potrebbero fermare il crollo generalizzato di fiducia, lasciando la gestione del debito pubblico in mano della finanza ministri.
Canarini sono stati tenuti nelle miniere di carbone perché muoiono più velocemente di quanto gli esseri umani quando sono esposti ai gas pericolosi. Quando smise di cantare gli uccelli, i minatori saggio sapeva che era tempo di marcia le procedure d'emergenza.
Grecia, a quanto pare, era canarino della zona euro. Il canarino è stato rianimato e un meccanismo di salvataggio piccolo è stato istituito per far rivivere un canarino ulteriore o due - ma oltre a questo l'avvertimento è stato ignorato. I minatori continuando a lavorare. Si convinse che questo era il problema del canarino.
Grecia: non si trattava di un caso speciale
I problemi della Grecia non avrebbero dovuto essere interpretato come un caso speciale. Avrebbero dovuto essere vista come la prima manifestazione di un problema generale:
• Come segno che la crisi globale si diffondeva al debito pubblico;
• Come segno che i mercati di capitali non sarebbero stati ai livelli di rifinanziare a lungo l’eccessivo debito pubblico, specialmente nei membri dell'Eurozona che non potevano più contare sul sostegno delle banche centrali.
Questo è diventato particolarmente evidente dopo il Consiglio europeo del luglio 2011 - ove l'incontro che avrebbe dovuto porre fine alla crisi e risolvere il caso greco con una miscela di tassi di interesse più bassi e qualche ristrutturazione del settore privato e pubblico.
Il pubblico greco avrebbe potuto non apprezzare, ma avrebbe ricevuto comunque un trattamento preferenziale da parte dell’UE.
Con le decisioni prese al Consiglio europeo di luglio, la Grecia essenzialmente avrebbe avuto tutto il suo fabbisogno finanziario per il successivo decennio e si sarebbero potuti organizzare in sicurezza per pagare meno del 4% sul nuovo debito da essa subito. Gli altri due paesi con un programma, Irlanda e Portogallo, avrebbero avuto tassi di interesse bassi e altrettanti prestiti a lungo termine, ma sarebbero rimasti ancora in attesa per affrontare la prova dei mercati negli anni successivi.
I timori sul debito raggiungono il nucleo
Ma mentre Grecia, Irlanda, Portogallo e ha tassi più bassi per i loro ufficiali finanziamento a lungo termine, Spagna e Italia sperimentato un aumento nella loro oneri finanziari. Essi stanno pagando vicino al 6% per dieci anni i soldi.
E 'chiaro che questi paesi non si può pretendere di fornire miliardi di euro di crediti verso la Grecia al 3,5%, quando sono loro stessi pagando molto di più. I leader europei ha voluto essere generoso con la Grecia, ma l'offerta di fondi a buon mercato è limitata. Non tutti possono essere serviti in questo modo.
Il EFSF è stato progettato per una crisi periferica
Questo vale in particolare per fondo di salvataggio della zona euro, il Fondo europeo per la stabilità finanziaria (EFSF). Questo semplicemente non hanno fondi sufficienti per effettuare gli acquisti di bond massiccia ora necessario per stabilizzare i mercati. E 'stato sufficiente a fornire il finanziamento promesso di Grecia, Irlanda e Portogallo.
Inoltre la struttura del EFSF lo rende vulnerabile ad una catena di domino.
• Le regole del EFSF implica che i paesi che hanno bisogno di finanziamenti o si volto 'uscire' gli elevati oneri finanziari, cioè non forniscono più garanzie per la EFSF.
• Se i costi di indebitamento di Italia e Spagna rimanere a livelli di crisi, o se questi due paesi hanno bisogno per salvare se stessi, solo i membri dell'Eurozona nucleo rimarrebbe a sostenere la EFSF.
A questo punto, il peso del debito sul core sarebbe diventato insopportabile.
Pericoli di applicare la soluzione periferia al centro
Importante, la più grande è la EFSF, più velocemente la caduta domino. La posizione del governo francese - che l'EFSF deve essere aumentata - non ha senso anche da un punto stretto di vista francese.
• I mercati finanziari hanno capito questo e aumentare così i costi di finanziamento per la Francia - il paese nucleo più in pericolo di perdere il suo rating AAA.
• Se la Francia deve 'uscire' del EFSF, Germania (e alcuni dei suoi vicini più piccoli), avrebbe dovuto portare tutto il peso.
Questo sarebbe troppo anche per la Germania - il debito pubblico italiano da solo è equivalente all'intero PIL tedesco.
Come questo effetto ha guidato i mercati
La situazione è così critica, perché questo effetto domino ha iniziato ad operare.
◦ I mercati finanziari non aspettare paese dopo paese ad essere degradati.
◦ Gli investitori anticipare il finale di partita - il disfacimento di tutta la EFSF / ESM struttura.
◦ Come è stata la risposta EFSF centrale leader dell'Eurozona 'al problema del debito, la sua scomparsa avrebbe lasciato la zona euro, con un grosso problema e nessuna soluzione.
La banca-governo-debito trappola
Come al solito, le banche sono l'anello più debole e sono soggette a un altro effetto domino.
▪ Molte banche contenere grandi quantità di debito pubblico dell'Eurozona;
▪ Il loro rating non può mai essere superiore a quella del loro sovrano proprio.
▪ Qualcuno aspetta il downgrade di un paese deve anche vendere le azioni delle sue banche.
Questo, a sua volta, aumenta il costo del capitale per le banche vulnerabili rendendoli più vulnerabili.
▪ Altre banche - che vedono la caduta dei corsi azionari della banca e l'ampliamento credit default si diffonde - reagisce rifiutandosi di fornire alle banche vulnerabili liquidità interbancaria.
▪ Questa ripartizione del mercato interbancario, a sua volta, porta ad una ripartizione del circuito del credito.
Questo è ciò che conducono alla "recessione immediata" vissuto dopo il fallimento di Lehman ha dimostrato.
In questi giorni sembra che i mercati azionari sono anticipando uno scenario apocalittico con l'economia va in recessione bruscamente in quanto il mercato interbancario si rompe sotto l'anticipazione di ulteriori problemi del debito pubblico. Purtroppo questa previsione si realizzerà a meno che la ripartizione del mercato interbancario si rivolge molto presto.
Cosa avrebbe dovuto essere fatto
A questo punto la zona euro ha bisogno di una massiccia infusione di liquidità. Dato che la struttura a cascata di dell'EFSF è parte del problema, la soluzione non può essere un massiccio aumento della sua dimensione. Tuttavia, il EFSF potrebbe semplicemente essere registrato come banca e potrebbe quindi avere accesso a un numero illimitato ri-finanziamento da parte della BCE, che è l'unica istituzione in grado di fornire la liquidità necessaria rapidamente e in quantità convincente.
Questa soluzione avrebbe il vantaggio che lascia la gestione dei problemi del debito pubblico in mano dei ministeri delle finanze, ma fornisce loro il fermo di liquidità che è necessaria quando c'è un crollo generalizzato di fiducia e di liquidità. Questo è esattamente quando un prestatore di ultima istanza è più necessario.
Sarebbe ovviamente molto meglio se la BCE non ha dovuto 'salvare' il meccanismo europeo di salvataggio, ma in questo caso si deve scegliere tra due mali. Anche un forte aumento nel bilancio della BCE (che se l'esperienza degli Stati Uniti è una guida non porterà l'inflazione) costituisce un male minore rispetto ad un collasso del sistema finanziario dell'Eurozona.
Il contro commento del 12 agosto 2011
Dato da http://www.social-europe.eu Il 2011/12/08 di Andrew Watt
Nuove proposte da due commentatori che porta sulla crisi dell'euro: perché signori così tardi?
2011/12/08 Con Andrew Watt
Due pezzi recenti di commentatori che parlano sulla crisi dell'area Euro stanno per darmi una pausa di riflessione.
Daniel Gros ha scritto un tipico conciso e penetrante commento sull'ultima fase della crisi presa l'area dell'euro.
E 'molto buona l'interazione tra banca e del debito sovrano ed espone le debolezze del EFSF nella sua composizione attuale. Egli conclude che una massiccia infusione di liquidità è necessario. Sono d'accordo. La sua raccomandazione è per dell'EFSF essere dichiarato una banca in modo che possa essere backstopped dalla BCE.
Non ho una visione forte su questo.
Per me va bene se il denaro proviene direttamente dalla BCE. Ma se facilita il sonno dei banchieri centrali al fine di evitare apparentemente, dal gioco di prestigio, la miscelazione-up della politica fiscale e monetaria che le persone li manifestino così up-stretto, poi importante mieux .
Tuttavia, pezzo di Daniel mi lascia perplesso sul corso del dibattito tutto negli ultimi 18 mesi. Cominciamo con il fatto che non è corretto dire che i mercati dei capitali non sono disposti a finanziare 'alta' debito pubblico, come è illustrato dai tassi estremamente bassi e cade sul debito emessi da paesi come gli Stati Uniti (downgrade nonostante), Regno Unito e Giappone, il cui debito e PIL è uguale o superiore a molti dei paesi dell'area dell'euro (per non parlare della media dell'area dell'euro). Il problema è specifico per i paesi dell'area dell'euro.
Che cosa critica è, però, capire esattamente il motivo per cui i 'mercati' chiedono rendimenti molto elevati, al fine di concedere prestiti ai paesi come il Portogallo, Grecia e Irlanda e, più recentemente, Spagna e Italia, in un'epoca in cui i tassi su American, inglesi e tedeschi debito sovrano sono così bassi e in calo. E la risposta è semplice: sono preoccupati di prendere le perdite derivanti da una qualche forma di - qualunque sia educato termine viene usato - default sovrano. E perché sono preoccupati per tali perdite? Beh, perché i responsabili politici europei, guidata dal cancelliere Merkel, ha insistito sul settore privato che partecipano al salvataggio: questo è ciò che significa la partecipazione - perdite. I politici lo hanno fatto per vari motivi (in particolare fuori posto rabbia popolare su ciò che è stato dipinto come dare soldi alla immeritevole), ma uno di loro era importante che gli economisti ei commentatori avevano chiamato per 'default ordinato' come un modo per risolvere la crisi. E uno dei sostenitori più importanti di questo approccio è stato Daniel Gros, il cui appello per un Fondo monetario europeo all'inizio del 2010 era molto influente, in linea con i suoi piedi come un top commentatore di politica economica europea. (E io non contestano che conteneva anche molte idee utili.)
Un caso simile in punto è che l'altrettanto illustre di Charles Wyplosz , autore libri di testo, consigliere della Commissione europea, e altro ancora. Ora ha invitato politici dell'UE, che, dice, « ancora non capisco "per consentire alla BCE di agire liberamente come prestatore di ultima istanza e comprare debiti in sofferenza governo come richiesto. Egli afferma che questo è diventato necessario, ma è una conseguenza indesiderata del fallimento delle politiche 'a seguire il suo consiglio di maggio 2010 , che è stato - probabilmente avete indovinato - per la Grecia per andare al FMI, di default e di imporre un taglio di capelli ai creditori.
Hmm. E 'solo io, o non è evidente che proprio questi discorsi di default che inesorabilmente diffondere il contagio? Dubbi sul rimborso integrale del debito pubblico elevato rendimento e spread. Questo nutrito dubbi maggiori circa la sostenibilità di bilancio, i mercati spaventati e anche elettorati. La morte-spirale filato sempre più velocemente. Tutto ad un tratto un paese come la Francia - che ha non meno a suo titoli di Stato in quanto le guerre napoleoniche! - Si trova sotto la minaccia di un attacco speculativo, e unendo la frenesia di annunciare ulteriori misure di austerità in una, probabilmente vano, tentativo di placare i mercati.
In realtà, come ho sempre sostenuto durante la crisi (ad esempio all'inizio , più recente , recente ), la giusta strategia era quella di escludere un default del debito sovrano, inaudito in Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale, fin dall'inizio, di obbligazioni, , fornendo sostegno agli investimenti e la ripresa economica, il tutto in cambio di credibile a medio termine gli impegni di consolidamento fiscale. Certo, ci sarebbe stata opposizione a questo, ma il problema era tutta politica, non economica. Le somme coinvolte all'epoca erano minuscole: Grecia, Irlanda e Portogallo insieme rappresentano solo il 6% del PIL dell'area dell'euro. I problemi che si manifestano in Grecia e gli altri erano molto chiaramente - e qui mi sono del tutto d'accordo con Daniel Gros - il risultato di una precedentemente mal capito malfunzionamento della zona dell'euro nel suo insieme, piuttosto che errori grossolani politica dai singoli governi. Quello che sembrava essere la solidarietà era chiaramente illuminato interesse e avrebbe potuto facilmente essere venduti come tali elettorati scettici.
Riassumendo. Il motivo centrale per la diffusione della crisi è stata la prospettiva di perdite su attività finanziarie, a ovest titoli di stato europei, che erano in precedenza e giustamente considerato sacrosanto. Pieno appoggio del debito sovrano della zona euro da parte della BCE è la cosa giusta da fare. Ma è non lo spiacevole risultato di non aver insistere su di default o meno un anno fa. Al contrario, è ciò che si sarebbe dovuto fare all'inizio. Il fatto che è ora sembra una operazione più difficile e costoso (anche se piuttosto che il secondo significa in un mondo in cui la banca centrale, e solo esso, può creare soldi a volontà non riesco a capire) è proprio perché la minaccia di insolvenza è stato sollevato inutilmente. Le persone che oggi discutendo per il pieno sostegno da parte dell'autorità monetaria, in una forma o nell'altra, dovrebbe riconoscere questo ritardo.
Ciò che è bello è che ora tutti d'accordo su ciò che deve essere fatto.
Ciò che non cresce non marcisce
Solo un falso vecchio proverbio
Un agricoltore pugliese un giorno disse a “Linea Verde”:
“Quello che non cresce, marcisce”
Molti ascoltatori pensarono che quello “statement economico scarno ed essenziale”, avesse una certa ragionevolezza, ma riflettendoci in seguito non riuscirono a trovarlo assolutamente convincente.
In ogni telegiornale, talk-show, discussione spesso i facinorosi intellettuali dall’eloquenza cronacale economica, sfoggiavano incoscientemente il ritrito luogo comune che la “crescita è vitale e necessaria, per la salvezza dell’economia” come se si basassero sullo statement del contadino pugliese.
In realtà tali signori ignoravano appieno ogni verità sull’argomento.
Gli unici istituti sociali, realmente interessati alla persistenza della crescita economica continua, erano e potevano essere solo quelli bancari, previdenziali, assistenziali, finanziari, ovvero tutti quelli raggruppabili sotto il nome di “venditori dei mezzi di scambio” acronimizzabili con la sigla “VMS”.
Costoro, in quanto produttori di un’economia garantistica meramente virtuale, quindi irreale e intangibile sul piano economico sostanziale, temevano perennemente il loro stesso “fault” , per via dei loro stessi bilanci redatti da loro stessi nel modo più attrattivo possibile ovvero “pro investors”, fatti per garantirsi la fidelizzazione permanente degli azionisti o degli obbligazionisti, anche se riportanti dividendi non convenientemente sostenibili.
Basando i loro guadagni sui contratti come Bonds, Repos, Swaps, Swap options, Caps/Floors, FRAs, CDSs., ETF, HF, F, FOF, e altri circa 50 tipi di contratti aleatori, tutti giochi d’azzardo comunemente conosciuti come “derivati”, essi hanno così appeso le sorti dei valori reali, aziendali e monetari, su vere e proprie “scommesse borsistiche legalizzate” relative a previsioni su disponibilità future dei mezzi di scambio , sulle performance delle alle imprese e sull’oscillazione di valore dei beni reali.
Quindi, tutti i valori dati dalla borsa, erano da ritenersi più che mai falsi e falsati, perché constavano in mere valutazioni istantanee basate sui fattori emozionali di mercato, collettivi o individuali, con i quali si attribuivano i prezzi di acquisto di entità economiche reali (EER).
Ma queste ultime in realtà avevano valori reali basati su ben altri concetti di estimazione.
Per esempio i criteri di valutazione di un’azienda erano realmente quelli del suo costo di costruzione immobiliare, del suo prezzo di mercato immobiliare, del costo di avviamento commerciale, del valore di mercato del suo avviamento in base al valore del fatturato effettivo e potenziale, ma in borsa, se in una giornata veniva diffusa la notizia che i suoi prodotti fossero cancerogeni, le sue azioni potevano crollare a zero e sespese per eccesso di ribasso.
Essi soltanto potevano ben sperare sull’esistenza costante di tale “crescita” senza la quale, data la loro specialità di produttori della catena di sant’Antonio del denaro virtuale e degli effetti borsistici, la loro esistenza non avrebbe potuto avere seguito.
Sopratutto per parare gli errori previsionali, e le perdite scaturite dagli andamenti imprevisti dei derivati, si è verifcata la necessità del ripetersi continuo e crescente della richiesta di denaro, senza la quale le banche non avrebbero potuto infatti sopravvivere a lungo.
I fallimenti storici delle banche verificatisi nel 29 e nel 75?? Nek 89?? Stava riavvicinandosi e tutti gli istituti mondiali non volevano crederlo possibile.
Ecco allora che si arrivò ad assistere a richiami solenni prima di piccole agenzie di rating fatte ad interi stati, poi addirittura di banche centrali che per imitazione iniziavano a richiamare gli stati con deficit superiore alla norma, anziché essere il concerto di questi ultimi a comandare le banche che dopotutto altro non sono che istituti di custodia!
Revisione dei concetti economici errati, diffusi tra le credenze popolari e degli esperti aziendali.
L'economia di un paese non è detto che debba crescere continuamente ogni anno: può benissimo assestarsi su un livello massimo standard che rispetti gli equilibri energetici ed ecologici, e conseguentemente economici locali e mondiali, per potersi definire "sistema compiuto".
Non è vero che ciò che non cresce CONTINUAMENTE, debba necessariamente marcire... oppure debba essere colto: gli olivi giunti alla maturità producono annualmente sempre quel quantitativo di frutto, tranne negli anni di malattia, infestazione, gelo, o altro disequilibrio esterno, per tornare alla normalità passata ogni crisi.. Ma non per questo debbono essere tagliati, estirpati o debbano darsi per morti o marcenti... anzi guai a chi tocca questi alberi sacri.
Guida per il cittadino: Rileggere la legge
Restare impotenti spettatori nella nuova Euro-Italia dal caotico mondo politico-legislativo, fiscal-giustizialista propiziato da questa storica fase di europeizzazione garantista della nuova una moneta comune il cui uso si è rivelato subito fonte di un inesauribilmente e crescente quanto incomprensibile indebitamento individuale, oppure proporre utili quanto urgenti accorgimenti economici correttivi dell'attuale situazione "recessiva", prima che diventi "depressiva"?
Plaudire gli inventori dei diabolici strumenti ed algoritmi borsistici basati sulle leggi della scommessa e dell'assoluta aleatorietà usati a decimazione selvaggia e impunita dei capitali delle persone oppure impedire la prosecuzione di questo malcostume della scommessa e dell'azzardo sviluppato da scaltri operatori che giocano sfruttando i soldi dei molti malcapitati quanto ignari investitori?
Subire tacitamente gli errori puramente logici presenti talvolta nei testi di legge, nelle sentenze di qualsiasi ordine o grado, nelle circolari bancarie od in quelle ministeriali, nei comunicati stampa, oppure intervenire liberamente da casa raccontando i propri torti subiti sui comodissimi blog, per ricevere un rapido aiuto?
Favorire la prosperità e l'impunità di Cassatori senza parte, satrapi, usurai, bulli e boia che nel loro dna, non posseggono la benché minima molecola di propensione ad un equa ed utile giustizia sociale, oppure lavorare per eliminare il clientelarismo italiano dagli uffici pubblici?
Permettere la prosecuzione impunita dello sfruttamento e del vilipendio da parte de sistema "burocrazia italiana" degli onesti lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori, dei semplici operatori delle arti, dei giusti padri di famiglia, dei giovani e geniali free lancers, degli studenti di successo, unici produttori e preparatori della nuova economia reale nonché eredi della cultura tradizionale italiana e degli antichi principi sani e civili, ereditati da stimabili nonni e genitori che hanno affidato loro questo meraviglioso e storico territorio che é l'Italia, oppure affermare delle inviolabili regole di rispetto da parte dei pubblici poteri verso queste categorie ora ingiustamente troppo vulnerabili?
Essere il popolo sovrano, non più suddito dei principi delle borse, dei satrapi, del giustizialisti tout cour o degli "omini del paese dei balocchi", o del "mondo delle scommesse"
oppure permettere che "le male caste" continuino sottrarre sostanze preziose a chi vuole solo creare, lavorare e pianificare e riprodursi nel giusto, senza eccessi, sprechi, economici ed ecologici?
Report storico degli anni 2008-2013
La realtà globale del business era stata modificata in modo profondo e permanente dallo sconvolgimento economico e finanziario.
Tale trasformazione avrebbe ripreso caratteristiche e intensità diverse nei vari settori.
Eppure tutti i dirigenti, nel valutare le misure da adottare, dovevano tenere ben presenti le cinque dimensioni del cambiamento.
Lehman Brothers, icona di Wall Street, inghiottita dalla più grande bancarotta della storia.
L'Islanda, uno stato tra i più floridi al mondo, a rischio di insolvenza.
IPIC, il fondo d'investimento di Abu Dhabi, compra in fretta e furia le azioni di compagnie energetiche, industrie chimiche e imprese di costruzioni che non navigavano in buone acque in Spagna, Germania e Canada.
Cosa stava accadendo?
La crisi del credito ( o del debito) e la conseguente recessione globale avevano rivoluzionato il mondo degli affari.
In uno scenario nel quale stavano emergendo nuove realtà economiche e commerciali, i dirigenti aziendali si trovavano costretti a rivedere la strategia di successo che avevano tradizionalmente adottato, se non ad abbandonarla del tutto.
In che modo questa evoluzione stava influendo sulle tre aree critiche per il successo delle imprese ovvero il cliente, le dinamiche concorrenziali e le prospettive di crescita?
E quali sarebbero state le implicazioni per le metodologie adottate dai manager per gestire il business e guidare i loro team?
Nuovi valori dei clienti
Presto la parola d'ordine divenne "sobrietà".
Gli esempi di una riscoperta della semplicità abbondavano:
dalle comunità dedicate al baratto dove gli scambi non prevedono esborsi di denaro al revival del fai da te, fino alla diffusione di offerte commerciali e retail format più orientati al valore.
Viceversa l'ostentazione era decisamente in declino, come segnala l'ansia crescente che serpeggia nel settore dei beni di lusso.
Nonostante ciò, sui monti ginevrini, in vicinanza forzieri del mondo, gente comune poteva assistere a scene di sceicchi pagavano conti di 40 k euro al tavolo di capodanno 2011, dove i loro pargoli sbranavano distrattamente intere confezioni di caviale mentre i genitori si affogavano del miglior champagne.
Che si volesse o meno dieci clienti di questo tipo in tutto il mondo erano ancora rimasti.
Comunque si prevedeva, già allora, che il fascino della semplicità sarebbe rimasto in auge per altri 3-5 anni anche dopo la ripresa economica.
Le ragioni erano molteplici.
Innanzitutto i consumatori che avevano accumulato montagne di debiti, fiduciosi che il valore delle loro case e di altri investimenti sarebbe continuato ad aumentare, si trovavano improvvisamente a fare i conti con i creditori e quindi non si poteva dire fosse certo il momento di sperperare.
In secondo luogo la crescente fetta di consumatori anziani che sarebbero andati in pensione avrebbe avuto meno soldi da spendere.
Infine fattori quali la crescente pressione fiscale, il crollo delle quotazioni e l'eliminazione degli incentivi avrebbero limitato il budget di spesa anche dei consumatori più benestanti.
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si sarebbero fatte decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Anche la durabilità sarebbe stato un fattore determinante in quanto i clienti si sarebbero attesi di acquistare un prodotto e tenerlo per un periodo più lungo.
Negli Stati Uniti, per esempio, il tempo medio di permuta delle auto era passato da 68 mesi nel quarto trimestre del 2006 a 76 mesi alla fine del 2008.
Benché da un lato questo andamento fosse in parte dovuto alla carenza di credito per l'acquisto di nuovi veicoli, dall'altro rifletteva sicuramente anche un miglioramento della qualità della produzione: se in precedenza un'automobile veniva cambiata ogni 100.000 chilometri, allora il nuovo standard sarebbe salito a 200.000 e più.
Ciò significava che i clienti, anziché acquistare una nuova vettura dopo tre-cinque anni di utilizzo, avrebbero potuto tenere più a lungo quella che possedevano, magari fino al momento della rottamazione.
Al servizio del cliente
In molti settori il valore percepito dai clienti e il loro comportamento d'acquisto erano cambiati, spesso radicalmente.
Erano cambiamenti temporanei o si sarebbero consolidati nel tempo?
E quali opportunità ne sarebbero potute derivare in termini di nuove esigenze e conquista di quote di mercato da sottrarre alla concorrenza?
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si facevano decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Le imprese avrebbero quindi adottato opportunità di condivisione di costi e rischi degli investimenti di capitale creando consorzi o joint venture terze che permettessero a ex concorrenti diretti di condividere un'infrastruttura comune e un costo più basso.
Questo già avviva nel settore dell'editoria dei quotidiani e della telefonia mobile, dove reti e infrastrutture comuni erano ormai la norma.
Fornitori terzi di servizi quali fatturazione e riscossione, che allora servivano più concorrenti appartenenti allo stesso settore, avrebbero assunto anch'essi una sempre maggiore importanza.
Mentre da un lato le aziende erano alla ricerca di soluzioni per ridurre i costi, dall'altro i fornitori terzi erano chiamati ad ampliare la propria offerta includendovi vendita, servizio assistenza e infrastruttura IT, permettendo così di liberare risorse di liquidità e lasciando alle imprese la possibilità di concentrarsi sui propri principali punti di forza.
La risorsa dei consumatori emergenti
La recessione e il periodo che la avrebbe seguita avrebbe avuto un impatto diverso per tutti i paesi e le regioni.
Le economie dei paesi occidentali sviluppati, impegnate a tener testa alle conseguenze del tracollo dei mercati finanziari, avrebbero fatto probabilmente registrare una crescita più lenta per un lungo periodo.
Per quanto riguarda i mercati emergenti, invece, sebbene il rallentamento della domanda globale ne avesse frenato l'espansione, la crescita costante del ceto medio in particolare in India, Brasile, Sudafrica, Cina e in altre economie in via di sviluppo avrebbe costituito un'importante fonte di nuova domanda per le multinazionali.
Per esempio, nel 2011 le vendite al dettaglio in Cina rimasero molto più sostenute rispetto a quelle di altre grandi economie; a spendere in modo importante non erano solo le città tradizionali a rapido sviluppo raggruppate intorno al delta dello Yangtze e del Fiume delle Perle, ma anche città dell'entroterra e a più basso profilo: in tutte, il crescente ceto medio cinese continuava a spendere.
Sempre un più alto numero di nuove società di collegamento e mediazione commerciale, aprivano alle foci del fiume della Perle, a Guang Zhou al fine di commercializzare il valore dello sfruttamento commerciali dei più famosi marchi di moda, di Italian Wine and oil, di design europei e mondiali.
Altri valori, come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa, avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori stavano abbandonando i modelli di consumo indiscriminato del passato e diventavano più selettivi nell'operare le proprie scelte.
Un numero crescente di aziende investiva già nella conquista di credenziali verdi che, con i gruppi di attivisti determinati a puntare i riflettori sui principali trasgressori, erano diventate un parametro di misurazione della performance d'impresa sempre più importante.
Nel frattempo, le conseguenze della allora crescente opposizione allo sfruttamento degli animali da pelliccia venivano avvertite pesantemente dal già tormentato Settore dei beni di lusso.
Simili cambiamenti non potevano non influenzare i buyer industriali.
L'attenzione costante e pervasiva per la gestione dei costi avrebbe portato all'adozione sempre più diffusa di pratiche d'acquisto professionali, come per esempio le reverse auction, o aste inverse, e il ricorso a servizi di approvvigionamento specializzati forniti di terzi, e a livelli sempre maggiori di sensibilità al prezzo, in tutti i settori.
Il perdurare della difficoltà di accesso al credito per le aziende di tutti i tipi, avrebbe potuto inoltre far crescere l'interesse per nuovi modelli di proprietà, soppiantando per esempio la proprietà diretta con i modelli di pagamento a consumo “pay-per-use”.
Per esempio, erano sempre più numerose le compagnie aeree che avevano scelto di percorrere la strada della logistica prestazionale, basata sull'approccio alla proprietà dei motori per aereo “Power by the Hour” elaborato da Rolls-Royce, che prometteva un costo fisso per ore di volo del motore per tutta la durata del contratto.
Dal canto loro, i governi degli Stat Uniti e della Gran Bretagna stavano stipulando contratti per velivoli militari e altre apparecchiature basati sulla disponibilità, lasciando ai costruttori il compito di fornire pezzi di ricambio e altri servizi on demand.
Anche le aziende di una vasta gamma di settori avrebbero cercato di individuare Valori come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori avevano abbandonato i modelli di consumo indiscriminato del passato.
Nell'ambito dei suoi piani di ristrutturazione, per esempio, il gruppo Chrysler stava annullando i contratti con 800 dei 3200 concessionari presenti negli Stati Uniti, mentre la General Motors Corp.
aveva annunciato l'intenzione di rescindere i contratti di franchising con 1100 concessionari degli USA.
In tempi migliori, questi provvedimenti avrebbero comportato cospicui indennizzi.
Quando GM annunciò la chiusura della divisione Oldsmobile nel 2000, infatti, dovette versare più di 1 miliardo di dollari ai concessionari a titolo di risarcimento.
Guardando invece a valle, un peggioramento della situazione finanziaria dei clienti si sarebbe ripercosso in risalita sulla supply chain, trascinando società per altro sanein mezzo a difficoltà da cui molte non sarebbero riuscite a riprendersi.
I produttori di componenti elettronici, per esempio, avevano già avvertito l'impatto della contrazione della domanda di elettronica di consumo, e una situazione simile si era delineata più in alto nella catena per i costruttori del settore automotive.
Nel comparto dell'editoria, il crollo del fatturato da pubblicità aveva accellerato il declino della redditività per quotidiani e riviste, portando molti sull'orlo dell'insolvenza.
Nuovi concorrenti
I fallimenti e le difficoltà finanziarie avrebbero cambiato la fisionomia di molti settori.
In alcuni casi avrebbero comportato una riduzione della capacità, con un potenziale miglioramento del rendimento per le aziende che restano sul mercato.
Tuttavia, la capacità avrebbe potuto anche semplicemente cambiare mani, spesso a prezzi stracciati che avrebbero consentito ai nuovi entranti di competere partendo da una base di costi molto inferiore.
Alterazione degli equilibri di potere nella catena del valore
In molti settori, gli squilibri fra domanda e offerta, dovuti alla tendenza a sottoinvestire durante la recessione, avrebbero creato una situazione di volatilità dei prezzi con la ripresa della domanda.
La World Steel Association, l'associazione mondiale che riuniva le società siderurgiche, prevedeva per esempio un calo globale della domanda di acciaio del 15% nel 2009, trascinata da una contrazione superiore al 25% in Europa e Nord America.
Tali picchi non saranno stati limitati ai settori delle materie prime.
I comparti delle costruzioni navali e della costruzione di aeromobili rappresentavano solo due dei settori in cui un rallentamento della domanda e una conseguente riduzione della capacità produttiva avrebbe potuto creare delle carenze e spingere i prezzi al rialzo nel medio termine.
Nel primo trimestre del 2009, Airbus, la divisione aerospaziale commerciale di EADS, si era aggiudicata soltanto otto nuovi ordini netti (dopo le disdette), rispetto ai 395 nuovi ordini netti dello stesso periodo del 2008.
Sebbene dovesse ancora consegnare una quantità consistente di ordini arretrati, Airbus annunciò un lieve rallentamento della produzione verso la fine dell'anno e previse ulteriori riduzioni per il successivo futuro.
Lo spettro del fallimento che incombeva sui fornitori avrebbe potuto indurre i clienti a valle a rilevarne la società allo scopo di garantirsi l'accesso a risorse limitate o difficilmente replicabili.
La fusione di più fornitori o il loro fallimento avrebbero potuto creare ulteriori problemi per i clienti, alterando gli equilibri di potere e annullando regole consolidate e contratti.
Nuovo panorama competitivo
In seguito alla congiuntura economica negativa, interi settori avrebbero sofferto pesantemente e forse sarebbero stati trasformati in modo permanente.
Come sarebbe potuto cambiare il rapporto di potere fra acquirenti e fornitori? Chi sarebbero stati i nuovi concorrenti, e come sarebbero cambiate le regole del gioco?
Nuove regole
Una maggiore regolamentazione sarebbe stata parte integrante della nuova realtà per molti comparti, in quanto i governi desideravano svolgere un ruolo più attivo nella gestione di settori chiave come quello bancario, dell'edilizia abitativa, della produzione e della sanità.
Si andava dunque dalla proposta delle cosiddette norme cap-and-trade finalizzate a controllare le emissioni industriali dei gas a effetto serra a iniziative orientate a un settore specifico come le misure di abbattimento dell’anidride carbonica per le industrie automobilistiche dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti.
Il risultato finale sarebbe stato misurabile in costi aggiuntivi e nuovi vincoli in relazione a quello che le aziende potevano e non potevano fare.
Guardando agli aspetti positivi, la continua progressione verso l'armonizzazione degli standard regolatori globali in settori così variegati come quello dell'automotive (controllo delle emissioni e sicurezza) e delle telecomunicazioni avrebbe dovuto contribuire a ridurre i costi per i protagonisti presenti a livello globale.
Volatilità cronica
Si diceva che le fluttuazioni dei tassi di cambio sarebbero continuate fin tanto che i governi avrebbero cercato di reperire ingenti fondi per finanziare salvataggi economici.
Si pensava anche che i prezzi di una vasta gamma di materie prime, e di servizi quali spedizioni e trasporti, non avrebbero mai smesso di oscillare finché il mercato non avrebbe trovato un equilibrio stabile fra domanda e offerta.
Gli investitori restevano cauti anche mentre le economie riemergevano dalla congiuntura negativa, e questo avrebbe contribuito a generare una maggiore volatilità, con il risultato che le reazioni a variazioni dei principali indicatori economici sarebbero state ancora più rapide ed estreme e l'andamento dei mercati azionari si sarebbe mantenuto instabile.
Nel frattempo, opportunità di acquisizione a prezzi interessanti probabilmente avrebbero attirato nuovi investitori nei mercati occidentali.
Numerose multinazionali dei mercati emergenti avevano già dato prova dell'intenzione di sfruttare le fusioni e acquisizioni come base per espandere la propria presenza sui mercati più redditizi dei Paesi sviluppati.
La cinese Sichuan Tengzhong Heavy Industrial Machinery Co., per esempio, era prossima a concludere l'acquisizione del marchio Hummer di General Motors, specializzato nella produzione di SUV di grandi dimensioni e pick-up, mentre Industrial and Commercial Bank of China è in procinto di acquisire il 70% della filiale canadese di Bank of East Asia, conquistando così un prezioso avamposto nel mercato canadese.
Anche gli investitori in titoli di società in crisi attuavano ampiamente un meccanismo di riciclaggio di società sofferenti.
Aziende statunitensi come Apollo Investment Corporation, Oaktree Capital Management e Centerbridge, per esempio, potevano acquisire delle società per una frazione del loro valore precedente, spesso per 20 - 30 centesimi per dollaro, per poi riportarle sul mercato con profitto.
Si attendeva un'accelerazione della tendenza alle fusioni in molti comparti, in particolare nel settore delle costruzioni, dell'energia, nel settore bancario e retail, in quanto la congiuntura negativa costringeva le aziende a stringere alleanze per sopravvivere, e il valore fortemente depresso degli asset rendeva l'affare più interessante per le società più forti.
Anche questo avrebbe cambiato le regole del gioco per gli attuali player, consentendo alle aziende più grandi di realizzare economie di scala e offrire ai clienti vantaggi che i player più piccoli non potevano neanche immaginare di proporre.
Coloro che non disponevano di credito sufficiente o di tasche molto profonde, dovevano contare su un patrimonio netto più costoso per finanziare la crescita.
La caduta drammatica del valore dei fondi pensionistici sarebbe gravata non poco sulle aziende con una forte presenza di persone prossime alla pensione e ne avrebbe limitato la capacità di investire in nuova crescita.
Per citare un esempio molto eloquente, l'operatore di telecomunicazioni britannico BT Group aveva annunciato in maggio che avrebbe dovuto quasi raddoppiare la somma versata per il programma di pensionamento, da 280 milioni di sterline nel 2008 a 525 milioni di sterline, per ciascuno dei successivi tre anni, a causa di un ammanco previsto di 4 miliardi di sterline nel suo fondo pensione.
Questi versamenti avrebbero assorbito quasi un quarto del cash flow disponibile della società previsto per quel periodo.
Per raccogliere denaro e rimborsare i debiti, alcune imprese avrebbero dovuto svendere delle attività, creando opportunità per protagonisti del settore più solidi dal punto di vista finanziario.
L'attività generale di fusioni e acquisizioni si sarebbe intensificatasi già verso la fine del 2009 e accelerata nel 2010 quando le valutazioni delle aziende si sarebbe stabilizzata maggiormente e i concorrenti finanziariamente solidi avrebbero fatto le loro mosse per approfittare del ridotto valore degli assets.
Già nel 2009 avevano fatto parlare di sé un paio di operazioni commerciali degne di nota: in gennaio, Pfizer ha annunciato l'intenzione di acquisire Wyeth per 68 miliardi di dollari, mentre in giugno Fiat ha acquisito gli asset principali di Chrysler nell'ambito di un accordo in cui il governo USA ha fatto da intermediario.
In seguito a questi e altri cambiamenti, la leva finanziaria media per tutte le aziende si sarebbe ridotta, mentre i tassi di crescita positivi dei mercati emergenti avrebbero continuato ad attirare investimenti a discapito delle economie sviluppate a crescita più lenta.
Le organizzazioni avrebbero potuto avere bisogno di prendere in considerazione strutture di capitale differenti e trovare nuova liquidità per finanziare innovazioni, nuova capacità, miglioramento delle competenze, espansione geografica o acquisizioni.
I manager dovettero anche rivedere piani e prospettive di crescita organica per adattarli alla nuova realtà dei clienti.
Al di là di queste questioni fondamentali, i dirigenti dovettero esaminare attentamente il proprio portafoglio di prodotti e servizi, chiedendosi se fossero ancora adeguati alle mutate esigenze dei clienti e alle nuove dinamiche concorrenziali.
Nella loro analisi dovettero rilevare tutte le lacune che andavano colmate, o anche le opportunità di abbandonare rami d'azienda che non contribuivano allo slancio strategico di fondo dell'impresa o non soddisfavano i requisiti minimi di performance.
Potendo disporre di una quantità inferiore di denaro da investire, le aziende dovettero fare scelte difficili su come distribuire la spesa fra mercati emergenti o sviluppati e fra crescita organica e operazioni di fusione e acquisizione.
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere contribuì ad ampliare il divario fra vincenti e perdenti del futuro.
Le aziende vincenti continuarono a investire in ricerca e sviluppo anche durante la congiuntura negativa, e terranno a disposizione del denaro per approfittare di opportunità di fusione/acquisizione a prezzi stracciati, rispondendo alle mutate esigenze dei clienti con nuove proposte innovative conquistando per tempo posizioni libere e ben salde nei mercati emergenti.
Questi investimenti apportarono enormi vantaggi a queste aziende, sospingendole verso performance ancora migliori una volta uscite dalla recessione.
Prospettive di crescita
Gli euforici giorni del contante disponibile e del credito facile sembravano già un ricordo lontano.
In che modo le imprese potevano sostenere la propria capacità di investire in crescita e come potevano dove e come crescere?
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere avrebbe ampliato il divario fra vincenti e perdenti.
Questi marcati cambiamenti nel comportamento dei clienti, l'ambiente competitivo e le prospettive di crescita avrebbero avuto un impatto rilevante in due aree fondamentali: modalità operative delle aziende e utilizzo del talento a tutti i livelli dell'organizzazione.
Di conseguenza, le aziende dovettero acquisire nuove capacità e ripensare le attività da intraprendere, e dove.
In una realtà in cui i finanziamenti esterni continuavano a scarseggiare, le imprese dovrettero prendere in considerazione nuovi modi per conservare il denaro.
Outsourcing e delocalizzazione crebbero probabilmente in modo significativo a fronte della tendenza delle aziende a cercare modi per trarre vantaggio dalle differenze in termini di costo del lavoro e attingere all'elevata efficienza operativa degli specialisti del settore.
A riprova di ciò, una inchiesta condotta presso multinazionali britanniche rivelò che più dell'80% di esse stesse valutando l'ipotesi di trasferire all'estero nei prossimi cinque anni almeno una delle funzioni di business principali, con l'obiettivo di tagliare i costi.
A mano a mano che le aziende si espasero in tutto il mondo, diventò sempre più importante sfruttare in modo più efficace la forza delle proprie dimensioni, sia in attività di back-office, quali la gestione delle risorse umane, l'amministrazione e gli acquisti, e in applicazioni di front-office, quali la progettazione del packaging, l'analisi di marketing, la pubblicità e l'attività promozionale.
Anziché duplicare competenze di difficile reperimento in ciascuna regione, i centri globali di eccellenza, potenziati dalle tecnologie informatiche, consentirono ai protagonisti più avanzati del settore di fornire prestazioni di livello mondiale a tutte le aree geografiche.
Altri fattori influenzarono la scelta dei modelli di business.
Il numero crescente di accordi internazionali diede vita a nuove sfide in termini di integrazione di culture diverse, di clienti e di ambienti competitivi.
Questo valse in particolare per le aziende con un piede nei mercati dei Paesi sviluppati e un altro nei mercati emergenti.
Più in generale, con l'espansione delle aziende a livello internazionale, la necessità di far leva sulle dimensioni globali, personalizzando al tempo stesso sia l'offerta che la governance per adeguarle alle esigenze di mercati molto diversi fra loro, richiedesse strutture, processi e competenze rinnovate.
La tecnologia continuò a trasformare il modo di fare business, facilitando una maggiore mobilità e la distribuzione geografica delle attività.
Una crescente carenza di competenze nell'Occidente e la relativa abbondanza delle stesse competenze in Paesi emergenti come India e Cina indusse le aziende a delocalizzare attività sempre più sofisticate, inclusi importanti segmenti della catena del valore della funzione di ricerca e sviluppo.
Migliore gestione del rischio
La congiuntura negativa face nascere l'esigenza di nuove competenze nella gestione del rischio e rispetto delle normative.
Per esempio, per evitare il ripetersi dell'ultima crisi, le banche dovettero definire politiche di governance più robuste e obiettive per quanto riguarda il rischio.
Due banche spagnole, BBVA e Banco Santander, aprirono la via costituendo dei comitati di rischio, comprendenti una forte rappresentanza di dirigenti non esecutivi, cui fu affidato il compito di esaminare le nuove richieste di prestito e discutere i rischi più consistenti.
Molti osservatori hanno attribuito a questo processo il fatto che alle due istituzioni sia stata in larga misura risparmiata la ricaduta delle stretta creditizia.
Con il perdurare della situazione di volatilità, sempre più aziende di un numero sempre maggiore di settori dovettero
Nuovi modelli di business
Le nuove sfide richiedono nuovi modi di operare.
In che modo le aziende si adatteranno alla nuova realtà competitiva e cosa comporterà questo cambiamento per i modelli, la governance e le competenze aziendali?
Dopo la guerra del Golfo, paesi con sovrabbondanza di capitale, ma capacità agricola insufficiente per coprire le loro esigenze acquistarono o affittarono terreni agricoli all'estero.
Questo li protesse da una futura volatilità dei prezzi e, aspetto ancor più importante, garantì la sicurezza dell'approvvigionamento di cibo in un mondo in cui la minaccia dei divieti di esportazione da parte dei paesi produttori era diventata molto più concreta.
Adottare strategie di copertura e stoccaggio per una serie di materie prime, allo scopo di gestire questi rischi e proteggere i profitti futuri poteva essere per molti paesi un’aootima soluzione.
E garantirsi l'accesso a risorse limitate assumerà una sempre maggiore importanza quando la crescita sarebbe ripresa..
Per citare un esempio delle nuove strategie di copertura, Cina, Corea del Sud e Stati quindi tener conto di un potenziale buco in corrispondenza delle posizioni senior più critiche, appena sotto al CEO.
Dopo la congiuntura economica negativa la corsa ai talenti riprenderà slancio in quanto le aziende, ansiose di risollevarsi, si daranno da fare per reclutare le competenze necessarie e ricostituire la capacità persa a causa della recessione.
La sfida pose particolari difficoltà nei settori in cui le competenze specialistiche sono state perse, come per esempio nel settore finanziario, in alcuni casi in modo permanente, in quanto i lavoratori se ne andarono via o cambiarono mansioni.
Nell'Europa occidentale e in Giappone la forza lavoro che invecchiava aggravò la carenza di competenze, costringendo i governi a considerare la possibilità di favorire l'immigrazione o di ricorrere all'outsourcing.
Un altro problema ormai molto sentito in queste regioni è la fuga dei talenti.
La Germania, per esempio, sta perdendo un numero crescente di professionisti qualificati e di lavoratori.
Nel 2008, più di 3.000 medici hanno lasciato il paese, portando il numero di medici tedeschi che lavorano all'estero a quasi 20.000 unità.
Il ritorno dei baby boomer
Un fenomeno che la congiuntura economica ha portato con sé è stato il ritornodei baby boomer nella forza lavoro.
L'adattamento ai cambiamenti indotti dalla crisi impose alle aziende di cambiare agilmente direzione a seconda delle esigenze del momento, abbandonando piani e mentalità ormai superate e riorientando gli sforzi verso aree nuove e più promettenti.
In quest'ottica, la qualità della leadership fu più importante che mai per determinare la sopravvivenza di un'organizzazione.
La congiuntura economica impose alla dirigenza di effettuare scelte difficili e spesso dolorose: quanto tagliare e cosa mantenere, dove investire le limitate risorse di crescita, quali mercati o attività abbandonare, come guidare con fiducia i team attraverso il cambiamento.
I consigli di amministrazione aziendali sostituirono i leader deboli che non riuscivano a fare le scelte giuste o a elaborare una visione che le loro organizzazioni trovassero convincenti.
Nelle aziende in cui la dirigenza fece un buon lavoro, invece, venne chiesto ad alcuni CEO o gruppi di dirigenti prossimi alla pensione di restare un po’ più a lungo per guidare l'organizzazione fuori dal guado.
Questo creò difficoltà alla nuova generazione di dirigenti, che vollero perseguire nuove opportunità in modo da avere maggiori possibilità di promozione ai vertici.
La pianificazione della successione in tali situazioni dovette dare valorizzazione dei talenti riconosciuti a livello nazionale.
L'ambiente in rapida evoluzione pose nuove sfide alla leadership aziendale e in termini di valorizzazione dei talenti.
In che modo dovettero adattarsi i leader per creare una maggiore capacità di reazione a fronte di una elevata volatilità?
Come si potettero coltivare i talenti più critici durante la congiuntura negativa, e come si ricreano le competenze perse quando la crescita sarebbe ripresa?
La società ha cominciato a offrire corsi di base in gestione della turnazione che equivalgono ai certificati A-level (un certificato di formazione generica di livello avanzato) rilasciati nel Regno Unito.
Al corso si sono iscritte più di 2.500 persone, incluse svariate centinaia di laureati desiderosi di intraprendere questo corso di formazione pratica.
Le aziende dovettero anche studiare nuovi modelli di impiego per attrarre e trattenere i giovani lavoratori più brillanti, che spesso, a proposito di carriera e lavoro, hanno punti di vista diversi dai loro genitori.
Una ricerca ha rivelato che molti dei cosiddetti figli del millennio (i nati fra il 1980 e il 2000), per esempio, hanno sentito fortemente l'esigenza di raggiungere un equilibrio fra vita e lavoro; di conseguenza avrebbero potuto optare per strutture di lavoro più flessibili e benefit diversi da quelli tipicamente offerti.
Una ricerca, per esempio, ha dimostrato che i figli del millennio vogliono poter usare tecnologia di consumo (smartphone, lettori MP3), applicazioni di social networking e software open source anche sul posto di lavoro.
Ricchi e poveri
La penuria di talenti venne avvertita più fortemente a livello delle posizioni di knowledge worker qualificati, istruiti ed esperti.
In determinati settori, tuttavia, il passaggio di mano del potere economico avrebbe potuto comportare la perdita permanente di posti di lavoro.
Al giugno 2009, più del 25% di tutti i posti di lavoro persi negli Stati Uniti dall'inizio della recessione era concentrato nel settore manifatturiero.
Molti di questi erano presso costruttori di automobili e fornitori correlati.
Senza incentivi del governo e altre forme di intervento, molti di questi lavori avrebbero potuto essere stati trasferiti in sedi a costo inferiore, ma solo creando la minaccia di una disoccupazione su larga scala e a lungo termine in quei comparti.
Le differenze in termini di contributi, produttività e stipendio fra knowledge worker altamente qualificati, istruiti ed esperti dicembre 2007 e il maggio 2009, negli Stati Uniti sono andati persi 5,7 milioni di posti di lavoro, portando la percentuale totale dei disoccupati all'8,9%, il livello più alto degli ultimi 25 anni.
Eppure, fra il dicembre 2007 e il dicembre 2008, il numero di americani di 55 anni o più presenti fra le fila della forza lavoro è cresciuto di oltre 870.000 unità.
A fronte di piani pensione più esigui e di aspettative di prepensionamento ridimensionate, un numero sempre maggiore di baby boomer decise di restare nella forza lavoro.
La ripresa della crescita avrebbe ptotuto spingere molte di queste persone a lasciare il posto di lavoro, aggravando così la situazione di penuria delle competenze in alcuni settori.
Le aziende che reclutavano talenti di altissimo livello durante la congiuntura negativa potettero conquistare dei vantaggi sul lungo periodo.
Avendo meno opportunità a disposizione, infatti, i nuovi laureati ampliano il raggio d'azione della loro ricerca di lavoro.
Quando alla fine del 2008 nella City di Londra le assunzioni precipitarono, alcune aziende che tradi zionalmente avevano difficoltà ad attirare i laureati migliori videro un'opportunità.
Aldi, catena di supermercati discount, registrò un aumento del 280% delle domande di lavoro e ha incrementato il proprio target di assunzioni del 50% per approfittare delle condizioni eccezionali del mercato del lavoro.
Sul lungo periodo, anche se il settore finanziario riconquistò un po' del suo prestigio e riuscì ad accaparrarsi alcuni di questi giovani ambiziosi e pieni di talento, datori di lavoro come Aldi furono in una posizione migliore per proporsi nei campus delle università facendo leva proprio su questi ex-allievi.
La possibilità di diventare un datore di lavoro dalle indiscutibili attrattive dipendette dalla capacità di preparare una proposta di valore per i dipendenti che attirasse l’interesse delle giovani generazioni.
Nel 2008, McDonald’s è diventato uno dei primi datori di lavoro britannici autorizzati a rilasciare propri certificati di formazione.
Infine, i paesi dove il costo del lavoro era estremamente basso, come Laos, Cambogia e varie regioni dell'Africa, furono oggetto di notevole interesse da parte delle aziende e registrarono significativi livelli di crescita quando le multinazionali si trovarono a gestire i costi della manodopera alla ripresa dell'economia globale e una schiera in rapida espansione di lavoratori disponibili ma prevalentemente non qualificati avrebbe potuto dare origine a una situazione di conflittualità sindacale.
Questa, a sua volta, avrebbe potuto indurre i governi a intervenire, per esempio, con norme che limitassero il trattamento differenziale dei dipendenti.
La congiuntura economica negativa accelerò importanti cambiamenti nel comportamento degli acquirenti, nella struttura industriale e nelle dinamiche competitive e aprì un divario fra vincenti e perdenti che probabilmente crebbe in modo significativo nei successivi anni a venire.
L'opportunità di successo al momento della ripresa dipendette dalla capacità della leadership di precorrere e reagire a questi cambiamenti e a quelli che vennero, e di aver operato scelte oculate, spesso molto difficili su come e dove investire, come strutturare le attività e come preservare e ricostituire le competenze chiave quando la fase di crescita avrebbe ripreso.
8 possibili tipi di crisi mondiali
Nei prossimi anni il mondo cambierà.
Bisogna vedere se in meglio o in peggio.
Intanto ecco 8 accadimenti che dobbiamo sperare che NON succedano...
Da un articolo del Sole 24 Ore di lunedì 6 novembre 2006, alcune indicazioni sui possibili scenari per i prossimi 100 anni, su 8 potenziali fattori di crisi planetaria e sui rispettivi elementi di pessimismo/ottimismo.
CRISI N°1: ANNO 2020 D.C.
- LE GRANDI MIGRAZIONI
Gli scontri fra i paesi ricchi per garantirsi un tenore di vita troppo elevato porteranno a guerre per l'acqua, crisi finanziarie e grandi migrazioni.
• Fattori di pessimismo: Secondo il rapporto Mapping the Global Future del governo Usa, l'aumento dei consumi occidentali e la nuova ricchezza asiatica saranno i motori della crisi
• Fattori di ottimismo: La Banca Mondiale sostiene che lo sviluppo è sostenibile, a patto che sia guidato da regole chiare e dalla "mano invisibile" del mercato
• Probabilità di accadimento: 90%
CRISI N°2: ANNO 2020 D.C.
- LA CRISI DEL PETROLIO
La produzione si ridurrà di un terzo e il prezzo del greggio arriverà sopra i 500 $: il poco petrolio rimasto non sarà più utilizzabile economicamente.
• Fattori di pessimismo: L'Unione Europea ha già individuato la data, che alcuni esperti anticipano addirittura di un decennio (2030).
L'UE dovrà importare il 70% del proprio fabbisogno annuo
• Fattori di ottimismo: Con le fonti alternative già oggi all'8% della produzione mondiale di energia, secondo l'International Energy Agency la fine del petrolio sarà praticamente "indolore"
• Probabilità di accadimento: 75%
CRISI N°3: ANNO 2047 D.C.
- LA FINE DEI GIORNALI CARTACEI
Viene stampata l'ultima copia di giornale cartaceo.
E' la fine dell'informazione realizzata da professionisti.
• Fattori di pessimismo: Secondo lo studioso Philip Meyer, il modello attuale sta venendo ucciso da Internet.
La pubblicazione andrà in rete e l'informazione sarà affidata a volontari (?) online
• Fattori di ottimismo: Secondo Barry Schwartz, la gente preferirà scegliere fra poche alternative ma di qualità; il futuro del giornalismo professionista è garantito!
• Probabilità di accadimento: 15%
CRISI N°4: ANNO 2047 D.C.
- L'APOCALISSE CLIMATICA
Effetto serra, riscaldamento globale, innalzamento dei mari; le terre emerse si ridurranno di un terzo (!!), mentre uragani e siccità colpiranno il pianeta.
• Fattori di pessimismo: WWF e Accademia delle Scienze svizzera sostengono che serve un nuovo pianeta
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio di New Scientist, non abbiamo ancora sufficienti conoscenze sul clima per poter fare previsioni di lungo periodo
• Probabilità di accadimento: 65%
CRISI N°5: ANNO 2060 D.C.
- LA BOMBA NANOTECH
Macchine microscopiche e autoreplicanti sfuggono al controllo umano e distruggono tutte le forme di vita sul pianeta.
• Fattori di pessimismo: Un'apocalisse minuscola ma letale, prevista da Nick Bostrom dell'Università di Oxford e dallo scrittore Michael Crichton
• Fattori di ottimismo: Secondo i ricercatori del Mit di Boston, le nanotecnologie saranno una delle risorse chiave (e non una minaccia) per costruire un futuro migliore per l'umanità
• Probabilità di accadimento: 25%
CRISI N°6: ANNO 2070 D.C.
- IL CRACK DELL'OCCIDENTE
Bancarotta completa per l'economia mondiale a causa delle guerre per le risorse e come effetto del clima impazzito.
Le Borse di tutto il mondo potrebbero venir chiuse .
• Fattori di pessimismo: La previsione della compagnia di assicurazioni Swiss RE è basata su sofisticati modelli di analisi di previsione del rischio
• Fattori di ottimismo: I sistemi di governo mondiale si difenderanno con nuove regole sugli scambi economici
• Probabilità di accadimento: 55%
CRISI N°7: ANNO 2080 D.C.
- LA FINE DELLE RISORSE
Usa, Ue, Cina e India esauriranno tutte le risorse disponibili sul pianeta con la loro crescita dissennata.
• Fattori di pessimismo: Molte associazioni ambientaliste e perfino uno studio commissionato dal governo britannico sostengono che, salvo repentini cambiamenti di rotta, la catastrofe è annunciata
• Fattori di ottimismo: Secondo il Dipartimento per il commercio Usa, le possibilità offerte da sempre nuove tecnologie permetteranno una crescita sostenibile e quindi senza limiti
• Probabilità di accadimento: 50%
CRISI N°8: ANNO 2100 D.C.
- IL RITORNO AL BARATTO
Si vivrà in un nuovo Medio Evo, senza tecnologia, scienza o Stato.
Malattie, guerre tribali, baratti ed una popolazione ridotta al 15% di quella attuale.
• Fattori di pessimismo: Secondo il futurologo americano John Michael Greer, i fondamentalismi e la fiducia dissennata per la scienza porteranno il mondo alla rovina
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio della rivista Usa Nature, il futuro non sarà il giardino dell'Eden, ma di sicuro neanche un inferno post-industriale
• Probabilità di accadimento: 10%
Fonte: www.ilsole24ore.com
I FALLIMENTI BANCARI
Il più grande fallimento della storia.
Il fallimento di Lehman Brothera è il pù grande nella storia delle bancarotte mondiali.
Lehman ha superato infatti il 'crac' di WorldCom, il gruppo telefonico che finì in amministrazione controllata nel 2002 per via di alcune grosse irregolarità contabili.
Lehman Brothers ha un debito pari a circa 613 miliardi di dollari ed ha superato di conseguenza oltre a WorldCom anche Drexel Burnham Lambert, fallimento avvenuto nel 1990.
Lehman Brothers è inoltre debitrice di qualche cosa come oltre 157 miliardi di dollari nei confronti di una decina di creditori non privilegiati e nei riguardi degli obbligazionisti.
In questo caso - sottolinea l' Agenzia Bloomberg - questi debiti potranno essere saldati solo dopo che saranno stati rimborsati i creditori privilegiati.
La stessa Lehman ha precisato che fra i creditori non privilegiati figurano Commerzbank e Bank of New York Mellon, per il ruolo svolto da questi istituti nel prestare garanzie agli obbligazionisti.
L' esposizione degli obbligazionisti sarebbe pari a 155 miliardi di dollari, quindi pressoché la totalità del credito non garantito.
La graduatoria dei maggiori crack nella storia societaria statunitense, in base a dati elaborati da Bloomberg (fra parentesi gli asset espressi in miliardi di dollari):
1) LEHMAN BROTHERS (639 miliardi)
2) WORLDCOM (103,9 miliardi)
3) ENRON (63,4 miliardi)
4) CONSECO (61,4 miliardi)
5) TEXACO (35,9 miliardi)
6) Financial Corp.
of America (33,9 miliardi)
7) Refco (33,3 miliardi)
8) IndyMac Bancorp (32,7 miliardi)
9) Global Crossing (30,2 miliardi)
10)Calpine (27,2 miliardi)
FOTOGRAFIA ECONOMICA DELLA SITUAZIONE VALUTARIA INTERNAZIONALE DEL 2010
Cronaca delle 15.56 04/01/2010
Borsa altalenante.
Negli ultimi 25 anni, i mercati azionari europei hanno reso mediamente il 13% all'anno? La Borsa italiana addirittura meglio: le azioni quotate a piazza degli Affari, dal 1975 a oggi, hanno reso mediamente il 18% all'anno.
Si tratta naturalmente di una media.
Controllando infatti l'andamento dell'indice di Borsa anno per anno, si scoprono alti e bassi vertiginosi.
Nel 1977, per esempio, le quotazioni sono scese del 23%, nel 1980 sono salite addirittura del 122% (la vetta degli ultimi 25 anni), nel 1987 sono crollate del 32% (la fossa assoluta); nel 1993 sono salite del 37%, nel 1997 del 58%, nel 1998 del 41% e nel 1999 del 22%.
Si noti sempre inoltre che lo yen dal 90 ad oggi è passato dal cambio di 8.756 Lit.
per 1 Jpy.
al cambio attuale di 14,5 Lit.
per 1 Jpy.
ovvero di 0,0075 Eur per 1 Jpj che significa che l'economia del Giappone in soli 20 anni ha fatto guadagnare alla propria moneta un notevolissimo potere di acquisto, rispetto a quella italiana con tasso di rivalutazione totale pari al 65% ovvero pari al tasso medio annuo del 3,28% per tutto il ventennio!
Si veda invece la tabella (1), ove si trovano le quotazioni monetarie degli altri paesi, che pur superando quasi tutte quella italo-eurolandese, hanno determinato un distacco differente secondo l'eziologia di ciascuna realtà economica.
Tabella 1
U.s.a.
1990: 1 Usd = 1.268,50 Lit.
2010: 1 Usd = 1.352,37 Lit.
con crescita del 6.66% pari allo 0.333 % annuo per il venntennio
Inghilterra
1990: 1 Gbp = 2.054,00 Lit.
2010: 1 Gbp = 2.183,31 Lit
con crescita del 6.29% pari allo 0,31 % annuo per il venntennio
Svizzera
1990: 1 Chf = 816,95 Lit.
2010: 1 Chf = 1.305,52 Lit
con crescita del 59.80% pari allo 2,99 % annuo per il venntennio
Spagna
1990: 1 Esp = 11,54 Lit.
2010: 1 Esp = 11,62 Lit
praticamente paritetica
Francia
1990: 1 Frf = 219,40 Lit.
2010: 1 Frf = 295,18 Lit
con crescita del 34,50% pari allo 1,725 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Germania
1990: 1 Dem = 750,12 Lit.
2010: 1 Dem = 989,99 Lit
con crescita del 31,97% pari allo 1,598 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Austria
1990: 1 Ats = 106,58 Lit.
2010: 1 Ats = 140,61 Lit
con crescita del 31,93% pari allo 1,596 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Russia
1990: 1 Rub = 33,74 Lit.
2010: 1 Rub = 44,77 Lit
con crescita del 32,69% pari allo 1,63 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Svezia
1990: 1 Sek = 205,07 Lit.
2010: 1 Sek = 188,19 Lit
con decrescita del 8.23% pari allo 0,004 % annuo per il venntennio
Brasile
1996: 1 Brl = 1621.42 Lit.
2010: 1 Brl = 775,22 Lit
con decrescita del 52.18% pari allo 3,26 % annuo per il quattordicennio
Cina
1996: 1 Cny= 189,50 Lit.
2010: 1 Cny = 198,01 Lit.
con crescita del 4.49% pari allo 0.28 % annuo per il quattordicennio
DELAZIONI SULLA GOVERNANCE INTERNAZIONALE: BANCHE, MONETA, POTERE DI EMISSIONE E CAPITALISMO FINANZIARIO
“Il culmine del potere nel mondo di oggi sta nel potere di emissione del denaro.
Se tale potere venisse democratizzato e focalizzato in una direzione che tenga conto dei problemi sociali ed ecologici allora potrebbe ancora esserci la speranza di salvare il mondo” Thomas H.
Greco, Jr.
“I disordini non avranno mai fine, non avremo mai una sana amministrazione della cosa pubblica, se non acquisteremo una nozione precisa e netta della natura e della funzione del denaro.” Ezra Pound
“L’attività bancaria fu fecondata con l’ingiustizia e nacque nel peccato.
I banchieri posseggono il mondo.
Se glielo toglierete via lasciando loro il potere di creare denaro, con un colpo di penna creeranno abbastanza depositi per ricomprarselo.
Toglieteglielo via in qualunque modo e tutti i grandi patrimoni come il mio scompariranno, ed è necessario che scompaiano affinché questo diventi un mondo migliore in cui vivere.
Ma se preferite restare schiavi dei banchieri e pagare voi stessi il costo della vostra stessa schiavitù, lasciate che continuino a creare denaro.” Sir Josiah Stamp, Direttore della Banca d’Inghilterra negli anni venti, considerato a quel tempo il secondo uomo più ricco di tutta l’Inghilterra.
“Tutte le perplessità confusioni, e afflizioni in America sorgono non tanto dai difetti della Costituzione, né dalla mancanza d’onore o di virtù quanto dall’assoluta ignoranza della natura della moneta, del credito, e della circolazione.” John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America
“Davamo a questo popolo il maggior beneficio che abbia mai avuto: la sua propria carta [moneta] per pagare i propri debiti.” John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America
Art.
1, Sezione 8.
pp.
5 della Costituzione degli Stati Uniti d’America: Il congresso avrà diritto di batter moneta, e di determinarne il valore (delle unità), e di fissare i criteri dei pesi e delle misure.
Firmato George Washington, presidente e deputato della Virginia (17 settembre 1787)
“Oggi il nome «democrazia» è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro.” Ezra Pound (1933)
“Discutere dei governi delle così dette democrazie: Inghilterra, Francia, Stati Uniti, è una semplice perdita di tempo, sino a che non si distingue tra teoria e fatto.
Questi tre paesi sono controllati dagli usurai, sono usurocrazie o daneistocrazie, ed è perfettamente inutile di parlarne come se fossero controllati e governati dai loro popoli o dai delegati che rappresentano i loro popoli, o nell’interesse dei loro popoli.” Ezra Pound (1933)
“L’usuraio distruggerà ogni ordine sociale, ogni decenza, ogni bellezza.” Ezra Pound (1933)
“Il denaro non rappresenta altro che una nuova forma di schiavitù impersonale, al posto dell’antica schiavitù personale.” Lev Tolstoj
“Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche.” TATANKA IOTANKA (Toro Seduto)
“Il ricco domina sul povero e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.” La Bibbia
- Antico Testamento – Proverbi, cap.
22, versetto 7
“La storia testimonia che i cambiavalute hanno usato ogni sorta di inganno, macchinazione, frode e violenza possibile al fine di mantenere il controllo sui governi per gestire il denaro e la sua emissione.” President James Madison
“Voi siete un covo di vipere e ladri e io intendo sconfiggervi, e per il Padreterno, vi sconfiggerò.
Se il Congresso ha la prerogativa di emissione di moneta cartacea, ciò gli é stato dato per venir usato dallo stesso e non per essere delegato a individui o corporazioni..” Andrew Jackson al Congresso degli Stati Uniti d’America (1829)
“Le banche hanno provocato più danni alla religione, alla moralità, alla tranquillità, alla prosperità e anche alla ricchezza della nazione rispetto al bene che possono aver fatto finora o che mai faranno.” John Adams, Presidente degli Stati Uniti d’America (1819)
“Oltre a questi obiettivi pragmatici, i poteri del capitalismo finanziario avevano un altro scopo più ampio, nientemeno che di creare un sistema mondiale di controllo finanziario, in mani private, capace di dominare il sistema politico di ciascun paese e l’economia del mondo nel suo insieme.
Questo sistema doveva essere controllato in un modo feudalista da parte delle banche centrali del mondo che agiscono di concerto, attraverso accordi segreti cui si arrivava durante frequenti incontri e conferenze private.
L’apice del sistema sarebbe stata la Bank for International Settlements [BIS] di Basilea, in Svizzera, una banca privata di proprietà e sotto il controllo delle banche centrali mondiali, esse stesse corporazioni private.
Ogni banca centrale cercava di dominare il proprio governo tramite la sua capacità di controllare i prestiti al Tesoro, di manipolare i tassi di cambio della valuta estera, di influire sul livello delle attività economiche nazionali e di fare pressioni sui politici compiacenti tramite successive ricompense economiche nel mondo degli affari.”
Citation from Tragedy and Hope – A History of the World in Our Time, by Carroll Quigley, GSG Associates, California 1966.
“
I nostri nemici su questo pianeta, sono meno di dodici persone.
Sono i membri della Banca d’Inghilterra e di altri più alti circuiti finanziari.
Essi posseggono le catene di giornali ed essi sono, come se non bastasse, in tutte le istituzioni che si occupano di salute mentale che sono sorte nel mondo.
(…) E questi, apparentemente, hanno deciso in un momento lontano del passato, una particolare strategia.
Avendo il controllo della riserva aurifera del pianeta, sono entrati in un programma per portare ogni governo alla bancarotta e sotto al loro dominio, cosicché nessun governo sarebbe stato capace di iniziative politiche senza il loro appoggio” Ron Lafayette Hubbard, ex ufficiale dei servizi segreti della Marina USA, fondatore di Scientology – settembre 1967
“Io ho due grossi nemici: l’esercito del Sud di fronte a me e le società finanziarie in retroguardia.
Dei due, quello in retroguardia è il mio peggior nemico… Prevedo l’avvicinarsi di una crisi che mi snerverà e mi farà tremare per la sicurezza della mia patria.
Al termine della guerra, le grandi imprese saranno elevate al trono, ne seguirà un’era di corruzione nei posti più influenti, le forze più ricche del paese si sforzeranno di prolungare il proprio regno facendo leva sui pregiudizi della gente, finché la ricchezza sarà concentrata in poche mani e la Repubblica sarà distrutta.
In questo momento, sento ancora più ansietà di prima per la sicurezza del mio paese, nonostante mi trovi nel mezzo di una guerra.” Abraham Lincoln
“Il capitale deve proteggersi in ogni modo possibile con alleanze e legislazione.
I debiti devono essere riscossi, le obbligazioni e i contratti ipotecari devono esser conclusi in anticipo e il più rapidamente possibile.
Quando, mediante processi giuridici, le persone comuni perderanno le proprie case, diventeranno sempre più docili e saranno tenute a freno con più facilità attraverso il braccio forte del governo al potere, azionato da una forza centrale di ricchezza sotto il controllo di finanzieri di primo piano.
Questa verità è ben conosciuta tra i nostri uomini di spicco, adesso impegnati nel costituire un imperialismo del Capitale che governi il mondo.Dividendo gli elettori attraverso il sistema dei partiti politici, possiamo fare spendere le loro energie per lottare su questioni insignificanti.
Di conseguenza, con un’azione prudente abbiamo la possibilità di assicurarci quello che è stato pianificato così bene e portato a termine con tanto successo.” USA Banker’s Magazine (Rivista dei banchieri americani), 25 Agosto 1924
“Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti.
Essi hanno di già messo in piedi un’aristocrazia facoltosa che ha attaccato il Governo con disprezzo.
Il potere di emissione deve essere tolto via dalle banche e restituito al popolo, al quale esso appartiene propriamente.”
Thomas Jefferson
“Se gli Americani consentiranno mai a banche privati di emettere il proprio denaro, prima con l’inflazione e poi con la deflazione, le banche e le grandi imprese che ne cresceranno attorno, priveranno la gente delle loro proprietà finché i loro figli si sveglieranno senza tetto nel continente conquistato dai loro padri.
“ Thomas Jefferson (1776)
“Potrete ingannare tutti per un pò.
Potrete ingannare qualcuno per sempre.
Ma non potrete ingannare tutti per sempre.” Abramo Lincoln
“Nelle Colonie, emettiamo la nostra moneta cartacea.
Si chiama ‘Cartamoneta provvisoria coloniale’.
La emettiamo nelle giuste proporzioni per produrre merci e farle passare facilmente dai produttori ai consumatori.
In questo modo, creando noi stessi il nostro denaro cartaceo, ne controlliamo il potere d’acquisto e non abbiamo interessi da pagare a nessuno.Vedete, un Governo legittimo può sia spendere che prestare denaro in circolazione, mentre le banche possono soltanto prestare cifre considerevoli attraverso i loro biglietti di banca promissori, per cui questi biglietti non si possono né dare né spendere se non per una piccola frazione di quelli che servirebbero alla gente.
Di conseguenza, quando i vostri banchieri in Inghilterra mettono denaro in circolazione, c’è sempre un debito fondamentale da restituire e un’usura da pagare.
Il risultato è che c’è sempre troppo poco credito in circolazione per dare ai lavoratori una piena occupazione.
Non si hanno affatto troppi lavoratori, ma piuttosto pochi soldi in circolazione, e quelli che circolano portano con sé un peso senza fine di un debito impagabile e usura.” Benjamin Franklin, Autobiografia, (1763)
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità.
La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.” Abraham Lincoln, Presidente degli Stati Uniti d’America, morto assassinato
“Se questa malefica strategia finanziaria, che ha le sue origini nel nord America, perdurerà fino a mettere radici, allora il Governo fornirà il proprio denaro senza alcun costo.
Estinguerà i propri debiti e rimarrà senza alcun debito.
Avrà tutto il denaro necessario per portare avanti il proprio commercio.
Diventerà prospero senza precedenti nella storia mondiale.
Le menti e le ricchezze di tutti i paesi andranno nel nord America.
Questo paese deve essere distrutto o distruggerà ogni monarchia sulla faccia della terra.” The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, citazione apparsa sul London Times nell’anno 1865, riferendosi alla pratica di emissione dei Green Backs di Abraham Lincoln
“Il grande debito che i nostri amici, i capitalisti dell’Europa, faranno in modo di far sortire da questa guerra, verrà adoperato per manipolare la circolazione (monetaria).
Noi non possiamo permettere che i biglietti statali [Greenbacks] circolino perché non possiamo regolarli.” The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862
“Lo schiavismo sarà probabilmente abolito dalle forze in guerra e la proprietà di schiavi verrà totalmente abrogata.
Io e i miei amici europei siamo a favorevoli a questo: che la schiavitù si limiti al possesso del lavoro e che si trasferisca nell’interesse del lavoratore, nel frattempo il progetto europeo guidato dall’Inghilterra consisterà nel controllare il lavoro attraverso il controllo sui salari.
Il vasto debito che i capitalisti vedranno costituirsi su di esso dalle guerre, deve essere usato come mezzo per controllare il volume del denaro.
Per portare a termine questo obiettivo bisogna usare le obbligazioni ipotecarie come punto di partenza fondamentale del sistema bancario.
Stiamo aspettando che il Segretario del Tesoro faccia tale raccomandazione al congresso.
Non consentirà ai Greenback, come vengono chiamati, di circolare come denaro in nessun caso, dal momento che non possiamo controllarlo.
Ma possiamo controllare le obbligazioni statali e attraverso di esse le emissioni bancarie.” The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
(…) Il privilegio del Governo della creazione e dell’emissione del denaro è la sua più grande opportunità creativa.
Attraverso l’adozione di tali principi, il desiderio lungamente sentito di usare un mezzo di pagamento uniforme sarà soddisfatto.
Il finanziamento di tutte le imprese pubbliche, il mantenimento di un governo stabile e di un progresso ordinato, e la conduzione del Tesoro diventerà una questione di pratica amministrativa.
Il popolo potrà e sarà rifornito con una valuta sicura quanto il proprio governo.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità.
La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.” Abraham Lincoln, documento del Senato degli Stati Uniti d’America numero 23, Pagina 91, anno 1865
“Chiunque controlli la massa monetaria in qualsiasi paese è il padrone assoluto dell’intera industria e del commercio.” James A.
Garfield, Presidente degli Stati Uniti d’America
“La morte di Lincoln fu un disastro.
Ho paura che i banchieri stranieri con la loro astuzia e i loro contorti inganni otterranno il controllo su tutte le sovrabbondanti ricchezze dell’America e useranno il proprio potere per corrompere in modo sistematico la civiltà moderna.
Essi non esiterebbero a far piombare l’intera cristianità nella guerra e nel caos per farsì che l’intero pianeta diventi loro eredità.” Otto Von Bismarck, commemorando l’assassinio di Abraham Lincoln.
“Nel nostro tempo è ormai evidente che la ricchezza e un immenso potere sono stati concentrati nelle mani di pochi uomini.
Questo potere diventa particolarmente irresistibile se esercitato da coloro che controllano e comandano la moneta, poichè costoro sono anche in grado di gestire il credito e di decidere a chi deve essere assegnato.
In questo modo forniscono il sangue vitale all’intero corpo dell’economia.
Loro hanno potere sull’intimo del sistema produttivo, così che nessuno può azzardare un respiro contro la loro volontà.” Papa Pio XI, Quadragesimus Annus 106-9, 1931
“Quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi e non i capi del governo controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve… Il denaro non ha madrepatria e i finanzieri non hanno patriottismo né decenza; il loro unico obiettivo è il profitto.” Napoleone Bonaparte, 1815
“La terra, nel suo stato naturale e incolto era, e sempre dovrebbe continuare ad essere, proprietà comune della razza umana.
Non appena la terra viene coltivata, il valore del miglioramento, e solo quello senza il terreno su cui giace, è da considerare proprietà individuale. Ciascun proprietario di terreni coltivati deve corrispondere alla comunità un affitto ..a tutte le persone, ricche o povere..
perché questo soggiace all’eredità naturale che, come di diritto, spetta ad ogni uomo, al di sopra della proprietà che egli possa aver creato o ereditato da quelli che l’hanno fatta.” Thomas Paine 1796, p.
611; 612-613
“È un bene che gli abitanti della nazione non capiscano abbastanza il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo facessero, credo che ci sarebbe una rivoluzione prima di domattina.” Henry Ford
“Chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia.” Ezra Pound
“In qualsiasi società che abbia superato lo stato selvaggio il monopolio fondamentale è il monopolio del denaro.” Ezra Pound
“La moneta non è valida se è titolo a qualche cosa di non consegnabile.” Silvio Gesell, Ordine Naturale dell’Economia.
“La storia americana del ventesimo secolo ha registrato gli sbalorditivi risultati dei banchieri centrali della Federal Reserve.
Primo, lo scoppio della prima guerra mondiale, che è stata resa possible dai fondi disponibili dalla banca centrale degli Stati Uniti.
Secondo, la recessione agricola del 1920.
Terzo, il venerdì nero del crollo di Wall Street.
dell’ottobre del 1929 e l’insorgere della Grande depressione.
Quarto, la seconda guerra mondiale, quinto la conversione del patrimonio degli stati uniti e dei propri cittadini da beni reali a cartacei dal 1945 fino a oggi trasformando l’america vittoriosa e la più prospera potenza del 1945 al più grande paese debitore del mondo nel 1990. Oggi questa nazione si trova in rovina economica, devastata e destituita, quasi nelle stesse tremende difficoltà incui la Germania e il Giappone si ritrovarono nel 1945. Gli Americani agiranno per ricostruire la nostra nazione così come fecero la Germania e il Giappone quando dovettero fa fronte alle stesse condizioni in cui ci troviamo oggi di fronte —o continueremo ad essere schiavizzati dal sistema babilonese della moneta-debito che ci fu imposto dal Federal Reserve Act nel 1913, e completare la nostra totale distruzione? Questa è la sola domanda alla quale dobbiamo rispondere, e non ci resta molto tempo per farlo.” Eustace Mullins
“…i Rothschild hanno conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari…” Frederic Morton
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TASSE E DEBITO PUBBLICO
“La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere benefici.
Le guerre devono essere dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere.” Amschel Mayer Rothschild (1773)
“Il fatto che un risparmio nazionale si presenti come profitto privato, non scandalizza per niente l’economia borghese, poiché il profitto in genere è comunque appropriazione di lavoro nazionale.
C’è forse qualche cosa di più pazzesco dell’esempio offertoci dalla Banca d’Inghilterra per il periodo 1797-1817? Mentre le sue banconote hanno credito unicamente per il fatto di essere garantite dallo Stato, essa si fa pagare dallo Stato e quindi dal pubblico, nella forma di interessi sui prestiti, per il potere che lo Stato le conferisce di convertire questi stessi biglietti di carta in denaro e darli poi in prestito allo Stato?” K. Marx, Il Capitale, Ed.
Riuniti, 1974 – VIII ed.
Cap. 33 pag. 635
“Io mi rifiuto di pagare le tasse il cui impiego ritengo destinato a scopi ingiusti e immorali.” Henry David Thoreau
“Le guerre sono concepite per creare debito.” Ezra Pound
LIBERTA’ D’INFORMAZIONE E MANIPOLAZIONE DEL POTERE
“Bisogna capire che tutta la moda letteraria e tutto il sistema giornalistico controllato dall’usurocrazia mondiale è indirizzato a mantenere l’ignoranza pubblica del sistema usurocratico e dei suoi meccanismi.” Ezra Pound, 1933
“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.” George Orwell
“Nel tempo della cleptocrazia occidentale, dire la verità è un atto sconsiderato.” Marco Saba, parafrasando George Orwell
“Se un popolo si aspetta di poter essere libero restando ignorante, spera in qualcosa che non è mai stato e che mai sarà” President Thomas Jefferson
“Noi siamo così grati al Washington Post, al New York Times, al Time Magazine e alle altre pubblicazioni i cui direttori hanno partecipato alle nostre riunioni rispettando le loro promesse di discrezione per almeno 40 anni.
Per noi sarebbe stato impossibile sviluppare il nostro progetto per il mondo se fossimo stati soggetti alla brillante luce della pubblicità.” David Rockefeller, founder and member of the CFR and the TC, at Bilderberger Global Strategy mtg, 1991.
Clinton attended.
“Beware the leader who bangs the drums of war in order to whip the citizenry into a patriotic fervor, for patriotism is indeed a double-edged sword.
It both emboldens the blood, just it narrows the mind.
And when the drums of war have reached a fever pitch and the blood boils with hate and the mind has closed, the leader will have no need in seizing the rights of the citizenry.
Rather, the citizenry, infused with fear and blinded by partiotism, will offer up all of their rights unto the leader and gladly so.
How do I know? For this is what I have done.
And I am Caesar.” Julius Caesar
AFORISMI SULL’UMANITA’
“Il materialismo e la moralità stanno in relazione inversa –quando uno cresce l’altra diminuisce” Mahatma Gandhi
“I migliori scienziati non sono quelli che conoscono la maggior parte delle informazioni; ma coloro che sanno ciò che stanno cercando.” Noam Chomsky
“L’incompetenza si manifesta con l’uso di troppe parole.” Ezra Pound
“Non c’è alcuna crisi energetica, solo una crisi di ignoranza.” Buckminster Fuller
SCIENZA E SOCIETA’
“La scienza non è nient’altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità.” Nikola Tesla
“Mi piacerebbe credere che le persone abbiano un istinto per la libertà, che vogliano veramente avere il controllo delle proprie circostanze.
Che non amino essere tiranneggiate, ricevere ordini, essere oppresse, ecc.
e che desiderino avere l’opportunità di fare cose sensate come un lavoro costruttivo in condizioni che possano controllare, o magari controllare insieme ad altri.” Noam Chomsky
“Qualche volta la gente inciampa nella verità.
La maggior parte però si rialza subito e se ne va come se niente fosse” Winston Churchill
“Sono un contadino che ha fatto per hobby il professore d’università.” Giacinto Auriti
“…nel nuovo mondo ognuno metterà a disposizione di tutti la sua esperienza e le sue idee, e gli altri lo ricompenseranno liberamente per questo…” La profezia di Celestino
“Schiavo è chi aspetta qualcuno che venga a liberarlo.” Ezra Pound
“Un popolo che non s’indebita fa rabbia agli usurai” Ezra Pound
“L’attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari.
La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto” Maurice Allais, Nobel per l’Economia nel 1988
“… Pochi comprenderanno questo sistema (assegni e credito), coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo per fa soldi, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi.” Lettera spedita da un membro della famiglia Rothschild alla Ditta Kleheimer, Morton e Vandergould di New York in data 26 giugno 1863
“Oggi la nosta moneta nasce di proprietà della banca che la emette prestandocela.
Noi vogliamo che nasca di proprietà dei cittadini e che sia accreditata ad ognuno come reddito di cittadinanza.
Per scrivere questa frase che è valida per tutte le monete in circolazione sono occorsi 36 anni di studi universitari (tesi di laurea, convegni ecc.) presso l’ateneo di giurisprudenza di Teramo e “La Sapienza” di Roma.
Poiché democrazia significa sovranità politica popolare, il popolo deve avere anche la sovranità monetaria che di quella politica è parte costitutiva ed essenziale in un sistema di democrazia vera o integrale in cui la moneta va dichiarata, a
Il Manifesto del partito comunista
Il Manifesto del partito comunista, Data di pubblicazione 21 Feb 1848, ideologia: marxismo.
Originariamente intitolato Manifesto del Partito Comunista ( tedesco : Manifest der Kommunistischen Partei ) è un breve libro scritto dal 1848 il tedesco marxista politico teorici Karl Marx e Friedrich Engels . Da allora è stato riconosciuto come uno dei manoscritti più influenti politici del mondo. [ 1 ] commissionato dalla Lega dei Comunisti , ha gettato le finalità della Lega e il programma. Essa presenta un approccio analitico alla lotta di classe (storica e presente) ed i problemi del capitalismo, piuttosto che una previsione di forme future potenzialità del comunismo. [ 2 ]
Il libro contiene Marx ed Engels 'teorie marxiste sulla natura della società e della politica, che nelle loro stesse parole, "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe." [ 3 ] E 'anche funzioni brevemente le loro idee su come la società capitalista del tempo sarebbe poi sostituito dal socialismo , e poi alla fine del comunismo.
Paternità di Engels
A Friedrich Engels è stata spesso attribuita a comporre le prime bozze, che ha portato il Manifesto del partito comunista . Nel luglio del 1847, Engels è stato eletto nella Lega comunista, dove è stato assegnato a redigere un catechismo. Questo divenne il Progetto di una confessione di fede comunista. Il progetto conteneva quasi due dozzine di domande che hanno contribuito a esprimere le idee di entrambi Engels e Karl Marx in quel momento. Nel mese di ottobre 1847, Engels, compose il suo secondo progetto per la Lega dei comunisti dal titolo I principi del comunismo. Il testo rimasto inedito fino al 1914, nonostante la sua base per Il Manifesto. Da Engels bozze Marx ha potuto scrivere, una volta commissionato dalla Lega dei comunisti, Il Manifesto del partito comunista, dove ha combinato di più delle sue idee con bozze di Engels e del lavoro, La condizione della classe operaia in Inghilterra. [ 4 ]
Sebbene i nomi di entrambi Engels e Karl Marx appaiono sul frontespizio accanto alla "assunzione persistente di joint-autore", Engels, nell'introduzione prefazione all'edizione 1883 tedesca del Manifesto, ha detto che il Manifesto è "essenzialmente di Marx lavoro" e che "il pensiero di base ... appartiene solo ed esclusivamente a Marx." [ 5 ]
Engels ha scritto dopo la morte di Marx,
"Non posso negare che sia prima che durante la mia collaborazione quarant'anni 'con Marx ho avuto una certa quota indipendente nel gettare le fondamenta della teoria, ma la maggior parte dei suoi principi guida fondamentali appartengono a Marx .... Marx era un genio , noi altri erano nella migliore delle ipotesi talento Senza di lui la teoria non sarebbe di gran lunga quello che è oggi è dunque porta giustamente il suo nome "... [ 6 ]
Nonostante la modestia di Engels in queste due citazioni, in realtà ha fatto i maggiori contributi al Manifesto, a partire con il suggerimento di abbandonare "la forma di un catechismo e di diritto che il comunistaManifesto ". Inoltre, Marx, Engels entrato in Bruxelles per la redazione del Manifesto. Non ci sono prove di ciò che il suo contributo alla stesura finale sono state, ma il Manifesto reca l'impronta di stile di scrittura più retorico di Marx. Tuttavia, sembra chiaro che Engels contributi giustificare la comparsa del suo nome sul frontespizio, dopo Marx. [ 7 ]
Storia testuale
Il Manifesto del partito comunista è stato pubblicato la prima volta (in tedesco) a Londra da un gruppo di rifugiati politici tedeschi nel 1848. E 'stato anche serializzato a circa lo stesso tempo in un giornale di lingua tedesca di Londra, il londinese di Deutsche Zeitung . [ 8 ] La prima traduzione in inglese è stato prodotto da Helen Macfarlane nel 1850, e il libro fu pubblicato la prima volta negli Stati Uniti da Stephen Pearl Andrews . [ 9 ] Il Manifesto ha attraversato un certo numero di edizioni 1872-1890; notevoli nuove prefazioni sono state scritte da Marx ed Engels per il 1872 edizione tedesca, del 1882 edizione russa, il 1883 edizione francese, e il 1888 edizione inglese. Questa edizione, tradotto da Samuel Moore con l'aiuto di Engels, è stato il testo più comuni inglese dal.
Tuttavia, alcune edizioni recenti inglese, come Phil Gasper ha annotato "road map" ( Libri Haymarket , 2006), hanno utilizzato un testo leggermente modificato in risposta alle critiche della traduzione Moore fatta da Draper Hal nel suo 1994 storia del Manifesto , Il avventure del "Manifesto Comunista" (Centro per la Storia socialista, 1994).
Contenuto del “Manifesto”
Il Manifesto è diviso in un'introduzione, tre sezioni sostanziali e una conclusione.
Introduzione
Il breve preambolo al testo principale del Manifesto di Marx ed Engels coinvolge brevemente commentando il timore che essi ritengono i governi europei possesso del comunismo, e offre anche un po 'a corto di consigli su come i comunisti europea dovrebbe procedere a promuovere la loro causa . Mentre si apre il testo:
Uno spettro si aggira per l'Europa-lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa sono entrati in una santa alleanza per esorcizzare questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e tedeschi di polizia-spie.
Dov'è il partito di opposizione che non è stato denunciato come comunista dai suoi avversari al potere? Dov'è il partito di opposizione che non ha gettato indietro il rimprovero di branding del comunismo, contro i partiti d'opposizione più avanzate, come pure contro i suoi avversari reazionari? [ 10 ]
Proseguendo da questo, hanno continuato a dichiarare che "E 'ora che i comunisti dovrebbero apertamente, di fronte al mondo intero, pubblicare le loro opinioni, i loro scopi, le loro tendenze, e rispondere a questa favola dello spettro del comunismo con un manifesto del partito stesso. " [ 11 ]
I borghesi e proletari
Il primo capitolo del Manifesto ", borghesi e proletari", esamina la concezione marxista della storia, descrivendo come:
La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi, stettero sempre in contrasto tra loro, sostennero una ininterrotta, ora nascosta, ora lotta aperta, una lotta che ogni tempo finito, o con una trasformazione rivoluzionaria della società in generale, o nella comune rovina delle classi in lotta. [ 12 ]
La sezione continua a sostenere che la lotta di classe nel capitalismo è tra coloro che possiedono i mezzi di produzione, la classe dirigente o borghesi , e quelli che lavorano per un salario, la classe operaia e proletaria .
La borghesia, ovunque essa ha il sopravvento, ha messo fine a tutte le feudali, patriarcali, idilliche. E '... ha lasciato sussistere altro legame tra uomo e uomo che il nudo interesse, il crudele "pagamento in contanti" ... per lo sfruttamento, velato da illusioni religiose e politiche, ha sostituito nudo, senza vergogna, diretto, brutale sfruttamento ... Rivoluzionando costante della produzione, disturbo ininterrotto di tutte le condizioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese da tutte quelle precedenti ... Tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria, tutto ciò che è sacro viene profanato, e l'uomo è finalmente costretto a fronteggiare sobriamente, le sue reali condizioni di vita, ei suoi rapporti con il suo genere.
Tuttavia:
La condizione essenziale per l'esistenza e dominio della classe borghese è l'accumulazione di ricchezza in mani private, la formazione e l'aumento di capitale, la condizione essenziale del capitale è lavoro salariato. Lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza tra i lavoratori.
Questa sezione spiega inoltre che i proletari alla fine ascesa al potere attraverso la lotta di classe: la borghesia sfrutta costantemente il proletariato per il suo lavoro manuale e salari a basso costo, in ultima analisi, di creare profitto per la borghesia, il proletariato ascesa al potere attraverso la rivoluzione contro la borghesia, come sommosse o la creazione di sindacati. Gli stati Manifesto del partito comunista che, mentre c'è ancora la lotta di classe tra la società, il capitalismo sarà rovesciato dal proletariato solo per ricominciare in un prossimo futuro, in ultima analisi il comunismo è la chiave per la classe di uguaglianza tra i cittadini d'Europa.
II. Proletari e comunisti
La seconda sezione, "Proletari e comunisti", inizia a delineare il rapporto tra comunisti consapevole al resto della classe operaia:
▪ "I comunisti non formano un partito separato differenza di altri partiti della classe operaia".
▪ "Non hanno interessi distinti da quelli del proletariato nel suo complesso."
▪ "Non impostare alcun principio settario propria, con cui modellare il movimento proletario".
▪ "I -comunisti di professione- si distinguono dagli altri partiti della classe operaia da questi soli elementi: 1. Nel lotte nazionali dei proletari dei diversi paesi, fanno notare e portare in primo piano gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente da tutte le nazionalità 2.. Nelle varie fasi di sviluppo che la lotta della classe operaia contro la borghesia deve passare, sempre e ovunque rappresentare gli interessi del movimento nel suo complesso. "
Si va avanti per difendere il comunismo da varie obiezioni, come ad esempio l'affermazione che i comunisti avvocato " amore libero ", e la pretesa che la gente non si esibirà lavoro in una società comunista perché non hanno alcun incentivo a lavorare.
La sezione si conclude delineando una serie di richieste a breve termine:
1. Abolizione della proprietà fondiaria e l'applicazione di tutte le rendite di terreni per finalità pubbliche.
2. Un pesante progressiva sul reddito o laureato.
3. Abolizione del diritto di eredità .
4. Confisca dei beni di tutti gli emigrati e ribelli .
5. La centralizzazione del credito nelle mani dello Stato , per mezzo di una banca nazionale con lo Stato di capitale e di un monopolio esclusivo.
6. La centralizzazione dei mezzi di comunicazione e di trasporto nelle mani dello Stato.
7. Estensione delle fabbriche e strumenti di produzione di proprietà dello Stato, la messa in coltivazione di rifiuti-terre , e il miglioramento del suolo generalmente secondo un piano comune .
8. Pari responsabilità di tutti al lavoro. Stabilimento industriale di eserciti , specialmente per l'agricoltura.
9. Combinazione di agricoltura con la produzione delle industrie ; graduale abolizione della distinzione tra città e campagna, da una più equa distribuzione della popolazione sul territorio.
10. L'istruzione gratuita per tutti i bambini nelle scuole pubbliche . Abolizione del lavoro in fabbrica dei bambini nella sua forma attuale. Combinazione di formazione con la produzione industriale. [ 13 ]
L'attuazione di tali politiche, secondo gli autori creduto, essere un precursore del apolidi e società senza classi .
Uno si occupa passaggio particolarmente controversa con questo periodo di transizione:
Quando, nel corso dello sviluppo, [ 14 ] differenze di classe sono scomparsi, e tutta la produzione si è concentrata nelle mani di una associazione vasta di tutta la nazione, il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Il potere politico propriamente detto, è solo il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato nel corso della sua lotta contro la borghesia è costretta, dalla forza di cose, di organizzare se stessa come classe, se, per mezzo di una rivoluzione, si rende la classe dirigente, e, come tale, spazza via con la forza il vecchi rapporti di produzione, allora sarà, insieme a queste condizioni, hanno spazzato via le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe e delle classi in generale, e quindi hanno abolito la propria supremazia come classe.
E 'questa concezione della transizione dal socialismo al comunismo, che molti critici del Manifesto , soprattutto durante e dopo l'era sovietica, hanno evidenziato. Gli anarchici, liberali e conservatori hanno chiesto come un'organizzazione come la potrebbe mai stato rivoluzionario (come Engels messo altrove) "appassito".
In una controversia relativa, poi marxisti fare una separazione tra "socialismo", una società governata dai lavoratori, e "comunismo", una società senza classi. Engels scrive poco e Marx scrisse meno sugli aspetti specifici della transizione al comunismo, così l'autenticità di questa distinzione rimane un oggetto di controversia.
III. Letteratura socialista e comunista
La terza sezione, "Letteratura socialista e comunista," il comunismo si distingue dalle altre dottrine socialiste prevalenti al momento del Manifesto è stato scritto. Mentre il grado di rimprovero di Marx ed Engels verso prospettive rivale varia, tutti sono alla fine licenziati per aver sostenuto il riformismo e non riconoscere il ruolo preminente della classe operaia. In parte a causa della critica di Marx, la maggior parte delle ideologie specifiche descritte in questa sezione è diventato politicamente irrilevante per la fine del XIX secolo.
IV. Posizione dei “comunisti” in relazione con i vari partiti di opposizione
La sezione conclusiva "posizione dei comunisti in relazione con l'vari partiti di opposizione,", discute brevemente la posizione comunista lotte in paesi specifici nella metà del XIX secolo, come la Francia, Svizzera, Polonia e Germania, e dichiara che la Germania " è alla vigilia di una rivoluzione borghese ", e prevede una rivoluzione mondiale che si aggiungeranno. Si conclude poi con una dichiarazione di sostegno per le altre rivoluzioni comuniste e un invito ad agire:
In breve, i comunisti ovunque sostenere ogni movimento rivoluzionario contro l'ordine sociale esistente e politico delle cose.
I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e obiettivi. Essi dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti solo con il rovesciamento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Che le classi dominanti tremino ad una rivoluzione comunista . I proletari non hanno nulla da perdere se non le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare.
Operai di tutti i paesi, unitevi!
-Marx e Engels, Manifesto del Partito Comunista
La successiva accoglienza
Un certo numero di ventunesimo secolo, gli scrittori hanno commentato Manifesto del partito comunista ' rilevanza s continua. Accademico John Raines, scrivendo nel 2002, ha osservato che "Ai nostri giorni questa rivoluzione capitalistica ha raggiunto gli angoli più remoti della terra. Lo strumento di denaro ha prodotto il miracolo del nuovo mercato globale e il centro commerciale onnipresente. Leggi il Manifesto del partito comunista , . scritto più di 150 anni fa, e scoprirete che Marx aveva previsto tutto " [ 15 ] Scrivendo nel 2003, il marxista inglese Chris Harman ha descritto il lavoro, affermando che:
C'è ancora una qualità compulsiva alla sua prosa come si fornisce una visione dopo visione nella società in cui viviamo, da dove viene e dove la sua intenzione di. E 'ancora in grado di spiegare, come gli economisti mainstream e sociologi non si può, il mondo di oggi di guerre ricorrenti e ripetute crisi economica, della fame di centinaia di milioni da un lato e "sovrapproduzione" dall'altro. Ci sono passaggi che potrebbero provenire da scritti più recenti di globalizzazione. [ 16 ]
La costante pertinenza delle teorie marxiste trovano all'interno del testo è stata sostenuta anche dal marxismo accademico Alex Callinicos , direttore del socialismo internazionale , che ha affermato che "Questo è davvero un manifesto per il 21 ° secolo." [ 17 ]
Scaletta
• Una società deprecabile perché depravata
• Perché i Cinesi sono vincenti
• Esportare il diritto
• Mantenere i cervelli in Patria
• Eliminare le inadempienze che creano carenze fiscali, contributive, ambientali, debitorie, economiche, patrimoniali, monetarie, deficitarie,
• Agire sulle leve della manovra
• Pedagogia sociale
• Eliminare gli eccessi della femminilizazione sociale
• Sviluppare agricoltura ed energia
• Espropriare le scommesse per pareggiare il costo previdenziale
Dalla corporate governance alla categoria politica di governance
È da almeno un ventennio che assistiamo all’uso crescente del termine governance nei più diversi ambiti istituzionali, politici e di ricerca e con significati e implicazioni differenti nei diversi contesti d’utilizzo.
In particolare, nella comunità scientifica essa attraversa le contemporanee dottrine dell’amministrazione e dello stato (New Public Management, dottrine o teorie della regolazione), le teorie dell’organizzazione delle corporazioni economiche (corporate governance), i dibattiti sul governo locale e urbano, alcuni sviluppi della politica internazionale (global governance).
In tutti questi contesti il termine è talvolta utilizzato con un’accezione descrittiva, e quindi finalizzato a fotografare le articolazioni concrete che assumono i rapporti tra gli attori e i meccanismi decisionali, altre volte esprime invece una tensione analitica, e quindi copera come strumentazione tecnica finalizzata all’interpretazione dei mutamenti in atto, oppure nasconde un intento prescrittivo tentando di favorire l’applicazione o l’assunzione da parte di attori di norme, princìpi, standards, codici regolativi o auto-regolativi.
È quest’ultimo il caso di documenti come l’importante Libro bianco sulla governance europea prodotto nel 2001 oppure il report On Our Global Neighborhood risalente al 1995 - ed ancora prima i documenti del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale - nei quali venivano stabiliti standards o princìpi di buona governance nella conduzione dei rapporti economico-politici a livello mondiale.
Infine, non è difficile incontrare un uso retorico-pubblicistico del termine: in tal senso, il politologo Gerry Stoker ha sottolineato come talvolta esso sia «used to provide the acceptable face of spending cuts» (STOKER, 1998: 18) ed il linguista Norman Fairclough ritiene che «Summing up on language in relation to governance, the discourse on governance has a significant effect in representing, cementing and stimulating changes in practices of governance… At the same time, the establishment of new linkages between policy communities within new institutional entities of governance includes new articulations and recontextualizations of discourses» (FAIRCLOUGH, 2004: 3).
Particolarmente significativa è la definizione della governance presente nel rapporto On Our Global Neighborhood (1995) stilato dalla Commissione sulla Governance Globale delle Nazioni Unite.
Con governance s’intende «the sum of the many ways individuals and institutions, public and private, manage their common affairs.
It is a continuing process through which conflicting or diverse interests may be accommodated and co-operative action may be taken.
It includes formal institutions and regimes empowered to enforce compliance, as well as informal arrangements that people and institutions either have agreed to or perceive to be in their interest» (CGG, 1995: 5).
In questa accezione, la governance è descritta principalmente nei termini di un processo di tipo negoziale tra interessi differenti o conflittuali con lo scopo di raggiungere, e far valere, pratiche cooperative e di composizione delle fratture.
Accezioni differenti dello stesso termine - e che in parte attraversano anche questo stesso documento - indicano con lo stesso termine un insieme di strutture finalizzate a porre in relazione attori istituzionali e non istituzionali.
In questi casi, con governance si vogliono descrivere o analizzare modalità particolari o innovative di rapporto, azione o coordinamento tra istituzioni e interessi pubblico-privati.
Si accentua, quindi, l’attenzione sui rapporti tra attori diversi istituenti procedure e dispositivi che si affiancano e condizionano i moduli più tradizionali del governo.
I continui spostamenti tra una governance articolata a partire dai processi ed una sua definizione centrata intorno alle strutture e agli attori restano tra i fattori di maggiore ambiguità nei contemporanei dibattiti sull’argomento.
In tal senso, sia sui piani della comunicazione e dell’informazione politica più ampia quanto su quello scientifico, la governance resta un concetto opaco, e ancora oggi la gran parte degli studiosi ne ricostruiscono i tratti generali per via di differenziazione o di opposizione al governo.
Si intende allora come possa essere difficile delineare una compiuta teoria della governance per ciò che concerne la teoria politica.
In tal senso, importanti politologi l’hanno definita una proto-teoria, e quando si è tentato di offrirne una definizione in positivo si è ricorso ad un lungo elenco di aggettivi come multilivello, non-gerarchica, partecipativa, complessa.
Per tale ragione il politologo Bob Jessop le ha attribuito una natura pre-teorica ed una funzione eminentemente critica: «governance theory tends to remain at the pretheoretical stage of critique: it is much clearer what the notion of governance is against than what it is for» (JESSOP, 1995: 318).
Similmente, Meghnad Desai, introducendo un lavoro collettaneo dedicato alla global governance, ha sottolineato come «The word… presents dangers and opportunities to anyone who would re-open the question of global governance, thought the term itself lacks in precision… beyond that negative stance, the concept of global governance needs to be clarified, amplified and, if thought desiderable, made operational» (DESAI, 1995: 7).
Ad oggi il testo più rilevante sull’argomento è forse Governance without Government di James N.
Rosenau ed Ernest -O.
Czempiel nelle cui pagine appare una definizione di governance come «order plus intentionality» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 5).
Con ordine s’intende l’insieme delle regole formali e informali che permettono agli attori di raggiungere determinati obiettivi; regole, tuttavia, che possono darsi solo in un contesto di intenzionalità condivisa, «Governance is thus a system of rule that is as dependet on intersubjective meanings as on formally sanctioned constitutions and charter.
Put more emphatically, governance is a system of rule that works only if it is accepted by the majority (or, at least, by the most powerful of those it affects), whereas governments can function even in the face of widespread opposition to their policies» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 4).
Nello stesso volume, Czempiel definisce invece la governance come «the capacity to get things done without the legal competence to command that they be done» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 250).
Tutte queste definizioni, pure fortemente evocative, sono state ritenuta da più parti concettualmente poco chiara (LAKE, 1995; FINKELSTEIN, 1995).
1. per un’etimologia della governance Può essere utile, in via preliminare, tornare alla radice etimologica del termine governance ed al lungo percorso che l’ha portato a differenziarsi da quello originariamente sinonimico di government.
Col termine governo in italiano indichiamo indifferentemente un’istituzione, una particolare attività (quella di governare) ed il suo risultato.
Ed è forse per tale motivo che la traduzione italiana del documento Un libro bianco sul sistema di governo europeo, stilato dal gruppo di lavoro europeo sulla governance e preparatorio al Libro bianco, riporta l’espressione sistema di governo come corrispettivo dell’inglese governance (SEC, 2000).
In inglese, infatti, con government si indica l’istituzione del Governo mentre è con l’espressione governing che si intende la pratica del governare; l’espressione governance - nel suo uso generico - è invece utilizzata per indicare il risultato dell’azione del government.
La governance ha la sua radice più antica nel greco kubernân usato per indicare l’atto di condurre una nave oppure un carro.
Nelle opere di Platone il termine indica il governo degli uomini e di qui attraverserà la storia politica nella sua forma latina gubernare.
In Francia, nel XIII secolo, il termine gouvernance mostra due inflessioni diverse: nella prima - più generica - esso era usato per indicare le modalità del governo nella sfera domestica e nell’ambito politico-amministrativo; nella seconda, che compariva in ambito giuridico, si designavano in modo più specifico le modalità di autogoverno dell’Artoise e della Fiandra dotate di un particolare status.
In Inghilterra il termine indicava innanzitutto l’atto di governare: «The action or manner of governing» (OED, 1989: 710).
Esso però era collegato sia al governo come comando del principe, sia a quell’insieme di norme, consuetudini, statuti e libertates che rappresentavano l’intreccio dei diritti e dei poteri costituenti l’organizzazione politica e civile inglese.
In tal senso, il termine evidenzia quelle relazioni molteplici che nel corpo politico e civile concorrono a determinare l’ordine politico.
Esemplare, in tal senso, è l’uso fattone da Sir John Fortescue nel suoOn the Laws and Governance of England, scritto tra il 1471 e il 1476, nel quale la governance è descritta come un insieme ordinato di leggi, consuetudini ed istituti che si affiancano - e limitano - il potere del principe e che costituiscono il dominium politico et regale.
Poco meno di un secolo dopo, nel 1628, il giurista Coke scriverà di good governance per riferirsi ad un governo nel quale «full right is done to every man» (OED, 1989: 711).
Sarà, comunque, proprio la governance intesa come modalità d’esercizio del governo a riemergere nella seconda metà del XX secolo, pian piano arricchendosi di una pluralità di significazioni diverse che faranno da base al suo crescente utilizzo a partire dagli anni ’80 da parte di economisti, politologi, scienziati della politica, istituti ed organismi internazionali.
Momento importante è senz’altro il dibattito sulla riforma delle strutture e istituzioni di governo metropolitano negli Stati Uniti, a partire dal quale il termine viene consapevolmente utilizzato in opposizione al government.
Ciò avviene certamente in un contesto teorico specifico determinato dell’individualismo metodologico e dal public choice approach.
Poco dopo, nell’ambito diverso dell’analisi dell’organizzazione delle corporazioni economiche e finanziarie, emerge il tema della corporate governance che nei suoi caratteri più generali sarà ripreso verso la fine degli anni ’80 da istituzioni finanziarie sovranazionali quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale per definire standards o norme comportamentali da utilizzare come indicatori per l’assegnazione di prestiti o finanziamenti agli Stati fino a giungere nel 1995 alla sua esplicita codifica da parte delle Nazioni Unite.
Sul piano dell’analisi, invece, in un importante saggio del 1999 Renate Mayntz ha individuato tre diverse accezioni del termine.
La prima indica «un nuovo stile di governo, distinto dal modello del controllo gerarchico e caratterizzato da un maggior grado di cooperazione e dall’interazione tra stato e attori non-statuali all’interno di reti decisionali miste pubblico/private» (MAYNTZ, 1999: 3).
La governance si presenta come policy network, come co-decisione e negoziazione diffusa.
In una seconda accezione la governance sta per «quelle modalità distinte di coordinamento delle azioni individuali, intese come forme primarie di costruzione dell’ordine sociale.
In particolare questo secondo uso è derivato dall’economia dei costi di transazione, dall’analisi di mercato e della gerarchia quali forme alternative di organizzazione economica» (MAYNTZ, 1999: 4).
Infine, l’uso del termine include entrambe le precedenti interpretazioni nelle loro accezioni più ristrette in veste di sotto-tipi.
A ben guardare, dice la Mayntz, lo sviluppo della governance non è altro che il frutto dei mutamenti intervenuti nelle teorie della direzione politica (steuerungstheorie).
Ad oggi, la gran parte degli studiosi della governance - particolarmente quelli di matrice anglo-americana - concorda su una definizione ampia del termine secondo cui esso connota tutti i processi di svolgimento dell’azione collettiva (organizing collective action): «Governance is ultimately concerned with creating the conditions for ordered rule and collective action» (STOKER, 1998: 17).
Definizione, questa, certamente utile quando s’intenda stabilire un piano di riferimento tra discipline diverse, ma poco efficace quando si vogliano individuare i tratti caratterizzanti quelle pratiche di organizzazione dell’azione collettiva che nei diversi contesti, e particolarmente in quello politico, vengono correntemente descritte come pratiche di governance.
In altre parole, poco utile a chiarire le differenze e specificità di espressioni sempre più ricorrenti - e con un loro uso specifico - quali social governance, political governance, local governance o anche global governance.
La questione è allora definire i tratti costitutivi, ed il complesso dei significati, di una teoria della governance politica che costituisca quella cornice entro la quale s’innestano pratiche differenti adattate a contesti d’esercizio diversi.
Ciò permettebbe di separare la governance intesa come governing (in italiano qualcuno traduce governanza) da una governance più specifica, intesa quindi come un paradigma politico radicalmente differente dal governo inteso in senso moderno.
2. La governance corporata e la natura degli attori
L’uso del termine di governance in un’accezione distinta da quella di governo compare in due campi di ricerca tra loro profondamente differenti: lo studio del governo locale e urbano, sul quale si dirà qualcosa più oltre, e l’economia delle corporazioni.
È utile cominciare con quest’ultima poiché è dal mondo della finanza, a partire dallo sviluppo da parte della Banca Mondiale del concetto di buona governance come criterio per l’attribuzione di prestiti ai paesi in via di sviluppo, che il termine è diventato centrale nel confronto politico internazionale.
Peraltro, le difficoltà incontrate dai teorici della governance corporata relativamente alla definizione del ruolo dei diversi attori - e particolarmente intorno alla definizione degli interessi propri di stakeholder e shareholder - prefigurano alcuni dei temi cruciali nelle contemporanee teorie della governance politica; non ultima, la sostanziale difficoltà incontrata nell’offrirne una definizione compiuta.
Anche nell’economia delle corporazioni, infatti, vi sono definizioni diverse e parzialmente contraddittorie, che rispondono a premesse di base tra loro differenti e che sono legate alla natura degli attori coinvolgibili più che alla composizione dei processi.
In una prima utile definizione la «corporate governance is concerned with ways of bringing the interests of investors and managers into line and ensuring that firms are for the benefit of investors» (MAYER, 1997: 154).
In questa accezione essa rappresenta un insieme di meccanismi e procedure finalizzato ad armonizzare ed ottimizzare gli interessi degli investitori in relazione a quelli diversi della struttura manageriale.
L’obiettivo è tutelare gli shareholder a fronte dell’operato di una dirigenza con interessi propri, anche se non necessariamente divergenti o contraddittori rispetto a quelli degli investitori.
Una definizione diversa è invece offerta da Deakin e Hughes per i quali la governance corporata «is concerned with the relationship between the internal governance mechanics of corporations and society’s conception of the scope of corporate accountability» (DEAKIN / HUGHES, 1997: 2).
Gli attori, in questo caso, sono da un lato la corporazione, o più propriamente i meccanismi interni che ne costituiscono il funzionamento; dall’altro, la società generalmente intesa come l’insieme di owneship e di dirigenza, che è quella che definisce finalità e limiti della corporate accountability.
Ancora diversa, e più ampia, è la definizione offerta da Keasey e Wright secondo la quale l’oggetto della governance corporata include tutte quelle «structures, processes, cultures and systems that engender the successful operation of the organisations» (KEASEY / WRIGH, 1997: 2).
Gli attori di cui tenere conto sono, allora, diversi anche se accomunati dal concorrere, attraverso il loro operato, al successo della compagnia.
Queste definizioni trovano oggi - e non senza difficoltà - una categorizzazione più ampiamente condivisa, ma anche più generale, dei sistemi di governance corporata come di quei meccanismi - economici e legali - finalizzati alla definizione della natura della proprietà (ownership) e del controllo dell’organizzazione entro una data economia (COOK / DEAKIN, 1999: 2).
Tali meccanismi, che pure possono essere alterati dall’esterno per via di procedimenti giuridici o politici, poggiano solitamente su Company laws o su forme e procedure autoregolative (il City Code on Takeover and Mergers inglese, gli Stock Exchange Listing Rules, gli Accounting Standards).
La governance corporata, quindi, concerne quei processi di autoregolazione - e quindi di attribuzione autonoma di norme così come di procedure di controllo e verifica - attraverso cui si rende più efficiente, più trasparente e più sicuro l’operato della corporazione a beneficio degli attori coinvolti (ROSSI, 2003: 71-97).
Restano aperti, tuttavia, alcuni snodi importanti sulla natura degli attori.
In primo luogo la categoria di ownership è una categoria problematica, che mostra una differenza significativa tra le realtà corporate statunitensi e inglesi, da un lato, e quelle europee e asiatiche dall’altro lato.
Le prime si fonderebbero su un’idea - di natura prettamente finanziaria - secondo la quale con proprietari si deve intendere gli shareholders, che dispongono in ultima istanza dei diritti residuali di proprietà e controllo.
Poiché il controllo o la gestione dell’impresa sono diversi e separati dalla proprietà, l’obiettivo della governance sarebbe proprio «aligning the objectives of management with the objective of shareholder wealth maximization» (COOK / DEAKIN, 1999: 3).
La struttura di simili corporazioni - definita come outsider system of corporate governance - è sostanzialmente diversa dai modelli tedesco (e più generalmente europeo) e giapponese dell’insider system of corporate governance caratterizzato da «cross-shareholdings, cross-representation of directorates, large investor involvement in corporate decision making, and concentrations of share ownership» (COOK / DEAKIN, 1999: 4).
Il primo rappresenta un sistema nel quale il controllo appartiene al compartodegli azionisti nel quale risiede la supervisione, la decisione residuale e la proprietà.
Nel secondo, invece, gli investitori incidono maggiormente nel processo manageriale e quindi il controllo è esercitato dall’interno, non essendoci una forte separazione tra ownership ed il comparto dirigenziale.
Altro aspetto di rilievo è quello dato dalla differenziazione tra shareholder e stakeholder; il secondo termine essendo più generale del primo.
In un’interpretazione più ristretta della governance corporata gli interessi e i benefici da garantire e sui quali costruire i processi di accountability e sorveglianza sono esclusivamente quelli degli azionisti (shareholder) nei quali risiede il controllo residuale sulle operazioni della dirigenza.
In modelli di governance più ampi, invece, tutti gli stakeholder - ossia tutti coloro i quali abbiano un interesse nelle scelte operate dalla compagnia - debbono essere considerati propriamente attori.
In questo caso diviene necessario definire i criteri a partire dai quali alcuni attori possono essere considerati portatori di interessi ed altri no.
Se agli inizi degli anni ’80 come stakeholders erano considerati tutti coloro i quali potevano condizionare la compagnia o erano condizionati da essa (FREEMAN / REED, 1983; FREEMAN, 1984; FREEMAN / EVAN, 1990), le più recenti definizioni hanno tentato di restringerne il significato.
Donaldson e Preston - a partire da una teoria dei diritti di proprietà basata su una nozione pluralistica di giustizia distributiva - ritengono che stakeholders siano tutti coloro che hanno un interesse morale nelle attività della compagnia (DONALDSON / PRESTON, 1995: 65-91).
Modelli più strettamente economici puntano invece l’attenzione su coloro che hanno interessi di lunga durata nel successo economico dell’impresa (BLAIR, 1995); più recentemente si è invece definiti stakeholders «those whose relations to the enterprise cannot be completely contracted for, but upon whose cooperation and creativity depends for its survival and prosperity» (SLINGER / DEAKIN, 1999: 1), includendo - cioè - tutti coloro che sono direttamente impegnati in un rapporto lavorativo, commerciale o finanziario con l’impresa.
Azionisti, finanziatori, management, collaboratori, impiegati e per certi versi anche clienti, fornitori, retailers, sarebbero tutti attori impegnabili nei diversi momenti della governance corporata.
Solo a partire dalla definizione degli attori è quindi possibile stabilire quei princìpi di accountability che, quando rispettati, e quando capaci di garantire anche il successo della compagnia, rappresentano una good governance.
L’aggettivo buona ha quindi la funzione di differenziare in via analitica tra una governance intesa come categoria descrittiva di meccanismi di controllo, circolazione delle informazioni e decisione o co-decisione che sottendono all’organizzazione della compagnia, ed una governance intesa come modello prescrittivo che stabilirebbe quei criteri (o standards) di accountability, di efficienza e trasparenza che dovrebbero caratterizzare l’organizzazione della corporazione.
Particolarmente importante, in tal senso, è la stesura da parte dell’Organization for Economic Cooperation and Development (OECD, 1999) dei Principles on Corporate Governance, affermatisi come princìpi e standards di buona governance corporata e che nascono dall’esigenza di vedere garantite trasparenza e accountability nel governo delle corporazioni.
Il moltiplicarsi degli stati i cui assetti economici sono orientati al mercato e l’accelerazione dei processi di privatizzazione nei settori pubblici e dell’energia hanno favorito l’allargarsi del loro ruolo e potere nel contesto internazionale.
A questi sviluppi hanno fatto seguito gravi e ripetute crisi economiche e finanziarie nei diversi mercati macroregionali ed il moltiplicarsi degli scandali finanziari e delle critiche e delle accuse per il disinteresse verso i diritti dei lavoratori, la tutela ambientale e più in generale il benessere complessivo della società.
Lo scopo del documento stilato dell’OECD è quello di stabilire alcuni criteri a partire dai quali è possibile dare vita ad buona governance capace di «assure that corporations use their capital efficently.
… ensure that corporation take into account the interests of a wide range of constituencies, as well as of the communities within which they operate, and that their board are accountable to the company and shareholders.
… to assure that corporations operate for the benefit of the society as a whole» (OECD, 1999:7).
Da un lato, quindi, si vuole incidere su quegli aspetti più propriamente legati alla natura finanziaria della corporazione per garantirne l’efficienza degli investimenti ed il controllo nell’operato da parte degli shareholders; dall’altro lato, si vuole favorire il rispetto da parte della compagnia degli interessi più complessivi della società.
A parere dell’OECD, ciò permetterebbe di accrescere la fiducia nella compagnia di capitali e investitori a lungo termine così da offrire un assetto stabile, trasparente e con responsabilità chiare.
In questo documento la definizione di governance è consapevolmente ampia e vaga poiché con essa sono da intendersi quegli «internal means by which corporations are operated and controlled» (OECD, 1999: 7).
In altri termini, «a set of relationships between a company’s management, its board, its shareholders and other stakeholders» (OECD, 1999: 11).
La ragione di questa genericità è data dall’osservazione - per molti aspetti cruciale - che una good governance è possibile solo nel rapporto tra le scelte operative e strategiche della corporazione ed il regulatory climate definito dagli Stati e dal contesto istituzionale e legale nel quale essa si muove.
È questa la ragione per cui «there is no single model of good governance» (OECD, 1999: 8).
La good corporate governance esprime una responsabilità condivisa (shared responsibility), nei termini in cui essa è anche il risultato dell’azione e delle scelte di istituzioni ed enti nazionali e internazionali, di associazioni e gruppi diversi, e degli investitori.
Il documento è comunque solo una carta d’intenti, nella quale sono definiti princìpi e standards dal valore esclusivamente propositivo «although the principles are non-binding, it ultimately is a matter of self-interest for countries and corporations to assess their own corporate governance regimes and to take these Principles to heart» (OECD, 1999: 8).
Non è utile ricostruire l’insieme delle indicazioni presenti nel documento, basti tenere presente che al primo punto vi sono quelle procedure di corretta comunicazione, informazione e definizione degli assetti societari che debbono garantire i diritti degli shareholders e il loro equo trattamento.
Seguono, quindi, quei suggerimenti in favore del riconoscimento del ruolo e dei diritti degli stakeholders (la cui tutela è comunque demandata a soggetti istituzionali, legali o para-istituzionali esterni alla corporazione); la definizione dei princìpi di trasparenza (transparency) e apertura (disclosure); infine, le responsabilità che appartengono al consiglio d’amministrazione (board).
Come vedremo più avanti, il quadro problematico che emerge dal mondo delle corporazioni non è molto diverso da quello che si presenta quando si osservano realtà differenti quali il governo locale, l’amministrazione oppure l’organizzazione internazionale dei poteri.
La definizione degli attori coinvolti o coinvolgibili nel processo di policy-making, infatti, è il presupposto senza il quale non è possibile definire alcun criterio di accountability o stabilire le concrete procedure di partecipazione ai meccanismi di governance.
Peraltro, la riformulazione in chiave politica della distinzione tra shareholders e stakeholders - se da un lato definisce l’ampiezza e il senso della partecipazione democratica negli assetti di governance politica - dall’altro lato presenta il rischio dell’esclusione e della marginalizzazione.
Non è un caso che, se appare meno problematica la definizione degli shareholders, di maggiore difficoltà è lo stabilire la natura degli stakeholders ed il limite partecipativo o consultivo che si è disposti ad offrire loro.
È evidente che se definizioni diverse degli stakeholders comportano obiettivi e strategie differenti da parte delle imprese, allo stesso modo il mutamento degli scopi o degli orientamenti della compagnia può comportare una sostanziale trasformazione del ruolo e della funzione degli stakeholders.
Peraltro, se è vero che il documento stilato dall’OECD è esclusivamente un documento d’intenti - e su alcuni punti significativi estremamente generico nelle definizioni -, appare evidente come la definizione dei termini di accountability, transparency o più generalmente good governance sia il frutto, in ultima istanza, del management stesso - ben più che dell’assemblea degli azionisti - la cui esigenza di governo efficace resta certamente prioritaria.
Come vedremo, è questa in nuce la discrasia tra necessità dell’efficienza ed esigenze di partecipazione e legittimità che emerge con forza anche nel dibattito sulla governance urbana.
3. La governance delle aree urbane
Il termine governance, nella sua piena differenziazione dal government, è presente già dagli anni ’60 in molti studi tesi a descrivere le caratteristiche di nuovi modelli gestionali delle amministrazioni locali o delle municipalità cittadine.
Pionieristico, in tal senso, è stato uno scritto diVincent Ostrom e Charles Tiebout nel quale veniva favorevolmente proposto un modello di gestione centrato su un sistema di attori molteplici, in concorrenza tra loro nel proporsi come fornitori di servizi pubblici in un contesto policentrico e pluralistico (OSTROM / TIEBOUT / WARREN, 1961).
Lo scopo della ricerca era quello di definire i tratti di una gestione delle risorse pubbliche capace di far fronte ai tradizionali dilemmi dell’azione collettiva attraverso il sapiente utilizzo delle potenzialità offerte dal mercato e da un’organizzazione non gerarchica dei poteri e degli attori.
L’autorità pubblica non doveva intervenire direttamente nella gestione dei servizi ma era tenuta a fissare standards, controllare gli attori ed esercitare un potere di coordinamento ed intervento residuale.
Negli anni in cui veniva presentato e discusso questo lavoro, era forte negli Stati Uniti il dibattito sull’opportunità di avviare una complessiva riforma del sistema metropolitano dei servizi pubblici che rafforzasse il ruolo, i poteri e le competenze delle istituzioni, a fronte di un’organizzazione tradizionalmente frammentata e fortemente localistica.
La ricerca dei due studiosi, invece, voleva mettere in evidenza l’utilità di un sistema metropolitano di tipo policentrico, organizzato intorno ad una molteplicità di attori diversi rappresentati da poteri pubblici, soggetti appartenenti al terzo settore o al settore privato, agenzie e compagnie con funzioni specifiche.
Il cittadino - rappresentato come attore razionale - sarebbe stato capace di scegliere tra quei servizi ritenuti più efficienti, effettivi e responsive evitando le problematiche tradizionalmente associate al monopolio dell’offerta dei servizi da parte del soggetto pubblico.
Il principio di fondo era stato elaborato qualche anno prima dallo stesso Tiebout ed è comunemente riassunto nell’espressione voting with one’s feet: l’esistenza di molteplici e concorrenti costituencies locali permette al cittadino di scegliere quella giurisdizione dotata del sistema di servizi/costi a lui più favorevole (TIEBOUT, 1956; DOWDING / PETER / BRIGGS, 1994).
Il quadro di riferimento complessivo è quello dell’individualismo metodologico ed ancora oggi - nei diversi modelli che costituiscono il panorama della teoria delle scelte razionali - esso costituisce uno degli approcci più rilevanti alla governance (BEVIR / RHODES, 2001).
Anche in questo caso il dibattito è segnato da profonde differenze tra Stati Uniti ed Europa, particolarmente sulla natura altamente frammentata delle aree urbane statunitensi a confronto con il maggiore accentramento amministrativo che caratterizza quelle europee.
È comunque possibile identificare due tradizioni diverse e oppositive che - a partire dagli anni ’60 - hanno costituito gli estremi dell’asse di dibattito e d’intervento sulla riforma delle amministrazioni metropolitane: la metropolitan reform tradition da un lato, ed il public choice approach dall’altro lato.
Se la prima pone la propria attenzione sulla necessità di consolidare il governo locale in funzione delle necessità e dell’evoluzione urbana, la seconda metteva al centro dei propri percorsi il mercato e la società civile che sarebbero dovuti diventare i principali attori di sviluppo in un contesto pluralistico.
Nelle sue diverse forme il dibattito tra reformers e teorici della transaction costs metropolitan governance è durato a lungo, fino a trasformarsi negli anni più recenti grazie ai contribuiti comparativi che provengono dagli Stati Uniti ma anche dalle ricerche europee, asiatiche ed africane.
Se i nodi problematici del dibattito sui sistemi di riforma urbana sono gli stessi, i temi ed i modelli d’intervento appaiono completamente mutati.
A partire dagli inizi degli anni ‘90 ha assunto una crescente importanza la new metropolitan governance che - pur rielaborando i presupposti del dibattito precedente - ne evidenzia la distanza dalle contemporanee realtà metropolitane.
Il nuovo approccio «argues that metropolitan governance is constructed through the relations between policy relevant actors within incrementally assembled, issue-based co-operational arrangments» (D.
KÜBLER / H. HUBERT, 2002: 9; DENTE, 1990; LE GALÈS, 1995; HEALEY ET ALII, 1995; BAGNASCO / LE GALÈS, 1997; BENZ, 2001).
La governance urbana costituisce, in sostanza, un processo di negoziazione e pianificazione che coinvolge attori molteplici, gerarchicamente non omogenei, la cui cooperazione è però alla base dei processi di policy-formulation e policy-making.
Le modalità di negoziazione e cooperazione, così come il ruolo e la natura degli attori, non sono definibili a priori ma sono il prodotto di condizioni specifiche.
Questo nuovo approccio non ha fatto scomparire il dibattito tra reformers ed esponenti della transaction costs governance, poiché gli schemi di coordinamento di politiche orientate allo scopo (purpose-oriented schemes of policy coordination) - e che costituiscono il nucleo di ciò checompone la corrente e più generale definizione della nuova governance urbana - s’integrano con gli assunti di fondo delle due precedenti tradizioni.
Nella prima, essi costituiscono gli stati intermedi verso il consolidamento istituzionale, nei teorici della public choice invece essi non rappresentano altro che una parte del sistema delle autonomie locali.
La nuova governance urbana ha dato vita a moduli di presa della decisione pubblica fondati su forme molteplici di cooperazione tra attori, e non su quelli più tradizionali dell’obbligazione politica o centrati sulla concorrenza del mercato.
Né, quindi, un modello che tende verso la costruzione di strutture di governo territoriali accentrate, e neppure un modello che sposi l’immagine di località autonome tra loro in competizione; piuttosto, un policy network approach teso a mostrare come gli aggregati metropolitani possano dare vita a sistemi di organizzazione che restano ibridi tra mercato e gerarchia.
In tal senso, Kübler e Hubert sottolineano come questa «new vision on metropolitan governance is reflecting debates in political science which have addressed the shift “from government to governance” since the last twenty or thirty years by emphasising the importance of functional interest intermediation as opposed to territorial interest intermediation, i.e.
based on territorially defined system of representation and parliamentary decision making» (KÜBLER / HUBET, 2002: 10).
La maggiore elasticità di questo approccio ha dato vita ad una grossa mole di ricerche comparative tra modelli di gestione urbana esercitati in contesti differenti (SAVITCH, 1988; BARNEKOV / BOYLE / RICH, 1989; JUDD / PARKINSON, 1990; LOGAN / SWANSTROM, 1990; KEATING, 1991; STOKER / MOSSBERG, 1994; JUDGE / STOCKER / WOLMAN, 1995; per un approccio comparativo con un’attenzione particolare al contesto nazionale della governance urbana: KANTOR / SAVITCH / HADDOCK, 1997; WOLMAN / GOLDSMITHS, 1992; FAINSTEIN, 1994.
Ancora diverso è l’approccio di Di Gaetano e Klemanski, 1999).
In tutti questi casi, i temi di dibattito restano il ruolo delle istituzioni di governo locale, gli obiettivi cui le pratiche di governance urbana possono concretamente aspirare a raggiungere, il ruolo dei cittadini nel processo di policy-making, la qualifica e la natura degli attori deputati alla partecipazione al processo amministrativo e gestionale.
Ugualmente significativa è la molteplicità dei progetti internazionali di governance urbana sviluppatisi nell’ultimo decennio: tra essi il progetto Urban Development Cooperation delle Nazioni Unite; lo Urban Management Programme (UMP) sviluppato da UNDP/UNCHS e dalla Banca Mondiale; il LIFE (Local Initiative Facility to the Urban Environment) finalizzato a promuovere la cooperazione e il dialogo tra municipalitità, organizzazioni non governative e comunità attraverso l’implementazione di progetti su piccola scala; il Public-Private Partnerships Programme for the Urban Environment (PPPUE) che supporta joint ventures finalizzate a trasformare in opportunità di sviluppo economico le problematiche ambientali che si presentano in diversi contesti urbani; lo Urban Governance Initiative (TUGI) il cui campo d’interventi è su scala macroregionale riguardando l’Asia e il Pacifico.
Tutti questi progetti, in sostanza, hanno a modello teorico di riferimento quello che è stato definito policy network approach e sembrano avere come assunti di riferimento quelli della legittimità (legitimacy) dell’operato, della sua effettività (e ectiveness) e della efficienza (e iciency) (OECD, 2001).
Tuttavia, il rapporto tra efficienza amministrativa e partecipazione democratica resta ambiguo, poiché se una certa chiusura del processo di policy-making è rivendicata come necessaria per garantirne l’efficienza, il livello e le forme di tale chiusura condizionano direttamente le possibilità di esercizio di una cittadinanza partecipativa.
Il nodo cruciale nella costruzione di quell’insieme di policy networks che strutturano un sistema di governance urbana starebbe proprio nella tensione tra questi due termini e, come si mostrerà più avanti, questa stessa tensione è presente al centro dei più significativi mutamenti dell’amministrazione statale.
4. la governance e le trasformazioni nell’amministrazione e nel diritto amministrativo
I mutamenti intervenuti nel governo locale e urbano con la comparsa di attori nuovi e con l’attuazione di processi di policy-making dalla natura purposive e multidimensionale hanno incisoprofondamente nell’organizzazione degli stati, ed hanno determinato l’uso crescente delle pratiche di governance nella pubblica amministrazione.
Se a ciò si aggiunge il ruolo crescente giocato dalle istituzioni sovranazionali e le trasformazioni proprie delle contemporanee democrazie rappresentative, ci si rende conto che l’amministrazione, così come è andata sviluppandosi in quello che è stato definito lo stato keynesiano, è significativamente mutata.
Un primo, significativo, cambiamento è relativo proprio alla natura dello spazio amministrativo, sia in ragione delle trasformazioni del ruolo e degli attori decisionali, sia in relazione alla crescente importanza assunta dal mercato come fattore regolativo.
Il confine che separa il governo e l’amministrazione da ciò che risiedeva al loro esterno sembra essere sempre più incerto, e se è vero che il governo e gli organi amministrativi e burocratici continuano ad essere i principali motori del processo di presa ed attuazione della decisione pubblica, è anche vero che sempre più spesso - e nei contesti più disparati - un numero crescente di altri attori sono chiamati ad operarvi legittimamente.
Come ha convincentemente argomentato Martin Shapiro «the decisionmaking process is no longer seen as one in which private activity occurs around government decision-making, or seek to influence decision-making.
Rather, the very distinction between governmental and non-governmental has become blurred, since the real decision-making process now continually involves, and combines, public and private actors» (SHAPIRO, 2001: 369).
Similmente, Jan Koiman ha sottolineato che «the place of the boundaries between state and society changes», ed ha messo in evidenza come i confini stessi tra questi due termini tendono a diventare sempre più permeabili.
L’interazione crescente tra stato e società avrebbe così ad oggetto proprio la natura del loro confine e le responsabilità da attribuire ai rispettivi attori.
Ed in questo innovativo processo d’interazione risiederebbe la «basic matters of governance» (KOOIMAN, 1993: 4).
Governance che a suo parere può essere tanto più effettiva quanto è capace di cogliere la dinamicità, complessità e multiformità che caratterizza le società contemporanee.
Particolarmente negli Stati Uniti, il processo di trasformazione dei confini tra stato e società è cominciato già negli anni ’60 attraverso la complessiva riforma dell’apparato burocratico e amministrativo ispirata a princìpi teorico-politici di matrice pluralista.
Obiettivo della riforma era quello di rendere lo stato più trasparente, trasformando il processo di rule-making nel frutto di un dialogo tra parti sociali e istituzioni.
Il risultato è stato il mutamento significativo dell’istituzione pubblica in soggetto mediatore e regolativi il cui scopo è quello di agire come «facilitator of a direct agreement among interest groups» (SHAPIRO, 2001: 371).
Questo processo, attraverso il ricorso all’interazione tra gruppi d’interesse e la partecipazione a networks consultivi o attuativi, nonché alle più diverse comunità epistemiche, ha effettivamente ampliato la partecipazione ai momenti della decisione politica ed alla gestione dell’amministrazione pubblica.
Il progressivo sottrarsi dell’autorità politica dal controllo e dalla gestione di molti dei settori dell’amministrazione attraverso la riformulazione della legge amministrativa in un senso «more market-oriented, flexible, cooperative, and informal» (AMAN, 2001: 381) ha però comportato la deregulation di ambiti tradizionalmente gestiti dal settore pubblico.
Queste trasformazioni hanno profondamente scosso la base procedurale pubblica stabilita dall’Administrative Procedure Act e dalla Due Process clause; il primo finalizzato a definire le procedure di garanzia per il cittadino a fronte dello stato, il secondo teso a stabilire gli spazi di autonomia decisionale del potere pubblico.
È accaduto che un’amministrazione fortemente ancorata agli interessi del mercato, organizzata su procedure negoziali tra attori pubblici e privati, e provvista di alto grado d’informalità, è venuta via via sostituendo il proprio potere decisionale con l’esercizio di funzioni regolative o di supervisione.
Ciò però ha comportato il depotenziamento della propria capacità di operare a garanzia dei singoli cittadini, poiché nei percorsi della negoziazione non gerarchica e informale proprie delle nuove pratiche amministrative le regole stabilite dal Due Process Clause non si applicano (STEWART, 1975).
Per quanto concerne il panorama europeo, invece, i mutamenti più significativi nell’amministrazione pubblica non tanto sono definiti nei termini della costruzione di un modello amministrativo orientato al mercato, quanto dall’adeguamento delle strutture dei diversi statimembri al complesso amministrativo comunitario.
Per quanto concerne l’Italia, Giorgio Giraudi, in un suo studio sulla nascita di una politica dell’antitrust in Italia, ha messo in evidenza come essa sia stata «un importante esempio di policy change che avviene in un contesto di transizione sistemica sotto la spinta di un vincolo esterno» (GIRAUDI, 2000: 285).
L’intreccio tra le dinamiche di trasformazione del governo di partito in Italia ed i mutamenti nella governance europea avviati con l’approvazione dell’Atto Unico Europeo avrebbero permesso che le spinte provenienti dall’interno dell’arco politico ed economico italiano verso l’affermazione di una legislazione in materia di antitrust trovassero un esito positivo.
Legislazione, peraltro, che si è mossa a favore dell’istituzione di un’autorità amministrativa indipendente attraverso la legge 297/90 sulla scia delle scelte europee.
Nel suo lavoro, Giraudi ha anche messo in evidenza come l’approvazione dell’Atto Unico ed il nascere di un mercato unificato abbiano reso possibile il costituirsi di uno spazio amministrativo europeo sovraordinato rispetto a quello nazionale che può concretamente fungere da potere superiore «perché è in grado di formare l’agenda politico-istituzionale e di influenzare marcatamente il timing del processo legislativo…; perché ha una forte influenza nell’indicazione preventiva di quali debbano essere le scelte istituzionali da compiere affinché la normativa nazionale trovi il consenso degli organi comunitari…; perché la prevalenza del diritto comunitario e delle conseguenti regolamentazioni fa sì che il dibattito nazionale sia costretto a rincorrere le novità provenienti dal livello comunitario» (GIRAUDI, 2000: 277).
Significativo, allora, è il depotenziamento di quella modalità di rapporto tra gli stati europei che è stata definita come intergovernamentalista, basata cioè sul presupposto dell’unanimità necessaria a raggiungere una qualsiasi decisione a livello europeo.
La possibilità che su aspetti importanti dell’economia e dell’amministrazione possa valere il principio di maggioranza ha sottratto potere agli stati nazionali che, con la regola dell’unanimità, potevano conservare un sostanziale controllo residuale esercitabile nella forma del veto.
Il processo di armonizzazione degli ordinamenti amministrativi dei singoli stati all’ordinamento europeo è oggi condizionato anche da altri temi cruciali quali l’applicazione dei princìpi di proporzionalità e sussidiarietà - nelle sue varianti verticale e orizzontale - che sono tra i fattori di maggiore trasformazione e riassetto dello spazio politico comunitario.
Questi princìpi, sui quali torneremo più ampiamente nelle prossime pagine, definiscono le procedure per l’individuazione dei soggetti che di volta in volta devono farsi carico del policy-making e della produzione di legislazione su temi specifici.
Ciò dovrebbe rendere possibile la definizione chiara dei livelli d’intervento delle istituzioni europee così come di quelle nazionali, regionali e locali.
Evidentemente, ciò implica il complessivo ristrutturarsi dei livelli di governo (e di governance) europei.
Trasformazioni che hanno importanti ricadute sulla tenuta della democrazia rappresentativa.
Un ulteriore piano problematico è offerto proprio dall’ampliarsi e dal rafforzarsi del ruolo svolto da authorities e agencies.
Lo stesso Giraudi, insieme con Maria Stella Righettini ha sottolineato come, sul piano dell’amministrazione, la governance richiami l’idea di un insieme di sub-sistemi di governo basati sull’interdipendenza e la co-decisione tra attori nessuno dei quali in una posizione di assoluto predominio nel controllo di una determinata risorsa.
In sostanza, essa attuerebbe un sistema di controllo pluralistico e negoziato le cui modalità d’azione sono finalizzate a ridurre il conflitto o la sua espansione nell’attività di governo.
In questo contesto, se vale la rappresentazione della governance come network, le A.A.I.
opererebbero come nodi di reti e verrebbero chiamate ad esercitare poteri decisionali pubblici ma esterni allo stato.
Come sottolineano i due studiosi, l’istituzione di un numero crescente di authorities è divenuta un elemento caratterizzante del nuovo governo delle policies in opposizione al più tradizionale governo della politics: «le autorità indipendenti possono essere considerate tra i fenomeni più rilevanti dell’evoluzione dei sistemi di governance delle democrazie occidentali.
Esse rappresentano il passaggio da sistemi istituzionali di governo, prevalentemente fondati sulle istituzioni della rappresentanza (partiti e parlamenti) e orientati alla centralità delle funzioni di inputs, a sistemi digoverno orientati alla rivalutazione di modalità d’azione più orientate all’efficienza e all’efficacia degli outputs» (GIRAUDI / RIGHETTINI, 2002: 202).
La ragione di questo processo risiede nel tentativo - attuato attraverso la delega delle funzioni di policy-making ad istituzioni non rappresentative - di dare una risposta al problema della scarsa continuità e stabilità degli indirizzi di programmazione, generata dall’acuìrsi dello scarto temporale - e programmatico - tra il ciclo di policy e quello elettorale.
La formazione di agenzie semiindipendenti e la creazione di A.A.I.
accentua la de-politicizzazione della funzione regolativa dell’amministrazione.
I processi di adattamento dell’amministrazione e del diritto amministrativo alle evoluzioni del mercato ed alle trasformazioni dello stato in un contesto globalizzato hanno incontrato, e ancora incontrano, forti resistenze.
Le ragioni sono molteplici e valgono per tutte le trasformazioni in atto sia nelle strutture amministrative europee, sia in quella molto diversa degli Stati Uniti.
In primo luogo, esse implicano una maggiore apertura dell’amministrazione statale a norme, procedure e leggi internazionali; in secondo luogo, al depotenziamento dell’autorità pubblica segue quasi parallelamente un allargamento degli spazi discrezionali degli attori coinvolti nel processo di decision making; in terzo luogo, un simile approccio è accusato di favorire un populismo di mercato che sbilancia il processo di decisione politica o amministrativa a favore di interessi forti.
Infine, alla maggiore trasparenza dello stato avrebbe fatto seguito, quasi paradossalmente, l’opacità dei percorsi e dei soggetti decisionali.
Con l’affermarsi di un numero crescente di policy networks è difficile per il cittadino poter esercitare un controllo sulla decisione politica poiché sono sempre meno chiari i luoghi in cui essa è assunta, ed i soggetti realmente decisionali, «“Governance” by “network” and epistemic community has the opposite effect.
While every interested group may partecipate in the decision-making progress, the voters have no idea whom to reward or blame for results they like or dislike» (SHAPIRO, 2001: 371).
Esemplare, in tal senso, è l’operato della Commissione Europea che, a fronte dell’evidente crisi di legittimità del proprio ruolo ed operato, ricerca attraverso strumenti non rappresentativi, ma consultivi e partecipati, una nuova fonte di legittimità politica.
Così facendo, da un lato, si allarga lo spazio disponibile per gli attori nel processo di policy-making (e resta comunque diverso quanto accade per il processo di policy-formulation o per le procedure di definizione dell’agenda), dall’altro lato, tuttavia, si restringono gli spazi per la partecipazione degli individui, che vedono depotenziato lo strumento elettivo e rappresentativo sul quale si basa ancora oggi l’esercizio della cittadinanza politica moderna.
È una delle contraddizioni più evidenti quella secondo cui, alla maggiore partecipazione dei gruppi d’interesse alla presa di decisione politica o più generalmente pubblica, si affianca la crescente opacità degli spazi a disposizione del singolo cittadino.
5. Il Libro bianco sulla governance europea
Il documento preparatorio alla stesura del Libro bianco, intitolato Un libro Bianco sul sistema di governo europeo, esprimeva la convinzione che la promozione di nuove forme di governo per l’Europa fosse tra le maggiori sfide che l’Unione doveva porsi nel nuovo millennio.
Rifacendosi al documento On our global Neighbordhood, la Commissione riteneva di dover accogliere il suggerimento a darsi regole che le offrissero consenso e che trovassero «effettiva applicazione su scala planetaria, anche in mancanza di un governo mondiale» (SEC, 2000: 3).
Prospettando un sistema di governo multilivello strutturato sui princìpi di trasparenza, responsabilizzazione ed efficienza, si è in realtà voluto affrontare il problema della democrazia nella Comunità Europea poiché «la riforma dei metodi di governo europeo si inquadra a tutti gli effetti nella prospettiva di un approfondimento della democrazia europea» (SEC, 2000: 4).
La governance del Libro bianco nasce da questi presupposti, presentandosi come la trasformazione dell’assetto esecutivo ed amministrativo dell’Unione.
Essa è genericamente definita come «le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai princìpi di apertura, partecipazione,responsabilità, efficacia e coerenza» (COM, 2001: 8n).
Lo scopo della Commissione è quello di adottare per il governo dell’Unione «un’impostazione meno verticistica … integrando in modo più efficace i mezzi d’azione delle sue politiche con strumenti di tipo non legislativo» (COM, 2001: 4).
I mutamenti proposti vanno innanzitutto nella direzione di garantire l’apertura delle politiche europee verso i cittadini attribuendo un più ampio ruolo consultivo alle parti sociali e garantendo una competente informazione sui percorsi dell’Unione; perché questo sia possibile è necessario stabilire standards e buone pratiche di consultazioni sulle proprie politiche, e favorire l’istituzione di accordi di partenariato e collaborazione con attori extra e para-istituzionali nell’implementazione delle policies.
La partecipazione dei cittadini è quindi richiesta per il processo di policy-making, ed è resa possibile solo per via indiretta - attraverso gli strumenti della consultazione allargata - al processo di policy-formulation.
In tal senso, la partecipazione dei cittadini assume le vesti di una expertise allargata più che quella dell’attiva collaborazione ai processi di formulazione ed esecuzione.
Un secondo obiettivo posto al processo di riforma della governance europea è quello di migliorare le politiche e gli strumenti di normazione e legislazione.
A tal fine la Commissione s’impegna a diversificare gli strumenti a propria disposizione, a semplificare il diritto comunitario, ad utilizzare maggiormente il parere degli esperti, a fissare i criteri per istituire nuove agenzie di regolazione ed a definire il contesto giuridico nel quale queste ultime dovranno operare.
Infine, è apparso necessario anche ripensare il ruolo delle istituzioni europee, particolarmente dell’esecutivo, per garantire una maggiore coerenza alle politiche attuate, stabilire responsabilità chiare, e definire orientamenti strategici a lungo termine.
In tal senso, il Libro bianco sulla governance europea, prima ancora che la definizione dei princìpi di una buona governance, sia una riflessione sul potere esecutivo dell’Unione, sugli strumenti di cui esso dispone, sui suoi rapporti con gli altri poteri.
Quasi a testimonianza della lontananza dell’Unione dai propri cittadini, le consultazioni intorno al Libro bianco, durate otto mesi, hanno raccolto un numero relativamente limitato di contributi, circa 250, per la gran parte provenienti dal mondo politico e, significativamente, dalla Gran Bretagna.
I pareri emersi sono, tuttavia, importanti perché presi complessivamente indicizzano gli aspetti problematici del modello di governance proposto dalla Commissione Europea.
Come sottolinea la stessa Commissione di studi sulla governance «the public response has largely supported the White Paper’s definition of the principles underlying European governance of openess, partecipation, accountability, e ectiveness and coherence, while principles such as democratic legitimacy and subsidiarity have been proposed as addictions» (COM, 2002:2).
In questo stesso report, la Commissione riassume in tre punti i suggerimenti ricevuti dalla consultazione.
In primo luogo verrebbe confermato l’intento di valorizzare i percorsi di partecipazione dal basso (bottom-up) sia nei processi di implementazione delle policies, sia in quelli di policy-formulation.
In secondo luogo, è accolta l’idea di estendere il ventaglio degli strumenti legislativi ed esecutivi «to respond to new governance challenges» attraverso la definizione di nuovi e più flessibili dispositivi di policy (policy tools) da affiancare alla legislazione e amministrazione tradizionale.
Infine, è emersa l’esigenza di prestare una maggiore attenzione alle istituzioni europee esistenti per attribuire loro responsabilità e ruoli più chiari.
Un’ampia parte del dibattito sul Libro bianco ha contestato l’immagine di una governance articolata a partire dal principio di maggiore efficienza, e ciò perché non si è posta una sufficiente attenzione al problema della legittimità democratica degli strumenti e degli attori coinvolti nel policy-making.
Più in generale, non si è in alcun modo diminuito quel deficit democratico che ha a lungo caratterizzato i processi di integrazione europea.
Nel report, tuttavia, si sottolinea come «…the White paper focused on improving the Commission’s own role as policy initiator and executive, and less on its role as a European civil service and public administrator» e si rimandano, quindi, questi temi alla definizione di uno «stable institutional and Treaty framework with a reinvigorated method at its core» (COM, 2002: 6); assetto che sarebbe garantito dai lavori della Convenzione Europea da ultimarsi nel 2004.6.
il nodo della sussidiarietà Tra le critiche più forti svolte al progetto di riforma sulla governance europea, e più in generale intorno al riassetto dei poteri e delle competenze, vi sono quelle che giungono dalle diverse municipalità e regioni.
Sono critiche che si soffermano su di un particolare aspetto della proposta di riforma della governance europea, quello del ruolo svolto dal governo locale, regionale e municipale nei processi di policy-making dell’Unione.
In risposta al Libro bianco, la presidenza del Parlamento basco sottolineava come «it is difficult to ask for active involvement in the practical setting up of any project from those who have been excluded from its initial planning stage.
When applying principles of complementarity and co-operation, the participation of sub-state entities when they have power in the field in question, ought to include the three phases of the decisionmaking process: planning of measures, decision-making and programme monitoring» (PRESIDENCY OF THE BASQUE PARLIAMENT, 2003).
Su un piano diverso, ma complementare, il Consiglio delle Municipalità e delle Regioni Europee (CEMR), ha messo in evidenza come il Libro bianco avrebbe dovuto definire più chiaramente quei princìpi e quelle buone pratiche costituenti la base per il futuro governo dell’Unione.
In particolare, l’attuazione concreta di una governance centrata sulla prossimità delle istituzioni ai cittadini non dovrebbe esulare dalla riformulazione dei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità, resi inefficaci dal loro regolare esclusivamente i rapporti tra Comunità Europea e stati membri (CEMR, 2003).
Infatti, la riforma dell’esecutivo europeo si affianca al processo di ristrutturazione politica e amministrativa che ha preso avvio con l’approvazione dell’articolo 3B del trattato di Maastricht, diventato poi l’articolo 5 del Trattato di Amsterdam (1997), e che ha il principio di sussidiarietà al suo centro.
Principio secondo il quale «l’azione della Comunità, entro i limiti delle sue competenze, sia ampliata laddove le circostanze lo richiedano e, inversamente, ristretta e sospesa laddove essa non sia più giustificata» (EU, 1997, disp. 1).
Sintetizza bene Enrico Bonelli quando scrive che «il nucleo irriducibile del concetto è, in ogni caso, il suo carattere relazionale: fra entità istituzionali e/o sociali di dimensioni diverse, la cura degli interessi deve essere rimessa, di norma e di preferenza, alla entità più piccola, perché più vicina a colui che è portatore dell’interesse considerato» (BONELLI, 2001: 19-20).
Principio diverso, ma la cui applicazione viaggia parallelamente a quello della sussidiarietà, è quello di proporzionalità, secondo cui «l’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del trattato» (EU, 1997, disp. 1).
In altre parole, esso impone che l’autorità superiore utilizzi i mezzi strettamente necessari al raggiungimento dello scopo preferendo la via più semplice e ricorrendo solo in ultima istanza alla via legislativa tradizionale.
In allegato al trattato di Amsterdam vi è un Protocollo sull’applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità nel quale è previsto che ogni anno la Commissione s’impegni a stilare un bilancio su detta applicazione a livello comunitario.
L’importanza di questi princìpi per quanto concerne la riforma della governance europea risiede in almeno tre aspetti: a) in primo luogo il principio di sussidiarietà identifica la serie degli attori istituzionali europei secondo una precisa scala gerarchica, determinandone in via generale i rapporti così da favorire quelli collocati più vicino ai cittadini.
Tuttavia, se è vero che il principio è finalizzato a limitare l’intervento dei poteri più alti, è pure vero che in assenza di un giudice istituzionalmente deputato a risolvere i conflitti tra i poteri (giustiziabilità), oppure di una precisa codifica delle procedure e dei campi di applicazione (procedimentalizzazione), il principio può funzionare come strumento d’ingerenza dei poteri gerarchicamente più alti a fronte di quelli inferiori.
In breve, la concreta attuazione del principio di sussidiarietà può favorire oppure ostacolare una governance intesa come ridefinizione in senso non gerarchico e partecipativo del policy-making europeo.
b) L’attuazione chiara del principio di sussidiarietà e l’applicazione dei criteri di necessarietà e di proporzionalità/adeguatezza possono offrire un assetto più chiaro al rapporto tra istituzioni europee e stati.
Tuttavia, col trattato di Amsterdam, il quadro normativo si è confuso ulteriormente,poiché se nella prima parte dell’allegato si mira ad attenuare l’incidenza del principio col timore che possa depotenziare il processo di accentramento politico dell’Unione, le disposizioni espresse nella seconda parte del Protocollo riportano invece al centro i limiti dell’azione comunitaria, particolarmente quando si sostiene che l’intervento della Comunità deve essere giustificato da indicatori qualitativi o quantitativi che mostrino chiaramente che l’azione autonoma degli stati membri in un dato ambito problematico non sia efficace.
c) Il principio di sussidiarietà, insieme con i criteri di necessarietà e di proporzionalità/adeguatezza, quando non identifichi esclusivamente dei criteri di riparto tra le competenze di diversi attori istituzionali organizzati secondo un governo multilivello, può costituire un effettivo principio di governo locale e non gerarchico.
In effetti, nella scia del dibattito sorto intorno al Libro bianco si è cominciato a riflettere su una diversa formulazione del principio di sussidiarietà, la cui funzione tuttavia sarebbe complementare al modello tradizionale di tipo verticale.
Nella sua versione orizzontale essa definirebbe le relazioni e i rapporti tra l’autorità pubblica europea (o statale) e la società civile variamente intesa; particolarmente nei contributi provenienti dalle organizzazioni non governative, del terzo settore, dei movimenti civili e politici, essa è individuata come uno strumento capace di limitare il deficit democratico dell’Unione.
Se la sussidiarietà verticale potrebbe garantire percorsi di performance legitimacy e di regime legitimacy, il principio nel suo senso orizzontale offrirebbe invece quella più ampia polity legitimacy che la governance europea - e particolarmente il modello emerso nel Libro bianco - non è in grado di produrre.
In tal senso, il modello che compare nel Trattato di Amsterdam sarebbe espressione di una executive subsidiarity - finalizzata quindi alla protezione delle prerogative dell’esecutivo europeo - e non di una democratic subsidiarity tesa ad offrire le più ampie garanzie verso i diritti dei cittadini (BERMANN, 1994).
Come nota de Búrca (1999: 10): «…in the EU context, the rhetoric of citizens’ rights and closeness to the citizen is regularly invoked, although what appears in the primary legal text is the executive version, with subsidiarity as a principle appearing to protect Member State powers against encroachment by the Community organs rather than to protect individual rights and interests in the making of policy».
In tal senso, la definizione di una qualche sussidiarietà democratica costituisce un’esigenza particolarmente pressante anche in relazione alla precisa affermazione della Commissione europea secondo cui il principio di sussidiarietà «has nothing to do with a ‘democratic deficit’ that has to be made good: it should not be confused with democratic control of Community action» (COM, 1998: 3).
Tuttavia, a differenza del principio di sussidiarietà verticale, la sua interpretazione orizzontale manca di una qualsiasi forma di concreta attuazione politica o giuridica rimanendo, in sostanza, un criterio orientativo senza alcuna pratica indicizzazione o implementazione.
Infine, è ancora diversa la codifica del principio di sussidiarietà attiva teso a valorizzare i percorsi di partecipazione diretta ai processi politici da parte di soggetti dalla natura istituzionale e non istituzionale (vedi: POCHET, 2001; CALAME, 2003).
Le difficoltà di attuazione del principio di sussidiarietà, anche solo nella sua variante verticale, sono molteplici e risiedono principalmente nel carattere ancora incerto del rapporto tra la sovranità statale e ordinamento politico comunitario (DE BÚRCA, 1999).
Se da un lato la sussidiarietà sembrerebbe conservare prerogative d’intervento e d’esercizio del potere politico agli stati, dall’altro lato, la sua attuazione in senso radicalmente federalistico o municipalistico sposterebbe l’equilibrio politico su un asse costituito dalle istituzioni comunitarie e dalle regioni (su questo tema vedi: COTTURRI, 2001).
È evidente come su questo tema siano in gioco la natura e l’articolazione della sovranità europea che - a partire da una governance multilivello - potrebbe prendere corpo come sovranità divisa (divided sovereignty) o come sovranità condivisa (shared sovereignty).
7. Global governance, difficoltà dello Stato-Nazione e crisi della sovranità politica
Il confronto sulla governance politica, sia quella che coinvolge gli spazi amministrativi o metropolitani, sia quella che colloca al proprio centro i nuovi modi di produrre decisione politica a livello macroregionale (UE) o globale (ONU), parte dal presupposto che le forme tradizionali del government statale siano in difficoltà.
Una condizione, questa, che non è la semplice espressione della difficoltà di gestire per via istituzionale una realtà in continuo cambiamento, ma che rimanda ad una crisi, o pretesa crisi, dello Stato-Nazione, ed alla tenuta sempre più labile dei meccanismi della sovranità politica moderna.
Così come lo spazio tradizionalmente assegnato all’amministrazione statale si assottiglia e diviene sempre più incerto, allo stesso modo quello spazio politico e territoriale sul quale si è costituita l’autorità politica statuale sembra perdere consistenza: «Globalization is reshaping the fixed and firm boundary between domestic and international spheres, and changing our conception of the proper domain of domestic and international politics and law» (JAYASURIYA, 1999: 1).
A ben guardare, il confronto ancora aperto sulle forme ed il senso della contemporanea crisi dello stato condiziona profondamente le diverse ipotesi di governance, ed è certamente utile tracciare un indice di quei fattori di difficoltà dell’autorità politica moderna che ne sono lo stimolo e il presupposto.
Non è semplice indicizzare tutti i fattori che incidono e condizionano lo stato nei suoi poteri, ed è ancora più complesso - anche se più rilevante a lungo termine - fare luce sulle ragioni profonde che risiedono alla base delle difficoltà dell’impianto giuridico-politico della sovranità.
La gran parte degli studiosi mettono oggi in evidenza come il ruolo e il potere dello StatoNazione territorialmente organizzato venga progressivamente trasformandosi, sia in relazione agli sviluppi ad esso esterni, sia in relazione alle sue intrinseche trasformazioni.
Nel suo The Retreat of State, Susan Strange ha descritto la condizione di progressiva ritirata dello stato a fronte degli sviluppi di un sistema dell’economia mondiale sempre più impersonale e autonomo (STRANGE, 1996 e 1995).
Lo stato è obbligato a disertare e sottrarsi all’esercizio del tradizionale ruolo di gestione e controllo delle dinamiche economiche internazionali poiché i mercati - e in particolar modo quello finanziario - sfuggono alla presa di soggetti organizzati territorialmente.
In ragione del fatto che gli spazi ed i tempi dell’economia non coincidono più con quelli dello stato, il rapporto tra quest’ultimo e la politica si configura come un elemento destabilizzante e di crisi della sovranità statale.
La tesi della studiosa statunitense è certamente importante, tuttavia le ragioni delle difficoltà della sovranità statale sembrano essere più complesse.
La ricerca contemporanea mette in rilievo anche altri fattori, tra i quali il potenziarsi del ruolo svolto dalle istituzioni sovranazionali che sottraggono dall’alto alla sovranità statale funzioni e poteri, ed il progressivo strutturarsi di una rete di poteri pubblici globali che costringono l’autorità statale in una maglia di rapporti e relazioni strutturate e formalizzate.
Lo stato sembra perdere autonomia decisionale (sia sul piano legislativo che su quello esecutivo) e potere d’intervento in alcuni dei campi cruciali della politica: l’economia, la moneta, la gestione delle risorse ambientali, i flussi migratori.
Certamente su altri aspetti fondanti la sovranità, quali l’integrità territoriale o il potere di dichiarare la guerra, poco sembra essere cambiato, anche se la costituzione di forze multinazionali d’intervento o la pressante intermediazione (talvolta ingerenza) d’istituzioni internazionali nei conflitti tra stati sono indici importanti dei mutamenti in atto.
Ancora, all’affermarsi di una sempre più pervasiva globalizzazione economica si accompagna lo svolgersi di una mondializzazione dei processi culturali che mette in scacco la pretesa di identità culturale che sottende il modello dello statonazione.
Arjun Appadurai ha evidenziato come si compongano spazi comunicativi ed esperienziali che attraversano i soggetti in modo trasversale e che compongono identità multiple, articolate intorno ad una dimensione spaziale globale (APPADURAI, 1996).
Di rilievo è anche la tesi del sociologo tedesco Ulrich Beck (1986: 18) che ha descritto il costituirsi di una nuova società del rischio nella quale «l’accrescimento del potere del “progresso” tecnico-economico è messo sempre più all’ombra dalla produzione dei rischi….
Essi non possono più essere circoscritti a luoghi o gruppi come avveniva nel XIX e nella prima metà del XX secolo con i rischi relativi al lavoro di fabbrica o ad un’attività professionale, e mostrano invece una tendenza alla globalizzazione checomprende produzione e riproduzione, sfugge ai confini nazionali, e in questo senso produce minacce globali sovranazionali indipendenti dall’appartenenza di classe…».
Anche solo questi pochi indici mettono in rilievo l’erosione progressiva dei poteri e della consistenza di quello che è stato definito come lo stato westfaliano.
Le variabili geopolitiche definite dalle allocazioni delle risorse energetiche, ambientali e comunicative privilegiano modelli di organizzazione economica e politica di tipo macroregionale o globale.
Gli sviluppi di un’economia mondiale sempre più globalizzata, anche grazie al ruolo crescente svolto dalle tecnologie dell’informazione e comunicative, ha completamente ridefinito gli spazi ed i tempi dell’agire politico.
In tal senso, dopo l’89 sembra essersi avviata una complessiva e accelerata redistribuzione dei poteri su scala planetaria che, da un lato, ha confermato l’affermazione di una relativa supremazia statunitense, ma che, dall’altro lato, ha pure favorito l’accelerazione del processo di unificazione europea, al pari del costituirsi di altre rilevanti aree geopolitiche relativamente autonome.
A questi fattori di erosione del modello di sovranità statale territoriale legati alla globalizzazione economica ed alla mondializzazione dei rapporti sociali, politici, culturali, si affiancano i processi diversi - ma complementari - dello svuotamento di poteri dello stato, sia per l’affermazione di processi di governance amministrativa, sia per l’erosione dei suoi poteri verso il basso a favore di regioni, autorità locali e municipalità.
Il progressivo policentrismo dell’ordinamento statale, l’affermarsi di poteri pubblici non statali, la crisi del welfare state sono fattori che sottraggono poteri e funzioni cruciali alla tenuta del tradizionale modello giuridicopolitico della sovranità.
Non ultime le difficoltà di quelle procedure di governo rappresentativo su cui poggia l’architettura complessiva della cittadinanza politica nelle contemporanee democrazie rappresentative.
Come sintetizza efficacemente Kanishka Jayasuriya, «the concept of the sovereign state as an entity that has exclusive jurisdiction over its territory (with the concomitant limitation on external enchroachment on its power), as well as the notion of an internal sovereignty reflected in the internal unity of the State and its “monistic” legal order, need rethinking» (JAYASURIYA, 1999: 1).
Il moltiplicarsi degli organismi e dei poteri internazionali strutturati secondo multiple loyalties, la condizione di profonda ambiguità nell’assetto dei poteri e delle autorità politiche, il ruolo crescente svolto da élites transnazionali, il crollo della centralità del fattore spaziale nella costruzione dei poteri pubblici: tutti questi fenomeni hanno spinto alcuni critici ad interpretare la nuova organizzazione mondiale dei poteri come un processo di rifeudalizzazione (CERNY, 1998; MINC, 1993; RUGGIE, 1993; KOBRIN, 1999).
Con quest’analogia si vuole in particolare mettere in evidenza la rete sempre più fitta dei rapporti tra poteri diversi, non sempre gerarchicamente ordinati, che favoriscono lealtà multiple e dipendenze reciproche.
Il sistema internazionale degli statinazione, nato con la pace di Westfalia, sarebbe messo definitivamente in crisi dall’emergere di una pluralità di attori diversi che fondano la propria presenza sulla scena globale a partire da presupposti diversi da quelli che caratterizzavano la politica estera dei tradizionali poteri sovrani.
Peraltro, questa condizione corrisponderebbe ad una parallela balcanizzazione degli esecutivi degli stati dovuta al moltiplicarsi di agenzie, authorities e poteri locali.
Fenomeno, quest’ultimo, da intendersi come la progressiva moltiplicazione nelle strutture di governo di A.A.I.
dotate di funzioni legislative ed esecutive autonome (o relativamente autonome).
Da un simile panorama emergono almeno tre differenti ipotesi relative alla condizione dello stato.
Una prima ipotesi è relativa al suo progressivo declino e arretramento, in ragione dell’incapacità a reagire ai mutamenti intervenuti a causa della globalizzazione economicofinanziaria.
In atto ci sarebbe un percorso di vera e propria dissoluzione dello stato (prospettiva costruzionista) a favore di attori nuovi (CAPORASO, 2000; CAMILLERI / FALK, 1992).
Una seconda ipotesi, che trova un maggiore consenso nel dibattito scientifico, è quella secondo cui lo stato attraverserebbe una fase di erosione dei suoi poteri, assorbiti e sottratti da spinte regionalizzanti o macroregionali.
L’autorità statale si avvia a diventare un potere intermedio in una nuova scala di autorità pubbliche assumendo ruoli e funzioni diverse (STRANGE, 1996; ROSENAU, 1992; CASSESE, 1999; KUDRLE, 1999; KAHLER / LAKE, 2003; NYE / DONHAUE).
Infine, altri autori sostengono che le difficoltà dello stato - quando non siano meramente congiunturali - non sono indicative di unprocesso di decadimento dell’autorità politica statale, ma del suo adattarsi ad un contesto nuovo (KRASNER, 1999; per una interpretazione critica: BORDIEU, 1998).
Lo stato si starebbe ri-articolando per affrontare con strumenti nuovi i processi di globalizzazione e di accelerazione dei mutamenti intervenuti attraverso le nuove tecnologie comunicative (CERNY, 1999; MAJONE / LA SPINA, 2000).
Peraltro, le linee essenziali di questo sviluppo sembrano seguire l’immagine tradizionale dello stato minimo, ed effettivamente i fautori di questo modello tendono ad interpretare la globalizzazione economica come la variabile indipendente di un processo complesso nel quale le scelte dell’autorità pubblica si configurano, invece, come variabile dipendente.
Tutti questi temi si accompagnano al dibattito crescente sul deficit democratico che caratterizza sia gli ordinamenti internazionali, sia i processi di ridefinizione del policy-making a livello locale, regionale, nazionale e internazionale.
Come ha messo in luce Ralph Dahrendorf, la crisi della democrazia oggi è in gran parte «una crisi di controllo e legittimità di fronte ai nuovi sviluppi economici e politici» (DAHRENDORF, 2001: 7).
Questa crisi vede strettamente connessi due momenti diversi: in primo luogo quello della ristrutturazione dell’ordinamento giuridico-politico della sovranità nazionale a fronte dei processi di mondializzazione economico-finanziaria e di globalizzazione culturale e politica; in secondo luogo, il riassetto a livello planetario dei poteri in particolare attraverso la costruzione di organismi sovranazionali dal carattere non rappresentativo (WTO, G8, IMF, Nato, World Bank...).
Lo stesso Dahrendorf ritiene che esista un collegamento diretto tra la crisi della democrazia e quella degli Stati-Nazione.
Questo aspetto del contemporaneo confronto politico è di rilevante importanza per comprendere le ragioni e le critiche ai contemporanei modelli di governance politica.
Infatti, le contemporanee ipotesi sulla governance partono dal presupposto che le tradizionali procedure del governo rappresentativo non consentono un’efficace partecipazione alla presa di decisione pubblica della società civile; pertanto, attraverso i meccanismi diversi del partenariato, della negoziazione, delle reti di networks o delle consultazioni allargate si ritiene di poter recuperare una partecipazione qualificata alla politica.
Per altri versi, l’allargarsi di queste procedure, con il moltiplicarsi del numero e della natura degli attori e lo spostamento della presa di decisione pubblica in contesti diversi da quelli istituzionalmente codificati, rende sempre più difficile la comprensione e la partecipazione del singolo cittadino.
La natura collettiva degli attori e degli interessi che emergono nei nuovi processi decisionali sottrae spazio e terreno all’individuo portatore di diritti su cui si basa il moderno governo rappresentativo.
Le molteplici e spesso differenti articolazioni della governance globale si pongono come obiettivo quello di offrire una risposta efficace ai problemi della convivenza planetaria, senza utilizzare i moduli tradizionali della politica interstatale.
In effetti, sul piano della politica mondiale vige un regime di rapporti nel quale l’unica organizzazione planetaria - l’Organizzazione delle Nazioni Unite - non sembra esercitare alcun effettivo potere coercitivo.
Peraltro, la sovranità statale si mostra incapace nell’affrontare le sfide e i rischi della globalizzazione e della mondializzazione.
Pertanto, la governance globale si presenta come la trasposizione su di un piano politico nuovo dei temi e dei problemi posti della globalizzazione economica e dalla mondializzazione sociale e culturale.
La global governance rappresenta in primo luogo il tentativo di identificare sullo scenario planetario attori diversi dagli stati.
In secondo luogo, essa vuole proporre rapporti politici ed economici non organizzati (o non esclusivamente organizzati) intorno ai tradizionali moduli delle relazioni interstatali che possano contribuire al benessere ed allo sviluppo complessivo del pianeta.
Infine, essa rappresenta una nuova definizione della misura e dei rapporti tra i poteri su scala planetaria.
In tal senso, la definizione di governance offerta da James Rosenau mette proprio in evidenza come essa presupponga la costruzione di un ordine globale centrato sull’operato intenzionale di attori molteplici: «governance and order are clearly interactive phenomena.
As intentional activities designed to regularize the arrangements which sustain world affairs, governance obviusly shapes the nature of the prevailing global order.
It could not do so, however, if the patterns constituting the order did not facilitate governance» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 8).
Essi utilizzano modalità diverse e non conflittuali di rapporto e cooperazione per raggiungere finicomuni non specifici, ed in tal senso rappresentano un piano sostanzialmente diverso da quello degli international regimes.
Peraltro, il momento dell’intenzionalità sottolinea come nei rapporti di governance l’aspetto prescrittivo - l’uso in sostanza della forza sanzionatoria propria dello stato - sia esclusivamente una variabile contestuale.
Sul piano critico, le osservazioni di Rosenau sono certamente utili e ci permettono di evidenziare come il concetto di ordine che sottende l’idea di una governance globale esprima sia una tensione analitica, sia una tensione normativa.
Da un lato, essa rappresenta una categoria per la descrizione dei tratti di governo globale propri dei processi di globalizzazione o di mondializzazione, dall’altro essa è utilizzata per proporre buone pratiche (good governance).
In particolare, è a partire da questo secondo aspetto che si possono tracciare le differenze più significative tra modelli differenti di governance che, se trovano nei tre aspetti segnalati in precedenza i loro tratti unificanti, sul piano del dibattito e dell’intervento politico propongono soluzioni sensibilmente diverse.
La buona governance che emerge dallo Human Development Report 2002 curato dalle Nazioni Unite è centrata su alcuni indicatori (benchmarks) attraverso i quali quantificare il grado di sviluppo economico, politico e civile dei diversi stati.
Tra essi vi sono indicatori per la quantificazione della corruzione, delle tensioni etniche, della qualità amministrativa, dell’accountability democratica, della stabilità governativa, delle condizioni socioeconomiche generali.
A questi indicatori propri di una governance politica se ne affiancano altri, relativi a quelle economica e civica: se per la prima troviamo l’inflazione, il deficit pubblico, l’incidenza sul prodotto interno lordo delle spese per l’educazione e la sanità, per la governance civica gli indicatori sarebbero rappresentati dalla libertà d’espressione, dalla non-discriminazione, dalla partecipazione politica, dall’effettività del rule of law 1 .
Profondamente diverso, invece, è l’approccio di realtà più vicine al mondo dell’associazionismo, delle NGOs e dei movimenti civili e politici per le quali un compiuto discorso sulla buona governance rappresenta innanzitutto un discorso sui nuovi diritti di globalizzazione e su di una cittadinanza mondiale (FONDATION CHARLES LEOPOLD MAYER, 2001; CALAME, 2003; FALK, 1994, 1999).
Se appare problematica l’affermazione di attori politici con una dimensione mondiale capaci di farsi promotori di processi di integrazione e sviluppo comune e coordinato a livello planetario, è tuttavia importante che in contesti come questi si cerchi di armonizzare i percorsi della governance globale ai diritti e ai doveri di attori collettivi ma anche individuali.
Certamente, i tradizionali appelli all’ONU si scontrano con la realtà interstatali che non permetteno l’attribuzione di un ruolo centrale né alle Nazioni Unite e neppure ad una tanto vagheggiata, quanto inesistente, comunità internazionale.
Peraltro, l’affermazione della centralità dei diritti umani - quando non si accompagni ad una loro riformulazione e ad un’attenzione ai percorsi della partecipazione politica e della legittimità democratica - rischia di scivolare nella giustificazione dei moderni conflitti e nell’astratta tutela di diritti non fruibili; oltre a costituire uno strumento di controllo più che di effettiva liberazione.
8. Brevi considerazioni conclusive sulla governance politica
I temi e i problemi che compongono ciò che si usa codificare con il termine governance sono complessi e diversificati.
Tuttavia, è forse possibile individuare alcune linee tematiche e concettuali attraverso le quali caratterizzare e accomunare l’emergere di diversi discorsi in un ambito politico.
Se lo scopo di questo contributo è stato quello di mettere in evidenza i principali percorsi tematici di alcuni tra i contemporanei usi della governance, è tuttavia importante segnalare alcuni snodi - di particolare rilievo per la teoria politica - che emergono da questi percorsi.
In tal senso, interpretazioni della governance che attribuiscono a questa categoria ogni forma di organizzazione dell’azione collettiva, e che quindi non hanno ad esplicito riferimento quelle nuove forme politiche che affiancano o sostituiscono il tradizionale governo, non sono l’oggetto di queste riflessioni; riflessioni, peraltro, che valgono esclusivamente come indici di una ricerca appena avviata.
1 È forse indicativo delle contraddizioni di un metodo quantitativo il fatto che nel report delle Nazioni Unite Israele mostri un coefficiente di human development più alto di stati come il Portogallo e la Grecia.In primo luogo, l’apparente confusione tra i diversi contesti semantici ed i molteplici livelli operativi e d’intervento che segnano le contemporanee teorie della governance non è la semplice espressione di un lavoro ancora in fieri della comunità scientifica oppure il frutto di una vulgata massmediatica: piuttosto, ci sembra costituisca un tratto essenziale di una modalità di organizzazione politica che si caratterizza proprio per la trasversalità nei livelli d’intervento (locale, nazionale, internazionale), per la multiformità dei moduli operativi e dei saperi esperti che ne codificano l’intervento, per la pluralità degli attori.
Il rapporto stretto tra la governance e l’economia di mercato, con la centralità riferita ai momenti diversi della definizione degli obiettivi e degli attori, struttura il legame tra la governance economica e quella politica.
Valgano le osservazioni della sezione di questo lavoro dedicate alla governance corporata per mostrare come anche in ambito politico la definizione degli stakeholders costituisca un criterio cruciale.
La governance nasce in un contesto pluralistico nel quale gli attori interagiscono attraverso una razionalità che consiste innanzitutto nella relazione tra costi e benefici.
Similmente stretto è il rapporto con i piani diversi dell’amministrazione, del governo locale, del governo nazionale o sovranazionale, della globalizzazione economica.
La governance mostra quanto ogni livello sia sistematicamente interrelato con tutti gli altri; l’incontro tra le tecniche e i saperi che guidano l’intervento in ognuno di essi deve incontrare quelli provenienti dagli altri livelli.
Per fare un semplice esempio, i progetti di riforma e riassetto urbano sono strutturati intorno alla relazione tra attori e problemi locali, regionali e macroregionali.
In secondo luogo, la governance è un modello di conflict resolution tra attori portatori di interessi potenzialmente conflittuali; essa rappresenta un insieme di dispositivi di problem solving e di governo del conflitto.
In tal senso, ricondurla al panorama delle diverse teorie della conduzione politica (steering) permette di indicare come - al di là delle reti di co-decisione e della molteplicità degli attori - sia sempre possibile individuare un luogo di direzione politica.
Similmente, lo studioso Paul C.
Schmitter ha rilevato come dietro le politiche di governance ci sia sempre presente the shadow of the state, l’ombra dello stato a garanzia dell’esercizio di un potere coercitivo 2 .
Ci sembra utile, in tal senso, l’indicazione di B.
Guy Peters secondo la quale se intendiamo i processi di globalizzazione come la variabile indipendente, la governance è allora la variabile dipendente; le istituzioni - di qualunque natura - costituiscono invece quella interveniente (PETERS, 1998; PETERS / PIERRE, 2000a e 2000b).
Come abbiamo visto in precedenza, la definizione della Commission on Global Governance è da questo punto di vista indicativa: la governance è descritta come un processo di composizione d’interessi differenti e conflittuali che si pone l’obiettivo di definire pratiche cooperative e interessi comuni.
In un simile contesto, la composizione del conflitto non è la ricerca di un accordo sulla politica da seguire, piuttosto essa è la definizione di obiettivi specifici (setting goals) e degli strumenti più idonei al loro raggiungimento.
Attraverso questa pratica di basso profilo si ritiene di poter indirizzare e neutralizzare il conflitto politico.
Abbiamo visto come nell’UE, a partire dal Libro bianco, ma anche intorno ad una serie diversa di documenti e temi relativi alla comitology, all’OMC e alla sussidiarietà, si tenti di dare una risposta alla natura altamente conflittuale delle istituzioni e degli attori che la compongono: i rapporti difficili tra stati membri e istituzioni europee, quello altrettanto complesso tra potere esecutivo e potere legislativo, quello tra governi locale, nazionale ed europeo, infine la sfiducia e la distanza più volte segnalata dai popoli d’Europa.
Tutte queste linee di frattura richiedono un intervento che i tradizionali moduli della politica interstatale, del governo rappresentativo e dell’organizzazione gerarchica non sono capaci di offrire; e ciò a fronte della particolarissima sfida posta dal processo di unificazione politica.
È forse questo il senso di quella che viene comunemente descritta come governance multilivello.
La sussidiarietà, particolarmente per il panorama europeo, rappresenta lo snodo dell’articolazione dei poteri e dei conflitti nei diversi contesti.
Importante, in tal senso, è l’osservazione di Gráinne De Búrca sulla sussidiarietà europea secondo cui essa «can also be more 2 In una comunicazione orale tenuta a Napoli il 4 maggio 2004 per il dottorato di Analisi e Interpretazione della Società Europea, Dipartimento di Discipline Storiche “E. Lepore”.
Egli sottolinea pure come a quella dello stato si affianca quella del mercato; entrambe fungono da precondizioni della governance.broadly understood as part of a language which attempts to rearticulate and to mediate, albeit within this particular geographical and political context, some fundamental questions of political authority, government and governance which arise in an increasingly and interdependent world» (DE BÚRCA, 1999: 3).
Ancora, Jachtenfuchs (2001: 246) sottolinea come la governance rappresenti «the intentional regulation of social relationships and the underlying conflicts by reliable and durable means and institution, instead of the direct use of power and violence».
Essa non elimina, ma ritraduce la forza e la violenza attraverso i propri dispositivi particolari.
Non è un caso che per alcuni studiosi il rapporto tra conflitti e governance sia ancora più profondo; Ernest-Otto Czempiel, in particolare, sottolinea che i conflitti nella moderna società industriale rappresentano un complesso sistema di organizzazione sociale: «Conflicts between industrialized societies should be understood as highly complex system of governance» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 270).
Se ciò è vero, i conflitti si configurano come una dimensione ineliminabile di quella che è comunemente definita globalizzazione.
Scrive ancora lo studioso che «to understand modern conflicts as systems of governance is to grasp the growing importance of societies and the degree of interdependence between them» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 270).
Secondo questo modello i conflitti sono parte ed espressione naturale di una governance globale.
Parallelamente, il percorso di democratizzazione liberale che è il motore di questo processo attribuisce una nuova centralità all’individuo, rendendolo oggetto del sistema internazionale: «Understanding international systems as systems of governance also leads to the insight that the object (and subject) of foreign policy is not the state but the individual.
While strategy of deterrence and neo-realism neglected the individual, the strategy of democratization, and liberal theory, center around it» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 271).
Czempiel coglie un punto importante quando sottolinea che l’individuo è l’oggetto della politica estera rappresentata dalla governance liberale e democratica.
L’importanza di quest’aspetto appare evidente nei termini in cui gli attori dei diversi sistemi di governance sono corpi collettivi e gruppi: corporazioni, ONG, associazioni, governi, assemblee, istituti.
La buona governance si presenta agli individui sui quali interviene come uno strumento di miglioramento della loro condizione, pur non lasciando loro alcuno spazio significativo d’intervento e di azione.
Il percorso di depotenziamento dei moduli tradizionali della sovranità politica apre sicuramente a sviluppi innovativi; tuttavia, la permanenza della centralità negli attuali sistemi politici democratici dell’individuo portatori di diritti universali - in un contesto nel quale i meccanismi di garanzia e tutela di questi diritti risultano progressivamente indeboliti - non può che suscitare forti contraddizioni.
Se è vero che la governance è «explicitly concerned with the regulation of all “social relationship”, including those ‘private’ social and economic actors» (WALKER, 2001) si può forse sostenere che l’individuo è prevalentemente un oggetto di discorso e d’intervento, e non certo il soggetto di politiche nuove.
In tal senso, appaiono rilevanti le notazioni di Eriksen sulla domestication che la definizione di una buona governance opera sulla società nel suo complesso, quasi a riproporre un modello di contemporaneo disciplinamento.
Altre importanti indicazioni su quest’aspetto provengono da studiosi che mettono in evidenza la relazione stretta tra le contemporanee pratiche di governance e quanto il filosofo francese Michael Foucault ha definito come governamentalità (DOUGLAS, 1999; WOLF, 2000; e Borrelli nella presente raccolta).
In terzo luogo, su un piano diverso e più strettamente legato all’esercizio del potere politico, uno degli aspetti più significativi della governance è il suo rappresentare un insieme di processi di ristrutturazione del potere fortemente centrati sull’esecutivo, e che pongono al centro dei propri percorsi i corpi e gli interessi collettivi.
Il depotenziamento dei dispositivi dell’obbligazione politica determinato dalla output legitimacy e la centralità che assume il momento dell’attuazione delle politiche comportano l’accrescimento della discrezionalità nell’operato politico.
Lo spostamento progressivo da un operato legato alla politics verso il primato della policy segna il profondo mutamento del termine stesso di politico che assume vesti nuove legate alla volontarietà delle consultazioni, all’operato dei saperi esperti, al ruolo primario delle gerarchie informali e della base economica e finanziaria.
Il rischio costante di una governance dei comitati, degli esperti, deivoluntary agreement o delle consultazioni informali è dato della negoziazione occulta tra interessi e poteri forti.
In sostanza, è quella governance postparlamentare dagli esiti profondamente elitistici che emergeva come esito possibile del percorso europeo.
Si potrebbe argomentare, e in modo forse paradossale, che in un contesto simile è la partecipazione ai processi di governance a garantire la cittadinanza e la legittimità del ruolo di ogni attore; nel contempo, tuttavia, i canali della partecipazione e gli spazi di agibilità politica si restringono per tutti quegli attori i cui interessi non trovino un’adeguata rappresentazione collettiva.
Le difficoltà profonde dello Stato-Nazione e delle organizzazioni politiche democratico - rappresentative sono innegabili.
Che la governance, variamente intesa o applicata, possa rappresentare uno strumento realmente innovativo e capace di allargare gli spazi di partecipazione politica è probabilmente un giudizio prematuro.
E ciò è tanto più vero se si considera che i rischi di un esito neo-oligarchico e tecnocratico di questa nuova saggezza conservativa restano alti 3 .
Il misconoscimento del carattere politico e conflittuale della governance e l’illusione di poter fare completamente a meno del piano della tradizionale legittimità democratica per via rappresentativa rischiano di renderla lo strumento di interessi forti.
E non vi è semplicemente da tener conto dell’esigenza di strutturare un corretto equilibrio tra partecipazione politica ed efficienza per rendere la governance una buona governance.
Importante è anche porre al centro di questi nuovi processi il singolo, prima ancora che gli interessi strutturati; non il soggetto astratto della modernità politica, che nei meccanismi sperimentati della rappresentanza politica ha trovato nel bene e nel male i percorsi del proprio sviluppo.
E neppure il soggetto razionale del mercato la cui realtà resta parziale e profondamente conflittuale (BORRELLI, 2001).
Se del primo la governance vuole esplicitamente fare a meno, poiché l’architettura dei poteri che lo costituiscono e che ne offrono la realizzazione - quel panorama insomma ancora oggi offerto dalla sovranità - appare un fattore frenante più che un termine d’innovazione, il secondo resta un modello possibile.
Modello, tuttavia, che taglia la complessità e multiformità della vita associata sull’unico aspetto dell’uomo economico.
È da una diversa attenzione alla complessità dei singoli, ed a partire dai loro contesti di vita, che è forse possibile tentare di definire una più compiuta partecipazione politica e civile.
A partire da qui, ogni sperimentazione e percorso d’innovazione delle istituzioni sociali e politiche sarebbe forse possibile.
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INDICE
La storia dell’ Organizzazione Economica moderna 4
Le piazze dei paesi 7
Le nuove fabbriche e i nuovi sindaci 8
Doppio papato straniero uguale a doppia immigrazione indesiderata 10
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo 12
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo 18
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo 18
Il deprezzamento dei beni per asta giudiziaria 19
Eliminazione dei Tribuni di classe dai tribunali 20
Gli Illuminati 23
Dipartimento "Governance, Repubblica, Sicurezza 28
Progetti in corso 30
Il commento del 12 agosto 2011 32
Grecia: non si trattava di un caso speciale 33
I timori sul debito raggiungono il nucleo 34
Cosa avrebbe dovuto essere fatto 38
Il contro commento del 12 agosto 2011 39
Ciò che non cresce non è detto che debba necessariamente marcire 44
Guida per il cittadino: Rileggere la legg e 47
Report storico degli anni 2008-2013 49
Nuovi valori dei clienti 51
Al servizio del cliente 53
La risorsa dei consumatori emergenti 55
Nuovi concorrenti 59
Nuovo panorama competitivo 61
Volatilità cronica 62
Prospettive di crescita 67
Migliore gestione del rischio 70
Nuovi modelli di business 71
Il ritorno dei baby boomer 73
Ricchi e poveri 75
8 possibili tipi di crisi mondiali 79
Il più grande fallimento della storia. 84
FOTOGRAFIA ECONOMICA DELLA SITUAZIONE VALUTARIA INTERNAZIONALE DEL 2010 85
Libertà d’informazione e sua manipolazione da parte dei detentori dei “poteri forti” 105
Il Manifesto del partito comunista 110
Paternità di Engels 110
Contenuto del “Manifesto” 113
II. Proletari e comunisti 116
IV. Posizione dei “comunisti” in relazione con i vari partiti di opposizione 120
Dalla corporate governance alla categoria politica di governance 123
2. La governance corporata e la natura degli attori 133
3. La governance delle aree urbane 144
4. la governance e le trasformazioni nell’amministrazione e nel diritto amministrativo 152
5. Il Libro bianco sulla governance europea 162
7. Global governance, difficoltà dello Stato-Nazione e crisi della sovranità politica 174
Euro e Gettoni di spesa 198
Eliminare i
Burattinai disumani
Trattato sulla riorganizzazione mondiale all’insegna della equità dell’economia e della fiscalità globale, dell’etica civica multietnica, della democrazia diretta apartitica che curi in tempo reale le priorità reali
DATI CONTENUTI NELL’OPERA
Bevi cenni di storia economica contemporanea
Quadro congiunturale previsionale 2016-2021 con commenti e osservazioni
Considerazioni del post colonialismo commerciale e bancario e dei suoi effetti sociali nel primo quarto di secolo del secondo millennio A.C.
A.d. 2020:
La sopravvivenza dei burattinai NON E’ AVVENUTA
Citazioni che hanno ispirato il teorema del libro
“Herman fabulae huic ponit historiam observationes fecit vitae posteritatis”
“In un epoca di menzogne universali, dire la verità è un atto rivoluzionario”
George Orwell
La favolosa storia dell’ Organizzazione Domestica moderna
“Correva l’anno 2011 d.c., quando la società globale del pianeta terra stava per essere totalmente dominata dalla razza umana allora predominante ovvero da quella casta globale dei burattinai anche detta dei “rettiliani, illuminati, massoni, calabro anglosassoni ecc.”, che avevano rifondato le regole globali.
Ad opera di burattini da essa forgiati quali intrattenitori, satrapi, guru, terroristi, e ragionieri… abilmente indotti nel loro inconsapevole lavoro quotidiano dell’ignorare i lati umani del povero ed eseguire rigidamente le prassi aziendali, la casta globale mantenevano abilmente la manipolazione globale del branco, sottoponendo la società a continue torture mediatiche e catastrofali pilotate... ”
Ermanno Faccio (Possibile incipit di un nuovo colossal)
“Questa razza subumana ma dominante, sviluppatasi silenziosamente e in modo strisciante nel corso degli anni dai tempi dei Babilonesi ad oggi, proveniva da una genealogia non ben definita, ma da alcuni considerata come ultraterrena; una razza particolare come quella dei “Neither Man” che era già stata definita dai tempi dei Romani.
Dopo la crisi dei derivati del 2008, la società non mostrando ancora sufficienti segni di cedimento, necessitava di un’ulteriore ondata di terrore universale, onde far cadere “il branco” nella sottomissione psicologica totale ad opera della casta mondiale.”
“Siamo alla vigilia di una trasformazione globale: ci serve solo la crisi giusta e le nazioni accetteranno il nuovo ordine del mondo”
David rockefeller
Alla famosa ricetta dittatoriale dell’epoca Romana “Panem et Circenses” la casta a partire dall’ anno 1995 pensò e deliberò che si dovesse sin da allora aggiungere una correzione letale per definitivamente addivenire alla depravazione sociale totale.
La miscela “Auctione, Alea et Meretricium” propria dell’allora vigente epopea “espropristica, borsistica, lotteristica e sessista” che la governance internazionale stava mantenendo in tutti i paesi del Globo, sembrava la più adatta per gettare i popoli di tutte le nazioni nell’oblio della retta via, nella perdita di fiducia nei valori istituzionale, civili e religiosi.
Fu così che presto si giunse alle soglie di una nuova grande e importante crisi mondiale, come quelle che in passato ci furono negli anno 1929 ecc.
La crisi mondiale, veniva vissuta come una novità intangibile, e con una totale inconsapevolezza storica da parte dei popoli nuovi, che invadevano ormai tutti i Paesi una volta loro coloni, per la legge creata dalle di questi stessi ultimi, indotte dalla casta e ad opera delle gerontocrazie di burattini politici, stanchi ed esausti, ormai caduti in una sorta di sindrome psicologica di involuzione post colonialista.
Le piazze dei paesi
Le piazze dei paesi e delle cittadine Europee, erano ormai piene di gente, coppie e carrozzine con bambini di tutte le razze, tranne quella autoctona ormai in via d’estinzione e le genti nelle strade parlavano lingue sconosciute ai locali, che venivano via via sempre più isolati dal gruppo lavoratore attivo, sia come gruppo etnico che idiomatico.
Gli immigrati provenienti da paesi poveri, affamati e preoccupati solo ad ottenere un risultato, riuscivano infatti in pochi anni a formare e ad aprire anche tre o quattro aziende, senza difficoltà.
Mentre i residenti invece, pur proprietari di abitazioni o aziende storiche, colpiti dalle tasse e dalle banche prestatrici di denaro che veniva stampato ormai a piacere, perché conosciuti come proprietari immobiliari, subivano gli effetti della crisi del debito, e chiudevano a raffica le loro ditte o vedevano chiudere le ditte per le quali lavoravano per i più svariati motivi tra i quali crisi settoriale, livello di produttività basso, clima aziendale pessimo, macchinari e attrezzature obsolete, scarsa organizzazione, canali di vendita inadeguati, insufficienza delle vendite, insolvenza grave dei clienti, evoluzione della domanda, incapacità manageriale, legislazioni destabilizzanti, mancanza di tutela da parte dei pubblici amministratori, demotivazioni personali dei titolari, alti indebitamenti, fallimenti, ecc..
Le nuove fabbriche e i nuovi sindaci
Se le piazze dei paesi erano visibilmente ormai gremite da popolazioni non autoctone, appartenenti alle culture più svariate, e in ogni negozio gestito da Cinesi appariva puntualmente un gruppo di bambini Cinesi, e così in un negozio gestito da arabi, egiziani, turchi, greci, rumeni, marocchini, tunisini, indiani, ecc, l’osservatore ne deduceva che ben presto i capi delle fabbriche del paese, presto sarebbero divenuti stranieri, e così sarebbe avvenuta necessariamente a breve anche per il padrone della stessa fabbrica, il Prete della Chiesa, e il Sindaco del Paese, e così infatti fu.
Mentre a San Marino la legge stabiliva che per possedere la cittadinanza sanmarinese si dovesse permanere nel granducato per almeno sette generazioni, in Italia ed Europa ne bastava solo una, e forse solo mezza e nessuna legge fu mai varata per tutelare il patrimonio etnico italiano.
I muri che i nonni dei cittadini autoctoni avevano lasciato in eredità dopo averli strenuamente difesi nelle guerre storiche, mantenuti e tramandati alla generazione attuale, sia per cessione, sia per fallimento, venivano levati a quest’ultima, che si vedeva così “soffiare” millenni di storia in un solo ventennio di “world globalization”.
Ma quali furono le vere cause di tutto questo processo? Perché gli americani fecero entrare da sempre nei loro territori prima orde di navi con lavoratori africani, e poi altri da tutto il resto del mondo, facendo dell’immigrazione un buisness per lo stesso mantenimento statale in vita?
Perché i Francesi prima colonizzanti e poi colonizzati dai suoi stessi coloni, che di riflusso sono entrati ad invadere la Francia da diversi anni non è stata capace di riprodursi a sufficienza, per creare il numero di contribuenti voluto dal proprio capo di gabinetto del tesoro, utilizzando la genealogia autoctona?
Perché lo stesso hanno fatto i tedeschi, tanto che un turista che passava casualmente da Hannover, assisteva all’effettiva invasione di Turchi nelle discoteche tedesche, unica razza questa ben tollerata evidentemente dal razzismo ariano?
E Perché ora tutto questo stava avvenendo nella sacra Italia, nonostante nessun cittadino lo avesse voluto?
Doppio papato straniero uguale a doppia immigrazione indesiderata
E’ vero che ormai si può ipotizzare qualunque cosa ci passi per la testa, ma quella del Papa polacco prima, e del papa tedesco poi, oltre che a trasformare le auto blu statali, da marca italiana ad estera, ha sicuramente influito sull’aumento dell’afflusso di circolazione di stranieri dall’Africa per l’Europa, attraverso il territorio italiano.
Che dire poi, durante questo doppio papato, della sparizione dell’autorità ecclesiastica di un tempo, durante il quale se si parlava male, si veniva censurati, e in tv non si praticava certo il torpiloquio odierno.
Per fortuna che l’ultima fumata bianca ci ha regalato la simpatia di Papa Francesca, che, senza togliere nulla ai suoi predecessori, detiene sicuramente il merito della popolarità, nel senso relativo del termine.
Senza inoltrarci nelle spiegazioni di questo fenomeno, possiamo dire che la grande audience di Bergoglio è dovuta sia alla sua particolare formazione gesuita - che evidentemente ha un effetto reale sui popoli - che alla sua personale intelligenza viva e semplice: l’umano sa riconoscere bene questi valori.
Ma cosa riesce a portarci questo nuovo papa, anch’esso seppur potente, limitato dalle contestualità vaticane e internazionali? Staremo a vedere. Sicuramente non possiamo fare anticipazioni profetiche, ma solo accennare alla sensazione di convincimento che questo Pontefice riesce ad offrire alle persone, può essere un indizio che giustificherà il sempre crescente audience che sta avendo questo grande vescovo della Comunione tra i Popoli.
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo
Le recenti discussioni sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportano di attualità un vecchio quesito: quale andamento ha lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda è stata analizzata la dimensione economica dei primi Paesi (con popolazione superiore a un milione di abitanti) dal 2000 al 2008, convertendo in dollari i loro dati sul Prodotto interno lordo (Pil).
E per evitare le distorsioni causate dal fluttuare dei cambi – per cui da un anno all'altro il Pil in dollari di un Paese può anche raddoppiare o dimezzarsi, togliendo ogni significato alle comparazioni internazionali – si è adottato il metodo dei "cambi di lungo termine".
Infatti, secondo la dottrina delle parità di potere d'acquisto, dati due Paesi, esiste tra loro un tasso di cambio di equilibrio a lungo termine la cui variazione dipende dalle oscillazioni del rapporto tra prezzi interni ed esteri.
Il cambio di equilibrio include anno per anno un aggiustamento per il differenziale d'inflazione. Sarebbe però necessario scegliere un anno-base al quale agganciare la compensazione.
Per superare tale arbitrarietà, il metodo del cambio di lungo termine consente di definire sia i valori annuali del cambio, sia la generale posizione di equilibrio a lungo termine.
Per la crescita reale dei Paesi dal 2000 al 2008 e per la popolazione sono stati utilizzati dati e stime del Fmi, tratti dall'ultimo "World Economic Outlook", dell'ottobre 2007.
Nel 2008 il Pil mondiale era previsto in 56.777 miliardi di dollari a prezzi correnti e la popolazione in 6.658 milioni, rispetto a 6.028 milioni e 35.960 miliardi nel 2000. Esclusa l'inflazione del dollaro, l'incremento risulta del 3,4% annuo. Con 14.596 miliardi gli Stati Uniti rappresentavano il 25,7% del Pil mondiale; valore analogo denunciava la Ue a 27 (14.070 miliardi), ma in un contesto assai disomogeneo e con 497 milioni di abitanti, contro i 306 milioni degli Usa.
Usando il Pil come indicatore della dimensione dei mercati, confrontiamo ora lo sviluppo di due aree con buone prospettive per il nostro export e cioè l'Asia, esclusi Giappone e Cina (tanto grande da costituire un'area a sé), e i 28 Paesi ex-comunisti, compresa la Russia.
Negli anni attuali, vendiamo che tutti i precedenti dati sono aumentati nel settennio di circa il 56% di incremento medio e questo dato conferma che il sistema della selezione banco-finanziaria produce valori sempre crescenti, anche se non viene precisato in quale parte siano costituiti da cartolarizzazioni di prodotti finanziari quali ad esempio derivati, edge funds, etf, ecc. e quanto siano riferiti a prodotti dell’economia reale.
Il loro Pil, che nel 2000 rappresentava un mercato di 2.581 miliardi di dollari, è ora stimato in 5.021, (+ 61% l'aumento reale). Passando da 2.723 miliardi a 5.068 i 16 Paesi asiatici mostrano invece un aumento del 54% "soltanto". È sorprendente constatare come sia proprio la "vecchia" Europa a nascondere l'area più dinamica del globo dopo la Cina e ciò perché i progressi europei sono diffusi in quasi tutti i Paesi.
Ancor più utile per lo studio dei mercati è il Pil procapite. Esso varia tra un massimo di 51.472 dollari per la Norvegia (che ha spodestato al vertice la Svizzera) e un minimo di 236 $ per la Repubblica democratica del Congo. In totale, 50 Paesi hanno un Pil procapite superiore a 10.000 $, 45 oltre i 2.000 e 55 al di sotto. Il gruppo più ricco comprende 1.367 milioni di abitanti, quello intermedio (che include la Cina) 3.180 $ procapite e 2.653 milioni, quello più povero, con l'India (1.411 $), 2.629 milioni.
L'Italia nel 2008 figurava al 20° posto con 26.476 dollari, a mezza via tra Gran Bretagna (32.293 $) e Spagna (21.069 $).
Per meglio illustrare l'economia dei Paesi nella tabella sottostante sono stati usati altri parametri: il consumo di energia procapite (in chili annui di petrolio equivalente) e le auto in circolazione, i telefoni fissi, i cellulari e i personal computer ogni 1.000 abitanti. È inoltre stretto il legame inverso tra Pil procapite e la quota dell'agricoltura: 6 Paesi hanno solo l'1% (tra essi Usa, Germania e Gran Bretagna); otto il 2%, tra cui Giappone, Francia e l'Italia (che nel dopoguerra aveva il 40%), tutti con reddito procapite di oltre 25.000 $. La media varia tra il 2% per i primi 25 Paesi e il 33% per gli ultimi 25. All'opposto, poiché la terziarizzazione economica è progredita senza soste, c'è una altissima correlazione tra reddito e percentuale dei servizi: Usa e Francia sono arrivati addirittura al 77%, un record mondiale; la Gran Bretagna è al 73%, l'Italia al 71%, la Germania al 69% e il Giappone al 68%.
I principali indicatori di consumo sono l'energia e le auto. Per l'energia si passa da un massimo di 8.649 chili annui procapite del Canada (per gli Stati Uniti 7.985 kg) a un minimo di 180 kg del Bangladesh. L'Italia è al livello più basso tra i Paesi industrializzati: solo 3.366 kg, rispetto ai 3.706 kg della Spagna e ai 4.126 dell'Irlanda. Le auto variano tra 768 ogni 1.000 abitanti degli Usa e una soltanto per gli ultimi 6 Paesi. L'Italia è al 4° posto (1° in Europa) con 658 auto, davanti a Germania (624) e Giappone (587). Di nuovo stretto è il legame tra questi indicatori e il Pil: la media dei primi 25 Paesi (con un reddito procapite di 36.879 $) è 487 auto e 4.905 kg, quella degli ultimi 25 (reddito procapite 472 $) è 5 auto e 362 kg.
Nei dati sui telefoni, oltre alla consueta relazione con il reddito (si passa da 523 ogni 1.000 abitanti per i primi 25 Paesi a 12 per gli ultimi 25), impressiona la crescita dei cellulari: 54 Paesi sono giunti a oltre 1.000 apparecchi ogni 1.000 abitanti. Poiché i costi continuano a scendere, sembra davvero realizzabile il sogno che l'elettronica possa aiutare i Paesi poveri. Nel Congo, ad esempio, unico Paese al mondo dove c'è meno di una linea fissa ogni 1.000 abitanti (secondo l'Itu, soltanto 0,2), si sta arrivando a 100 cellulari; nel Mozambico, con 4 linee fisse, a 200 cellulari.
Altrettanto notevole è la diffusione dei personal computer, che già ha raggiunto un miliardo di unità! Rispetto ai cellulari, maggiore è la concentrazione a livello di Paesi: da una media di 674/1.000 per i primi 25 Paesi, per i Paesi tra il 51° e il 75° posto si scende già a 117/1.000, mentre vi sono ancora 6 Paesi con solo un personal computer ogni 1.000 abitanti. L'Italia, recuperando il ritardo, sta superando 400/1.000, mentre Usa, Gran Bretagna e Australia sono oltre gli 800. La posizione dei Pvs, in questo caso, è diversa dal solito: se l'Italia, ad esempio, sta arrivando a 40 milioni di automobili (contro 25 in Cina, 20 in Brasile, 11 in India), vi sono 66 milioni di pc in Cina, 34 in Brasile, 32 in India, rispetto ai 26 nostri.
Interessante è anche una nuova statistica della Witsa sulla spesa informatica. Con aumenti annui del 10-40%, essa è arrivata a 98 miliardi di $ per l'Italia (6,2% del Pil), a 198 miliardi per la Gran Bretagna (10,0%) e a 222 per la Cina (5,3%), per non parlare del gigantesco mercato Usa di 1.220 miliardi (8,4%). Poiché ormai si tratta ovunque del 5-10% del Pil, sembra opportuno che gli uffici statistici nazionali aggiungano un quarto settore alla classica suddivisione del Pil. Dopo aver però risolto un difficile problema: le spese informatiche rappresentano un consumo corrente, oppure un investimento per il futuro? E c'è un modo corretto di raggrupparle in un'unica categoria?
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo
Le recenti discussioni sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportano di attualità un vecchio quesito: quale andamento ha lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda è stata analizzata la dimensione economica dei primi Paesi
La classifica completa del Pil dei Paesi del Mondo
Le recenti discussioni sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportano di attualità un vecchio quesito: quale andamento ha lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda è stata analizzata la dimensione economica dei primi Paesi
Il deprezzamento dei beni per asta giudiziaria
Mentre veniva considerata deprecabile la svalutazione dei beni di un’azienda per via dell’effetto borsistico oltre una certa soglia di guardia, nel mercato delle aste giudiziarie, si era creata una nuova moda: quella del “Fallo fallire che mi serve un capannone”.
Ecco che beni aventi valori di mercato reale pari a 100 venivano venduti ed acquistati liberamente anche a 10, compiendo il più aberrante gesto di sterminio del lavoro umano, mai concepito da una civiltà pacifica prima di allora.
Solo la guerra o il terremoto potevano essere comparati a questa silenziosa azione devastante le sorti di una EER.
Questo terrorismo mobiliare ed immobiliare imperversò per anni arricchendo ingiustamente ed indebitamente migliaia di persone, avvocati e giudici, ai danni di altrettante persone cadute nell’impossibilità di pagare per via della crisi.
Eliminazione dei Tribuni di classe dai tribunali
Per avere l’assoluto dominio della giustizia la Ndrango-Massoneria-Giustizialista ha pensato di attivare delibaratamente ed impunitamente le seguenti forme di auto boicottaggio delle proprie strutture affinché non potessero appositamente funzionare se non attraverso la propria decisione o il proprio intervento diretto:
1. Mantenimento del caos dei documenti cartacei
2. Mantenimento dell’uso di scrivere manualmente durante le udienze attraverso avvocati di controparte che usavano appositamente zampe di gallina, per non far comprendere l a propria scrittura
3. Inerzia assoluta verso qualsiasi forma di regolarizzazione organizzativa interna, quantomai dovuta per diritto a tutti i cittadini
4. Eliminazione della responsabilità dei giudici per referendum popolare
5. Eliminazione delle composizioni dei giudici di tribuni di classe che difendessero una specifica classe sociale od economica con la propri acompetenza specifica, altrimente assente nei giudici di cultura ordinaria.
Alcune recenti sentenze pubbliche da me assistite risultavano palesemente inique: - una pensionata veniva condannata a pagare 90000 euro per un impunito errore di notifica del postino, e nonostante la palese assenza di base imponibile. - un importatore condannato a pagare 30000 euro perché il suo parquet è stato fatto posare dal direttore lavori del cliente in una casa umida fondata su terreno poi risultato ex risaia non risanata e la casa non isolata. - un privato cittadino condannato a pagare 30 mila euro per aver inviato una mail di richiesta di offerta per un terreno ad una famiglia calabrese recidiva in “terrorismo legale” per carenza legislativa e nozionale da parte delle giudici stesse della fattispecie di responsabilità precontrattuale... - un concessionario ceramico condannato a pagare 15000 euro perché il gatto della cliente ha macchiato la piastrella con il suo liquido organico e la cliente non poteva trovare il prodotto giusto al supermercato.. - un rivenditore di parquet condannato a pagare 40000 euro perché il parchettista della cliente non avrebbe potuto secondo la giudice, non poter dare martellate sulla vernice del parquet prefinito all’impazzata… - un’azienda commerciale non riusciva mai ad incassare i propri crediti perché i professionisti della truffa e dell’inadempienza crescevano giorno per giorno tutelati dal sistema statale della giustizia - le aziende dell’economia reale vengono affossate dalle persecuzioni bancarie senza che un’istituzione fosse ancora riuscita a porre fine a questi abusi di posizione dominante
Un cittadino ala domenica in una pubblica piazza chiedeva, “Amici ma cosa abbiamo fatto togliendo la responsabilità ai giudici?” Non vediamo forse che tutte queste sentenze sono “letteralmente pazze”? Non ci conviene rimettere la responsabilità al suo posto prima che questo sistema impazzito ci espropri delle nostre case?
Infatti L’art. 55 del c.c. inerente la responsabilità civile dei magistrati era stato abrogato con d.p.r. 497/87 a seguito di referendum popolare.
La materia era allora regolata dalla legge 13.04.1988 n.
117, secondo la quale, chi aveva subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia, poteva agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali ed anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.
Ma chi avrebbe agito contro lo Stato?
Non sarebbe forse stato come agire contro se stessi?
Perché avrebbero dovuto attendere quindi oltre vedendo la chiusura di tutte le aziende italiani per sentenze inique?
Perché quindi non proporre una legge che riformasse il concetto di responsabilità dei magistrati quanto ai necessario e urgente?
Così facendo avrebbero interrotto quello che era diventato un vero e proprio stillicidio di sentenze pazze che rovinavano iniquamente ditte, aziende, e privati proprietari.
Così facendo il numero di “sentenze palesemente inique” sarebbe stato immediatamente inferiore e le medesime sarebbero risultate più eque e razionali.
Così facendo il cittadino ingiustamente o iniquamente leso avrebbe potuto agire immediatamente contro il magistrato iniquo o disinformato tecnicamente, poiché regolarmente coperto da polizza assicurazione, come tutti gli altri professionisti dovevano esserlo.
Gli Illuminati
Nei Protocolli dei Savi di Sion”. In 24 paragrafi, viene descritto come soggiogare e dominare il mondo con l’aiuto di un sistema economico.
Mayer Amschel Rothschild aiuta e finanzia l’ebreo Adam Weishaupt, un ex prete gesuita, che a Francoforte crea un Gruppo Segreto dal nome “Gli Illuminati di Baviera”. Weishaupt prendendo spunto dai “ Protocolli dei Savi di Sion” elabora all’incirca verso il 1770 “Il Nuovo Testamento di Satana” un piano che dovrà portare, non più gli Ebrei ma un gruppo ristretto di persone (gli Illuminati o Banchieri Internazionali) ad avere il controllo ultimo del mondo intero.
La strategia di Weishaupt era basata su principi molto fini e spietati. Bisognava arrivare alla soppressione dei Governi Nazionali e alla concentrazione del potere in Governi ed Organi Sopranazionali ovviamente gestiti dagli Illuminati. Ecco alcuni esempi operativi sulle cose da fare:
* Creare la divisione delle masse in campi opposti attraverso la politica, l’economia, gli aspetti sociali, la religione, l’etnia etc … Se necessario armarli e provocare incidenti in modo che si combattano e si indeboliscano.
* Corrompere (con denaro e sesso) e quindi rendere ricattabili i politici o chi ha una posizione di potere all’interno di uno stato.
* Scegliere il futuro capo di stato tra quelli che sono servili e sottomessi incondizionatamente.
Avere il controllo delle scuole (licei ed Università) per fare in modo che i giovani talenti di buona famiglia siano indirizzati ad una cultura internazionale e diventino inconsciamente agenti del complotto.
* Assicurare che le decisioni più importanti in uno stato siano coerenti nel lungo termine all’obiettivo di un Nuovo Ordine Mondiale.
* Controllare la stampa, per poter manipolare le masse attraverso l’informazione.
* Abituare le masse a vivere sulle apparenze e a soddisfare solo il loro piacere, perché in una società depravata gli uomini perdono la fede in Dio.
Secondo Weishaupt, mettendo in pratica le sue raccomandazioni si doveva arrivare a creare un tale stato di degrado, di confusione e quindi di spossatezza, che le masse avrebbero dovuto reagire cercando un protettore o un benefattore al quale sottomettersi liberamente. Da qui il bisogno di costituire degli Organi Sovranazionali pronti a sfruttare questo stato di cose, fingendosi i salvatori della patria, per istituire un Unico Governo Mondiale .
Nel 1871 il piano di Weishaupt viene ulteriormente completato da un suo seguace Americano Albert Pike che elabora un documento per l’istituzione di un Nuovo Ordine Mondiale attraverso tre Guerre Mondiali.
Il suo pensiero era che questo programma di guerre avrebbe generato nelle masse un tale bisogno di pace, che sarebbe diventato naturale arrivare alla costituzione di un Unico Governo Mondiale. Non a caso dopo la Seconda Guerra Mondiale venne fatto il primo passo in questa direzione con la formazione dell’ONU, che possiamo definire la polizia del mondo degli Illuminati. Tornando al pensiero di Pike, la Prima Guerra Mondiale doveva portare gli Illuminati, che già avevano il controllo di alcuni Stati Europei e stavano conquistando attraverso le loro trame gli Stati Uniti d' America, ad avere anche la guida della Russia. Quest’ultima avrebbe poi dovuto interpretare un ruolo che doveva portare alla divisione del mondo in due blocchi. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe dovuta partire dalla Germania, manipolando le diverse opinioni tra i nazionalisti tedeschi e i sionisti politicamente impegnati. Inoltre avrebbe portato la Russia ad estendere la sua zona di influenza e reso possibile la costituzione dello Stato di Israele in Palestina. La Terza Guerra Mondiale sarà basata sulle divergenze di opinioni che gli Illuminati avranno creato tra i Sionisti e gli Arabi, programmando l’estensione del conflitto a livello mondiale.
Col passare degli anni il Quartiere Generale di questo complotto passa dalla Germania (Francoforte), alla Svizzera, poi all’Inghilterra (Londra) ed infine agli Stati Uniti d’America (New York). E’ quindi dal 1700 che le famiglie degli Illuminati, generazione dopo generazione, influenzano la storia per raggiungere i propri traguardi. Ecco un elenco dei fatti principali che negli ultimi 3 secoli sono stati architettati, fomentati o finanziati dagli Illuminati:
- la Rivoluzione Francese, le Guerre Napoleoniche, la nascita dell’ideologia Comunista, la I Guerra Mondiale, la Rivoluzione Bolscevica, la nascita dell’ideologia Nazista, la II Guerra Mondiale, la fondazione dell’ONU, la nascita dello Stato di Israele, la Guerra del Golfo, la nascita dell’Europa Unita…
La rete di potere che gli Illuminati si sono costruiti in quasi 300 anni. Ovviamente non potevano pensare di conseguire i loro obiettivi da soli, avevano ed hanno bisogno di una “struttura operativa”, composta da organizzazioni o persone che esercitando del potere operino più o meno consapevolmente nella stessa direzione. Come potete constatare gli Illuminati controllano o hanno i loro uomini ovunque, possiamo tranquillamente dire che sono i signori del mondo. La loro strategia ha fatto leva su 2 capisaldi: a) la forza del denaro, hanno costituito e controllano il Sistema Bancario Internazionale; b) la disponibilità di persone fidate, ottenuta attraverso il controllo delle Società o Associazioni Segrete (logge massoniche). Queste ultime con i loro diversi gradi di iniziazione hanno garantito e garantiscono tutt’ora quell’alone di discretezza necessario al piano degli Illuminati. Gli Illuminati, e chi con loro controlla queste Società, sono Satanisti e praticano la magia nera. Il loro Dio è Lucifero e attraverso pratiche e riti occulti manipolano e influenzano le masse. E pensare che la cultura dominante ci dice che la magia non esiste anzi, considera ridicolo chi ci crede. E’ anche da questa scienza di tipo occulto, che gli Illuminati hanno sviluppato la teoria sul controllo mentale delle masse. Per chiarire ecco un esempio:
A quanto sembra anche Hollywood, le maggiori Case Cinematografiche e Discografiche internazionali, fanno parte della rete degli Illuminati. Molte volte i loro prodotti sono usati come strumenti di indottrinamento e agiscono in modo “invisibile” sulla psiche. Penso che nessuno possa negare che oggi esistono certi tipi di musica, privi di qualsiasi qualità, il cui unico effetto voluto è quello di provocare nei giovani apatia, robotismo, violenza ed essere uno stimolo all’uso di droghe per renderli dei robot …. Umanoidi simili agli zombi. Intanto crediamoci, siamo stati programmati anche per questo.
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Il Dipartimento si concentra sull'analisi della trasformazione politica e la stabilità dei diversi ordini politici e sulla capacità degli Stati di adempiere le funzioni pubbliche. Esaminiamo governance e modelli di conflitto correlati a queste problematiche e incorporare le nostre analisi nel più ampio contesto internazionale.
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Progetti in corso
Responsabilità in Mosambique: sfide e opportunità per la cooperazione allo sviluppo
Obiettivi contrastanti della promozione della democrazia
Promozione della democrazia nell'era di Social Media digitali: sfide e opportunità
Valutare l'intervento di governo con metodi rigorosi
Governance nei Paesi donatori e la qualità degli aiuti esteri
Cartolarizzazione degli aiuti esteri
L'efficacia del sostegno di bilancio
L'impatto della Russia, India e Cina per le strutture nella loro governance regionale per l'ambiente (RICGOV)
Dipartimento "Competitività e lo Sviluppo Sociale"
"Competitività e lo Sviluppo Sociale" reparto lavora sul rapporto tra crescita economica, innovazione, competitività, produttività e sviluppo, da una parte e (proventi) la distribuzione e la povertà nei paesi in via di sviluppo dall'altra. Sulla base dei risultati delle sue ricerche, il team sviluppa concetti per le politiche economiche e sociali che servono a rafforzare la competitività a lungo termine dei paesi in via di sviluppo, e sono allo stesso tempo socialmente inclusiva e sostenibile. Il team di sviluppo consiglia anche le istituzioni tedesche e internazionali. attuali attività del dipartimento di ricerca e consulenza concentrano su:
• promozione attiva di affari e business in settori quali la promozione SMI e di integrazione nella catena del valore;
• innovazioni per una crescita ecologicamente sostenibile e socialmente inclusivo ;
• determinanti di un clima favorevole agli investimenti nei paesi emergenti , che pone le basi per una crescita inclusiva e le misure di sostegno più adatto allo scopo;
• efficienza di sensibilizzazione e di riduzione della povertàdella politica agricola e dello sviluppo rurale ;
• sistemi di protezione sociale nei paesi in via di sviluppo e trasformazione ;
• pro scarsa crescita in India e Brasile .
Oltre a questo focus della ricerca, il dipartimento è attualmente responsabile del coordinamento del progetto di cooperazione con i paesi di ancoraggio . Questo progetto analizza lo sviluppo della cooperazione tedesca con questo gruppo paese e sviluppa concetti di cooperazione tra agenzie.
• La produzione di biocarburanti in zona subsahariana
• Innovazioni per uno sviluppo ecologicamente sostenibile
• Nuove strategie di governance per la ricerca multilaterale per affrontare le sfide globali
• Shaping catene del valore in vista di esigenze di sviluppo
• Aggiornamento delle PMI: le barriere alla crescita per le piccole imprese
• L'impatto della crisi finanziaria ed economica globale sulle famiglie, piccole imprese e mercati del lavoro
Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: I punti di forza e di debolezza - e che cosa questo significa per il futuro orientamento della politica di sviluppo globale?
Il commento del 12 agosto 2011
Su http://www.social-europe.eu il 2011/12/08 di Daniel Gros
Gli investitori stanno anticipando il dipanarsi del 21 luglio 2011 "soluzione" e una ripartizione del mercato interbancario, che avrebbe gettato l'economia in una "recessione immediata", come quella vissuta dopo il fallimento Lehman.Questa colonna sostiene che questo accadrà senza un'azione rapida e coraggiosa. Il EFSF non può funzionare come previsto, ma se fosse registrato come una banca - che le permette di accedere a un numero illimitato BCE rifinanziamento - i governi potrebbero fermare il crollo generalizzato di fiducia, lasciando la gestione del debito pubblico in mano della finanza ministri.
Canarini sono stati tenuti nelle miniere di carbone perché muoiono più velocemente di quanto gli esseri umani quando sono esposti ai gas pericolosi. Quando smise di cantare gli uccelli, i minatori saggio sapeva che era tempo di marcia le procedure d'emergenza.
Grecia, a quanto pare, era canarino della zona euro. Il canarino è stato rianimato e un meccanismo di salvataggio piccolo è stato istituito per far rivivere un canarino ulteriore o due - ma oltre a questo l'avvertimento è stato ignorato. I minatori continuando a lavorare. Si convinse che questo era il problema del canarino.
Grecia: non si trattava di un caso speciale
I problemi della Grecia non avrebbero dovuto essere interpretato come un caso speciale. Avrebbero dovuto essere vista come la prima manifestazione di un problema generale:
• Come segno che la crisi globale si diffondeva al debito pubblico;
• Come segno che i mercati di capitali non sarebbero stati ai livelli di rifinanziare a lungo l’eccessivo debito pubblico, specialmente nei membri dell'Eurozona che non potevano più contare sul sostegno delle banche centrali.
Questo è diventato particolarmente evidente dopo il Consiglio europeo del luglio 2011 - ove l'incontro che avrebbe dovuto porre fine alla crisi e risolvere il caso greco con una miscela di tassi di interesse più bassi e qualche ristrutturazione del settore privato e pubblico.
Il pubblico greco avrebbe potuto non apprezzare, ma avrebbe ricevuto comunque un trattamento preferenziale da parte dell’UE.
Con le decisioni prese al Consiglio europeo di luglio, la Grecia essenzialmente avrebbe avuto tutto il suo fabbisogno finanziario per il successivo decennio e si sarebbero potuti organizzare in sicurezza per pagare meno del 4% sul nuovo debito da essa subito. Gli altri due paesi con un programma, Irlanda e Portogallo, avrebbero avuto tassi di interesse bassi e altrettanti prestiti a lungo termine, ma sarebbero rimasti ancora in attesa per affrontare la prova dei mercati negli anni successivi.
I timori sul debito raggiungono il nucleo
Ma mentre Grecia, Irlanda, Portogallo e ha tassi più bassi per i loro ufficiali finanziamento a lungo termine, Spagna e Italia sperimentato un aumento nella loro oneri finanziari. Essi stanno pagando vicino al 6% per dieci anni i soldi.
E 'chiaro che questi paesi non si può pretendere di fornire miliardi di euro di crediti verso la Grecia al 3,5%, quando sono loro stessi pagando molto di più. I leader europei ha voluto essere generoso con la Grecia, ma l'offerta di fondi a buon mercato è limitata. Non tutti possono essere serviti in questo modo.
Il EFSF è stato progettato per una crisi periferica
Questo vale in particolare per fondo di salvataggio della zona euro, il Fondo europeo per la stabilità finanziaria (EFSF). Questo semplicemente non hanno fondi sufficienti per effettuare gli acquisti di bond massiccia ora necessario per stabilizzare i mercati. E 'stato sufficiente a fornire il finanziamento promesso di Grecia, Irlanda e Portogallo.
Inoltre la struttura del EFSF lo rende vulnerabile ad una catena di domino.
• Le regole del EFSF implica che i paesi che hanno bisogno di finanziamenti o si volto 'uscire' gli elevati oneri finanziari, cioè non forniscono più garanzie per la EFSF.
• Se i costi di indebitamento di Italia e Spagna rimanere a livelli di crisi, o se questi due paesi hanno bisogno per salvare se stessi, solo i membri dell'Eurozona nucleo rimarrebbe a sostenere la EFSF.
A questo punto, il peso del debito sul core sarebbe diventato insopportabile.
Pericoli di applicare la soluzione periferia al centro
Importante, la più grande è la EFSF, più velocemente la caduta domino. La posizione del governo francese - che l'EFSF deve essere aumentata - non ha senso anche da un punto stretto di vista francese.
• I mercati finanziari hanno capito questo e aumentare così i costi di finanziamento per la Francia - il paese nucleo più in pericolo di perdere il suo rating AAA.
• Se la Francia deve 'uscire' del EFSF, Germania (e alcuni dei suoi vicini più piccoli), avrebbe dovuto portare tutto il peso.
Questo sarebbe troppo anche per la Germania - il debito pubblico italiano da solo è equivalente all'intero PIL tedesco.
Come questo effetto ha guidato i mercati
La situazione è così critica, perché questo effetto domino ha iniziato ad operare.
◦ I mercati finanziari non aspettare paese dopo paese ad essere degradati.
◦ Gli investitori anticipare il finale di partita - il disfacimento di tutta la EFSF / ESM struttura.
◦ Come è stata la risposta EFSF centrale leader dell'Eurozona 'al problema del debito, la sua scomparsa avrebbe lasciato la zona euro, con un grosso problema e nessuna soluzione.
La banca-governo-debito trappola
Come al solito, le banche sono l'anello più debole e sono soggette a un altro effetto domino.
▪ Molte banche contenere grandi quantità di debito pubblico dell'Eurozona;
▪ Il loro rating non può mai essere superiore a quella del loro sovrano proprio.
▪ Qualcuno aspetta il downgrade di un paese deve anche vendere le azioni delle sue banche.
Questo, a sua volta, aumenta il costo del capitale per le banche vulnerabili rendendoli più vulnerabili.
▪ Altre banche - che vedono la caduta dei corsi azionari della banca e l'ampliamento credit default si diffonde - reagisce rifiutandosi di fornire alle banche vulnerabili liquidità interbancaria.
▪ Questa ripartizione del mercato interbancario, a sua volta, porta ad una ripartizione del circuito del credito.
Questo è ciò che conducono alla "recessione immediata" vissuto dopo il fallimento di Lehman ha dimostrato.
In questi giorni sembra che i mercati azionari sono anticipando uno scenario apocalittico con l'economia va in recessione bruscamente in quanto il mercato interbancario si rompe sotto l'anticipazione di ulteriori problemi del debito pubblico. Purtroppo questa previsione si realizzerà a meno che la ripartizione del mercato interbancario si rivolge molto presto.
Cosa avrebbe dovuto essere fatto
A questo punto la zona euro ha bisogno di una massiccia infusione di liquidità. Dato che la struttura a cascata di dell'EFSF è parte del problema, la soluzione non può essere un massiccio aumento della sua dimensione. Tuttavia, il EFSF potrebbe semplicemente essere registrato come banca e potrebbe quindi avere accesso a un numero illimitato ri-finanziamento da parte della BCE, che è l'unica istituzione in grado di fornire la liquidità necessaria rapidamente e in quantità convincente.
Questa soluzione avrebbe il vantaggio che lascia la gestione dei problemi del debito pubblico in mano dei ministeri delle finanze, ma fornisce loro il fermo di liquidità che è necessaria quando c'è un crollo generalizzato di fiducia e di liquidità. Questo è esattamente quando un prestatore di ultima istanza è più necessario.
Sarebbe ovviamente molto meglio se la BCE non ha dovuto 'salvare' il meccanismo europeo di salvataggio, ma in questo caso si deve scegliere tra due mali. Anche un forte aumento nel bilancio della BCE (che se l'esperienza degli Stati Uniti è una guida non porterà l'inflazione) costituisce un male minore rispetto ad un collasso del sistema finanziario dell'Eurozona.
Il contro commento del 12 agosto 2011
Dato da http://www.social-europe.eu Il 2011/12/08 di Andrew Watt
Nuove proposte da due commentatori che porta sulla crisi dell'euro: perché signori così tardi?
2011/12/08 Con Andrew Watt
Due pezzi recenti di commentatori che parlano sulla crisi dell'area Euro stanno per darmi una pausa di riflessione.
Daniel Gros ha scritto un tipico conciso e penetrante commento sull'ultima fase della crisi presa l'area dell'euro.
E 'molto buona l'interazione tra banca e del debito sovrano ed espone le debolezze del EFSF nella sua composizione attuale. Egli conclude che una massiccia infusione di liquidità è necessario. Sono d'accordo. La sua raccomandazione è per dell'EFSF essere dichiarato una banca in modo che possa essere backstopped dalla BCE.
Non ho una visione forte su questo.
Per me va bene se il denaro proviene direttamente dalla BCE. Ma se facilita il sonno dei banchieri centrali al fine di evitare apparentemente, dal gioco di prestigio, la miscelazione-up della politica fiscale e monetaria che le persone li manifestino così up-stretto, poi importante mieux .
Tuttavia, pezzo di Daniel mi lascia perplesso sul corso del dibattito tutto negli ultimi 18 mesi. Cominciamo con il fatto che non è corretto dire che i mercati dei capitali non sono disposti a finanziare 'alta' debito pubblico, come è illustrato dai tassi estremamente bassi e cade sul debito emessi da paesi come gli Stati Uniti (downgrade nonostante), Regno Unito e Giappone, il cui debito e PIL è uguale o superiore a molti dei paesi dell'area dell'euro (per non parlare della media dell'area dell'euro). Il problema è specifico per i paesi dell'area dell'euro.
Che cosa critica è, però, capire esattamente il motivo per cui i 'mercati' chiedono rendimenti molto elevati, al fine di concedere prestiti ai paesi come il Portogallo, Grecia e Irlanda e, più recentemente, Spagna e Italia, in un'epoca in cui i tassi su American, inglesi e tedeschi debito sovrano sono così bassi e in calo. E la risposta è semplice: sono preoccupati di prendere le perdite derivanti da una qualche forma di - qualunque sia educato termine viene usato - default sovrano. E perché sono preoccupati per tali perdite? Beh, perché i responsabili politici europei, guidata dal cancelliere Merkel, ha insistito sul settore privato che partecipano al salvataggio: questo è ciò che significa la partecipazione - perdite. I politici lo hanno fatto per vari motivi (in particolare fuori posto rabbia popolare su ciò che è stato dipinto come dare soldi alla immeritevole), ma uno di loro era importante che gli economisti ei commentatori avevano chiamato per 'default ordinato' come un modo per risolvere la crisi. E uno dei sostenitori più importanti di questo approccio è stato Daniel Gros, il cui appello per un Fondo monetario europeo all'inizio del 2010 era molto influente, in linea con i suoi piedi come un top commentatore di politica economica europea. (E io non contestano che conteneva anche molte idee utili.)
Un caso simile in punto è che l'altrettanto illustre di Charles Wyplosz , autore libri di testo, consigliere della Commissione europea, e altro ancora. Ora ha invitato politici dell'UE, che, dice, « ancora non capisco "per consentire alla BCE di agire liberamente come prestatore di ultima istanza e comprare debiti in sofferenza governo come richiesto. Egli afferma che questo è diventato necessario, ma è una conseguenza indesiderata del fallimento delle politiche 'a seguire il suo consiglio di maggio 2010 , che è stato - probabilmente avete indovinato - per la Grecia per andare al FMI, di default e di imporre un taglio di capelli ai creditori.
Hmm. E 'solo io, o non è evidente che proprio questi discorsi di default che inesorabilmente diffondere il contagio? Dubbi sul rimborso integrale del debito pubblico elevato rendimento e spread. Questo nutrito dubbi maggiori circa la sostenibilità di bilancio, i mercati spaventati e anche elettorati. La morte-spirale filato sempre più velocemente. Tutto ad un tratto un paese come la Francia - che ha non meno a suo titoli di Stato in quanto le guerre napoleoniche! - Si trova sotto la minaccia di un attacco speculativo, e unendo la frenesia di annunciare ulteriori misure di austerità in una, probabilmente vano, tentativo di placare i mercati.
In realtà, come ho sempre sostenuto durante la crisi (ad esempio all'inizio , più recente , recente ), la giusta strategia era quella di escludere un default del debito sovrano, inaudito in Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale, fin dall'inizio, di obbligazioni, , fornendo sostegno agli investimenti e la ripresa economica, il tutto in cambio di credibile a medio termine gli impegni di consolidamento fiscale. Certo, ci sarebbe stata opposizione a questo, ma il problema era tutta politica, non economica. Le somme coinvolte all'epoca erano minuscole: Grecia, Irlanda e Portogallo insieme rappresentano solo il 6% del PIL dell'area dell'euro. I problemi che si manifestano in Grecia e gli altri erano molto chiaramente - e qui mi sono del tutto d'accordo con Daniel Gros - il risultato di una precedentemente mal capito malfunzionamento della zona dell'euro nel suo insieme, piuttosto che errori grossolani politica dai singoli governi. Quello che sembrava essere la solidarietà era chiaramente illuminato interesse e avrebbe potuto facilmente essere venduti come tali elettorati scettici.
Riassumendo. Il motivo centrale per la diffusione della crisi è stata la prospettiva di perdite su attività finanziarie, a ovest titoli di stato europei, che erano in precedenza e giustamente considerato sacrosanto. Pieno appoggio del debito sovrano della zona euro da parte della BCE è la cosa giusta da fare. Ma è non lo spiacevole risultato di non aver insistere su di default o meno un anno fa. Al contrario, è ciò che si sarebbe dovuto fare all'inizio. Il fatto che è ora sembra una operazione più difficile e costoso (anche se piuttosto che il secondo significa in un mondo in cui la banca centrale, e solo esso, può creare soldi a volontà non riesco a capire) è proprio perché la minaccia di insolvenza è stato sollevato inutilmente. Le persone che oggi discutendo per il pieno sostegno da parte dell'autorità monetaria, in una forma o nell'altra, dovrebbe riconoscere questo ritardo.
Ciò che è bello è che ora tutti d'accordo su ciò che deve essere fatto.
Ciò che non cresce non marcisce
Solo un falso vecchio proverbio
Un agricoltore pugliese un giorno disse a “Linea Verde”:
“Quello che non cresce, marcisce”
Molti ascoltatori pensarono che quello “statement economico scarno ed essenziale”, avesse una certa ragionevolezza, ma riflettendoci in seguito non riuscirono a trovarlo assolutamente convincente.
In ogni telegiornale, talk-show, discussione spesso i facinorosi intellettuali dall’eloquenza cronacale economica, sfoggiavano incoscientemente il ritrito luogo comune che la “crescita è vitale e necessaria, per la salvezza dell’economia” come se si basassero sullo statement del contadino pugliese.
In realtà tali signori ignoravano appieno ogni verità sull’argomento.
Gli unici istituti sociali, realmente interessati alla persistenza della crescita economica continua, erano e potevano essere solo quelli bancari, previdenziali, assistenziali, finanziari, ovvero tutti quelli raggruppabili sotto il nome di “venditori dei mezzi di scambio” acronimizzabili con la sigla “VMS”.
Costoro, in quanto produttori di un’economia garantistica meramente virtuale, quindi irreale e intangibile sul piano economico sostanziale, temevano perennemente il loro stesso “fault” , per via dei loro stessi bilanci redatti da loro stessi nel modo più attrattivo possibile ovvero “pro investors”, fatti per garantirsi la fidelizzazione permanente degli azionisti o degli obbligazionisti, anche se riportanti dividendi non convenientemente sostenibili.
Basando i loro guadagni sui contratti come Bonds, Repos, Swaps, Swap options, Caps/Floors, FRAs, CDSs., ETF, HF, F, FOF, e altri circa 50 tipi di contratti aleatori, tutti giochi d’azzardo comunemente conosciuti come “derivati”, essi hanno così appeso le sorti dei valori reali, aziendali e monetari, su vere e proprie “scommesse borsistiche legalizzate” relative a previsioni su disponibilità future dei mezzi di scambio , sulle performance delle alle imprese e sull’oscillazione di valore dei beni reali.
Quindi, tutti i valori dati dalla borsa, erano da ritenersi più che mai falsi e falsati, perché constavano in mere valutazioni istantanee basate sui fattori emozionali di mercato, collettivi o individuali, con i quali si attribuivano i prezzi di acquisto di entità economiche reali (EER).
Ma queste ultime in realtà avevano valori reali basati su ben altri concetti di estimazione.
Per esempio i criteri di valutazione di un’azienda erano realmente quelli del suo costo di costruzione immobiliare, del suo prezzo di mercato immobiliare, del costo di avviamento commerciale, del valore di mercato del suo avviamento in base al valore del fatturato effettivo e potenziale, ma in borsa, se in una giornata veniva diffusa la notizia che i suoi prodotti fossero cancerogeni, le sue azioni potevano crollare a zero e sespese per eccesso di ribasso.
Essi soltanto potevano ben sperare sull’esistenza costante di tale “crescita” senza la quale, data la loro specialità di produttori della catena di sant’Antonio del denaro virtuale e degli effetti borsistici, la loro esistenza non avrebbe potuto avere seguito.
Sopratutto per parare gli errori previsionali, e le perdite scaturite dagli andamenti imprevisti dei derivati, si è verifcata la necessità del ripetersi continuo e crescente della richiesta di denaro, senza la quale le banche non avrebbero potuto infatti sopravvivere a lungo.
I fallimenti storici delle banche verificatisi nel 29 e nel 75?? Nek 89?? Stava riavvicinandosi e tutti gli istituti mondiali non volevano crederlo possibile.
Ecco allora che si arrivò ad assistere a richiami solenni prima di piccole agenzie di rating fatte ad interi stati, poi addirittura di banche centrali che per imitazione iniziavano a richiamare gli stati con deficit superiore alla norma, anziché essere il concerto di questi ultimi a comandare le banche che dopotutto altro non sono che istituti di custodia!
Revisione dei concetti economici errati, diffusi tra le credenze popolari e degli esperti aziendali.
L'economia di un paese non è detto che debba crescere continuamente ogni anno: può benissimo assestarsi su un livello massimo standard che rispetti gli equilibri energetici ed ecologici, e conseguentemente economici locali e mondiali, per potersi definire "sistema compiuto".
Non è vero che ciò che non cresce CONTINUAMENTE, debba necessariamente marcire... oppure debba essere colto: gli olivi giunti alla maturità producono annualmente sempre quel quantitativo di frutto, tranne negli anni di malattia, infestazione, gelo, o altro disequilibrio esterno, per tornare alla normalità passata ogni crisi.. Ma non per questo debbono essere tagliati, estirpati o debbano darsi per morti o marcenti... anzi guai a chi tocca questi alberi sacri.
Guida per il cittadino: Rileggere la legge
Restare impotenti spettatori nella nuova Euro-Italia dal caotico mondo politico-legislativo, fiscal-giustizialista propiziato da questa storica fase di europeizzazione garantista della nuova una moneta comune il cui uso si è rivelato subito fonte di un inesauribilmente e crescente quanto incomprensibile indebitamento individuale, oppure proporre utili quanto urgenti accorgimenti economici correttivi dell'attuale situazione "recessiva", prima che diventi "depressiva"?
Plaudire gli inventori dei diabolici strumenti ed algoritmi borsistici basati sulle leggi della scommessa e dell'assoluta aleatorietà usati a decimazione selvaggia e impunita dei capitali delle persone oppure impedire la prosecuzione di questo malcostume della scommessa e dell'azzardo sviluppato da scaltri operatori che giocano sfruttando i soldi dei molti malcapitati quanto ignari investitori?
Subire tacitamente gli errori puramente logici presenti talvolta nei testi di legge, nelle sentenze di qualsiasi ordine o grado, nelle circolari bancarie od in quelle ministeriali, nei comunicati stampa, oppure intervenire liberamente da casa raccontando i propri torti subiti sui comodissimi blog, per ricevere un rapido aiuto?
Favorire la prosperità e l'impunità di Cassatori senza parte, satrapi, usurai, bulli e boia che nel loro dna, non posseggono la benché minima molecola di propensione ad un equa ed utile giustizia sociale, oppure lavorare per eliminare il clientelarismo italiano dagli uffici pubblici?
Permettere la prosecuzione impunita dello sfruttamento e del vilipendio da parte de sistema "burocrazia italiana" degli onesti lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori, dei semplici operatori delle arti, dei giusti padri di famiglia, dei giovani e geniali free lancers, degli studenti di successo, unici produttori e preparatori della nuova economia reale nonché eredi della cultura tradizionale italiana e degli antichi principi sani e civili, ereditati da stimabili nonni e genitori che hanno affidato loro questo meraviglioso e storico territorio che é l'Italia, oppure affermare delle inviolabili regole di rispetto da parte dei pubblici poteri verso queste categorie ora ingiustamente troppo vulnerabili?
Essere il popolo sovrano, non più suddito dei principi delle borse, dei satrapi, del giustizialisti tout cour o degli "omini del paese dei balocchi", o del "mondo delle scommesse"
oppure permettere che "le male caste" continuino sottrarre sostanze preziose a chi vuole solo creare, lavorare e pianificare e riprodursi nel giusto, senza eccessi, sprechi, economici ed ecologici?
Report storico degli anni 2008-2013
La realtà globale del business era stata modificata in modo profondo e permanente dallo sconvolgimento economico e finanziario.
Tale trasformazione avrebbe ripreso caratteristiche e intensità diverse nei vari settori.
Eppure tutti i dirigenti, nel valutare le misure da adottare, dovevano tenere ben presenti le cinque dimensioni del cambiamento.
Lehman Brothers, icona di Wall Street, inghiottita dalla più grande bancarotta della storia.
L'Islanda, uno stato tra i più floridi al mondo, a rischio di insolvenza.
IPIC, il fondo d'investimento di Abu Dhabi, compra in fretta e furia le azioni di compagnie energetiche, industrie chimiche e imprese di costruzioni che non navigavano in buone acque in Spagna, Germania e Canada.
Cosa stava accadendo?
La crisi del credito ( o del debito) e la conseguente recessione globale avevano rivoluzionato il mondo degli affari.
In uno scenario nel quale stavano emergendo nuove realtà economiche e commerciali, i dirigenti aziendali si trovavano costretti a rivedere la strategia di successo che avevano tradizionalmente adottato, se non ad abbandonarla del tutto.
In che modo questa evoluzione stava influendo sulle tre aree critiche per il successo delle imprese ovvero il cliente, le dinamiche concorrenziali e le prospettive di crescita?
E quali sarebbero state le implicazioni per le metodologie adottate dai manager per gestire il business e guidare i loro team?
Nuovi valori dei clienti
Presto la parola d'ordine divenne "sobrietà".
Gli esempi di una riscoperta della semplicità abbondavano:
dalle comunità dedicate al baratto dove gli scambi non prevedono esborsi di denaro al revival del fai da te, fino alla diffusione di offerte commerciali e retail format più orientati al valore.
Viceversa l'ostentazione era decisamente in declino, come segnala l'ansia crescente che serpeggia nel settore dei beni di lusso.
Nonostante ciò, sui monti ginevrini, in vicinanza forzieri del mondo, gente comune poteva assistere a scene di sceicchi pagavano conti di 40 k euro al tavolo di capodanno 2011, dove i loro pargoli sbranavano distrattamente intere confezioni di caviale mentre i genitori si affogavano del miglior champagne.
Che si volesse o meno dieci clienti di questo tipo in tutto il mondo erano ancora rimasti.
Comunque si prevedeva, già allora, che il fascino della semplicità sarebbe rimasto in auge per altri 3-5 anni anche dopo la ripresa economica.
Le ragioni erano molteplici.
Innanzitutto i consumatori che avevano accumulato montagne di debiti, fiduciosi che il valore delle loro case e di altri investimenti sarebbe continuato ad aumentare, si trovavano improvvisamente a fare i conti con i creditori e quindi non si poteva dire fosse certo il momento di sperperare.
In secondo luogo la crescente fetta di consumatori anziani che sarebbero andati in pensione avrebbe avuto meno soldi da spendere.
Infine fattori quali la crescente pressione fiscale, il crollo delle quotazioni e l'eliminazione degli incentivi avrebbero limitato il budget di spesa anche dei consumatori più benestanti.
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si sarebbero fatte decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Anche la durabilità sarebbe stato un fattore determinante in quanto i clienti si sarebbero attesi di acquistare un prodotto e tenerlo per un periodo più lungo.
Negli Stati Uniti, per esempio, il tempo medio di permuta delle auto era passato da 68 mesi nel quarto trimestre del 2006 a 76 mesi alla fine del 2008.
Benché da un lato questo andamento fosse in parte dovuto alla carenza di credito per l'acquisto di nuovi veicoli, dall'altro rifletteva sicuramente anche un miglioramento della qualità della produzione: se in precedenza un'automobile veniva cambiata ogni 100.000 chilometri, allora il nuovo standard sarebbe salito a 200.000 e più.
Ciò significava che i clienti, anziché acquistare una nuova vettura dopo tre-cinque anni di utilizzo, avrebbero potuto tenere più a lungo quella che possedevano, magari fino al momento della rottamazione.
Al servizio del cliente
In molti settori il valore percepito dai clienti e il loro comportamento d'acquisto erano cambiati, spesso radicalmente.
Erano cambiamenti temporanei o si sarebbero consolidati nel tempo?
E quali opportunità ne sarebbero potute derivare in termini di nuove esigenze e conquista di quote di mercato da sottrarre alla concorrenza?
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si facevano decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Le imprese avrebbero quindi adottato opportunità di condivisione di costi e rischi degli investimenti di capitale creando consorzi o joint venture terze che permettessero a ex concorrenti diretti di condividere un'infrastruttura comune e un costo più basso.
Questo già avviva nel settore dell'editoria dei quotidiani e della telefonia mobile, dove reti e infrastrutture comuni erano ormai la norma.
Fornitori terzi di servizi quali fatturazione e riscossione, che allora servivano più concorrenti appartenenti allo stesso settore, avrebbero assunto anch'essi una sempre maggiore importanza.
Mentre da un lato le aziende erano alla ricerca di soluzioni per ridurre i costi, dall'altro i fornitori terzi erano chiamati ad ampliare la propria offerta includendovi vendita, servizio assistenza e infrastruttura IT, permettendo così di liberare risorse di liquidità e lasciando alle imprese la possibilità di concentrarsi sui propri principali punti di forza.
La risorsa dei consumatori emergenti
La recessione e il periodo che la avrebbe seguita avrebbe avuto un impatto diverso per tutti i paesi e le regioni.
Le economie dei paesi occidentali sviluppati, impegnate a tener testa alle conseguenze del tracollo dei mercati finanziari, avrebbero fatto probabilmente registrare una crescita più lenta per un lungo periodo.
Per quanto riguarda i mercati emergenti, invece, sebbene il rallentamento della domanda globale ne avesse frenato l'espansione, la crescita costante del ceto medio in particolare in India, Brasile, Sudafrica, Cina e in altre economie in via di sviluppo avrebbe costituito un'importante fonte di nuova domanda per le multinazionali.
Per esempio, nel 2011 le vendite al dettaglio in Cina rimasero molto più sostenute rispetto a quelle di altre grandi economie; a spendere in modo importante non erano solo le città tradizionali a rapido sviluppo raggruppate intorno al delta dello Yangtze e del Fiume delle Perle, ma anche città dell'entroterra e a più basso profilo: in tutte, il crescente ceto medio cinese continuava a spendere.
Sempre un più alto numero di nuove società di collegamento e mediazione commerciale, aprivano alle foci del fiume della Perle, a Guang Zhou al fine di commercializzare il valore dello sfruttamento commerciali dei più famosi marchi di moda, di Italian Wine and oil, di design europei e mondiali.
Altri valori, come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa, avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori stavano abbandonando i modelli di consumo indiscriminato del passato e diventavano più selettivi nell'operare le proprie scelte.
Un numero crescente di aziende investiva già nella conquista di credenziali verdi che, con i gruppi di attivisti determinati a puntare i riflettori sui principali trasgressori, erano diventate un parametro di misurazione della performance d'impresa sempre più importante.
Nel frattempo, le conseguenze della allora crescente opposizione allo sfruttamento degli animali da pelliccia venivano avvertite pesantemente dal già tormentato Settore dei beni di lusso.
Simili cambiamenti non potevano non influenzare i buyer industriali.
L'attenzione costante e pervasiva per la gestione dei costi avrebbe portato all'adozione sempre più diffusa di pratiche d'acquisto professionali, come per esempio le reverse auction, o aste inverse, e il ricorso a servizi di approvvigionamento specializzati forniti di terzi, e a livelli sempre maggiori di sensibilità al prezzo, in tutti i settori.
Il perdurare della difficoltà di accesso al credito per le aziende di tutti i tipi, avrebbe potuto inoltre far crescere l'interesse per nuovi modelli di proprietà, soppiantando per esempio la proprietà diretta con i modelli di pagamento a consumo “pay-per-use”.
Per esempio, erano sempre più numerose le compagnie aeree che avevano scelto di percorrere la strada della logistica prestazionale, basata sull'approccio alla proprietà dei motori per aereo “Power by the Hour” elaborato da Rolls-Royce, che prometteva un costo fisso per ore di volo del motore per tutta la durata del contratto.
Dal canto loro, i governi degli Stat Uniti e della Gran Bretagna stavano stipulando contratti per velivoli militari e altre apparecchiature basati sulla disponibilità, lasciando ai costruttori il compito di fornire pezzi di ricambio e altri servizi on demand.
Anche le aziende di una vasta gamma di settori avrebbero cercato di individuare Valori come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori avevano abbandonato i modelli di consumo indiscriminato del passato.
Nell'ambito dei suoi piani di ristrutturazione, per esempio, il gruppo Chrysler stava annullando i contratti con 800 dei 3200 concessionari presenti negli Stati Uniti, mentre la General Motors Corp.
aveva annunciato l'intenzione di rescindere i contratti di franchising con 1100 concessionari degli USA.
In tempi migliori, questi provvedimenti avrebbero comportato cospicui indennizzi.
Quando GM annunciò la chiusura della divisione Oldsmobile nel 2000, infatti, dovette versare più di 1 miliardo di dollari ai concessionari a titolo di risarcimento.
Guardando invece a valle, un peggioramento della situazione finanziaria dei clienti si sarebbe ripercosso in risalita sulla supply chain, trascinando società per altro sanein mezzo a difficoltà da cui molte non sarebbero riuscite a riprendersi.
I produttori di componenti elettronici, per esempio, avevano già avvertito l'impatto della contrazione della domanda di elettronica di consumo, e una situazione simile si era delineata più in alto nella catena per i costruttori del settore automotive.
Nel comparto dell'editoria, il crollo del fatturato da pubblicità aveva accellerato il declino della redditività per quotidiani e riviste, portando molti sull'orlo dell'insolvenza.
Nuovi concorrenti
I fallimenti e le difficoltà finanziarie avrebbero cambiato la fisionomia di molti settori.
In alcuni casi avrebbero comportato una riduzione della capacità, con un potenziale miglioramento del rendimento per le aziende che restano sul mercato.
Tuttavia, la capacità avrebbe potuto anche semplicemente cambiare mani, spesso a prezzi stracciati che avrebbero consentito ai nuovi entranti di competere partendo da una base di costi molto inferiore.
Alterazione degli equilibri di potere nella catena del valore
In molti settori, gli squilibri fra domanda e offerta, dovuti alla tendenza a sottoinvestire durante la recessione, avrebbero creato una situazione di volatilità dei prezzi con la ripresa della domanda.
La World Steel Association, l'associazione mondiale che riuniva le società siderurgiche, prevedeva per esempio un calo globale della domanda di acciaio del 15% nel 2009, trascinata da una contrazione superiore al 25% in Europa e Nord America.
Tali picchi non saranno stati limitati ai settori delle materie prime.
I comparti delle costruzioni navali e della costruzione di aeromobili rappresentavano solo due dei settori in cui un rallentamento della domanda e una conseguente riduzione della capacità produttiva avrebbe potuto creare delle carenze e spingere i prezzi al rialzo nel medio termine.
Nel primo trimestre del 2009, Airbus, la divisione aerospaziale commerciale di EADS, si era aggiudicata soltanto otto nuovi ordini netti (dopo le disdette), rispetto ai 395 nuovi ordini netti dello stesso periodo del 2008.
Sebbene dovesse ancora consegnare una quantità consistente di ordini arretrati, Airbus annunciò un lieve rallentamento della produzione verso la fine dell'anno e previse ulteriori riduzioni per il successivo futuro.
Lo spettro del fallimento che incombeva sui fornitori avrebbe potuto indurre i clienti a valle a rilevarne la società allo scopo di garantirsi l'accesso a risorse limitate o difficilmente replicabili.
La fusione di più fornitori o il loro fallimento avrebbero potuto creare ulteriori problemi per i clienti, alterando gli equilibri di potere e annullando regole consolidate e contratti.
Nuovo panorama competitivo
In seguito alla congiuntura economica negativa, interi settori avrebbero sofferto pesantemente e forse sarebbero stati trasformati in modo permanente.
Come sarebbe potuto cambiare il rapporto di potere fra acquirenti e fornitori? Chi sarebbero stati i nuovi concorrenti, e come sarebbero cambiate le regole del gioco?
Nuove regole
Una maggiore regolamentazione sarebbe stata parte integrante della nuova realtà per molti comparti, in quanto i governi desideravano svolgere un ruolo più attivo nella gestione di settori chiave come quello bancario, dell'edilizia abitativa, della produzione e della sanità.
Si andava dunque dalla proposta delle cosiddette norme cap-and-trade finalizzate a controllare le emissioni industriali dei gas a effetto serra a iniziative orientate a un settore specifico come le misure di abbattimento dell’anidride carbonica per le industrie automobilistiche dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti.
Il risultato finale sarebbe stato misurabile in costi aggiuntivi e nuovi vincoli in relazione a quello che le aziende potevano e non potevano fare.
Guardando agli aspetti positivi, la continua progressione verso l'armonizzazione degli standard regolatori globali in settori così variegati come quello dell'automotive (controllo delle emissioni e sicurezza) e delle telecomunicazioni avrebbe dovuto contribuire a ridurre i costi per i protagonisti presenti a livello globale.
Volatilità cronica
Si diceva che le fluttuazioni dei tassi di cambio sarebbero continuate fin tanto che i governi avrebbero cercato di reperire ingenti fondi per finanziare salvataggi economici.
Si pensava anche che i prezzi di una vasta gamma di materie prime, e di servizi quali spedizioni e trasporti, non avrebbero mai smesso di oscillare finché il mercato non avrebbe trovato un equilibrio stabile fra domanda e offerta.
Gli investitori restevano cauti anche mentre le economie riemergevano dalla congiuntura negativa, e questo avrebbe contribuito a generare una maggiore volatilità, con il risultato che le reazioni a variazioni dei principali indicatori economici sarebbero state ancora più rapide ed estreme e l'andamento dei mercati azionari si sarebbe mantenuto instabile.
Nel frattempo, opportunità di acquisizione a prezzi interessanti probabilmente avrebbero attirato nuovi investitori nei mercati occidentali.
Numerose multinazionali dei mercati emergenti avevano già dato prova dell'intenzione di sfruttare le fusioni e acquisizioni come base per espandere la propria presenza sui mercati più redditizi dei Paesi sviluppati.
La cinese Sichuan Tengzhong Heavy Industrial Machinery Co., per esempio, era prossima a concludere l'acquisizione del marchio Hummer di General Motors, specializzato nella produzione di SUV di grandi dimensioni e pick-up, mentre Industrial and Commercial Bank of China è in procinto di acquisire il 70% della filiale canadese di Bank of East Asia, conquistando così un prezioso avamposto nel mercato canadese.
Anche gli investitori in titoli di società in crisi attuavano ampiamente un meccanismo di riciclaggio di società sofferenti.
Aziende statunitensi come Apollo Investment Corporation, Oaktree Capital Management e Centerbridge, per esempio, potevano acquisire delle società per una frazione del loro valore precedente, spesso per 20 - 30 centesimi per dollaro, per poi riportarle sul mercato con profitto.
Si attendeva un'accelerazione della tendenza alle fusioni in molti comparti, in particolare nel settore delle costruzioni, dell'energia, nel settore bancario e retail, in quanto la congiuntura negativa costringeva le aziende a stringere alleanze per sopravvivere, e il valore fortemente depresso degli asset rendeva l'affare più interessante per le società più forti.
Anche questo avrebbe cambiato le regole del gioco per gli attuali player, consentendo alle aziende più grandi di realizzare economie di scala e offrire ai clienti vantaggi che i player più piccoli non potevano neanche immaginare di proporre.
Coloro che non disponevano di credito sufficiente o di tasche molto profonde, dovevano contare su un patrimonio netto più costoso per finanziare la crescita.
La caduta drammatica del valore dei fondi pensionistici sarebbe gravata non poco sulle aziende con una forte presenza di persone prossime alla pensione e ne avrebbe limitato la capacità di investire in nuova crescita.
Per citare un esempio molto eloquente, l'operatore di telecomunicazioni britannico BT Group aveva annunciato in maggio che avrebbe dovuto quasi raddoppiare la somma versata per il programma di pensionamento, da 280 milioni di sterline nel 2008 a 525 milioni di sterline, per ciascuno dei successivi tre anni, a causa di un ammanco previsto di 4 miliardi di sterline nel suo fondo pensione.
Questi versamenti avrebbero assorbito quasi un quarto del cash flow disponibile della società previsto per quel periodo.
Per raccogliere denaro e rimborsare i debiti, alcune imprese avrebbero dovuto svendere delle attività, creando opportunità per protagonisti del settore più solidi dal punto di vista finanziario.
L'attività generale di fusioni e acquisizioni si sarebbe intensificatasi già verso la fine del 2009 e accelerata nel 2010 quando le valutazioni delle aziende si sarebbe stabilizzata maggiormente e i concorrenti finanziariamente solidi avrebbero fatto le loro mosse per approfittare del ridotto valore degli assets.
Già nel 2009 avevano fatto parlare di sé un paio di operazioni commerciali degne di nota: in gennaio, Pfizer ha annunciato l'intenzione di acquisire Wyeth per 68 miliardi di dollari, mentre in giugno Fiat ha acquisito gli asset principali di Chrysler nell'ambito di un accordo in cui il governo USA ha fatto da intermediario.
In seguito a questi e altri cambiamenti, la leva finanziaria media per tutte le aziende si sarebbe ridotta, mentre i tassi di crescita positivi dei mercati emergenti avrebbero continuato ad attirare investimenti a discapito delle economie sviluppate a crescita più lenta.
Le organizzazioni avrebbero potuto avere bisogno di prendere in considerazione strutture di capitale differenti e trovare nuova liquidità per finanziare innovazioni, nuova capacità, miglioramento delle competenze, espansione geografica o acquisizioni.
I manager dovettero anche rivedere piani e prospettive di crescita organica per adattarli alla nuova realtà dei clienti.
Al di là di queste questioni fondamentali, i dirigenti dovettero esaminare attentamente il proprio portafoglio di prodotti e servizi, chiedendosi se fossero ancora adeguati alle mutate esigenze dei clienti e alle nuove dinamiche concorrenziali.
Nella loro analisi dovettero rilevare tutte le lacune che andavano colmate, o anche le opportunità di abbandonare rami d'azienda che non contribuivano allo slancio strategico di fondo dell'impresa o non soddisfavano i requisiti minimi di performance.
Potendo disporre di una quantità inferiore di denaro da investire, le aziende dovettero fare scelte difficili su come distribuire la spesa fra mercati emergenti o sviluppati e fra crescita organica e operazioni di fusione e acquisizione.
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere contribuì ad ampliare il divario fra vincenti e perdenti del futuro.
Le aziende vincenti continuarono a investire in ricerca e sviluppo anche durante la congiuntura negativa, e terranno a disposizione del denaro per approfittare di opportunità di fusione/acquisizione a prezzi stracciati, rispondendo alle mutate esigenze dei clienti con nuove proposte innovative conquistando per tempo posizioni libere e ben salde nei mercati emergenti.
Questi investimenti apportarono enormi vantaggi a queste aziende, sospingendole verso performance ancora migliori una volta uscite dalla recessione.
Prospettive di crescita
Gli euforici giorni del contante disponibile e del credito facile sembravano già un ricordo lontano.
In che modo le imprese potevano sostenere la propria capacità di investire in crescita e come potevano dove e come crescere?
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere avrebbe ampliato il divario fra vincenti e perdenti.
Questi marcati cambiamenti nel comportamento dei clienti, l'ambiente competitivo e le prospettive di crescita avrebbero avuto un impatto rilevante in due aree fondamentali: modalità operative delle aziende e utilizzo del talento a tutti i livelli dell'organizzazione.
Di conseguenza, le aziende dovettero acquisire nuove capacità e ripensare le attività da intraprendere, e dove.
In una realtà in cui i finanziamenti esterni continuavano a scarseggiare, le imprese dovrettero prendere in considerazione nuovi modi per conservare il denaro.
Outsourcing e delocalizzazione crebbero probabilmente in modo significativo a fronte della tendenza delle aziende a cercare modi per trarre vantaggio dalle differenze in termini di costo del lavoro e attingere all'elevata efficienza operativa degli specialisti del settore.
A riprova di ciò, una inchiesta condotta presso multinazionali britanniche rivelò che più dell'80% di esse stesse valutando l'ipotesi di trasferire all'estero nei prossimi cinque anni almeno una delle funzioni di business principali, con l'obiettivo di tagliare i costi.
A mano a mano che le aziende si espasero in tutto il mondo, diventò sempre più importante sfruttare in modo più efficace la forza delle proprie dimensioni, sia in attività di back-office, quali la gestione delle risorse umane, l'amministrazione e gli acquisti, e in applicazioni di front-office, quali la progettazione del packaging, l'analisi di marketing, la pubblicità e l'attività promozionale.
Anziché duplicare competenze di difficile reperimento in ciascuna regione, i centri globali di eccellenza, potenziati dalle tecnologie informatiche, consentirono ai protagonisti più avanzati del settore di fornire prestazioni di livello mondiale a tutte le aree geografiche.
Altri fattori influenzarono la scelta dei modelli di business.
Il numero crescente di accordi internazionali diede vita a nuove sfide in termini di integrazione di culture diverse, di clienti e di ambienti competitivi.
Questo valse in particolare per le aziende con un piede nei mercati dei Paesi sviluppati e un altro nei mercati emergenti.
Più in generale, con l'espansione delle aziende a livello internazionale, la necessità di far leva sulle dimensioni globali, personalizzando al tempo stesso sia l'offerta che la governance per adeguarle alle esigenze di mercati molto diversi fra loro, richiedesse strutture, processi e competenze rinnovate.
La tecnologia continuò a trasformare il modo di fare business, facilitando una maggiore mobilità e la distribuzione geografica delle attività.
Una crescente carenza di competenze nell'Occidente e la relativa abbondanza delle stesse competenze in Paesi emergenti come India e Cina indusse le aziende a delocalizzare attività sempre più sofisticate, inclusi importanti segmenti della catena del valore della funzione di ricerca e sviluppo.
Migliore gestione del rischio
La congiuntura negativa face nascere l'esigenza di nuove competenze nella gestione del rischio e rispetto delle normative.
Per esempio, per evitare il ripetersi dell'ultima crisi, le banche dovettero definire politiche di governance più robuste e obiettive per quanto riguarda il rischio.
Due banche spagnole, BBVA e Banco Santander, aprirono la via costituendo dei comitati di rischio, comprendenti una forte rappresentanza di dirigenti non esecutivi, cui fu affidato il compito di esaminare le nuove richieste di prestito e discutere i rischi più consistenti.
Molti osservatori hanno attribuito a questo processo il fatto che alle due istituzioni sia stata in larga misura risparmiata la ricaduta delle stretta creditizia.
Con il perdurare della situazione di volatilità, sempre più aziende di un numero sempre maggiore di settori dovettero
Nuovi modelli di business
Le nuove sfide richiedono nuovi modi di operare.
In che modo le aziende si adatteranno alla nuova realtà competitiva e cosa comporterà questo cambiamento per i modelli, la governance e le competenze aziendali?
Dopo la guerra del Golfo, paesi con sovrabbondanza di capitale, ma capacità agricola insufficiente per coprire le loro esigenze acquistarono o affittarono terreni agricoli all'estero.
Questo li protesse da una futura volatilità dei prezzi e, aspetto ancor più importante, garantì la sicurezza dell'approvvigionamento di cibo in un mondo in cui la minaccia dei divieti di esportazione da parte dei paesi produttori era diventata molto più concreta.
Adottare strategie di copertura e stoccaggio per una serie di materie prime, allo scopo di gestire questi rischi e proteggere i profitti futuri poteva essere per molti paesi un’aootima soluzione.
E garantirsi l'accesso a risorse limitate assumerà una sempre maggiore importanza quando la crescita sarebbe ripresa..
Per citare un esempio delle nuove strategie di copertura, Cina, Corea del Sud e Stati quindi tener conto di un potenziale buco in corrispondenza delle posizioni senior più critiche, appena sotto al CEO.
Dopo la congiuntura economica negativa la corsa ai talenti riprenderà slancio in quanto le aziende, ansiose di risollevarsi, si daranno da fare per reclutare le competenze necessarie e ricostituire la capacità persa a causa della recessione.
La sfida pose particolari difficoltà nei settori in cui le competenze specialistiche sono state perse, come per esempio nel settore finanziario, in alcuni casi in modo permanente, in quanto i lavoratori se ne andarono via o cambiarono mansioni.
Nell'Europa occidentale e in Giappone la forza lavoro che invecchiava aggravò la carenza di competenze, costringendo i governi a considerare la possibilità di favorire l'immigrazione o di ricorrere all'outsourcing.
Un altro problema ormai molto sentito in queste regioni è la fuga dei talenti.
La Germania, per esempio, sta perdendo un numero crescente di professionisti qualificati e di lavoratori.
Nel 2008, più di 3.000 medici hanno lasciato il paese, portando il numero di medici tedeschi che lavorano all'estero a quasi 20.000 unità.
Il ritorno dei baby boomer
Un fenomeno che la congiuntura economica ha portato con sé è stato il ritornodei baby boomer nella forza lavoro.
L'adattamento ai cambiamenti indotti dalla crisi impose alle aziende di cambiare agilmente direzione a seconda delle esigenze del momento, abbandonando piani e mentalità ormai superate e riorientando gli sforzi verso aree nuove e più promettenti.
In quest'ottica, la qualità della leadership fu più importante che mai per determinare la sopravvivenza di un'organizzazione.
La congiuntura economica impose alla dirigenza di effettuare scelte difficili e spesso dolorose: quanto tagliare e cosa mantenere, dove investire le limitate risorse di crescita, quali mercati o attività abbandonare, come guidare con fiducia i team attraverso il cambiamento.
I consigli di amministrazione aziendali sostituirono i leader deboli che non riuscivano a fare le scelte giuste o a elaborare una visione che le loro organizzazioni trovassero convincenti.
Nelle aziende in cui la dirigenza fece un buon lavoro, invece, venne chiesto ad alcuni CEO o gruppi di dirigenti prossimi alla pensione di restare un po’ più a lungo per guidare l'organizzazione fuori dal guado.
Questo creò difficoltà alla nuova generazione di dirigenti, che vollero perseguire nuove opportunità in modo da avere maggiori possibilità di promozione ai vertici.
La pianificazione della successione in tali situazioni dovette dare valorizzazione dei talenti riconosciuti a livello nazionale.
L'ambiente in rapida evoluzione pose nuove sfide alla leadership aziendale e in termini di valorizzazione dei talenti.
In che modo dovettero adattarsi i leader per creare una maggiore capacità di reazione a fronte di una elevata volatilità?
Come si potettero coltivare i talenti più critici durante la congiuntura negativa, e come si ricreano le competenze perse quando la crescita sarebbe ripresa?
La società ha cominciato a offrire corsi di base in gestione della turnazione che equivalgono ai certificati A-level (un certificato di formazione generica di livello avanzato) rilasciati nel Regno Unito.
Al corso si sono iscritte più di 2.500 persone, incluse svariate centinaia di laureati desiderosi di intraprendere questo corso di formazione pratica.
Le aziende dovettero anche studiare nuovi modelli di impiego per attrarre e trattenere i giovani lavoratori più brillanti, che spesso, a proposito di carriera e lavoro, hanno punti di vista diversi dai loro genitori.
Una ricerca ha rivelato che molti dei cosiddetti figli del millennio (i nati fra il 1980 e il 2000), per esempio, hanno sentito fortemente l'esigenza di raggiungere un equilibrio fra vita e lavoro; di conseguenza avrebbero potuto optare per strutture di lavoro più flessibili e benefit diversi da quelli tipicamente offerti.
Una ricerca, per esempio, ha dimostrato che i figli del millennio vogliono poter usare tecnologia di consumo (smartphone, lettori MP3), applicazioni di social networking e software open source anche sul posto di lavoro.
Ricchi e poveri
La penuria di talenti venne avvertita più fortemente a livello delle posizioni di knowledge worker qualificati, istruiti ed esperti.
In determinati settori, tuttavia, il passaggio di mano del potere economico avrebbe potuto comportare la perdita permanente di posti di lavoro.
Al giugno 2009, più del 25% di tutti i posti di lavoro persi negli Stati Uniti dall'inizio della recessione era concentrato nel settore manifatturiero.
Molti di questi erano presso costruttori di automobili e fornitori correlati.
Senza incentivi del governo e altre forme di intervento, molti di questi lavori avrebbero potuto essere stati trasferiti in sedi a costo inferiore, ma solo creando la minaccia di una disoccupazione su larga scala e a lungo termine in quei comparti.
Le differenze in termini di contributi, produttività e stipendio fra knowledge worker altamente qualificati, istruiti ed esperti dicembre 2007 e il maggio 2009, negli Stati Uniti sono andati persi 5,7 milioni di posti di lavoro, portando la percentuale totale dei disoccupati all'8,9%, il livello più alto degli ultimi 25 anni.
Eppure, fra il dicembre 2007 e il dicembre 2008, il numero di americani di 55 anni o più presenti fra le fila della forza lavoro è cresciuto di oltre 870.000 unità.
A fronte di piani pensione più esigui e di aspettative di prepensionamento ridimensionate, un numero sempre maggiore di baby boomer decise di restare nella forza lavoro.
La ripresa della crescita avrebbe ptotuto spingere molte di queste persone a lasciare il posto di lavoro, aggravando così la situazione di penuria delle competenze in alcuni settori.
Le aziende che reclutavano talenti di altissimo livello durante la congiuntura negativa potettero conquistare dei vantaggi sul lungo periodo.
Avendo meno opportunità a disposizione, infatti, i nuovi laureati ampliano il raggio d'azione della loro ricerca di lavoro.
Quando alla fine del 2008 nella City di Londra le assunzioni precipitarono, alcune aziende che tradi zionalmente avevano difficoltà ad attirare i laureati migliori videro un'opportunità.
Aldi, catena di supermercati discount, registrò un aumento del 280% delle domande di lavoro e ha incrementato il proprio target di assunzioni del 50% per approfittare delle condizioni eccezionali del mercato del lavoro.
Sul lungo periodo, anche se il settore finanziario riconquistò un po' del suo prestigio e riuscì ad accaparrarsi alcuni di questi giovani ambiziosi e pieni di talento, datori di lavoro come Aldi furono in una posizione migliore per proporsi nei campus delle università facendo leva proprio su questi ex-allievi.
La possibilità di diventare un datore di lavoro dalle indiscutibili attrattive dipendette dalla capacità di preparare una proposta di valore per i dipendenti che attirasse l’interesse delle giovani generazioni.
Nel 2008, McDonald’s è diventato uno dei primi datori di lavoro britannici autorizzati a rilasciare propri certificati di formazione.
Infine, i paesi dove il costo del lavoro era estremamente basso, come Laos, Cambogia e varie regioni dell'Africa, furono oggetto di notevole interesse da parte delle aziende e registrarono significativi livelli di crescita quando le multinazionali si trovarono a gestire i costi della manodopera alla ripresa dell'economia globale e una schiera in rapida espansione di lavoratori disponibili ma prevalentemente non qualificati avrebbe potuto dare origine a una situazione di conflittualità sindacale.
Questa, a sua volta, avrebbe potuto indurre i governi a intervenire, per esempio, con norme che limitassero il trattamento differenziale dei dipendenti.
La congiuntura economica negativa accelerò importanti cambiamenti nel comportamento degli acquirenti, nella struttura industriale e nelle dinamiche competitive e aprì un divario fra vincenti e perdenti che probabilmente crebbe in modo significativo nei successivi anni a venire.
L'opportunità di successo al momento della ripresa dipendette dalla capacità della leadership di precorrere e reagire a questi cambiamenti e a quelli che vennero, e di aver operato scelte oculate, spesso molto difficili su come e dove investire, come strutturare le attività e come preservare e ricostituire le competenze chiave quando la fase di crescita avrebbe ripreso.
8 possibili tipi di crisi mondiali
Nei prossimi anni il mondo cambierà.
Bisogna vedere se in meglio o in peggio.
Intanto ecco 8 accadimenti che dobbiamo sperare che NON succedano...
Da un articolo del Sole 24 Ore di lunedì 6 novembre 2006, alcune indicazioni sui possibili scenari per i prossimi 100 anni, su 8 potenziali fattori di crisi planetaria e sui rispettivi elementi di pessimismo/ottimismo.
CRISI N°1: ANNO 2020 D.C.
- LE GRANDI MIGRAZIONI
Gli scontri fra i paesi ricchi per garantirsi un tenore di vita troppo elevato porteranno a guerre per l'acqua, crisi finanziarie e grandi migrazioni.
• Fattori di pessimismo: Secondo il rapporto Mapping the Global Future del governo Usa, l'aumento dei consumi occidentali e la nuova ricchezza asiatica saranno i motori della crisi
• Fattori di ottimismo: La Banca Mondiale sostiene che lo sviluppo è sostenibile, a patto che sia guidato da regole chiare e dalla "mano invisibile" del mercato
• Probabilità di accadimento: 90%
CRISI N°2: ANNO 2020 D.C.
- LA CRISI DEL PETROLIO
La produzione si ridurrà di un terzo e il prezzo del greggio arriverà sopra i 500 $: il poco petrolio rimasto non sarà più utilizzabile economicamente.
• Fattori di pessimismo: L'Unione Europea ha già individuato la data, che alcuni esperti anticipano addirittura di un decennio (2030).
L'UE dovrà importare il 70% del proprio fabbisogno annuo
• Fattori di ottimismo: Con le fonti alternative già oggi all'8% della produzione mondiale di energia, secondo l'International Energy Agency la fine del petrolio sarà praticamente "indolore"
• Probabilità di accadimento: 75%
CRISI N°3: ANNO 2047 D.C.
- LA FINE DEI GIORNALI CARTACEI
Viene stampata l'ultima copia di giornale cartaceo.
E' la fine dell'informazione realizzata da professionisti.
• Fattori di pessimismo: Secondo lo studioso Philip Meyer, il modello attuale sta venendo ucciso da Internet.
La pubblicazione andrà in rete e l'informazione sarà affidata a volontari (?) online
• Fattori di ottimismo: Secondo Barry Schwartz, la gente preferirà scegliere fra poche alternative ma di qualità; il futuro del giornalismo professionista è garantito!
• Probabilità di accadimento: 15%
CRISI N°4: ANNO 2047 D.C.
- L'APOCALISSE CLIMATICA
Effetto serra, riscaldamento globale, innalzamento dei mari; le terre emerse si ridurranno di un terzo (!!), mentre uragani e siccità colpiranno il pianeta.
• Fattori di pessimismo: WWF e Accademia delle Scienze svizzera sostengono che serve un nuovo pianeta
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio di New Scientist, non abbiamo ancora sufficienti conoscenze sul clima per poter fare previsioni di lungo periodo
• Probabilità di accadimento: 65%
CRISI N°5: ANNO 2060 D.C.
- LA BOMBA NANOTECH
Macchine microscopiche e autoreplicanti sfuggono al controllo umano e distruggono tutte le forme di vita sul pianeta.
• Fattori di pessimismo: Un'apocalisse minuscola ma letale, prevista da Nick Bostrom dell'Università di Oxford e dallo scrittore Michael Crichton
• Fattori di ottimismo: Secondo i ricercatori del Mit di Boston, le nanotecnologie saranno una delle risorse chiave (e non una minaccia) per costruire un futuro migliore per l'umanità
• Probabilità di accadimento: 25%
CRISI N°6: ANNO 2070 D.C.
- IL CRACK DELL'OCCIDENTE
Bancarotta completa per l'economia mondiale a causa delle guerre per le risorse e come effetto del clima impazzito.
Le Borse di tutto il mondo potrebbero venir chiuse .
• Fattori di pessimismo: La previsione della compagnia di assicurazioni Swiss RE è basata su sofisticati modelli di analisi di previsione del rischio
• Fattori di ottimismo: I sistemi di governo mondiale si difenderanno con nuove regole sugli scambi economici
• Probabilità di accadimento: 55%
CRISI N°7: ANNO 2080 D.C.
- LA FINE DELLE RISORSE
Usa, Ue, Cina e India esauriranno tutte le risorse disponibili sul pianeta con la loro crescita dissennata.
• Fattori di pessimismo: Molte associazioni ambientaliste e perfino uno studio commissionato dal governo britannico sostengono che, salvo repentini cambiamenti di rotta, la catastrofe è annunciata
• Fattori di ottimismo: Secondo il Dipartimento per il commercio Usa, le possibilità offerte da sempre nuove tecnologie permetteranno una crescita sostenibile e quindi senza limiti
• Probabilità di accadimento: 50%
CRISI N°8: ANNO 2100 D.C.
- IL RITORNO AL BARATTO
Si vivrà in un nuovo Medio Evo, senza tecnologia, scienza o Stato.
Malattie, guerre tribali, baratti ed una popolazione ridotta al 15% di quella attuale.
• Fattori di pessimismo: Secondo il futurologo americano John Michael Greer, i fondamentalismi e la fiducia dissennata per la scienza porteranno il mondo alla rovina
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio della rivista Usa Nature, il futuro non sarà il giardino dell'Eden, ma di sicuro neanche un inferno post-industriale
• Probabilità di accadimento: 10%
Fonte: www.ilsole24ore.com
I FALLIMENTI BANCARI
Il più grande fallimento della storia.
Il fallimento di Lehman Brothera è il pù grande nella storia delle bancarotte mondiali.
Lehman ha superato infatti il 'crac' di WorldCom, il gruppo telefonico che finì in amministrazione controllata nel 2002 per via di alcune grosse irregolarità contabili.
Lehman Brothers ha un debito pari a circa 613 miliardi di dollari ed ha superato di conseguenza oltre a WorldCom anche Drexel Burnham Lambert, fallimento avvenuto nel 1990.
Lehman Brothers è inoltre debitrice di qualche cosa come oltre 157 miliardi di dollari nei confronti di una decina di creditori non privilegiati e nei riguardi degli obbligazionisti.
In questo caso - sottolinea l' Agenzia Bloomberg - questi debiti potranno essere saldati solo dopo che saranno stati rimborsati i creditori privilegiati.
La stessa Lehman ha precisato che fra i creditori non privilegiati figurano Commerzbank e Bank of New York Mellon, per il ruolo svolto da questi istituti nel prestare garanzie agli obbligazionisti.
L' esposizione degli obbligazionisti sarebbe pari a 155 miliardi di dollari, quindi pressoché la totalità del credito non garantito.
La graduatoria dei maggiori crack nella storia societaria statunitense, in base a dati elaborati da Bloomberg (fra parentesi gli asset espressi in miliardi di dollari):
1) LEHMAN BROTHERS (639 miliardi)
2) WORLDCOM (103,9 miliardi)
3) ENRON (63,4 miliardi)
4) CONSECO (61,4 miliardi)
5) TEXACO (35,9 miliardi)
6) Financial Corp.
of America (33,9 miliardi)
7) Refco (33,3 miliardi)
8) IndyMac Bancorp (32,7 miliardi)
9) Global Crossing (30,2 miliardi)
10)Calpine (27,2 miliardi)
FOTOGRAFIA ECONOMICA DELLA SITUAZIONE VALUTARIA INTERNAZIONALE DEL 2010
Cronaca delle 15.56 04/01/2010
Borsa altalenante.
Negli ultimi 25 anni, i mercati azionari europei hanno reso mediamente il 13% all'anno? La Borsa italiana addirittura meglio: le azioni quotate a piazza degli Affari, dal 1975 a oggi, hanno reso mediamente il 18% all'anno.
Si tratta naturalmente di una media.
Controllando infatti l'andamento dell'indice di Borsa anno per anno, si scoprono alti e bassi vertiginosi.
Nel 1977, per esempio, le quotazioni sono scese del 23%, nel 1980 sono salite addirittura del 122% (la vetta degli ultimi 25 anni), nel 1987 sono crollate del 32% (la fossa assoluta); nel 1993 sono salite del 37%, nel 1997 del 58%, nel 1998 del 41% e nel 1999 del 22%.
Si noti sempre inoltre che lo yen dal 90 ad oggi è passato dal cambio di 8.756 Lit.
per 1 Jpy.
al cambio attuale di 14,5 Lit.
per 1 Jpy.
ovvero di 0,0075 Eur per 1 Jpj che significa che l'economia del Giappone in soli 20 anni ha fatto guadagnare alla propria moneta un notevolissimo potere di acquisto, rispetto a quella italiana con tasso di rivalutazione totale pari al 65% ovvero pari al tasso medio annuo del 3,28% per tutto il ventennio!
Si veda invece la tabella (1), ove si trovano le quotazioni monetarie degli altri paesi, che pur superando quasi tutte quella italo-eurolandese, hanno determinato un distacco differente secondo l'eziologia di ciascuna realtà economica.
Tabella 1
U.s.a.
1990: 1 Usd = 1.268,50 Lit.
2010: 1 Usd = 1.352,37 Lit.
con crescita del 6.66% pari allo 0.333 % annuo per il venntennio
Inghilterra
1990: 1 Gbp = 2.054,00 Lit.
2010: 1 Gbp = 2.183,31 Lit
con crescita del 6.29% pari allo 0,31 % annuo per il venntennio
Svizzera
1990: 1 Chf = 816,95 Lit.
2010: 1 Chf = 1.305,52 Lit
con crescita del 59.80% pari allo 2,99 % annuo per il venntennio
Spagna
1990: 1 Esp = 11,54 Lit.
2010: 1 Esp = 11,62 Lit
praticamente paritetica
Francia
1990: 1 Frf = 219,40 Lit.
2010: 1 Frf = 295,18 Lit
con crescita del 34,50% pari allo 1,725 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Germania
1990: 1 Dem = 750,12 Lit.
2010: 1 Dem = 989,99 Lit
con crescita del 31,97% pari allo 1,598 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Austria
1990: 1 Ats = 106,58 Lit.
2010: 1 Ats = 140,61 Lit
con crescita del 31,93% pari allo 1,596 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Russia
1990: 1 Rub = 33,74 Lit.
2010: 1 Rub = 44,77 Lit
con crescita del 32,69% pari allo 1,63 % annuo per il venntennio
(P.S. COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Svezia
1990: 1 Sek = 205,07 Lit.
2010: 1 Sek = 188,19 Lit
con decrescita del 8.23% pari allo 0,004 % annuo per il venntennio
Brasile
1996: 1 Brl = 1621.42 Lit.
2010: 1 Brl = 775,22 Lit
con decrescita del 52.18% pari allo 3,26 % annuo per il quattordicennio
Cina
1996: 1 Cny= 189,50 Lit.
2010: 1 Cny = 198,01 Lit.
con crescita del 4.49% pari allo 0.28 % annuo per il quattordicennio
DELAZIONI SULLA GOVERNANCE INTERNAZIONALE: BANCHE, MONETA, POTERE DI EMISSIONE E CAPITALISMO FINANZIARIO
“Il culmine del potere nel mondo di oggi sta nel potere di emissione del denaro.
Se tale potere venisse democratizzato e focalizzato in una direzione che tenga conto dei problemi sociali ed ecologici allora potrebbe ancora esserci la speranza di salvare il mondo” Thomas H.
Greco, Jr.
“I disordini non avranno mai fine, non avremo mai una sana amministrazione della cosa pubblica, se non acquisteremo una nozione precisa e netta della natura e della funzione del denaro.” Ezra Pound
“L’attività bancaria fu fecondata con l’ingiustizia e nacque nel peccato.
I banchieri posseggono il mondo.
Se glielo toglierete via lasciando loro il potere di creare denaro, con un colpo di penna creeranno abbastanza depositi per ricomprarselo.
Toglieteglielo via in qualunque modo e tutti i grandi patrimoni come il mio scompariranno, ed è necessario che scompaiano affinché questo diventi un mondo migliore in cui vivere.
Ma se preferite restare schiavi dei banchieri e pagare voi stessi il costo della vostra stessa schiavitù, lasciate che continuino a creare denaro.” Sir Josiah Stamp, Direttore della Banca d’Inghilterra negli anni venti, considerato a quel tempo il secondo uomo più ricco di tutta l’Inghilterra.
“Tutte le perplessità confusioni, e afflizioni in America sorgono non tanto dai difetti della Costituzione, né dalla mancanza d’onore o di virtù quanto dall’assoluta ignoranza della natura della moneta, del credito, e della circolazione.” John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America
“Davamo a questo popolo il maggior beneficio che abbia mai avuto: la sua propria carta [moneta] per pagare i propri debiti.” John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America
Art.
1, Sezione 8.
pp.
5 della Costituzione degli Stati Uniti d’America: Il congresso avrà diritto di batter moneta, e di determinarne il valore (delle unità), e di fissare i criteri dei pesi e delle misure.
Firmato George Washington, presidente e deputato della Virginia (17 settembre 1787)
“Oggi il nome «democrazia» è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro.” Ezra Pound (1933)
“Discutere dei governi delle così dette democrazie: Inghilterra, Francia, Stati Uniti, è una semplice perdita di tempo, sino a che non si distingue tra teoria e fatto.
Questi tre paesi sono controllati dagli usurai, sono usurocrazie o daneistocrazie, ed è perfettamente inutile di parlarne come se fossero controllati e governati dai loro popoli o dai delegati che rappresentano i loro popoli, o nell’interesse dei loro popoli.” Ezra Pound (1933)
“L’usuraio distruggerà ogni ordine sociale, ogni decenza, ogni bellezza.” Ezra Pound (1933)
“Il denaro non rappresenta altro che una nuova forma di schiavitù impersonale, al posto dell’antica schiavitù personale.” Lev Tolstoj
“Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche.” TATANKA IOTANKA (Toro Seduto)
“Il ricco domina sul povero e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.” La Bibbia
- Antico Testamento – Proverbi, cap.
22, versetto 7
“La storia testimonia che i cambiavalute hanno usato ogni sorta di inganno, macchinazione, frode e violenza possibile al fine di mantenere il controllo sui governi per gestire il denaro e la sua emissione.” President James Madison
“Voi siete un covo di vipere e ladri e io intendo sconfiggervi, e per il Padreterno, vi sconfiggerò.
Se il Congresso ha la prerogativa di emissione di moneta cartacea, ciò gli é stato dato per venir usato dallo stesso e non per essere delegato a individui o corporazioni..” Andrew Jackson al Congresso degli Stati Uniti d’America (1829)
“Le banche hanno provocato più danni alla religione, alla moralità, alla tranquillità, alla prosperità e anche alla ricchezza della nazione rispetto al bene che possono aver fatto finora o che mai faranno.” John Adams, Presidente degli Stati Uniti d’America (1819)
“Oltre a questi obiettivi pragmatici, i poteri del capitalismo finanziario avevano un altro scopo più ampio, nientemeno che di creare un sistema mondiale di controllo finanziario, in mani private, capace di dominare il sistema politico di ciascun paese e l’economia del mondo nel suo insieme.
Questo sistema doveva essere controllato in un modo feudalista da parte delle banche centrali del mondo che agiscono di concerto, attraverso accordi segreti cui si arrivava durante frequenti incontri e conferenze private.
L’apice del sistema sarebbe stata la Bank for International Settlements [BIS] di Basilea, in Svizzera, una banca privata di proprietà e sotto il controllo delle banche centrali mondiali, esse stesse corporazioni private.
Ogni banca centrale cercava di dominare il proprio governo tramite la sua capacità di controllare i prestiti al Tesoro, di manipolare i tassi di cambio della valuta estera, di influire sul livello delle attività economiche nazionali e di fare pressioni sui politici compiacenti tramite successive ricompense economiche nel mondo degli affari.”
Citation from Tragedy and Hope – A History of the World in Our Time, by Carroll Quigley, GSG Associates, California 1966.
“
I nostri nemici su questo pianeta, sono meno di dodici persone.
Sono i membri della Banca d’Inghilterra e di altri più alti circuiti finanziari.
Essi posseggono le catene di giornali ed essi sono, come se non bastasse, in tutte le istituzioni che si occupano di salute mentale che sono sorte nel mondo.
(…) E questi, apparentemente, hanno deciso in un momento lontano del passato, una particolare strategia.
Avendo il controllo della riserva aurifera del pianeta, sono entrati in un programma per portare ogni governo alla bancarotta e sotto al loro dominio, cosicché nessun governo sarebbe stato capace di iniziative politiche senza il loro appoggio” Ron Lafayette Hubbard, ex ufficiale dei servizi segreti della Marina USA, fondatore di Scientology – settembre 1967
“Io ho due grossi nemici: l’esercito del Sud di fronte a me e le società finanziarie in retroguardia.
Dei due, quello in retroguardia è il mio peggior nemico… Prevedo l’avvicinarsi di una crisi che mi snerverà e mi farà tremare per la sicurezza della mia patria.
Al termine della guerra, le grandi imprese saranno elevate al trono, ne seguirà un’era di corruzione nei posti più influenti, le forze più ricche del paese si sforzeranno di prolungare il proprio regno facendo leva sui pregiudizi della gente, finché la ricchezza sarà concentrata in poche mani e la Repubblica sarà distrutta.
In questo momento, sento ancora più ansietà di prima per la sicurezza del mio paese, nonostante mi trovi nel mezzo di una guerra.” Abraham Lincoln
“Il capitale deve proteggersi in ogni modo possibile con alleanze e legislazione.
I debiti devono essere riscossi, le obbligazioni e i contratti ipotecari devono esser conclusi in anticipo e il più rapidamente possibile.
Quando, mediante processi giuridici, le persone comuni perderanno le proprie case, diventeranno sempre più docili e saranno tenute a freno con più facilità attraverso il braccio forte del governo al potere, azionato da una forza centrale di ricchezza sotto il controllo di finanzieri di primo piano.
Questa verità è ben conosciuta tra i nostri uomini di spicco, adesso impegnati nel costituire un imperialismo del Capitale che governi il mondo.Dividendo gli elettori attraverso il sistema dei partiti politici, possiamo fare spendere le loro energie per lottare su questioni insignificanti.
Di conseguenza, con un’azione prudente abbiamo la possibilità di assicurarci quello che è stato pianificato così bene e portato a termine con tanto successo.” USA Banker’s Magazine (Rivista dei banchieri americani), 25 Agosto 1924
“Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti.
Essi hanno di già messo in piedi un’aristocrazia facoltosa che ha attaccato il Governo con disprezzo.
Il potere di emissione deve essere tolto via dalle banche e restituito al popolo, al quale esso appartiene propriamente.”
Thomas Jefferson
“Se gli Americani consentiranno mai a banche privati di emettere il proprio denaro, prima con l’inflazione e poi con la deflazione, le banche e le grandi imprese che ne cresceranno attorno, priveranno la gente delle loro proprietà finché i loro figli si sveglieranno senza tetto nel continente conquistato dai loro padri.
“ Thomas Jefferson (1776)
“Potrete ingannare tutti per un pò.
Potrete ingannare qualcuno per sempre.
Ma non potrete ingannare tutti per sempre.” Abramo Lincoln
“Nelle Colonie, emettiamo la nostra moneta cartacea.
Si chiama ‘Cartamoneta provvisoria coloniale’.
La emettiamo nelle giuste proporzioni per produrre merci e farle passare facilmente dai produttori ai consumatori.
In questo modo, creando noi stessi il nostro denaro cartaceo, ne controlliamo il potere d’acquisto e non abbiamo interessi da pagare a nessuno.Vedete, un Governo legittimo può sia spendere che prestare denaro in circolazione, mentre le banche possono soltanto prestare cifre considerevoli attraverso i loro biglietti di banca promissori, per cui questi biglietti non si possono né dare né spendere se non per una piccola frazione di quelli che servirebbero alla gente.
Di conseguenza, quando i vostri banchieri in Inghilterra mettono denaro in circolazione, c’è sempre un debito fondamentale da restituire e un’usura da pagare.
Il risultato è che c’è sempre troppo poco credito in circolazione per dare ai lavoratori una piena occupazione.
Non si hanno affatto troppi lavoratori, ma piuttosto pochi soldi in circolazione, e quelli che circolano portano con sé un peso senza fine di un debito impagabile e usura.” Benjamin Franklin, Autobiografia, (1763)
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità.
La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.” Abraham Lincoln, Presidente degli Stati Uniti d’America, morto assassinato
“Se questa malefica strategia finanziaria, che ha le sue origini nel nord America, perdurerà fino a mettere radici, allora il Governo fornirà il proprio denaro senza alcun costo.
Estinguerà i propri debiti e rimarrà senza alcun debito.
Avrà tutto il denaro necessario per portare avanti il proprio commercio.
Diventerà prospero senza precedenti nella storia mondiale.
Le menti e le ricchezze di tutti i paesi andranno nel nord America.
Questo paese deve essere distrutto o distruggerà ogni monarchia sulla faccia della terra.” The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, citazione apparsa sul London Times nell’anno 1865, riferendosi alla pratica di emissione dei Green Backs di Abraham Lincoln
“Il grande debito che i nostri amici, i capitalisti dell’Europa, faranno in modo di far sortire da questa guerra, verrà adoperato per manipolare la circolazione (monetaria).
Noi non possiamo permettere che i biglietti statali [Greenbacks] circolino perché non possiamo regolarli.” The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862
“Lo schiavismo sarà probabilmente abolito dalle forze in guerra e la proprietà di schiavi verrà totalmente abrogata.
Io e i miei amici europei siamo a favorevoli a questo: che la schiavitù si limiti al possesso del lavoro e che si trasferisca nell’interesse del lavoratore, nel frattempo il progetto europeo guidato dall’Inghilterra consisterà nel controllare il lavoro attraverso il controllo sui salari.
Il vasto debito che i capitalisti vedranno costituirsi su di esso dalle guerre, deve essere usato come mezzo per controllare il volume del denaro.
Per portare a termine questo obiettivo bisogna usare le obbligazioni ipotecarie come punto di partenza fondamentale del sistema bancario.
Stiamo aspettando che il Segretario del Tesoro faccia tale raccomandazione al congresso.
Non consentirà ai Greenback, come vengono chiamati, di circolare come denaro in nessun caso, dal momento che non possiamo controllarlo.
Ma possiamo controllare le obbligazioni statali e attraverso di esse le emissioni bancarie.” The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
(…) Il privilegio del Governo della creazione e dell’emissione del denaro è la sua più grande opportunità creativa.
Attraverso l’adozione di tali principi, il desiderio lungamente sentito di usare un mezzo di pagamento uniforme sarà soddisfatto.
Il finanziamento di tutte le imprese pubbliche, il mantenimento di un governo stabile e di un progresso ordinato, e la conduzione del Tesoro diventerà una questione di pratica amministrativa.
Il popolo potrà e sarà rifornito con una valuta sicura quanto il proprio governo.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità.
La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.” Abraham Lincoln, documento del Senato degli Stati Uniti d’America numero 23, Pagina 91, anno 1865
“Chiunque controlli la massa monetaria in qualsiasi paese è il padrone assoluto dell’intera industria e del commercio.” James A.
Garfield, Presidente degli Stati Uniti d’America
“La morte di Lincoln fu un disastro.
Ho paura che i banchieri stranieri con la loro astuzia e i loro contorti inganni otterranno il controllo su tutte le sovrabbondanti ricchezze dell’America e useranno il proprio potere per corrompere in modo sistematico la civiltà moderna.
Essi non esiterebbero a far piombare l’intera cristianità nella guerra e nel caos per farsì che l’intero pianeta diventi loro eredità.” Otto Von Bismarck, commemorando l’assassinio di Abraham Lincoln.
“Nel nostro tempo è ormai evidente che la ricchezza e un immenso potere sono stati concentrati nelle mani di pochi uomini.
Questo potere diventa particolarmente irresistibile se esercitato da coloro che controllano e comandano la moneta, poichè costoro sono anche in grado di gestire il credito e di decidere a chi deve essere assegnato.
In questo modo forniscono il sangue vitale all’intero corpo dell’economia.
Loro hanno potere sull’intimo del sistema produttivo, così che nessuno può azzardare un respiro contro la loro volontà.” Papa Pio XI, Quadragesimus Annus 106-9, 1931
“Quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi e non i capi del governo controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve… Il denaro non ha madrepatria e i finanzieri non hanno patriottismo né decenza; il loro unico obiettivo è il profitto.” Napoleone Bonaparte, 1815
“La terra, nel suo stato naturale e incolto era, e sempre dovrebbe continuare ad essere, proprietà comune della razza umana.
Non appena la terra viene coltivata, il valore del miglioramento, e solo quello senza il terreno su cui giace, è da considerare proprietà individuale. Ciascun proprietario di terreni coltivati deve corrispondere alla comunità un affitto ..a tutte le persone, ricche o povere..
perché questo soggiace all’eredità naturale che, come di diritto, spetta ad ogni uomo, al di sopra della proprietà che egli possa aver creato o ereditato da quelli che l’hanno fatta.” Thomas Paine 1796, p.
611; 612-613
“È un bene che gli abitanti della nazione non capiscano abbastanza il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo facessero, credo che ci sarebbe una rivoluzione prima di domattina.” Henry Ford
“Chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia.” Ezra Pound
“In qualsiasi società che abbia superato lo stato selvaggio il monopolio fondamentale è il monopolio del denaro.” Ezra Pound
“La moneta non è valida se è titolo a qualche cosa di non consegnabile.” Silvio Gesell, Ordine Naturale dell’Economia.
“La storia americana del ventesimo secolo ha registrato gli sbalorditivi risultati dei banchieri centrali della Federal Reserve.
Primo, lo scoppio della prima guerra mondiale, che è stata resa possible dai fondi disponibili dalla banca centrale degli Stati Uniti.
Secondo, la recessione agricola del 1920.
Terzo, il venerdì nero del crollo di Wall Street.
dell’ottobre del 1929 e l’insorgere della Grande depressione.
Quarto, la seconda guerra mondiale, quinto la conversione del patrimonio degli stati uniti e dei propri cittadini da beni reali a cartacei dal 1945 fino a oggi trasformando l’america vittoriosa e la più prospera potenza del 1945 al più grande paese debitore del mondo nel 1990. Oggi questa nazione si trova in rovina economica, devastata e destituita, quasi nelle stesse tremende difficoltà incui la Germania e il Giappone si ritrovarono nel 1945. Gli Americani agiranno per ricostruire la nostra nazione così come fecero la Germania e il Giappone quando dovettero fa fronte alle stesse condizioni in cui ci troviamo oggi di fronte —o continueremo ad essere schiavizzati dal sistema babilonese della moneta-debito che ci fu imposto dal Federal Reserve Act nel 1913, e completare la nostra totale distruzione? Questa è la sola domanda alla quale dobbiamo rispondere, e non ci resta molto tempo per farlo.” Eustace Mullins
“…i Rothschild hanno conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari…” Frederic Morton
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TASSE E DEBITO PUBBLICO
“La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere benefici.
Le guerre devono essere dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere.” Amschel Mayer Rothschild (1773)
“Il fatto che un risparmio nazionale si presenti come profitto privato, non scandalizza per niente l’economia borghese, poiché il profitto in genere è comunque appropriazione di lavoro nazionale.
C’è forse qualche cosa di più pazzesco dell’esempio offertoci dalla Banca d’Inghilterra per il periodo 1797-1817? Mentre le sue banconote hanno credito unicamente per il fatto di essere garantite dallo Stato, essa si fa pagare dallo Stato e quindi dal pubblico, nella forma di interessi sui prestiti, per il potere che lo Stato le conferisce di convertire questi stessi biglietti di carta in denaro e darli poi in prestito allo Stato?” K. Marx, Il Capitale, Ed.
Riuniti, 1974 – VIII ed.
Cap. 33 pag. 635
“Io mi rifiuto di pagare le tasse il cui impiego ritengo destinato a scopi ingiusti e immorali.” Henry David Thoreau
“Le guerre sono concepite per creare debito.” Ezra Pound
LIBERTA’ D’INFORMAZIONE E MANIPOLAZIONE DEL POTERE
“Bisogna capire che tutta la moda letteraria e tutto il sistema giornalistico controllato dall’usurocrazia mondiale è indirizzato a mantenere l’ignoranza pubblica del sistema usurocratico e dei suoi meccanismi.” Ezra Pound, 1933
“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.” George Orwell
“Nel tempo della cleptocrazia occidentale, dire la verità è un atto sconsiderato.” Marco Saba, parafrasando George Orwell
“Se un popolo si aspetta di poter essere libero restando ignorante, spera in qualcosa che non è mai stato e che mai sarà” President Thomas Jefferson
“Noi siamo così grati al Washington Post, al New York Times, al Time Magazine e alle altre pubblicazioni i cui direttori hanno partecipato alle nostre riunioni rispettando le loro promesse di discrezione per almeno 40 anni.
Per noi sarebbe stato impossibile sviluppare il nostro progetto per il mondo se fossimo stati soggetti alla brillante luce della pubblicità.” David Rockefeller, founder and member of the CFR and the TC, at Bilderberger Global Strategy mtg, 1991.
Clinton attended.
“Beware the leader who bangs the drums of war in order to whip the citizenry into a patriotic fervor, for patriotism is indeed a double-edged sword.
It both emboldens the blood, just it narrows the mind.
And when the drums of war have reached a fever pitch and the blood boils with hate and the mind has closed, the leader will have no need in seizing the rights of the citizenry.
Rather, the citizenry, infused with fear and blinded by partiotism, will offer up all of their rights unto the leader and gladly so.
How do I know? For this is what I have done.
And I am Caesar.” Julius Caesar
AFORISMI SULL’UMANITA’
“Il materialismo e la moralità stanno in relazione inversa –quando uno cresce l’altra diminuisce” Mahatma Gandhi
“I migliori scienziati non sono quelli che conoscono la maggior parte delle informazioni; ma coloro che sanno ciò che stanno cercando.” Noam Chomsky
“L’incompetenza si manifesta con l’uso di troppe parole.” Ezra Pound
“Non c’è alcuna crisi energetica, solo una crisi di ignoranza.” Buckminster Fuller
SCIENZA E SOCIETA’
“La scienza non è nient’altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità.” Nikola Tesla
“Mi piacerebbe credere che le persone abbiano un istinto per la libertà, che vogliano veramente avere il controllo delle proprie circostanze.
Che non amino essere tiranneggiate, ricevere ordini, essere oppresse, ecc.
e che desiderino avere l’opportunità di fare cose sensate come un lavoro costruttivo in condizioni che possano controllare, o magari controllare insieme ad altri.” Noam Chomsky
“Qualche volta la gente inciampa nella verità.
La maggior parte però si rialza subito e se ne va come se niente fosse” Winston Churchill
“Sono un contadino che ha fatto per hobby il professore d’università.” Giacinto Auriti
“…nel nuovo mondo ognuno metterà a disposizione di tutti la sua esperienza e le sue idee, e gli altri lo ricompenseranno liberamente per questo…” La profezia di Celestino
“Schiavo è chi aspetta qualcuno che venga a liberarlo.” Ezra Pound
“Un popolo che non s’indebita fa rabbia agli usurai” Ezra Pound
“L’attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari.
La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto” Maurice Allais, Nobel per l’Economia nel 1988
“… Pochi comprenderanno questo sistema (assegni e credito), coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo per fa soldi, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi.” Lettera spedita da un membro della famiglia Rothschild alla Ditta Kleheimer, Morton e Vandergould di New York in data 26 giugno 1863
“Oggi la nosta moneta nasce di proprietà della banca che la emette prestandocela.
Noi vogliamo che nasca di proprietà dei cittadini e che sia accreditata ad ognuno come reddito di cittadinanza.
Per scrivere questa frase che è valida per tutte le monete in circolazione sono occorsi 36 anni di studi universitari (tesi di laurea, convegni ecc.) presso l’ateneo di giurisprudenza di Teramo e “La Sapienza” di Roma.
Poiché democrazia significa sovranità politica popolare, il popolo deve avere anche la sovranità monetaria che di quella politica è parte costitutiva ed essenziale in un sistema di democrazia vera o integrale in cui la moneta va dichiarata, a
Il Manifesto del partito comunista
Il Manifesto del partito comunista, Data di pubblicazione 21 Feb 1848, ideologia: marxismo.
Originariamente intitolato Manifesto del Partito Comunista ( tedesco : Manifest der Kommunistischen Partei ) è un breve libro scritto dal 1848 il tedesco marxista politico teorici Karl Marx e Friedrich Engels . Da allora è stato riconosciuto come uno dei manoscritti più influenti politici del mondo. [ 1 ] commissionato dalla Lega dei Comunisti , ha gettato le finalità della Lega e il programma. Essa presenta un approccio analitico alla lotta di classe (storica e presente) ed i problemi del capitalismo, piuttosto che una previsione di forme future potenzialità del comunismo. [ 2 ]
Il libro contiene Marx ed Engels 'teorie marxiste sulla natura della società e della politica, che nelle loro stesse parole, "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe." [ 3 ] E 'anche funzioni brevemente le loro idee su come la società capitalista del tempo sarebbe poi sostituito dal socialismo , e poi alla fine del comunismo.
Paternità di Engels
A Friedrich Engels è stata spesso attribuita a comporre le prime bozze, che ha portato il Manifesto del partito comunista . Nel luglio del 1847, Engels è stato eletto nella Lega comunista, dove è stato assegnato a redigere un catechismo. Questo divenne il Progetto di una confessione di fede comunista. Il progetto conteneva quasi due dozzine di domande che hanno contribuito a esprimere le idee di entrambi Engels e Karl Marx in quel momento. Nel mese di ottobre 1847, Engels, compose il suo secondo progetto per la Lega dei comunisti dal titolo I principi del comunismo. Il testo rimasto inedito fino al 1914, nonostante la sua base per Il Manifesto. Da Engels bozze Marx ha potuto scrivere, una volta commissionato dalla Lega dei comunisti, Il Manifesto del partito comunista, dove ha combinato di più delle sue idee con bozze di Engels e del lavoro, La condizione della classe operaia in Inghilterra. [ 4 ]
Sebbene i nomi di entrambi Engels e Karl Marx appaiono sul frontespizio accanto alla "assunzione persistente di joint-autore", Engels, nell'introduzione prefazione all'edizione 1883 tedesca del Manifesto, ha detto che il Manifesto è "essenzialmente di Marx lavoro" e che "il pensiero di base ... appartiene solo ed esclusivamente a Marx." [ 5 ]
Engels ha scritto dopo la morte di Marx,
"Non posso negare che sia prima che durante la mia collaborazione quarant'anni 'con Marx ho avuto una certa quota indipendente nel gettare le fondamenta della teoria, ma la maggior parte dei suoi principi guida fondamentali appartengono a Marx .... Marx era un genio , noi altri erano nella migliore delle ipotesi talento Senza di lui la teoria non sarebbe di gran lunga quello che è oggi è dunque porta giustamente il suo nome "... [ 6 ]
Nonostante la modestia di Engels in queste due citazioni, in realtà ha fatto i maggiori contributi al Manifesto, a partire con il suggerimento di abbandonare "la forma di un catechismo e di diritto che il comunistaManifesto ". Inoltre, Marx, Engels entrato in Bruxelles per la redazione del Manifesto. Non ci sono prove di ciò che il suo contributo alla stesura finale sono state, ma il Manifesto reca l'impronta di stile di scrittura più retorico di Marx. Tuttavia, sembra chiaro che Engels contributi giustificare la comparsa del suo nome sul frontespizio, dopo Marx. [ 7 ]
Storia testuale
Il Manifesto del partito comunista è stato pubblicato la prima volta (in tedesco) a Londra da un gruppo di rifugiati politici tedeschi nel 1848. E 'stato anche serializzato a circa lo stesso tempo in un giornale di lingua tedesca di Londra, il londinese di Deutsche Zeitung . [ 8 ] La prima traduzione in inglese è stato prodotto da Helen Macfarlane nel 1850, e il libro fu pubblicato la prima volta negli Stati Uniti da Stephen Pearl Andrews . [ 9 ] Il Manifesto ha attraversato un certo numero di edizioni 1872-1890; notevoli nuove prefazioni sono state scritte da Marx ed Engels per il 1872 edizione tedesca, del 1882 edizione russa, il 1883 edizione francese, e il 1888 edizione inglese. Questa edizione, tradotto da Samuel Moore con l'aiuto di Engels, è stato il testo più comuni inglese dal.
Tuttavia, alcune edizioni recenti inglese, come Phil Gasper ha annotato "road map" ( Libri Haymarket , 2006), hanno utilizzato un testo leggermente modificato in risposta alle critiche della traduzione Moore fatta da Draper Hal nel suo 1994 storia del Manifesto , Il avventure del "Manifesto Comunista" (Centro per la Storia socialista, 1994).
Contenuto del “Manifesto”
Il Manifesto è diviso in un'introduzione, tre sezioni sostanziali e una conclusione.
Introduzione
Il breve preambolo al testo principale del Manifesto di Marx ed Engels coinvolge brevemente commentando il timore che essi ritengono i governi europei possesso del comunismo, e offre anche un po 'a corto di consigli su come i comunisti europea dovrebbe procedere a promuovere la loro causa . Mentre si apre il testo:
Uno spettro si aggira per l'Europa-lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa sono entrati in una santa alleanza per esorcizzare questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e tedeschi di polizia-spie.
Dov'è il partito di opposizione che non è stato denunciato come comunista dai suoi avversari al potere? Dov'è il partito di opposizione che non ha gettato indietro il rimprovero di branding del comunismo, contro i partiti d'opposizione più avanzate, come pure contro i suoi avversari reazionari? [ 10 ]
Proseguendo da questo, hanno continuato a dichiarare che "E 'ora che i comunisti dovrebbero apertamente, di fronte al mondo intero, pubblicare le loro opinioni, i loro scopi, le loro tendenze, e rispondere a questa favola dello spettro del comunismo con un manifesto del partito stesso. " [ 11 ]
I borghesi e proletari
Il primo capitolo del Manifesto ", borghesi e proletari", esamina la concezione marxista della storia, descrivendo come:
La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi, stettero sempre in contrasto tra loro, sostennero una ininterrotta, ora nascosta, ora lotta aperta, una lotta che ogni tempo finito, o con una trasformazione rivoluzionaria della società in generale, o nella comune rovina delle classi in lotta. [ 12 ]
La sezione continua a sostenere che la lotta di classe nel capitalismo è tra coloro che possiedono i mezzi di produzione, la classe dirigente o borghesi , e quelli che lavorano per un salario, la classe operaia e proletaria .
La borghesia, ovunque essa ha il sopravvento, ha messo fine a tutte le feudali, patriarcali, idilliche. E '... ha lasciato sussistere altro legame tra uomo e uomo che il nudo interesse, il crudele "pagamento in contanti" ... per lo sfruttamento, velato da illusioni religiose e politiche, ha sostituito nudo, senza vergogna, diretto, brutale sfruttamento ... Rivoluzionando costante della produzione, disturbo ininterrotto di tutte le condizioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese da tutte quelle precedenti ... Tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria, tutto ciò che è sacro viene profanato, e l'uomo è finalmente costretto a fronteggiare sobriamente, le sue reali condizioni di vita, ei suoi rapporti con il suo genere.
Tuttavia:
La condizione essenziale per l'esistenza e dominio della classe borghese è l'accumulazione di ricchezza in mani private, la formazione e l'aumento di capitale, la condizione essenziale del capitale è lavoro salariato. Lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza tra i lavoratori.
Questa sezione spiega inoltre che i proletari alla fine ascesa al potere attraverso la lotta di classe: la borghesia sfrutta costantemente il proletariato per il suo lavoro manuale e salari a basso costo, in ultima analisi, di creare profitto per la borghesia, il proletariato ascesa al potere attraverso la rivoluzione contro la borghesia, come sommosse o la creazione di sindacati. Gli stati Manifesto del partito comunista che, mentre c'è ancora la lotta di classe tra la società, il capitalismo sarà rovesciato dal proletariato solo per ricominciare in un prossimo futuro, in ultima analisi il comunismo è la chiave per la classe di uguaglianza tra i cittadini d'Europa.
II. Proletari e comunisti
La seconda sezione, "Proletari e comunisti", inizia a delineare il rapporto tra comunisti consapevole al resto della classe operaia:
▪ "I comunisti non formano un partito separato differenza di altri partiti della classe operaia".
▪ "Non hanno interessi distinti da quelli del proletariato nel suo complesso."
▪ "Non impostare alcun principio settario propria, con cui modellare il movimento proletario".
▪ "I -comunisti di professione- si distinguono dagli altri partiti della classe operaia da questi soli elementi: 1. Nel lotte nazionali dei proletari dei diversi paesi, fanno notare e portare in primo piano gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente da tutte le nazionalità 2.. Nelle varie fasi di sviluppo che la lotta della classe operaia contro la borghesia deve passare, sempre e ovunque rappresentare gli interessi del movimento nel suo complesso. "
Si va avanti per difendere il comunismo da varie obiezioni, come ad esempio l'affermazione che i comunisti avvocato " amore libero ", e la pretesa che la gente non si esibirà lavoro in una società comunista perché non hanno alcun incentivo a lavorare.
La sezione si conclude delineando una serie di richieste a breve termine:
1. Abolizione della proprietà fondiaria e l'applicazione di tutte le rendite di terreni per finalità pubbliche.
2. Un pesante progressiva sul reddito o laureato.
3. Abolizione del diritto di eredità .
4. Confisca dei beni di tutti gli emigrati e ribelli .
5. La centralizzazione del credito nelle mani dello Stato , per mezzo di una banca nazionale con lo Stato di capitale e di un monopolio esclusivo.
6. La centralizzazione dei mezzi di comunicazione e di trasporto nelle mani dello Stato.
7. Estensione delle fabbriche e strumenti di produzione di proprietà dello Stato, la messa in coltivazione di rifiuti-terre , e il miglioramento del suolo generalmente secondo un piano comune .
8. Pari responsabilità di tutti al lavoro. Stabilimento industriale di eserciti , specialmente per l'agricoltura.
9. Combinazione di agricoltura con la produzione delle industrie ; graduale abolizione della distinzione tra città e campagna, da una più equa distribuzione della popolazione sul territorio.
10. L'istruzione gratuita per tutti i bambini nelle scuole pubbliche . Abolizione del lavoro in fabbrica dei bambini nella sua forma attuale. Combinazione di formazione con la produzione industriale. [ 13 ]
L'attuazione di tali politiche, secondo gli autori creduto, essere un precursore del apolidi e società senza classi .
Uno si occupa passaggio particolarmente controversa con questo periodo di transizione:
Quando, nel corso dello sviluppo, [ 14 ] differenze di classe sono scomparsi, e tutta la produzione si è concentrata nelle mani di una associazione vasta di tutta la nazione, il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Il potere politico propriamente detto, è solo il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato nel corso della sua lotta contro la borghesia è costretta, dalla forza di cose, di organizzare se stessa come classe, se, per mezzo di una rivoluzione, si rende la classe dirigente, e, come tale, spazza via con la forza il vecchi rapporti di produzione, allora sarà, insieme a queste condizioni, hanno spazzato via le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe e delle classi in generale, e quindi hanno abolito la propria supremazia come classe.
E 'questa concezione della transizione dal socialismo al comunismo, che molti critici del Manifesto , soprattutto durante e dopo l'era sovietica, hanno evidenziato. Gli anarchici, liberali e conservatori hanno chiesto come un'organizzazione come la potrebbe mai stato rivoluzionario (come Engels messo altrove) "appassito".
In una controversia relativa, poi marxisti fare una separazione tra "socialismo", una società governata dai lavoratori, e "comunismo", una società senza classi. Engels scrive poco e Marx scrisse meno sugli aspetti specifici della transizione al comunismo, così l'autenticità di questa distinzione rimane un oggetto di controversia.
III. Letteratura socialista e comunista
La terza sezione, "Letteratura socialista e comunista," il comunismo si distingue dalle altre dottrine socialiste prevalenti al momento del Manifesto è stato scritto. Mentre il grado di rimprovero di Marx ed Engels verso prospettive rivale varia, tutti sono alla fine licenziati per aver sostenuto il riformismo e non riconoscere il ruolo preminente della classe operaia. In parte a causa della critica di Marx, la maggior parte delle ideologie specifiche descritte in questa sezione è diventato politicamente irrilevante per la fine del XIX secolo.
IV. Posizione dei “comunisti” in relazione con i vari partiti di opposizione
La sezione conclusiva "posizione dei comunisti in relazione con l'vari partiti di opposizione,", discute brevemente la posizione comunista lotte in paesi specifici nella metà del XIX secolo, come la Francia, Svizzera, Polonia e Germania, e dichiara che la Germania " è alla vigilia di una rivoluzione borghese ", e prevede una rivoluzione mondiale che si aggiungeranno. Si conclude poi con una dichiarazione di sostegno per le altre rivoluzioni comuniste e un invito ad agire:
In breve, i comunisti ovunque sostenere ogni movimento rivoluzionario contro l'ordine sociale esistente e politico delle cose.
I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e obiettivi. Essi dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti solo con il rovesciamento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Che le classi dominanti tremino ad una rivoluzione comunista . I proletari non hanno nulla da perdere se non le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare.
Operai di tutti i paesi, unitevi!
-Marx e Engels, Manifesto del Partito Comunista
La successiva accoglienza
Un certo numero di ventunesimo secolo, gli scrittori hanno commentato Manifesto del partito comunista ' rilevanza s continua. Accademico John Raines, scrivendo nel 2002, ha osservato che "Ai nostri giorni questa rivoluzione capitalistica ha raggiunto gli angoli più remoti della terra. Lo strumento di denaro ha prodotto il miracolo del nuovo mercato globale e il centro commerciale onnipresente. Leggi il Manifesto del partito comunista , . scritto più di 150 anni fa, e scoprirete che Marx aveva previsto tutto " [ 15 ] Scrivendo nel 2003, il marxista inglese Chris Harman ha descritto il lavoro, affermando che:
C'è ancora una qualità compulsiva alla sua prosa come si fornisce una visione dopo visione nella società in cui viviamo, da dove viene e dove la sua intenzione di. E 'ancora in grado di spiegare, come gli economisti mainstream e sociologi non si può, il mondo di oggi di guerre ricorrenti e ripetute crisi economica, della fame di centinaia di milioni da un lato e "sovrapproduzione" dall'altro. Ci sono passaggi che potrebbero provenire da scritti più recenti di globalizzazione. [ 16 ]
La costante pertinenza delle teorie marxiste trovano all'interno del testo è stata sostenuta anche dal marxismo accademico Alex Callinicos , direttore del socialismo internazionale , che ha affermato che "Questo è davvero un manifesto per il 21 ° secolo." [ 17 ]
Scaletta
• Una società deprecabile perché depravata
• Perché i Cinesi sono vincenti
• Esportare il diritto
• Mantenere i cervelli in Patria
• Eliminare le inadempienze che creano carenze fiscali, contributive, ambientali, debitorie, economiche, patrimoniali, monetarie, deficitarie,
• Agire sulle leve della manovra
• Pedagogia sociale
• Eliminare gli eccessi della femminilizazione sociale
• Sviluppare agricoltura ed energia
• Espropriare le scommesse per pareggiare il costo previdenziale
Dalla corporate governance alla categoria politica di governance
È da almeno un ventennio che assistiamo all’uso crescente del termine governance nei più diversi ambiti istituzionali, politici e di ricerca e con significati e implicazioni differenti nei diversi contesti d’utilizzo.
In particolare, nella comunità scientifica essa attraversa le contemporanee dottrine dell’amministrazione e dello stato (New Public Management, dottrine o teorie della regolazione), le teorie dell’organizzazione delle corporazioni economiche (corporate governance), i dibattiti sul governo locale e urbano, alcuni sviluppi della politica internazionale (global governance).
In tutti questi contesti il termine è talvolta utilizzato con un’accezione descrittiva, e quindi finalizzato a fotografare le articolazioni concrete che assumono i rapporti tra gli attori e i meccanismi decisionali, altre volte esprime invece una tensione analitica, e quindi copera come strumentazione tecnica finalizzata all’interpretazione dei mutamenti in atto, oppure nasconde un intento prescrittivo tentando di favorire l’applicazione o l’assunzione da parte di attori di norme, princìpi, standards, codici regolativi o auto-regolativi.
È quest’ultimo il caso di documenti come l’importante Libro bianco sulla governance europea prodotto nel 2001 oppure il report On Our Global Neighborhood risalente al 1995 - ed ancora prima i documenti del Fondo Monetario Internazionale o della Banca Mondiale - nei quali venivano stabiliti standards o princìpi di buona governance nella conduzione dei rapporti economico-politici a livello mondiale.
Infine, non è difficile incontrare un uso retorico-pubblicistico del termine: in tal senso, il politologo Gerry Stoker ha sottolineato come talvolta esso sia «used to provide the acceptable face of spending cuts» (STOKER, 1998: 18) ed il linguista Norman Fairclough ritiene che «Summing up on language in relation to governance, the discourse on governance has a significant effect in representing, cementing and stimulating changes in practices of governance… At the same time, the establishment of new linkages between policy communities within new institutional entities of governance includes new articulations and recontextualizations of discourses» (FAIRCLOUGH, 2004: 3).
Particolarmente significativa è la definizione della governance presente nel rapporto On Our Global Neighborhood (1995) stilato dalla Commissione sulla Governance Globale delle Nazioni Unite.
Con governance s’intende «the sum of the many ways individuals and institutions, public and private, manage their common affairs.
It is a continuing process through which conflicting or diverse interests may be accommodated and co-operative action may be taken.
It includes formal institutions and regimes empowered to enforce compliance, as well as informal arrangements that people and institutions either have agreed to or perceive to be in their interest» (CGG, 1995: 5).
In questa accezione, la governance è descritta principalmente nei termini di un processo di tipo negoziale tra interessi differenti o conflittuali con lo scopo di raggiungere, e far valere, pratiche cooperative e di composizione delle fratture.
Accezioni differenti dello stesso termine - e che in parte attraversano anche questo stesso documento - indicano con lo stesso termine un insieme di strutture finalizzate a porre in relazione attori istituzionali e non istituzionali.
In questi casi, con governance si vogliono descrivere o analizzare modalità particolari o innovative di rapporto, azione o coordinamento tra istituzioni e interessi pubblico-privati.
Si accentua, quindi, l’attenzione sui rapporti tra attori diversi istituenti procedure e dispositivi che si affiancano e condizionano i moduli più tradizionali del governo.
I continui spostamenti tra una governance articolata a partire dai processi ed una sua definizione centrata intorno alle strutture e agli attori restano tra i fattori di maggiore ambiguità nei contemporanei dibattiti sull’argomento.
In tal senso, sia sui piani della comunicazione e dell’informazione politica più ampia quanto su quello scientifico, la governance resta un concetto opaco, e ancora oggi la gran parte degli studiosi ne ricostruiscono i tratti generali per via di differenziazione o di opposizione al governo.
Si intende allora come possa essere difficile delineare una compiuta teoria della governance per ciò che concerne la teoria politica.
In tal senso, importanti politologi l’hanno definita una proto-teoria, e quando si è tentato di offrirne una definizione in positivo si è ricorso ad un lungo elenco di aggettivi come multilivello, non-gerarchica, partecipativa, complessa.
Per tale ragione il politologo Bob Jessop le ha attribuito una natura pre-teorica ed una funzione eminentemente critica: «governance theory tends to remain at the pretheoretical stage of critique: it is much clearer what the notion of governance is against than what it is for» (JESSOP, 1995: 318).
Similmente, Meghnad Desai, introducendo un lavoro collettaneo dedicato alla global governance, ha sottolineato come «The word… presents dangers and opportunities to anyone who would re-open the question of global governance, thought the term itself lacks in precision… beyond that negative stance, the concept of global governance needs to be clarified, amplified and, if thought desiderable, made operational» (DESAI, 1995: 7).
Ad oggi il testo più rilevante sull’argomento è forse Governance without Government di James N.
Rosenau ed Ernest -O.
Czempiel nelle cui pagine appare una definizione di governance come «order plus intentionality» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 5).
Con ordine s’intende l’insieme delle regole formali e informali che permettono agli attori di raggiungere determinati obiettivi; regole, tuttavia, che possono darsi solo in un contesto di intenzionalità condivisa, «Governance is thus a system of rule that is as dependet on intersubjective meanings as on formally sanctioned constitutions and charter.
Put more emphatically, governance is a system of rule that works only if it is accepted by the majority (or, at least, by the most powerful of those it affects), whereas governments can function even in the face of widespread opposition to their policies» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 4).
Nello stesso volume, Czempiel definisce invece la governance come «the capacity to get things done without the legal competence to command that they be done» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 250).
Tutte queste definizioni, pure fortemente evocative, sono state ritenuta da più parti concettualmente poco chiara (LAKE, 1995; FINKELSTEIN, 1995).
1. per un’etimologia della governance Può essere utile, in via preliminare, tornare alla radice etimologica del termine governance ed al lungo percorso che l’ha portato a differenziarsi da quello originariamente sinonimico di government.
Col termine governo in italiano indichiamo indifferentemente un’istituzione, una particolare attività (quella di governare) ed il suo risultato.
Ed è forse per tale motivo che la traduzione italiana del documento Un libro bianco sul sistema di governo europeo, stilato dal gruppo di lavoro europeo sulla governance e preparatorio al Libro bianco, riporta l’espressione sistema di governo come corrispettivo dell’inglese governance (SEC, 2000).
In inglese, infatti, con government si indica l’istituzione del Governo mentre è con l’espressione governing che si intende la pratica del governare; l’espressione governance - nel suo uso generico - è invece utilizzata per indicare il risultato dell’azione del government.
La governance ha la sua radice più antica nel greco kubernân usato per indicare l’atto di condurre una nave oppure un carro.
Nelle opere di Platone il termine indica il governo degli uomini e di qui attraverserà la storia politica nella sua forma latina gubernare.
In Francia, nel XIII secolo, il termine gouvernance mostra due inflessioni diverse: nella prima - più generica - esso era usato per indicare le modalità del governo nella sfera domestica e nell’ambito politico-amministrativo; nella seconda, che compariva in ambito giuridico, si designavano in modo più specifico le modalità di autogoverno dell’Artoise e della Fiandra dotate di un particolare status.
In Inghilterra il termine indicava innanzitutto l’atto di governare: «The action or manner of governing» (OED, 1989: 710).
Esso però era collegato sia al governo come comando del principe, sia a quell’insieme di norme, consuetudini, statuti e libertates che rappresentavano l’intreccio dei diritti e dei poteri costituenti l’organizzazione politica e civile inglese.
In tal senso, il termine evidenzia quelle relazioni molteplici che nel corpo politico e civile concorrono a determinare l’ordine politico.
Esemplare, in tal senso, è l’uso fattone da Sir John Fortescue nel suoOn the Laws and Governance of England, scritto tra il 1471 e il 1476, nel quale la governance è descritta come un insieme ordinato di leggi, consuetudini ed istituti che si affiancano - e limitano - il potere del principe e che costituiscono il dominium politico et regale.
Poco meno di un secolo dopo, nel 1628, il giurista Coke scriverà di good governance per riferirsi ad un governo nel quale «full right is done to every man» (OED, 1989: 711).
Sarà, comunque, proprio la governance intesa come modalità d’esercizio del governo a riemergere nella seconda metà del XX secolo, pian piano arricchendosi di una pluralità di significazioni diverse che faranno da base al suo crescente utilizzo a partire dagli anni ’80 da parte di economisti, politologi, scienziati della politica, istituti ed organismi internazionali.
Momento importante è senz’altro il dibattito sulla riforma delle strutture e istituzioni di governo metropolitano negli Stati Uniti, a partire dal quale il termine viene consapevolmente utilizzato in opposizione al government.
Ciò avviene certamente in un contesto teorico specifico determinato dell’individualismo metodologico e dal public choice approach.
Poco dopo, nell’ambito diverso dell’analisi dell’organizzazione delle corporazioni economiche e finanziarie, emerge il tema della corporate governance che nei suoi caratteri più generali sarà ripreso verso la fine degli anni ’80 da istituzioni finanziarie sovranazionali quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale per definire standards o norme comportamentali da utilizzare come indicatori per l’assegnazione di prestiti o finanziamenti agli Stati fino a giungere nel 1995 alla sua esplicita codifica da parte delle Nazioni Unite.
Sul piano dell’analisi, invece, in un importante saggio del 1999 Renate Mayntz ha individuato tre diverse accezioni del termine.
La prima indica «un nuovo stile di governo, distinto dal modello del controllo gerarchico e caratterizzato da un maggior grado di cooperazione e dall’interazione tra stato e attori non-statuali all’interno di reti decisionali miste pubblico/private» (MAYNTZ, 1999: 3).
La governance si presenta come policy network, come co-decisione e negoziazione diffusa.
In una seconda accezione la governance sta per «quelle modalità distinte di coordinamento delle azioni individuali, intese come forme primarie di costruzione dell’ordine sociale.
In particolare questo secondo uso è derivato dall’economia dei costi di transazione, dall’analisi di mercato e della gerarchia quali forme alternative di organizzazione economica» (MAYNTZ, 1999: 4).
Infine, l’uso del termine include entrambe le precedenti interpretazioni nelle loro accezioni più ristrette in veste di sotto-tipi.
A ben guardare, dice la Mayntz, lo sviluppo della governance non è altro che il frutto dei mutamenti intervenuti nelle teorie della direzione politica (steuerungstheorie).
Ad oggi, la gran parte degli studiosi della governance - particolarmente quelli di matrice anglo-americana - concorda su una definizione ampia del termine secondo cui esso connota tutti i processi di svolgimento dell’azione collettiva (organizing collective action): «Governance is ultimately concerned with creating the conditions for ordered rule and collective action» (STOKER, 1998: 17).
Definizione, questa, certamente utile quando s’intenda stabilire un piano di riferimento tra discipline diverse, ma poco efficace quando si vogliano individuare i tratti caratterizzanti quelle pratiche di organizzazione dell’azione collettiva che nei diversi contesti, e particolarmente in quello politico, vengono correntemente descritte come pratiche di governance.
In altre parole, poco utile a chiarire le differenze e specificità di espressioni sempre più ricorrenti - e con un loro uso specifico - quali social governance, political governance, local governance o anche global governance.
La questione è allora definire i tratti costitutivi, ed il complesso dei significati, di una teoria della governance politica che costituisca quella cornice entro la quale s’innestano pratiche differenti adattate a contesti d’esercizio diversi.
Ciò permettebbe di separare la governance intesa come governing (in italiano qualcuno traduce governanza) da una governance più specifica, intesa quindi come un paradigma politico radicalmente differente dal governo inteso in senso moderno.
2. La governance corporata e la natura degli attori
L’uso del termine di governance in un’accezione distinta da quella di governo compare in due campi di ricerca tra loro profondamente differenti: lo studio del governo locale e urbano, sul quale si dirà qualcosa più oltre, e l’economia delle corporazioni.
È utile cominciare con quest’ultima poiché è dal mondo della finanza, a partire dallo sviluppo da parte della Banca Mondiale del concetto di buona governance come criterio per l’attribuzione di prestiti ai paesi in via di sviluppo, che il termine è diventato centrale nel confronto politico internazionale.
Peraltro, le difficoltà incontrate dai teorici della governance corporata relativamente alla definizione del ruolo dei diversi attori - e particolarmente intorno alla definizione degli interessi propri di stakeholder e shareholder - prefigurano alcuni dei temi cruciali nelle contemporanee teorie della governance politica; non ultima, la sostanziale difficoltà incontrata nell’offrirne una definizione compiuta.
Anche nell’economia delle corporazioni, infatti, vi sono definizioni diverse e parzialmente contraddittorie, che rispondono a premesse di base tra loro differenti e che sono legate alla natura degli attori coinvolgibili più che alla composizione dei processi.
In una prima utile definizione la «corporate governance is concerned with ways of bringing the interests of investors and managers into line and ensuring that firms are for the benefit of investors» (MAYER, 1997: 154).
In questa accezione essa rappresenta un insieme di meccanismi e procedure finalizzato ad armonizzare ed ottimizzare gli interessi degli investitori in relazione a quelli diversi della struttura manageriale.
L’obiettivo è tutelare gli shareholder a fronte dell’operato di una dirigenza con interessi propri, anche se non necessariamente divergenti o contraddittori rispetto a quelli degli investitori.
Una definizione diversa è invece offerta da Deakin e Hughes per i quali la governance corporata «is concerned with the relationship between the internal governance mechanics of corporations and society’s conception of the scope of corporate accountability» (DEAKIN / HUGHES, 1997: 2).
Gli attori, in questo caso, sono da un lato la corporazione, o più propriamente i meccanismi interni che ne costituiscono il funzionamento; dall’altro, la società generalmente intesa come l’insieme di owneship e di dirigenza, che è quella che definisce finalità e limiti della corporate accountability.
Ancora diversa, e più ampia, è la definizione offerta da Keasey e Wright secondo la quale l’oggetto della governance corporata include tutte quelle «structures, processes, cultures and systems that engender the successful operation of the organisations» (KEASEY / WRIGH, 1997: 2).
Gli attori di cui tenere conto sono, allora, diversi anche se accomunati dal concorrere, attraverso il loro operato, al successo della compagnia.
Queste definizioni trovano oggi - e non senza difficoltà - una categorizzazione più ampiamente condivisa, ma anche più generale, dei sistemi di governance corporata come di quei meccanismi - economici e legali - finalizzati alla definizione della natura della proprietà (ownership) e del controllo dell’organizzazione entro una data economia (COOK / DEAKIN, 1999: 2).
Tali meccanismi, che pure possono essere alterati dall’esterno per via di procedimenti giuridici o politici, poggiano solitamente su Company laws o su forme e procedure autoregolative (il City Code on Takeover and Mergers inglese, gli Stock Exchange Listing Rules, gli Accounting Standards).
La governance corporata, quindi, concerne quei processi di autoregolazione - e quindi di attribuzione autonoma di norme così come di procedure di controllo e verifica - attraverso cui si rende più efficiente, più trasparente e più sicuro l’operato della corporazione a beneficio degli attori coinvolti (ROSSI, 2003: 71-97).
Restano aperti, tuttavia, alcuni snodi importanti sulla natura degli attori.
In primo luogo la categoria di ownership è una categoria problematica, che mostra una differenza significativa tra le realtà corporate statunitensi e inglesi, da un lato, e quelle europee e asiatiche dall’altro lato.
Le prime si fonderebbero su un’idea - di natura prettamente finanziaria - secondo la quale con proprietari si deve intendere gli shareholders, che dispongono in ultima istanza dei diritti residuali di proprietà e controllo.
Poiché il controllo o la gestione dell’impresa sono diversi e separati dalla proprietà, l’obiettivo della governance sarebbe proprio «aligning the objectives of management with the objective of shareholder wealth maximization» (COOK / DEAKIN, 1999: 3).
La struttura di simili corporazioni - definita come outsider system of corporate governance - è sostanzialmente diversa dai modelli tedesco (e più generalmente europeo) e giapponese dell’insider system of corporate governance caratterizzato da «cross-shareholdings, cross-representation of directorates, large investor involvement in corporate decision making, and concentrations of share ownership» (COOK / DEAKIN, 1999: 4).
Il primo rappresenta un sistema nel quale il controllo appartiene al compartodegli azionisti nel quale risiede la supervisione, la decisione residuale e la proprietà.
Nel secondo, invece, gli investitori incidono maggiormente nel processo manageriale e quindi il controllo è esercitato dall’interno, non essendoci una forte separazione tra ownership ed il comparto dirigenziale.
Altro aspetto di rilievo è quello dato dalla differenziazione tra shareholder e stakeholder; il secondo termine essendo più generale del primo.
In un’interpretazione più ristretta della governance corporata gli interessi e i benefici da garantire e sui quali costruire i processi di accountability e sorveglianza sono esclusivamente quelli degli azionisti (shareholder) nei quali risiede il controllo residuale sulle operazioni della dirigenza.
In modelli di governance più ampi, invece, tutti gli stakeholder - ossia tutti coloro i quali abbiano un interesse nelle scelte operate dalla compagnia - debbono essere considerati propriamente attori.
In questo caso diviene necessario definire i criteri a partire dai quali alcuni attori possono essere considerati portatori di interessi ed altri no.
Se agli inizi degli anni ’80 come stakeholders erano considerati tutti coloro i quali potevano condizionare la compagnia o erano condizionati da essa (FREEMAN / REED, 1983; FREEMAN, 1984; FREEMAN / EVAN, 1990), le più recenti definizioni hanno tentato di restringerne il significato.
Donaldson e Preston - a partire da una teoria dei diritti di proprietà basata su una nozione pluralistica di giustizia distributiva - ritengono che stakeholders siano tutti coloro che hanno un interesse morale nelle attività della compagnia (DONALDSON / PRESTON, 1995: 65-91).
Modelli più strettamente economici puntano invece l’attenzione su coloro che hanno interessi di lunga durata nel successo economico dell’impresa (BLAIR, 1995); più recentemente si è invece definiti stakeholders «those whose relations to the enterprise cannot be completely contracted for, but upon whose cooperation and creativity depends for its survival and prosperity» (SLINGER / DEAKIN, 1999: 1), includendo - cioè - tutti coloro che sono direttamente impegnati in un rapporto lavorativo, commerciale o finanziario con l’impresa.
Azionisti, finanziatori, management, collaboratori, impiegati e per certi versi anche clienti, fornitori, retailers, sarebbero tutti attori impegnabili nei diversi momenti della governance corporata.
Solo a partire dalla definizione degli attori è quindi possibile stabilire quei princìpi di accountability che, quando rispettati, e quando capaci di garantire anche il successo della compagnia, rappresentano una good governance.
L’aggettivo buona ha quindi la funzione di differenziare in via analitica tra una governance intesa come categoria descrittiva di meccanismi di controllo, circolazione delle informazioni e decisione o co-decisione che sottendono all’organizzazione della compagnia, ed una governance intesa come modello prescrittivo che stabilirebbe quei criteri (o standards) di accountability, di efficienza e trasparenza che dovrebbero caratterizzare l’organizzazione della corporazione.
Particolarmente importante, in tal senso, è la stesura da parte dell’Organization for Economic Cooperation and Development (OECD, 1999) dei Principles on Corporate Governance, affermatisi come princìpi e standards di buona governance corporata e che nascono dall’esigenza di vedere garantite trasparenza e accountability nel governo delle corporazioni.
Il moltiplicarsi degli stati i cui assetti economici sono orientati al mercato e l’accelerazione dei processi di privatizzazione nei settori pubblici e dell’energia hanno favorito l’allargarsi del loro ruolo e potere nel contesto internazionale.
A questi sviluppi hanno fatto seguito gravi e ripetute crisi economiche e finanziarie nei diversi mercati macroregionali ed il moltiplicarsi degli scandali finanziari e delle critiche e delle accuse per il disinteresse verso i diritti dei lavoratori, la tutela ambientale e più in generale il benessere complessivo della società.
Lo scopo del documento stilato dell’OECD è quello di stabilire alcuni criteri a partire dai quali è possibile dare vita ad buona governance capace di «assure that corporations use their capital efficently.
… ensure that corporation take into account the interests of a wide range of constituencies, as well as of the communities within which they operate, and that their board are accountable to the company and shareholders.
… to assure that corporations operate for the benefit of the society as a whole» (OECD, 1999:7).
Da un lato, quindi, si vuole incidere su quegli aspetti più propriamente legati alla natura finanziaria della corporazione per garantirne l’efficienza degli investimenti ed il controllo nell’operato da parte degli shareholders; dall’altro lato, si vuole favorire il rispetto da parte della compagnia degli interessi più complessivi della società.
A parere dell’OECD, ciò permetterebbe di accrescere la fiducia nella compagnia di capitali e investitori a lungo termine così da offrire un assetto stabile, trasparente e con responsabilità chiare.
In questo documento la definizione di governance è consapevolmente ampia e vaga poiché con essa sono da intendersi quegli «internal means by which corporations are operated and controlled» (OECD, 1999: 7).
In altri termini, «a set of relationships between a company’s management, its board, its shareholders and other stakeholders» (OECD, 1999: 11).
La ragione di questa genericità è data dall’osservazione - per molti aspetti cruciale - che una good governance è possibile solo nel rapporto tra le scelte operative e strategiche della corporazione ed il regulatory climate definito dagli Stati e dal contesto istituzionale e legale nel quale essa si muove.
È questa la ragione per cui «there is no single model of good governance» (OECD, 1999: 8).
La good corporate governance esprime una responsabilità condivisa (shared responsibility), nei termini in cui essa è anche il risultato dell’azione e delle scelte di istituzioni ed enti nazionali e internazionali, di associazioni e gruppi diversi, e degli investitori.
Il documento è comunque solo una carta d’intenti, nella quale sono definiti princìpi e standards dal valore esclusivamente propositivo «although the principles are non-binding, it ultimately is a matter of self-interest for countries and corporations to assess their own corporate governance regimes and to take these Principles to heart» (OECD, 1999: 8).
Non è utile ricostruire l’insieme delle indicazioni presenti nel documento, basti tenere presente che al primo punto vi sono quelle procedure di corretta comunicazione, informazione e definizione degli assetti societari che debbono garantire i diritti degli shareholders e il loro equo trattamento.
Seguono, quindi, quei suggerimenti in favore del riconoscimento del ruolo e dei diritti degli stakeholders (la cui tutela è comunque demandata a soggetti istituzionali, legali o para-istituzionali esterni alla corporazione); la definizione dei princìpi di trasparenza (transparency) e apertura (disclosure); infine, le responsabilità che appartengono al consiglio d’amministrazione (board).
Come vedremo più avanti, il quadro problematico che emerge dal mondo delle corporazioni non è molto diverso da quello che si presenta quando si osservano realtà differenti quali il governo locale, l’amministrazione oppure l’organizzazione internazionale dei poteri.
La definizione degli attori coinvolti o coinvolgibili nel processo di policy-making, infatti, è il presupposto senza il quale non è possibile definire alcun criterio di accountability o stabilire le concrete procedure di partecipazione ai meccanismi di governance.
Peraltro, la riformulazione in chiave politica della distinzione tra shareholders e stakeholders - se da un lato definisce l’ampiezza e il senso della partecipazione democratica negli assetti di governance politica - dall’altro lato presenta il rischio dell’esclusione e della marginalizzazione.
Non è un caso che, se appare meno problematica la definizione degli shareholders, di maggiore difficoltà è lo stabilire la natura degli stakeholders ed il limite partecipativo o consultivo che si è disposti ad offrire loro.
È evidente che se definizioni diverse degli stakeholders comportano obiettivi e strategie differenti da parte delle imprese, allo stesso modo il mutamento degli scopi o degli orientamenti della compagnia può comportare una sostanziale trasformazione del ruolo e della funzione degli stakeholders.
Peraltro, se è vero che il documento stilato dall’OECD è esclusivamente un documento d’intenti - e su alcuni punti significativi estremamente generico nelle definizioni -, appare evidente come la definizione dei termini di accountability, transparency o più generalmente good governance sia il frutto, in ultima istanza, del management stesso - ben più che dell’assemblea degli azionisti - la cui esigenza di governo efficace resta certamente prioritaria.
Come vedremo, è questa in nuce la discrasia tra necessità dell’efficienza ed esigenze di partecipazione e legittimità che emerge con forza anche nel dibattito sulla governance urbana.
3. La governance delle aree urbane
Il termine governance, nella sua piena differenziazione dal government, è presente già dagli anni ’60 in molti studi tesi a descrivere le caratteristiche di nuovi modelli gestionali delle amministrazioni locali o delle municipalità cittadine.
Pionieristico, in tal senso, è stato uno scritto diVincent Ostrom e Charles Tiebout nel quale veniva favorevolmente proposto un modello di gestione centrato su un sistema di attori molteplici, in concorrenza tra loro nel proporsi come fornitori di servizi pubblici in un contesto policentrico e pluralistico (OSTROM / TIEBOUT / WARREN, 1961).
Lo scopo della ricerca era quello di definire i tratti di una gestione delle risorse pubbliche capace di far fronte ai tradizionali dilemmi dell’azione collettiva attraverso il sapiente utilizzo delle potenzialità offerte dal mercato e da un’organizzazione non gerarchica dei poteri e degli attori.
L’autorità pubblica non doveva intervenire direttamente nella gestione dei servizi ma era tenuta a fissare standards, controllare gli attori ed esercitare un potere di coordinamento ed intervento residuale.
Negli anni in cui veniva presentato e discusso questo lavoro, era forte negli Stati Uniti il dibattito sull’opportunità di avviare una complessiva riforma del sistema metropolitano dei servizi pubblici che rafforzasse il ruolo, i poteri e le competenze delle istituzioni, a fronte di un’organizzazione tradizionalmente frammentata e fortemente localistica.
La ricerca dei due studiosi, invece, voleva mettere in evidenza l’utilità di un sistema metropolitano di tipo policentrico, organizzato intorno ad una molteplicità di attori diversi rappresentati da poteri pubblici, soggetti appartenenti al terzo settore o al settore privato, agenzie e compagnie con funzioni specifiche.
Il cittadino - rappresentato come attore razionale - sarebbe stato capace di scegliere tra quei servizi ritenuti più efficienti, effettivi e responsive evitando le problematiche tradizionalmente associate al monopolio dell’offerta dei servizi da parte del soggetto pubblico.
Il principio di fondo era stato elaborato qualche anno prima dallo stesso Tiebout ed è comunemente riassunto nell’espressione voting with one’s feet: l’esistenza di molteplici e concorrenti costituencies locali permette al cittadino di scegliere quella giurisdizione dotata del sistema di servizi/costi a lui più favorevole (TIEBOUT, 1956; DOWDING / PETER / BRIGGS, 1994).
Il quadro di riferimento complessivo è quello dell’individualismo metodologico ed ancora oggi - nei diversi modelli che costituiscono il panorama della teoria delle scelte razionali - esso costituisce uno degli approcci più rilevanti alla governance (BEVIR / RHODES, 2001).
Anche in questo caso il dibattito è segnato da profonde differenze tra Stati Uniti ed Europa, particolarmente sulla natura altamente frammentata delle aree urbane statunitensi a confronto con il maggiore accentramento amministrativo che caratterizza quelle europee.
È comunque possibile identificare due tradizioni diverse e oppositive che - a partire dagli anni ’60 - hanno costituito gli estremi dell’asse di dibattito e d’intervento sulla riforma delle amministrazioni metropolitane: la metropolitan reform tradition da un lato, ed il public choice approach dall’altro lato.
Se la prima pone la propria attenzione sulla necessità di consolidare il governo locale in funzione delle necessità e dell’evoluzione urbana, la seconda metteva al centro dei propri percorsi il mercato e la società civile che sarebbero dovuti diventare i principali attori di sviluppo in un contesto pluralistico.
Nelle sue diverse forme il dibattito tra reformers e teorici della transaction costs metropolitan governance è durato a lungo, fino a trasformarsi negli anni più recenti grazie ai contribuiti comparativi che provengono dagli Stati Uniti ma anche dalle ricerche europee, asiatiche ed africane.
Se i nodi problematici del dibattito sui sistemi di riforma urbana sono gli stessi, i temi ed i modelli d’intervento appaiono completamente mutati.
A partire dagli inizi degli anni ‘90 ha assunto una crescente importanza la new metropolitan governance che - pur rielaborando i presupposti del dibattito precedente - ne evidenzia la distanza dalle contemporanee realtà metropolitane.
Il nuovo approccio «argues that metropolitan governance is constructed through the relations between policy relevant actors within incrementally assembled, issue-based co-operational arrangments» (D.
KÜBLER / H. HUBERT, 2002: 9; DENTE, 1990; LE GALÈS, 1995; HEALEY ET ALII, 1995; BAGNASCO / LE GALÈS, 1997; BENZ, 2001).
La governance urbana costituisce, in sostanza, un processo di negoziazione e pianificazione che coinvolge attori molteplici, gerarchicamente non omogenei, la cui cooperazione è però alla base dei processi di policy-formulation e policy-making.
Le modalità di negoziazione e cooperazione, così come il ruolo e la natura degli attori, non sono definibili a priori ma sono il prodotto di condizioni specifiche.
Questo nuovo approccio non ha fatto scomparire il dibattito tra reformers ed esponenti della transaction costs governance, poiché gli schemi di coordinamento di politiche orientate allo scopo (purpose-oriented schemes of policy coordination) - e che costituiscono il nucleo di ciò checompone la corrente e più generale definizione della nuova governance urbana - s’integrano con gli assunti di fondo delle due precedenti tradizioni.
Nella prima, essi costituiscono gli stati intermedi verso il consolidamento istituzionale, nei teorici della public choice invece essi non rappresentano altro che una parte del sistema delle autonomie locali.
La nuova governance urbana ha dato vita a moduli di presa della decisione pubblica fondati su forme molteplici di cooperazione tra attori, e non su quelli più tradizionali dell’obbligazione politica o centrati sulla concorrenza del mercato.
Né, quindi, un modello che tende verso la costruzione di strutture di governo territoriali accentrate, e neppure un modello che sposi l’immagine di località autonome tra loro in competizione; piuttosto, un policy network approach teso a mostrare come gli aggregati metropolitani possano dare vita a sistemi di organizzazione che restano ibridi tra mercato e gerarchia.
In tal senso, Kübler e Hubert sottolineano come questa «new vision on metropolitan governance is reflecting debates in political science which have addressed the shift “from government to governance” since the last twenty or thirty years by emphasising the importance of functional interest intermediation as opposed to territorial interest intermediation, i.e.
based on territorially defined system of representation and parliamentary decision making» (KÜBLER / HUBET, 2002: 10).
La maggiore elasticità di questo approccio ha dato vita ad una grossa mole di ricerche comparative tra modelli di gestione urbana esercitati in contesti differenti (SAVITCH, 1988; BARNEKOV / BOYLE / RICH, 1989; JUDD / PARKINSON, 1990; LOGAN / SWANSTROM, 1990; KEATING, 1991; STOKER / MOSSBERG, 1994; JUDGE / STOCKER / WOLMAN, 1995; per un approccio comparativo con un’attenzione particolare al contesto nazionale della governance urbana: KANTOR / SAVITCH / HADDOCK, 1997; WOLMAN / GOLDSMITHS, 1992; FAINSTEIN, 1994.
Ancora diverso è l’approccio di Di Gaetano e Klemanski, 1999).
In tutti questi casi, i temi di dibattito restano il ruolo delle istituzioni di governo locale, gli obiettivi cui le pratiche di governance urbana possono concretamente aspirare a raggiungere, il ruolo dei cittadini nel processo di policy-making, la qualifica e la natura degli attori deputati alla partecipazione al processo amministrativo e gestionale.
Ugualmente significativa è la molteplicità dei progetti internazionali di governance urbana sviluppatisi nell’ultimo decennio: tra essi il progetto Urban Development Cooperation delle Nazioni Unite; lo Urban Management Programme (UMP) sviluppato da UNDP/UNCHS e dalla Banca Mondiale; il LIFE (Local Initiative Facility to the Urban Environment) finalizzato a promuovere la cooperazione e il dialogo tra municipalitità, organizzazioni non governative e comunità attraverso l’implementazione di progetti su piccola scala; il Public-Private Partnerships Programme for the Urban Environment (PPPUE) che supporta joint ventures finalizzate a trasformare in opportunità di sviluppo economico le problematiche ambientali che si presentano in diversi contesti urbani; lo Urban Governance Initiative (TUGI) il cui campo d’interventi è su scala macroregionale riguardando l’Asia e il Pacifico.
Tutti questi progetti, in sostanza, hanno a modello teorico di riferimento quello che è stato definito policy network approach e sembrano avere come assunti di riferimento quelli della legittimità (legitimacy) dell’operato, della sua effettività (e ectiveness) e della efficienza (e iciency) (OECD, 2001).
Tuttavia, il rapporto tra efficienza amministrativa e partecipazione democratica resta ambiguo, poiché se una certa chiusura del processo di policy-making è rivendicata come necessaria per garantirne l’efficienza, il livello e le forme di tale chiusura condizionano direttamente le possibilità di esercizio di una cittadinanza partecipativa.
Il nodo cruciale nella costruzione di quell’insieme di policy networks che strutturano un sistema di governance urbana starebbe proprio nella tensione tra questi due termini e, come si mostrerà più avanti, questa stessa tensione è presente al centro dei più significativi mutamenti dell’amministrazione statale.
4. la governance e le trasformazioni nell’amministrazione e nel diritto amministrativo
I mutamenti intervenuti nel governo locale e urbano con la comparsa di attori nuovi e con l’attuazione di processi di policy-making dalla natura purposive e multidimensionale hanno incisoprofondamente nell’organizzazione degli stati, ed hanno determinato l’uso crescente delle pratiche di governance nella pubblica amministrazione.
Se a ciò si aggiunge il ruolo crescente giocato dalle istituzioni sovranazionali e le trasformazioni proprie delle contemporanee democrazie rappresentative, ci si rende conto che l’amministrazione, così come è andata sviluppandosi in quello che è stato definito lo stato keynesiano, è significativamente mutata.
Un primo, significativo, cambiamento è relativo proprio alla natura dello spazio amministrativo, sia in ragione delle trasformazioni del ruolo e degli attori decisionali, sia in relazione alla crescente importanza assunta dal mercato come fattore regolativo.
Il confine che separa il governo e l’amministrazione da ciò che risiedeva al loro esterno sembra essere sempre più incerto, e se è vero che il governo e gli organi amministrativi e burocratici continuano ad essere i principali motori del processo di presa ed attuazione della decisione pubblica, è anche vero che sempre più spesso - e nei contesti più disparati - un numero crescente di altri attori sono chiamati ad operarvi legittimamente.
Come ha convincentemente argomentato Martin Shapiro «the decisionmaking process is no longer seen as one in which private activity occurs around government decision-making, or seek to influence decision-making.
Rather, the very distinction between governmental and non-governmental has become blurred, since the real decision-making process now continually involves, and combines, public and private actors» (SHAPIRO, 2001: 369).
Similmente, Jan Koiman ha sottolineato che «the place of the boundaries between state and society changes», ed ha messo in evidenza come i confini stessi tra questi due termini tendono a diventare sempre più permeabili.
L’interazione crescente tra stato e società avrebbe così ad oggetto proprio la natura del loro confine e le responsabilità da attribuire ai rispettivi attori.
Ed in questo innovativo processo d’interazione risiederebbe la «basic matters of governance» (KOOIMAN, 1993: 4).
Governance che a suo parere può essere tanto più effettiva quanto è capace di cogliere la dinamicità, complessità e multiformità che caratterizza le società contemporanee.
Particolarmente negli Stati Uniti, il processo di trasformazione dei confini tra stato e società è cominciato già negli anni ’60 attraverso la complessiva riforma dell’apparato burocratico e amministrativo ispirata a princìpi teorico-politici di matrice pluralista.
Obiettivo della riforma era quello di rendere lo stato più trasparente, trasformando il processo di rule-making nel frutto di un dialogo tra parti sociali e istituzioni.
Il risultato è stato il mutamento significativo dell’istituzione pubblica in soggetto mediatore e regolativi il cui scopo è quello di agire come «facilitator of a direct agreement among interest groups» (SHAPIRO, 2001: 371).
Questo processo, attraverso il ricorso all’interazione tra gruppi d’interesse e la partecipazione a networks consultivi o attuativi, nonché alle più diverse comunità epistemiche, ha effettivamente ampliato la partecipazione ai momenti della decisione politica ed alla gestione dell’amministrazione pubblica.
Il progressivo sottrarsi dell’autorità politica dal controllo e dalla gestione di molti dei settori dell’amministrazione attraverso la riformulazione della legge amministrativa in un senso «more market-oriented, flexible, cooperative, and informal» (AMAN, 2001: 381) ha però comportato la deregulation di ambiti tradizionalmente gestiti dal settore pubblico.
Queste trasformazioni hanno profondamente scosso la base procedurale pubblica stabilita dall’Administrative Procedure Act e dalla Due Process clause; il primo finalizzato a definire le procedure di garanzia per il cittadino a fronte dello stato, il secondo teso a stabilire gli spazi di autonomia decisionale del potere pubblico.
È accaduto che un’amministrazione fortemente ancorata agli interessi del mercato, organizzata su procedure negoziali tra attori pubblici e privati, e provvista di alto grado d’informalità, è venuta via via sostituendo il proprio potere decisionale con l’esercizio di funzioni regolative o di supervisione.
Ciò però ha comportato il depotenziamento della propria capacità di operare a garanzia dei singoli cittadini, poiché nei percorsi della negoziazione non gerarchica e informale proprie delle nuove pratiche amministrative le regole stabilite dal Due Process Clause non si applicano (STEWART, 1975).
Per quanto concerne il panorama europeo, invece, i mutamenti più significativi nell’amministrazione pubblica non tanto sono definiti nei termini della costruzione di un modello amministrativo orientato al mercato, quanto dall’adeguamento delle strutture dei diversi statimembri al complesso amministrativo comunitario.
Per quanto concerne l’Italia, Giorgio Giraudi, in un suo studio sulla nascita di una politica dell’antitrust in Italia, ha messo in evidenza come essa sia stata «un importante esempio di policy change che avviene in un contesto di transizione sistemica sotto la spinta di un vincolo esterno» (GIRAUDI, 2000: 285).
L’intreccio tra le dinamiche di trasformazione del governo di partito in Italia ed i mutamenti nella governance europea avviati con l’approvazione dell’Atto Unico Europeo avrebbero permesso che le spinte provenienti dall’interno dell’arco politico ed economico italiano verso l’affermazione di una legislazione in materia di antitrust trovassero un esito positivo.
Legislazione, peraltro, che si è mossa a favore dell’istituzione di un’autorità amministrativa indipendente attraverso la legge 297/90 sulla scia delle scelte europee.
Nel suo lavoro, Giraudi ha anche messo in evidenza come l’approvazione dell’Atto Unico ed il nascere di un mercato unificato abbiano reso possibile il costituirsi di uno spazio amministrativo europeo sovraordinato rispetto a quello nazionale che può concretamente fungere da potere superiore «perché è in grado di formare l’agenda politico-istituzionale e di influenzare marcatamente il timing del processo legislativo…; perché ha una forte influenza nell’indicazione preventiva di quali debbano essere le scelte istituzionali da compiere affinché la normativa nazionale trovi il consenso degli organi comunitari…; perché la prevalenza del diritto comunitario e delle conseguenti regolamentazioni fa sì che il dibattito nazionale sia costretto a rincorrere le novità provenienti dal livello comunitario» (GIRAUDI, 2000: 277).
Significativo, allora, è il depotenziamento di quella modalità di rapporto tra gli stati europei che è stata definita come intergovernamentalista, basata cioè sul presupposto dell’unanimità necessaria a raggiungere una qualsiasi decisione a livello europeo.
La possibilità che su aspetti importanti dell’economia e dell’amministrazione possa valere il principio di maggioranza ha sottratto potere agli stati nazionali che, con la regola dell’unanimità, potevano conservare un sostanziale controllo residuale esercitabile nella forma del veto.
Il processo di armonizzazione degli ordinamenti amministrativi dei singoli stati all’ordinamento europeo è oggi condizionato anche da altri temi cruciali quali l’applicazione dei princìpi di proporzionalità e sussidiarietà - nelle sue varianti verticale e orizzontale - che sono tra i fattori di maggiore trasformazione e riassetto dello spazio politico comunitario.
Questi princìpi, sui quali torneremo più ampiamente nelle prossime pagine, definiscono le procedure per l’individuazione dei soggetti che di volta in volta devono farsi carico del policy-making e della produzione di legislazione su temi specifici.
Ciò dovrebbe rendere possibile la definizione chiara dei livelli d’intervento delle istituzioni europee così come di quelle nazionali, regionali e locali.
Evidentemente, ciò implica il complessivo ristrutturarsi dei livelli di governo (e di governance) europei.
Trasformazioni che hanno importanti ricadute sulla tenuta della democrazia rappresentativa.
Un ulteriore piano problematico è offerto proprio dall’ampliarsi e dal rafforzarsi del ruolo svolto da authorities e agencies.
Lo stesso Giraudi, insieme con Maria Stella Righettini ha sottolineato come, sul piano dell’amministrazione, la governance richiami l’idea di un insieme di sub-sistemi di governo basati sull’interdipendenza e la co-decisione tra attori nessuno dei quali in una posizione di assoluto predominio nel controllo di una determinata risorsa.
In sostanza, essa attuerebbe un sistema di controllo pluralistico e negoziato le cui modalità d’azione sono finalizzate a ridurre il conflitto o la sua espansione nell’attività di governo.
In questo contesto, se vale la rappresentazione della governance come network, le A.A.I.
opererebbero come nodi di reti e verrebbero chiamate ad esercitare poteri decisionali pubblici ma esterni allo stato.
Come sottolineano i due studiosi, l’istituzione di un numero crescente di authorities è divenuta un elemento caratterizzante del nuovo governo delle policies in opposizione al più tradizionale governo della politics: «le autorità indipendenti possono essere considerate tra i fenomeni più rilevanti dell’evoluzione dei sistemi di governance delle democrazie occidentali.
Esse rappresentano il passaggio da sistemi istituzionali di governo, prevalentemente fondati sulle istituzioni della rappresentanza (partiti e parlamenti) e orientati alla centralità delle funzioni di inputs, a sistemi digoverno orientati alla rivalutazione di modalità d’azione più orientate all’efficienza e all’efficacia degli outputs» (GIRAUDI / RIGHETTINI, 2002: 202).
La ragione di questo processo risiede nel tentativo - attuato attraverso la delega delle funzioni di policy-making ad istituzioni non rappresentative - di dare una risposta al problema della scarsa continuità e stabilità degli indirizzi di programmazione, generata dall’acuìrsi dello scarto temporale - e programmatico - tra il ciclo di policy e quello elettorale.
La formazione di agenzie semiindipendenti e la creazione di A.A.I.
accentua la de-politicizzazione della funzione regolativa dell’amministrazione.
I processi di adattamento dell’amministrazione e del diritto amministrativo alle evoluzioni del mercato ed alle trasformazioni dello stato in un contesto globalizzato hanno incontrato, e ancora incontrano, forti resistenze.
Le ragioni sono molteplici e valgono per tutte le trasformazioni in atto sia nelle strutture amministrative europee, sia in quella molto diversa degli Stati Uniti.
In primo luogo, esse implicano una maggiore apertura dell’amministrazione statale a norme, procedure e leggi internazionali; in secondo luogo, al depotenziamento dell’autorità pubblica segue quasi parallelamente un allargamento degli spazi discrezionali degli attori coinvolti nel processo di decision making; in terzo luogo, un simile approccio è accusato di favorire un populismo di mercato che sbilancia il processo di decisione politica o amministrativa a favore di interessi forti.
Infine, alla maggiore trasparenza dello stato avrebbe fatto seguito, quasi paradossalmente, l’opacità dei percorsi e dei soggetti decisionali.
Con l’affermarsi di un numero crescente di policy networks è difficile per il cittadino poter esercitare un controllo sulla decisione politica poiché sono sempre meno chiari i luoghi in cui essa è assunta, ed i soggetti realmente decisionali, «“Governance” by “network” and epistemic community has the opposite effect.
While every interested group may partecipate in the decision-making progress, the voters have no idea whom to reward or blame for results they like or dislike» (SHAPIRO, 2001: 371).
Esemplare, in tal senso, è l’operato della Commissione Europea che, a fronte dell’evidente crisi di legittimità del proprio ruolo ed operato, ricerca attraverso strumenti non rappresentativi, ma consultivi e partecipati, una nuova fonte di legittimità politica.
Così facendo, da un lato, si allarga lo spazio disponibile per gli attori nel processo di policy-making (e resta comunque diverso quanto accade per il processo di policy-formulation o per le procedure di definizione dell’agenda), dall’altro lato, tuttavia, si restringono gli spazi per la partecipazione degli individui, che vedono depotenziato lo strumento elettivo e rappresentativo sul quale si basa ancora oggi l’esercizio della cittadinanza politica moderna.
È una delle contraddizioni più evidenti quella secondo cui, alla maggiore partecipazione dei gruppi d’interesse alla presa di decisione politica o più generalmente pubblica, si affianca la crescente opacità degli spazi a disposizione del singolo cittadino.
5. Il Libro bianco sulla governance europea
Il documento preparatorio alla stesura del Libro bianco, intitolato Un libro Bianco sul sistema di governo europeo, esprimeva la convinzione che la promozione di nuove forme di governo per l’Europa fosse tra le maggiori sfide che l’Unione doveva porsi nel nuovo millennio.
Rifacendosi al documento On our global Neighbordhood, la Commissione riteneva di dover accogliere il suggerimento a darsi regole che le offrissero consenso e che trovassero «effettiva applicazione su scala planetaria, anche in mancanza di un governo mondiale» (SEC, 2000: 3).
Prospettando un sistema di governo multilivello strutturato sui princìpi di trasparenza, responsabilizzazione ed efficienza, si è in realtà voluto affrontare il problema della democrazia nella Comunità Europea poiché «la riforma dei metodi di governo europeo si inquadra a tutti gli effetti nella prospettiva di un approfondimento della democrazia europea» (SEC, 2000: 4).
La governance del Libro bianco nasce da questi presupposti, presentandosi come la trasformazione dell’assetto esecutivo ed amministrativo dell’Unione.
Essa è genericamente definita come «le norme, i processi e i comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con riferimento ai princìpi di apertura, partecipazione,responsabilità, efficacia e coerenza» (COM, 2001: 8n).
Lo scopo della Commissione è quello di adottare per il governo dell’Unione «un’impostazione meno verticistica … integrando in modo più efficace i mezzi d’azione delle sue politiche con strumenti di tipo non legislativo» (COM, 2001: 4).
I mutamenti proposti vanno innanzitutto nella direzione di garantire l’apertura delle politiche europee verso i cittadini attribuendo un più ampio ruolo consultivo alle parti sociali e garantendo una competente informazione sui percorsi dell’Unione; perché questo sia possibile è necessario stabilire standards e buone pratiche di consultazioni sulle proprie politiche, e favorire l’istituzione di accordi di partenariato e collaborazione con attori extra e para-istituzionali nell’implementazione delle policies.
La partecipazione dei cittadini è quindi richiesta per il processo di policy-making, ed è resa possibile solo per via indiretta - attraverso gli strumenti della consultazione allargata - al processo di policy-formulation.
In tal senso, la partecipazione dei cittadini assume le vesti di una expertise allargata più che quella dell’attiva collaborazione ai processi di formulazione ed esecuzione.
Un secondo obiettivo posto al processo di riforma della governance europea è quello di migliorare le politiche e gli strumenti di normazione e legislazione.
A tal fine la Commissione s’impegna a diversificare gli strumenti a propria disposizione, a semplificare il diritto comunitario, ad utilizzare maggiormente il parere degli esperti, a fissare i criteri per istituire nuove agenzie di regolazione ed a definire il contesto giuridico nel quale queste ultime dovranno operare.
Infine, è apparso necessario anche ripensare il ruolo delle istituzioni europee, particolarmente dell’esecutivo, per garantire una maggiore coerenza alle politiche attuate, stabilire responsabilità chiare, e definire orientamenti strategici a lungo termine.
In tal senso, il Libro bianco sulla governance europea, prima ancora che la definizione dei princìpi di una buona governance, sia una riflessione sul potere esecutivo dell’Unione, sugli strumenti di cui esso dispone, sui suoi rapporti con gli altri poteri.
Quasi a testimonianza della lontananza dell’Unione dai propri cittadini, le consultazioni intorno al Libro bianco, durate otto mesi, hanno raccolto un numero relativamente limitato di contributi, circa 250, per la gran parte provenienti dal mondo politico e, significativamente, dalla Gran Bretagna.
I pareri emersi sono, tuttavia, importanti perché presi complessivamente indicizzano gli aspetti problematici del modello di governance proposto dalla Commissione Europea.
Come sottolinea la stessa Commissione di studi sulla governance «the public response has largely supported the White Paper’s definition of the principles underlying European governance of openess, partecipation, accountability, e ectiveness and coherence, while principles such as democratic legitimacy and subsidiarity have been proposed as addictions» (COM, 2002:2).
In questo stesso report, la Commissione riassume in tre punti i suggerimenti ricevuti dalla consultazione.
In primo luogo verrebbe confermato l’intento di valorizzare i percorsi di partecipazione dal basso (bottom-up) sia nei processi di implementazione delle policies, sia in quelli di policy-formulation.
In secondo luogo, è accolta l’idea di estendere il ventaglio degli strumenti legislativi ed esecutivi «to respond to new governance challenges» attraverso la definizione di nuovi e più flessibili dispositivi di policy (policy tools) da affiancare alla legislazione e amministrazione tradizionale.
Infine, è emersa l’esigenza di prestare una maggiore attenzione alle istituzioni europee esistenti per attribuire loro responsabilità e ruoli più chiari.
Un’ampia parte del dibattito sul Libro bianco ha contestato l’immagine di una governance articolata a partire dal principio di maggiore efficienza, e ciò perché non si è posta una sufficiente attenzione al problema della legittimità democratica degli strumenti e degli attori coinvolti nel policy-making.
Più in generale, non si è in alcun modo diminuito quel deficit democratico che ha a lungo caratterizzato i processi di integrazione europea.
Nel report, tuttavia, si sottolinea come «…the White paper focused on improving the Commission’s own role as policy initiator and executive, and less on its role as a European civil service and public administrator» e si rimandano, quindi, questi temi alla definizione di uno «stable institutional and Treaty framework with a reinvigorated method at its core» (COM, 2002: 6); assetto che sarebbe garantito dai lavori della Convenzione Europea da ultimarsi nel 2004.6.
il nodo della sussidiarietà Tra le critiche più forti svolte al progetto di riforma sulla governance europea, e più in generale intorno al riassetto dei poteri e delle competenze, vi sono quelle che giungono dalle diverse municipalità e regioni.
Sono critiche che si soffermano su di un particolare aspetto della proposta di riforma della governance europea, quello del ruolo svolto dal governo locale, regionale e municipale nei processi di policy-making dell’Unione.
In risposta al Libro bianco, la presidenza del Parlamento basco sottolineava come «it is difficult to ask for active involvement in the practical setting up of any project from those who have been excluded from its initial planning stage.
When applying principles of complementarity and co-operation, the participation of sub-state entities when they have power in the field in question, ought to include the three phases of the decisionmaking process: planning of measures, decision-making and programme monitoring» (PRESIDENCY OF THE BASQUE PARLIAMENT, 2003).
Su un piano diverso, ma complementare, il Consiglio delle Municipalità e delle Regioni Europee (CEMR), ha messo in evidenza come il Libro bianco avrebbe dovuto definire più chiaramente quei princìpi e quelle buone pratiche costituenti la base per il futuro governo dell’Unione.
In particolare, l’attuazione concreta di una governance centrata sulla prossimità delle istituzioni ai cittadini non dovrebbe esulare dalla riformulazione dei princìpi di sussidiarietà e proporzionalità, resi inefficaci dal loro regolare esclusivamente i rapporti tra Comunità Europea e stati membri (CEMR, 2003).
Infatti, la riforma dell’esecutivo europeo si affianca al processo di ristrutturazione politica e amministrativa che ha preso avvio con l’approvazione dell’articolo 3B del trattato di Maastricht, diventato poi l’articolo 5 del Trattato di Amsterdam (1997), e che ha il principio di sussidiarietà al suo centro.
Principio secondo il quale «l’azione della Comunità, entro i limiti delle sue competenze, sia ampliata laddove le circostanze lo richiedano e, inversamente, ristretta e sospesa laddove essa non sia più giustificata» (EU, 1997, disp. 1).
Sintetizza bene Enrico Bonelli quando scrive che «il nucleo irriducibile del concetto è, in ogni caso, il suo carattere relazionale: fra entità istituzionali e/o sociali di dimensioni diverse, la cura degli interessi deve essere rimessa, di norma e di preferenza, alla entità più piccola, perché più vicina a colui che è portatore dell’interesse considerato» (BONELLI, 2001: 19-20).
Principio diverso, ma la cui applicazione viaggia parallelamente a quello della sussidiarietà, è quello di proporzionalità, secondo cui «l’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del trattato» (EU, 1997, disp. 1).
In altre parole, esso impone che l’autorità superiore utilizzi i mezzi strettamente necessari al raggiungimento dello scopo preferendo la via più semplice e ricorrendo solo in ultima istanza alla via legislativa tradizionale.
In allegato al trattato di Amsterdam vi è un Protocollo sull’applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità nel quale è previsto che ogni anno la Commissione s’impegni a stilare un bilancio su detta applicazione a livello comunitario.
L’importanza di questi princìpi per quanto concerne la riforma della governance europea risiede in almeno tre aspetti: a) in primo luogo il principio di sussidiarietà identifica la serie degli attori istituzionali europei secondo una precisa scala gerarchica, determinandone in via generale i rapporti così da favorire quelli collocati più vicino ai cittadini.
Tuttavia, se è vero che il principio è finalizzato a limitare l’intervento dei poteri più alti, è pure vero che in assenza di un giudice istituzionalmente deputato a risolvere i conflitti tra i poteri (giustiziabilità), oppure di una precisa codifica delle procedure e dei campi di applicazione (procedimentalizzazione), il principio può funzionare come strumento d’ingerenza dei poteri gerarchicamente più alti a fronte di quelli inferiori.
In breve, la concreta attuazione del principio di sussidiarietà può favorire oppure ostacolare una governance intesa come ridefinizione in senso non gerarchico e partecipativo del policy-making europeo.
b) L’attuazione chiara del principio di sussidiarietà e l’applicazione dei criteri di necessarietà e di proporzionalità/adeguatezza possono offrire un assetto più chiaro al rapporto tra istituzioni europee e stati.
Tuttavia, col trattato di Amsterdam, il quadro normativo si è confuso ulteriormente,poiché se nella prima parte dell’allegato si mira ad attenuare l’incidenza del principio col timore che possa depotenziare il processo di accentramento politico dell’Unione, le disposizioni espresse nella seconda parte del Protocollo riportano invece al centro i limiti dell’azione comunitaria, particolarmente quando si sostiene che l’intervento della Comunità deve essere giustificato da indicatori qualitativi o quantitativi che mostrino chiaramente che l’azione autonoma degli stati membri in un dato ambito problematico non sia efficace.
c) Il principio di sussidiarietà, insieme con i criteri di necessarietà e di proporzionalità/adeguatezza, quando non identifichi esclusivamente dei criteri di riparto tra le competenze di diversi attori istituzionali organizzati secondo un governo multilivello, può costituire un effettivo principio di governo locale e non gerarchico.
In effetti, nella scia del dibattito sorto intorno al Libro bianco si è cominciato a riflettere su una diversa formulazione del principio di sussidiarietà, la cui funzione tuttavia sarebbe complementare al modello tradizionale di tipo verticale.
Nella sua versione orizzontale essa definirebbe le relazioni e i rapporti tra l’autorità pubblica europea (o statale) e la società civile variamente intesa; particolarmente nei contributi provenienti dalle organizzazioni non governative, del terzo settore, dei movimenti civili e politici, essa è individuata come uno strumento capace di limitare il deficit democratico dell’Unione.
Se la sussidiarietà verticale potrebbe garantire percorsi di performance legitimacy e di regime legitimacy, il principio nel suo senso orizzontale offrirebbe invece quella più ampia polity legitimacy che la governance europea - e particolarmente il modello emerso nel Libro bianco - non è in grado di produrre.
In tal senso, il modello che compare nel Trattato di Amsterdam sarebbe espressione di una executive subsidiarity - finalizzata quindi alla protezione delle prerogative dell’esecutivo europeo - e non di una democratic subsidiarity tesa ad offrire le più ampie garanzie verso i diritti dei cittadini (BERMANN, 1994).
Come nota de Búrca (1999: 10): «…in the EU context, the rhetoric of citizens’ rights and closeness to the citizen is regularly invoked, although what appears in the primary legal text is the executive version, with subsidiarity as a principle appearing to protect Member State powers against encroachment by the Community organs rather than to protect individual rights and interests in the making of policy».
In tal senso, la definizione di una qualche sussidiarietà democratica costituisce un’esigenza particolarmente pressante anche in relazione alla precisa affermazione della Commissione europea secondo cui il principio di sussidiarietà «has nothing to do with a ‘democratic deficit’ that has to be made good: it should not be confused with democratic control of Community action» (COM, 1998: 3).
Tuttavia, a differenza del principio di sussidiarietà verticale, la sua interpretazione orizzontale manca di una qualsiasi forma di concreta attuazione politica o giuridica rimanendo, in sostanza, un criterio orientativo senza alcuna pratica indicizzazione o implementazione.
Infine, è ancora diversa la codifica del principio di sussidiarietà attiva teso a valorizzare i percorsi di partecipazione diretta ai processi politici da parte di soggetti dalla natura istituzionale e non istituzionale (vedi: POCHET, 2001; CALAME, 2003).
Le difficoltà di attuazione del principio di sussidiarietà, anche solo nella sua variante verticale, sono molteplici e risiedono principalmente nel carattere ancora incerto del rapporto tra la sovranità statale e ordinamento politico comunitario (DE BÚRCA, 1999).
Se da un lato la sussidiarietà sembrerebbe conservare prerogative d’intervento e d’esercizio del potere politico agli stati, dall’altro lato, la sua attuazione in senso radicalmente federalistico o municipalistico sposterebbe l’equilibrio politico su un asse costituito dalle istituzioni comunitarie e dalle regioni (su questo tema vedi: COTTURRI, 2001).
È evidente come su questo tema siano in gioco la natura e l’articolazione della sovranità europea che - a partire da una governance multilivello - potrebbe prendere corpo come sovranità divisa (divided sovereignty) o come sovranità condivisa (shared sovereignty).
7. Global governance, difficoltà dello Stato-Nazione e crisi della sovranità politica
Il confronto sulla governance politica, sia quella che coinvolge gli spazi amministrativi o metropolitani, sia quella che colloca al proprio centro i nuovi modi di produrre decisione politica a livello macroregionale (UE) o globale (ONU), parte dal presupposto che le forme tradizionali del government statale siano in difficoltà.
Una condizione, questa, che non è la semplice espressione della difficoltà di gestire per via istituzionale una realtà in continuo cambiamento, ma che rimanda ad una crisi, o pretesa crisi, dello Stato-Nazione, ed alla tenuta sempre più labile dei meccanismi della sovranità politica moderna.
Così come lo spazio tradizionalmente assegnato all’amministrazione statale si assottiglia e diviene sempre più incerto, allo stesso modo quello spazio politico e territoriale sul quale si è costituita l’autorità politica statuale sembra perdere consistenza: «Globalization is reshaping the fixed and firm boundary between domestic and international spheres, and changing our conception of the proper domain of domestic and international politics and law» (JAYASURIYA, 1999: 1).
A ben guardare, il confronto ancora aperto sulle forme ed il senso della contemporanea crisi dello stato condiziona profondamente le diverse ipotesi di governance, ed è certamente utile tracciare un indice di quei fattori di difficoltà dell’autorità politica moderna che ne sono lo stimolo e il presupposto.
Non è semplice indicizzare tutti i fattori che incidono e condizionano lo stato nei suoi poteri, ed è ancora più complesso - anche se più rilevante a lungo termine - fare luce sulle ragioni profonde che risiedono alla base delle difficoltà dell’impianto giuridico-politico della sovranità.
La gran parte degli studiosi mettono oggi in evidenza come il ruolo e il potere dello StatoNazione territorialmente organizzato venga progressivamente trasformandosi, sia in relazione agli sviluppi ad esso esterni, sia in relazione alle sue intrinseche trasformazioni.
Nel suo The Retreat of State, Susan Strange ha descritto la condizione di progressiva ritirata dello stato a fronte degli sviluppi di un sistema dell’economia mondiale sempre più impersonale e autonomo (STRANGE, 1996 e 1995).
Lo stato è obbligato a disertare e sottrarsi all’esercizio del tradizionale ruolo di gestione e controllo delle dinamiche economiche internazionali poiché i mercati - e in particolar modo quello finanziario - sfuggono alla presa di soggetti organizzati territorialmente.
In ragione del fatto che gli spazi ed i tempi dell’economia non coincidono più con quelli dello stato, il rapporto tra quest’ultimo e la politica si configura come un elemento destabilizzante e di crisi della sovranità statale.
La tesi della studiosa statunitense è certamente importante, tuttavia le ragioni delle difficoltà della sovranità statale sembrano essere più complesse.
La ricerca contemporanea mette in rilievo anche altri fattori, tra i quali il potenziarsi del ruolo svolto dalle istituzioni sovranazionali che sottraggono dall’alto alla sovranità statale funzioni e poteri, ed il progressivo strutturarsi di una rete di poteri pubblici globali che costringono l’autorità statale in una maglia di rapporti e relazioni strutturate e formalizzate.
Lo stato sembra perdere autonomia decisionale (sia sul piano legislativo che su quello esecutivo) e potere d’intervento in alcuni dei campi cruciali della politica: l’economia, la moneta, la gestione delle risorse ambientali, i flussi migratori.
Certamente su altri aspetti fondanti la sovranità, quali l’integrità territoriale o il potere di dichiarare la guerra, poco sembra essere cambiato, anche se la costituzione di forze multinazionali d’intervento o la pressante intermediazione (talvolta ingerenza) d’istituzioni internazionali nei conflitti tra stati sono indici importanti dei mutamenti in atto.
Ancora, all’affermarsi di una sempre più pervasiva globalizzazione economica si accompagna lo svolgersi di una mondializzazione dei processi culturali che mette in scacco la pretesa di identità culturale che sottende il modello dello statonazione.
Arjun Appadurai ha evidenziato come si compongano spazi comunicativi ed esperienziali che attraversano i soggetti in modo trasversale e che compongono identità multiple, articolate intorno ad una dimensione spaziale globale (APPADURAI, 1996).
Di rilievo è anche la tesi del sociologo tedesco Ulrich Beck (1986: 18) che ha descritto il costituirsi di una nuova società del rischio nella quale «l’accrescimento del potere del “progresso” tecnico-economico è messo sempre più all’ombra dalla produzione dei rischi….
Essi non possono più essere circoscritti a luoghi o gruppi come avveniva nel XIX e nella prima metà del XX secolo con i rischi relativi al lavoro di fabbrica o ad un’attività professionale, e mostrano invece una tendenza alla globalizzazione checomprende produzione e riproduzione, sfugge ai confini nazionali, e in questo senso produce minacce globali sovranazionali indipendenti dall’appartenenza di classe…».
Anche solo questi pochi indici mettono in rilievo l’erosione progressiva dei poteri e della consistenza di quello che è stato definito come lo stato westfaliano.
Le variabili geopolitiche definite dalle allocazioni delle risorse energetiche, ambientali e comunicative privilegiano modelli di organizzazione economica e politica di tipo macroregionale o globale.
Gli sviluppi di un’economia mondiale sempre più globalizzata, anche grazie al ruolo crescente svolto dalle tecnologie dell’informazione e comunicative, ha completamente ridefinito gli spazi ed i tempi dell’agire politico.
In tal senso, dopo l’89 sembra essersi avviata una complessiva e accelerata redistribuzione dei poteri su scala planetaria che, da un lato, ha confermato l’affermazione di una relativa supremazia statunitense, ma che, dall’altro lato, ha pure favorito l’accelerazione del processo di unificazione europea, al pari del costituirsi di altre rilevanti aree geopolitiche relativamente autonome.
A questi fattori di erosione del modello di sovranità statale territoriale legati alla globalizzazione economica ed alla mondializzazione dei rapporti sociali, politici, culturali, si affiancano i processi diversi - ma complementari - dello svuotamento di poteri dello stato, sia per l’affermazione di processi di governance amministrativa, sia per l’erosione dei suoi poteri verso il basso a favore di regioni, autorità locali e municipalità.
Il progressivo policentrismo dell’ordinamento statale, l’affermarsi di poteri pubblici non statali, la crisi del welfare state sono fattori che sottraggono poteri e funzioni cruciali alla tenuta del tradizionale modello giuridicopolitico della sovranità.
Non ultime le difficoltà di quelle procedure di governo rappresentativo su cui poggia l’architettura complessiva della cittadinanza politica nelle contemporanee democrazie rappresentative.
Come sintetizza efficacemente Kanishka Jayasuriya, «the concept of the sovereign state as an entity that has exclusive jurisdiction over its territory (with the concomitant limitation on external enchroachment on its power), as well as the notion of an internal sovereignty reflected in the internal unity of the State and its “monistic” legal order, need rethinking» (JAYASURIYA, 1999: 1).
Il moltiplicarsi degli organismi e dei poteri internazionali strutturati secondo multiple loyalties, la condizione di profonda ambiguità nell’assetto dei poteri e delle autorità politiche, il ruolo crescente svolto da élites transnazionali, il crollo della centralità del fattore spaziale nella costruzione dei poteri pubblici: tutti questi fenomeni hanno spinto alcuni critici ad interpretare la nuova organizzazione mondiale dei poteri come un processo di rifeudalizzazione (CERNY, 1998; MINC, 1993; RUGGIE, 1993; KOBRIN, 1999).
Con quest’analogia si vuole in particolare mettere in evidenza la rete sempre più fitta dei rapporti tra poteri diversi, non sempre gerarchicamente ordinati, che favoriscono lealtà multiple e dipendenze reciproche.
Il sistema internazionale degli statinazione, nato con la pace di Westfalia, sarebbe messo definitivamente in crisi dall’emergere di una pluralità di attori diversi che fondano la propria presenza sulla scena globale a partire da presupposti diversi da quelli che caratterizzavano la politica estera dei tradizionali poteri sovrani.
Peraltro, questa condizione corrisponderebbe ad una parallela balcanizzazione degli esecutivi degli stati dovuta al moltiplicarsi di agenzie, authorities e poteri locali.
Fenomeno, quest’ultimo, da intendersi come la progressiva moltiplicazione nelle strutture di governo di A.A.I.
dotate di funzioni legislative ed esecutive autonome (o relativamente autonome).
Da un simile panorama emergono almeno tre differenti ipotesi relative alla condizione dello stato.
Una prima ipotesi è relativa al suo progressivo declino e arretramento, in ragione dell’incapacità a reagire ai mutamenti intervenuti a causa della globalizzazione economicofinanziaria.
In atto ci sarebbe un percorso di vera e propria dissoluzione dello stato (prospettiva costruzionista) a favore di attori nuovi (CAPORASO, 2000; CAMILLERI / FALK, 1992).
Una seconda ipotesi, che trova un maggiore consenso nel dibattito scientifico, è quella secondo cui lo stato attraverserebbe una fase di erosione dei suoi poteri, assorbiti e sottratti da spinte regionalizzanti o macroregionali.
L’autorità statale si avvia a diventare un potere intermedio in una nuova scala di autorità pubbliche assumendo ruoli e funzioni diverse (STRANGE, 1996; ROSENAU, 1992; CASSESE, 1999; KUDRLE, 1999; KAHLER / LAKE, 2003; NYE / DONHAUE).
Infine, altri autori sostengono che le difficoltà dello stato - quando non siano meramente congiunturali - non sono indicative di unprocesso di decadimento dell’autorità politica statale, ma del suo adattarsi ad un contesto nuovo (KRASNER, 1999; per una interpretazione critica: BORDIEU, 1998).
Lo stato si starebbe ri-articolando per affrontare con strumenti nuovi i processi di globalizzazione e di accelerazione dei mutamenti intervenuti attraverso le nuove tecnologie comunicative (CERNY, 1999; MAJONE / LA SPINA, 2000).
Peraltro, le linee essenziali di questo sviluppo sembrano seguire l’immagine tradizionale dello stato minimo, ed effettivamente i fautori di questo modello tendono ad interpretare la globalizzazione economica come la variabile indipendente di un processo complesso nel quale le scelte dell’autorità pubblica si configurano, invece, come variabile dipendente.
Tutti questi temi si accompagnano al dibattito crescente sul deficit democratico che caratterizza sia gli ordinamenti internazionali, sia i processi di ridefinizione del policy-making a livello locale, regionale, nazionale e internazionale.
Come ha messo in luce Ralph Dahrendorf, la crisi della democrazia oggi è in gran parte «una crisi di controllo e legittimità di fronte ai nuovi sviluppi economici e politici» (DAHRENDORF, 2001: 7).
Questa crisi vede strettamente connessi due momenti diversi: in primo luogo quello della ristrutturazione dell’ordinamento giuridico-politico della sovranità nazionale a fronte dei processi di mondializzazione economico-finanziaria e di globalizzazione culturale e politica; in secondo luogo, il riassetto a livello planetario dei poteri in particolare attraverso la costruzione di organismi sovranazionali dal carattere non rappresentativo (WTO, G8, IMF, Nato, World Bank...).
Lo stesso Dahrendorf ritiene che esista un collegamento diretto tra la crisi della democrazia e quella degli Stati-Nazione.
Questo aspetto del contemporaneo confronto politico è di rilevante importanza per comprendere le ragioni e le critiche ai contemporanei modelli di governance politica.
Infatti, le contemporanee ipotesi sulla governance partono dal presupposto che le tradizionali procedure del governo rappresentativo non consentono un’efficace partecipazione alla presa di decisione pubblica della società civile; pertanto, attraverso i meccanismi diversi del partenariato, della negoziazione, delle reti di networks o delle consultazioni allargate si ritiene di poter recuperare una partecipazione qualificata alla politica.
Per altri versi, l’allargarsi di queste procedure, con il moltiplicarsi del numero e della natura degli attori e lo spostamento della presa di decisione pubblica in contesti diversi da quelli istituzionalmente codificati, rende sempre più difficile la comprensione e la partecipazione del singolo cittadino.
La natura collettiva degli attori e degli interessi che emergono nei nuovi processi decisionali sottrae spazio e terreno all’individuo portatore di diritti su cui si basa il moderno governo rappresentativo.
Le molteplici e spesso differenti articolazioni della governance globale si pongono come obiettivo quello di offrire una risposta efficace ai problemi della convivenza planetaria, senza utilizzare i moduli tradizionali della politica interstatale.
In effetti, sul piano della politica mondiale vige un regime di rapporti nel quale l’unica organizzazione planetaria - l’Organizzazione delle Nazioni Unite - non sembra esercitare alcun effettivo potere coercitivo.
Peraltro, la sovranità statale si mostra incapace nell’affrontare le sfide e i rischi della globalizzazione e della mondializzazione.
Pertanto, la governance globale si presenta come la trasposizione su di un piano politico nuovo dei temi e dei problemi posti della globalizzazione economica e dalla mondializzazione sociale e culturale.
La global governance rappresenta in primo luogo il tentativo di identificare sullo scenario planetario attori diversi dagli stati.
In secondo luogo, essa vuole proporre rapporti politici ed economici non organizzati (o non esclusivamente organizzati) intorno ai tradizionali moduli delle relazioni interstatali che possano contribuire al benessere ed allo sviluppo complessivo del pianeta.
Infine, essa rappresenta una nuova definizione della misura e dei rapporti tra i poteri su scala planetaria.
In tal senso, la definizione di governance offerta da James Rosenau mette proprio in evidenza come essa presupponga la costruzione di un ordine globale centrato sull’operato intenzionale di attori molteplici: «governance and order are clearly interactive phenomena.
As intentional activities designed to regularize the arrangements which sustain world affairs, governance obviusly shapes the nature of the prevailing global order.
It could not do so, however, if the patterns constituting the order did not facilitate governance» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 8).
Essi utilizzano modalità diverse e non conflittuali di rapporto e cooperazione per raggiungere finicomuni non specifici, ed in tal senso rappresentano un piano sostanzialmente diverso da quello degli international regimes.
Peraltro, il momento dell’intenzionalità sottolinea come nei rapporti di governance l’aspetto prescrittivo - l’uso in sostanza della forza sanzionatoria propria dello stato - sia esclusivamente una variabile contestuale.
Sul piano critico, le osservazioni di Rosenau sono certamente utili e ci permettono di evidenziare come il concetto di ordine che sottende l’idea di una governance globale esprima sia una tensione analitica, sia una tensione normativa.
Da un lato, essa rappresenta una categoria per la descrizione dei tratti di governo globale propri dei processi di globalizzazione o di mondializzazione, dall’altro essa è utilizzata per proporre buone pratiche (good governance).
In particolare, è a partire da questo secondo aspetto che si possono tracciare le differenze più significative tra modelli differenti di governance che, se trovano nei tre aspetti segnalati in precedenza i loro tratti unificanti, sul piano del dibattito e dell’intervento politico propongono soluzioni sensibilmente diverse.
La buona governance che emerge dallo Human Development Report 2002 curato dalle Nazioni Unite è centrata su alcuni indicatori (benchmarks) attraverso i quali quantificare il grado di sviluppo economico, politico e civile dei diversi stati.
Tra essi vi sono indicatori per la quantificazione della corruzione, delle tensioni etniche, della qualità amministrativa, dell’accountability democratica, della stabilità governativa, delle condizioni socioeconomiche generali.
A questi indicatori propri di una governance politica se ne affiancano altri, relativi a quelle economica e civica: se per la prima troviamo l’inflazione, il deficit pubblico, l’incidenza sul prodotto interno lordo delle spese per l’educazione e la sanità, per la governance civica gli indicatori sarebbero rappresentati dalla libertà d’espressione, dalla non-discriminazione, dalla partecipazione politica, dall’effettività del rule of law 1 .
Profondamente diverso, invece, è l’approccio di realtà più vicine al mondo dell’associazionismo, delle NGOs e dei movimenti civili e politici per le quali un compiuto discorso sulla buona governance rappresenta innanzitutto un discorso sui nuovi diritti di globalizzazione e su di una cittadinanza mondiale (FONDATION CHARLES LEOPOLD MAYER, 2001; CALAME, 2003; FALK, 1994, 1999).
Se appare problematica l’affermazione di attori politici con una dimensione mondiale capaci di farsi promotori di processi di integrazione e sviluppo comune e coordinato a livello planetario, è tuttavia importante che in contesti come questi si cerchi di armonizzare i percorsi della governance globale ai diritti e ai doveri di attori collettivi ma anche individuali.
Certamente, i tradizionali appelli all’ONU si scontrano con la realtà interstatali che non permetteno l’attribuzione di un ruolo centrale né alle Nazioni Unite e neppure ad una tanto vagheggiata, quanto inesistente, comunità internazionale.
Peraltro, l’affermazione della centralità dei diritti umani - quando non si accompagni ad una loro riformulazione e ad un’attenzione ai percorsi della partecipazione politica e della legittimità democratica - rischia di scivolare nella giustificazione dei moderni conflitti e nell’astratta tutela di diritti non fruibili; oltre a costituire uno strumento di controllo più che di effettiva liberazione.
8. Brevi considerazioni conclusive sulla governance politica
I temi e i problemi che compongono ciò che si usa codificare con il termine governance sono complessi e diversificati.
Tuttavia, è forse possibile individuare alcune linee tematiche e concettuali attraverso le quali caratterizzare e accomunare l’emergere di diversi discorsi in un ambito politico.
Se lo scopo di questo contributo è stato quello di mettere in evidenza i principali percorsi tematici di alcuni tra i contemporanei usi della governance, è tuttavia importante segnalare alcuni snodi - di particolare rilievo per la teoria politica - che emergono da questi percorsi.
In tal senso, interpretazioni della governance che attribuiscono a questa categoria ogni forma di organizzazione dell’azione collettiva, e che quindi non hanno ad esplicito riferimento quelle nuove forme politiche che affiancano o sostituiscono il tradizionale governo, non sono l’oggetto di queste riflessioni; riflessioni, peraltro, che valgono esclusivamente come indici di una ricerca appena avviata.
1 È forse indicativo delle contraddizioni di un metodo quantitativo il fatto che nel report delle Nazioni Unite Israele mostri un coefficiente di human development più alto di stati come il Portogallo e la Grecia.In primo luogo, l’apparente confusione tra i diversi contesti semantici ed i molteplici livelli operativi e d’intervento che segnano le contemporanee teorie della governance non è la semplice espressione di un lavoro ancora in fieri della comunità scientifica oppure il frutto di una vulgata massmediatica: piuttosto, ci sembra costituisca un tratto essenziale di una modalità di organizzazione politica che si caratterizza proprio per la trasversalità nei livelli d’intervento (locale, nazionale, internazionale), per la multiformità dei moduli operativi e dei saperi esperti che ne codificano l’intervento, per la pluralità degli attori.
Il rapporto stretto tra la governance e l’economia di mercato, con la centralità riferita ai momenti diversi della definizione degli obiettivi e degli attori, struttura il legame tra la governance economica e quella politica.
Valgano le osservazioni della sezione di questo lavoro dedicate alla governance corporata per mostrare come anche in ambito politico la definizione degli stakeholders costituisca un criterio cruciale.
La governance nasce in un contesto pluralistico nel quale gli attori interagiscono attraverso una razionalità che consiste innanzitutto nella relazione tra costi e benefici.
Similmente stretto è il rapporto con i piani diversi dell’amministrazione, del governo locale, del governo nazionale o sovranazionale, della globalizzazione economica.
La governance mostra quanto ogni livello sia sistematicamente interrelato con tutti gli altri; l’incontro tra le tecniche e i saperi che guidano l’intervento in ognuno di essi deve incontrare quelli provenienti dagli altri livelli.
Per fare un semplice esempio, i progetti di riforma e riassetto urbano sono strutturati intorno alla relazione tra attori e problemi locali, regionali e macroregionali.
In secondo luogo, la governance è un modello di conflict resolution tra attori portatori di interessi potenzialmente conflittuali; essa rappresenta un insieme di dispositivi di problem solving e di governo del conflitto.
In tal senso, ricondurla al panorama delle diverse teorie della conduzione politica (steering) permette di indicare come - al di là delle reti di co-decisione e della molteplicità degli attori - sia sempre possibile individuare un luogo di direzione politica.
Similmente, lo studioso Paul C.
Schmitter ha rilevato come dietro le politiche di governance ci sia sempre presente the shadow of the state, l’ombra dello stato a garanzia dell’esercizio di un potere coercitivo 2 .
Ci sembra utile, in tal senso, l’indicazione di B.
Guy Peters secondo la quale se intendiamo i processi di globalizzazione come la variabile indipendente, la governance è allora la variabile dipendente; le istituzioni - di qualunque natura - costituiscono invece quella interveniente (PETERS, 1998; PETERS / PIERRE, 2000a e 2000b).
Come abbiamo visto in precedenza, la definizione della Commission on Global Governance è da questo punto di vista indicativa: la governance è descritta come un processo di composizione d’interessi differenti e conflittuali che si pone l’obiettivo di definire pratiche cooperative e interessi comuni.
In un simile contesto, la composizione del conflitto non è la ricerca di un accordo sulla politica da seguire, piuttosto essa è la definizione di obiettivi specifici (setting goals) e degli strumenti più idonei al loro raggiungimento.
Attraverso questa pratica di basso profilo si ritiene di poter indirizzare e neutralizzare il conflitto politico.
Abbiamo visto come nell’UE, a partire dal Libro bianco, ma anche intorno ad una serie diversa di documenti e temi relativi alla comitology, all’OMC e alla sussidiarietà, si tenti di dare una risposta alla natura altamente conflittuale delle istituzioni e degli attori che la compongono: i rapporti difficili tra stati membri e istituzioni europee, quello altrettanto complesso tra potere esecutivo e potere legislativo, quello tra governi locale, nazionale ed europeo, infine la sfiducia e la distanza più volte segnalata dai popoli d’Europa.
Tutte queste linee di frattura richiedono un intervento che i tradizionali moduli della politica interstatale, del governo rappresentativo e dell’organizzazione gerarchica non sono capaci di offrire; e ciò a fronte della particolarissima sfida posta dal processo di unificazione politica.
È forse questo il senso di quella che viene comunemente descritta come governance multilivello.
La sussidiarietà, particolarmente per il panorama europeo, rappresenta lo snodo dell’articolazione dei poteri e dei conflitti nei diversi contesti.
Importante, in tal senso, è l’osservazione di Gráinne De Búrca sulla sussidiarietà europea secondo cui essa «can also be more 2 In una comunicazione orale tenuta a Napoli il 4 maggio 2004 per il dottorato di Analisi e Interpretazione della Società Europea, Dipartimento di Discipline Storiche “E. Lepore”.
Egli sottolinea pure come a quella dello stato si affianca quella del mercato; entrambe fungono da precondizioni della governance.broadly understood as part of a language which attempts to rearticulate and to mediate, albeit within this particular geographical and political context, some fundamental questions of political authority, government and governance which arise in an increasingly and interdependent world» (DE BÚRCA, 1999: 3).
Ancora, Jachtenfuchs (2001: 246) sottolinea come la governance rappresenti «the intentional regulation of social relationships and the underlying conflicts by reliable and durable means and institution, instead of the direct use of power and violence».
Essa non elimina, ma ritraduce la forza e la violenza attraverso i propri dispositivi particolari.
Non è un caso che per alcuni studiosi il rapporto tra conflitti e governance sia ancora più profondo; Ernest-Otto Czempiel, in particolare, sottolinea che i conflitti nella moderna società industriale rappresentano un complesso sistema di organizzazione sociale: «Conflicts between industrialized societies should be understood as highly complex system of governance» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 270).
Se ciò è vero, i conflitti si configurano come una dimensione ineliminabile di quella che è comunemente definita globalizzazione.
Scrive ancora lo studioso che «to understand modern conflicts as systems of governance is to grasp the growing importance of societies and the degree of interdependence between them» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 270).
Secondo questo modello i conflitti sono parte ed espressione naturale di una governance globale.
Parallelamente, il percorso di democratizzazione liberale che è il motore di questo processo attribuisce una nuova centralità all’individuo, rendendolo oggetto del sistema internazionale: «Understanding international systems as systems of governance also leads to the insight that the object (and subject) of foreign policy is not the state but the individual.
While strategy of deterrence and neo-realism neglected the individual, the strategy of democratization, and liberal theory, center around it» (ROSENAU / CZEMPIEL, 1992: 271).
Czempiel coglie un punto importante quando sottolinea che l’individuo è l’oggetto della politica estera rappresentata dalla governance liberale e democratica.
L’importanza di quest’aspetto appare evidente nei termini in cui gli attori dei diversi sistemi di governance sono corpi collettivi e gruppi: corporazioni, ONG, associazioni, governi, assemblee, istituti.
La buona governance si presenta agli individui sui quali interviene come uno strumento di miglioramento della loro condizione, pur non lasciando loro alcuno spazio significativo d’intervento e di azione.
Il percorso di depotenziamento dei moduli tradizionali della sovranità politica apre sicuramente a sviluppi innovativi; tuttavia, la permanenza della centralità negli attuali sistemi politici democratici dell’individuo portatori di diritti universali - in un contesto nel quale i meccanismi di garanzia e tutela di questi diritti risultano progressivamente indeboliti - non può che suscitare forti contraddizioni.
Se è vero che la governance è «explicitly concerned with the regulation of all “social relationship”, including those ‘private’ social and economic actors» (WALKER, 2001) si può forse sostenere che l’individuo è prevalentemente un oggetto di discorso e d’intervento, e non certo il soggetto di politiche nuove.
In tal senso, appaiono rilevanti le notazioni di Eriksen sulla domestication che la definizione di una buona governance opera sulla società nel suo complesso, quasi a riproporre un modello di contemporaneo disciplinamento.
Altre importanti indicazioni su quest’aspetto provengono da studiosi che mettono in evidenza la relazione stretta tra le contemporanee pratiche di governance e quanto il filosofo francese Michael Foucault ha definito come governamentalità (DOUGLAS, 1999; WOLF, 2000; e Borrelli nella presente raccolta).
In terzo luogo, su un piano diverso e più strettamente legato all’esercizio del potere politico, uno degli aspetti più significativi della governance è il suo rappresentare un insieme di processi di ristrutturazione del potere fortemente centrati sull’esecutivo, e che pongono al centro dei propri percorsi i corpi e gli interessi collettivi.
Il depotenziamento dei dispositivi dell’obbligazione politica determinato dalla output legitimacy e la centralità che assume il momento dell’attuazione delle politiche comportano l’accrescimento della discrezionalità nell’operato politico.
Lo spostamento progressivo da un operato legato alla politics verso il primato della policy segna il profondo mutamento del termine stesso di politico che assume vesti nuove legate alla volontarietà delle consultazioni, all’operato dei saperi esperti, al ruolo primario delle gerarchie informali e della base economica e finanziaria.
Il rischio costante di una governance dei comitati, degli esperti, deivoluntary agreement o delle consultazioni informali è dato della negoziazione occulta tra interessi e poteri forti.
In sostanza, è quella governance postparlamentare dagli esiti profondamente elitistici che emergeva come esito possibile del percorso europeo.
Si potrebbe argomentare, e in modo forse paradossale, che in un contesto simile è la partecipazione ai processi di governance a garantire la cittadinanza e la legittimità del ruolo di ogni attore; nel contempo, tuttavia, i canali della partecipazione e gli spazi di agibilità politica si restringono per tutti quegli attori i cui interessi non trovino un’adeguata rappresentazione collettiva.
Le difficoltà profonde dello Stato-Nazione e delle organizzazioni politiche democratico - rappresentative sono innegabili.
Che la governance, variamente intesa o applicata, possa rappresentare uno strumento realmente innovativo e capace di allargare gli spazi di partecipazione politica è probabilmente un giudizio prematuro.
E ciò è tanto più vero se si considera che i rischi di un esito neo-oligarchico e tecnocratico di questa nuova saggezza conservativa restano alti 3 .
Il misconoscimento del carattere politico e conflittuale della governance e l’illusione di poter fare completamente a meno del piano della tradizionale legittimità democratica per via rappresentativa rischiano di renderla lo strumento di interessi forti.
E non vi è semplicemente da tener conto dell’esigenza di strutturare un corretto equilibrio tra partecipazione politica ed efficienza per rendere la governance una buona governance.
Importante è anche porre al centro di questi nuovi processi il singolo, prima ancora che gli interessi strutturati; non il soggetto astratto della modernità politica, che nei meccanismi sperimentati della rappresentanza politica ha trovato nel bene e nel male i percorsi del proprio sviluppo.
E neppure il soggetto razionale del mercato la cui realtà resta parziale e profondamente conflittuale (BORRELLI, 2001).
Se del primo la governance vuole esplicitamente fare a meno, poiché l’architettura dei poteri che lo costituiscono e che ne offrono la realizzazione - quel panorama insomma ancora oggi offerto dalla sovranità - appare un fattore frenante più che un termine d’innovazione, il secondo resta un modello possibile.
Modello, tuttavia, che taglia la complessità e multiformità della vita associata sull’unico aspetto dell’uomo economico.
È da una diversa attenzione alla complessità dei singoli, ed a partire dai loro contesti di vita, che è forse possibile tentare di definire una più compiuta partecipazione politica e civile.
A partire da qui, ogni sperimentazione e percorso d’innovazione delle istituzioni sociali e politiche sarebbe forse possibile.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Ermanno Faccio
2050
Fuga dall’italia
pag. 1! - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman
2050 Fuga dall’Italia
Critica dei fatti della storia economica contemporanea commentata, con appendici, documenti e considerazioni relative al “post colonialismo commerciale e bancario” e degli effetti sociali federali generati dalle “iniquità della moneta unica” imposte dalla Commissione Europea per agevolare gli incontenibili quanto inutili fini egemonici teutonici, durante il primo ventennio del secondo millennio a.c.
A Roberta
INDICE
pag. 2! - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
Astratto 10 Premessa 11 Appendice 14 Premessa all’appendice 14
Vittime invisibili ma reali! 42
Risposta al Cardinal Bagnasco. 45
Casa dolce casa 46
Giovani traditi dagli errori- orrori del monetarismo 46
I giovani allo sbando 47
Le giovani coppie dopo lo stop dei mutui 47
Nuove fabbriche e nuovi sindaci 49
L’inviolabilità bancaria 51
Illuminati germanici 53
“DIE” ovvero l’Istituto di sviluppo economico Tedesco
53
Dipartimento della Governance Globale 53
Progetti in corso 54
Dipartimento "Competitività e lo Sviluppo Sociale" 55
Progetti allora in corso 56 Modello di Klein-Monti 57
Indice del modello Klein- Monti 57
Ipotesi del modello Klein- Monti 57
Esposizione del modello Klein- Monti 58
@DonErman Conclusioni del modello
Klein- Monti 61
Critiche al modello Klein- Monti 62
Bibliografia del modello Klein- Monti 62
Considerazioni sul modello di Klein-Monti 63
Le soluzioni anticrisi 64
Il modello economico matematico della manovra di un paese 64
Agire sulla quantità di moneta immessa 64
Agire sulla leva della spesa pubblica 66
Agire sui tassi di interesse bancari66
Agire su aliquote fiscali proporzionali 66
Agire sulla spesa pubblica 67
Agenzie di Rating inaffidabili? 68
Matematici globali erronei 68
Ma la Credibilità Americana e le sue Agenzie di S-rating sui Lybor CHE DICONO ? 68
Come viene determinato il tasso di interesse? 69
Agire sulle leve della manovra 75
Economia e diritto 75
Modello matematico di politica economica 75
Global praecis 81
pag. 3! - di 2! 21
Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
L’abominio della svalutazione selvaggia del valore di un bene
84
Il deprezzamento dei beni per asta giudiziaria84
L’assenza dei giurati di ogni classe e rango sociale dalle
sezioni giudicanti dei tribunali 85
Alcune recenti sentenze pubbliche da alcuni assistite o subite risultavano palesemente inique 85
sistema statale della giustizia85
La casta illuminata 89 Tratto dal sito mistic.it 89
Il malfunzionamento e il sovranumero della superclasse dei giustizialisti 93
Le politiche delle immigrazioni 95
Doppio papato straniero uguale a doppia immigrazione indesiderata 95
Perché prima un papa Polacco e poi un papa Tedesco hanno coinciso con l’aumento delle immigrazioni? 95
Reazioni al crollo borsistico del 11 agosto 2011 96
Il commento web del 12 agosto 2011 96
Grecia non era un caso speciale 96
I timori debito raggiungere il nucleo 97
Il EFSF è stato progettato per una crisi periferica 98
Pericoli di applicare la soluzione periferia al centro
98
Come questa guida i mercati 99
La banca-governo-debito trappola 99
Cosa deve essere fatto100
Il contro commento del 12 agosto 2011 102
Nuove proposte da due commentatori che porta sulla crisi dell'euro: perché signori così tardi? 102
La riforma elettorale: confusione pilotata 106
Un possibile programma di riforme 112
Giustizia, riscossione e forze pubbliche 131
Crea un movimento 133
Revisione dei concetti economici errati, diffusi tra le credenze popolari e degli esperti aziendali. 137
Un falso proverbio 137
I derivati, un puro gioco d’azzardo 139
Guida per il nuovo giovane cittadino 141
Report storico degli anni 2008-2013 143
Lehman Brothers, icona di Wall Street, inghiottita dalla più grande bancarotta della storia. 143
I dati della allora situazione reale 145
Pil dei 150 Paesi a confronto145
pag. 4! - di 2! 21
Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
I nuovi valori per i clienti e la nuova parola d'ordine: "sobrietà" 149
Al servizio del cliente 151
La risorsa dei consumatori emergenti 153
L’alterazione degli equilibri di potere nella catena del valore e i nuovi concorrenti 156
Nuovo panorama competitivo 157
Nuove regole 157 Volatilità cronica 158 Accelerazioni degli asset 159
Investire in ricerca 161 Prospettive di crescita 162 Centri di eccellenza 163
Migliore gestione del rischio 164
Nuovi modelli di business 165
La ricerca di nuovi boom
@DonErman
LA BOMBA NANOTECH
175
Recessione e perdita di talenti 169
Il caso Aldi 171
Proiezione di 8 tipi di probabili crisi mondiali future 173
LE GRANDI MIGRAZIONI173 LA CRISI DEL PETROLIO174 LA FINE DEI GIORNALI 174
L'APOCALISSE CLIMATICA 175
167
IL CRACK DELL'OCCIDENTE 176
LA FINE DELLE RISORSE176
IL RITORNO AL BARATTO 177
Le esplosioni nucleari nel mondo 178
ll primo test nucleare 178
La bomba che viene fatta esplodere è al plutonio 178
L'esplosione 179 DETTAGLI ESPLOSIONI 181
Il QUINTO POTERE PERSISTE 191
Con le seguenti integrazioni in corsivo... 191
I FALLIMENTI BANCARI 193
Il più grande fallimento della storia. 193
FOTOGRAFIA DELLA SITUAZIONE VALUTARIA 2010 195
Cronaca delle 15.56 04/01/2010 195
Indici della Crescita valutaria internazionale 196
Delazioni sulla governance itnernazionale 199
Il “Monetarismo” bancario199
TASSE E DEBITO PUBBLICO 210
LIBERTA’ D’INFORMAZIONE E MANIPOLAZIONE DEL POTERE 211
pag. 5! - di 2! 21
Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
Clinton attended. 212
AFORISMI SULL’UMANITA’ 212
SCIENZA E SOCIETA’
Il Manifesto del partito comunista 215
Il Manifesto del partito comunista 215
Paternità 216 Storia testuale 217 Contenuto 218 Introduzione 218 I borghesi e proletari 218 II. Dei Proletari e dei
comunisti 220
III. Letteratura socialista e comunista 222
IV. Posizione dei comunisti in relazione con l'vari partiti di opposizione 223
La successiva accoglienza
223
La scala mobile è un concetto geniale 225
Una società deprecabile e depravata 227
Perché i Cinesi saranno sempre vincenti 230
Cosa fare 230
Esportare innanzitutto il nostro diritto del lavoro in Cina 230
Mantenere i giovani cervelli in Italia 232
Soluzioni per l’economia sociale 235
Decimare le aliquote e gli interessi 235
@DonErman
A - Lotta aell’Evasione
235 B - Soluzione della Crisi 235
Per fare questo serve 235
Agire sulle leve della manovra 237
Economia e diritto 237
Modello matematico di politica economica 237
CLASSIFCA DEI PRINCIPALI PIL MONDIALI 2010 243
Pedagogia sociale 244
Pragmatismo-Strumentalismo 249
Classifica debiti dei principali paesi 263
Rieducare alla famiglia creatrice del patrimonio, del matrimonio o dell’unione di fatto 267
Apologia tribale 267 Crescita sociale e civile 269
Famiglie o convenienze amorali? 272
Sviluppare agricoltura ed energia 275
Le vere ricchezze di un paese 275
Energia e agricoltura 276 Cura del territorio 280 Tipo di Energia 282 Ritorno dell’investimento
energetico 287 Ecologia energetica 290 Agri energia 292 Bibliografia Agri energetica293
213
pag. 6! - di 2! 21
Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
Espropriare le scommesse per pareggiare il costo previdenziale 295
La super classe dei managers 296
<<<<<<<<<
2020 Fuga dall’Italia
@DonErman
Alta classe sociale dei manager
296
Consulenti e managers
298
“Neither beast Nor Man” il mostro Normanno, dopo secoli di letargo riviveva i suoi istinti primordiali minacciando il suo stesso progetto europeo terrorizzando ancora i vicini latini, come ai tempi dell’impero romano
Le ambiguità Franco Alemanne spingevano i paesi del sud Europa verso l’ipotesi dell’alleanza strategica per la coniazione di una doppia moneta europea
Rassegna di fatti di storia economica contemporanea commentata, con appendici, documenti e considerazioni critiche del cosiddetto “post colonialismo commerciale e bancario” e dei suoi effetti sociali dettati dalle “ritorsioni monetaristiche strumentali” adottate dai tedeschi per i propri fini egemonici nel primo ventennio del secondo millennio d.c.
Astratto
“La conoscenza della storia è l’unica possibilità per un giovane individuo per collaborare con la propria collettività positivamente, onde porre nuove condizioni sistematiche atte ad evitare quelli che palesemente si sono rivelati difetti di funzionamento sociale generati da errori specifici, individuali o collettivi” - E.F.
“Si tende sempre a ragionare con il senno di poi. Pertanto, in caso di urgenza, è meglio scrivere un trattato in tempo passato” - E.F.
“Il racconto di fatti storici passati, è più proficuo per il lettore, il quale li studia più obiettivamente proprio poiché appare che siano già accaduti ” - E.F.
Questa raccolta racconta in tempo passato il quadro riassuntivo che uno storico potrebbe fare nell’anno 2020
( ma la sto scrivendo nel 2010 )
La raccolta di appendici commentate vuole costituire il supporto di dati di riferimento sui quali si basa l’analisi restrospettiva ivi narrata
Le osservazioni contenute sono riferite ad una più vasta teoria ipotetica della configurazione storica generale dell’epoca moderna
Premessa
“Herman fabulae huic ponit historiam observationes fecit vitae posteritatis”
pag. 7! - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Fatto delle osservazioni della vita, dà la storia di questo racconto dai
posteri Herman - E.F.
Il presente lavoro è dedicato a chi vuole comprendere con occhi da osservatore semplice, non tecnico, i fatti e le conseguenze derivate dagli effetti della governance globale decisa dalla casta illuminata.
“In un epoca di menzogne universali, dire la verità è un atto rivoluzionario”
George Orwell
“Sono incazzato nero e domani tutto questo non lo sopporterò più”
Famosa frase tratta dal film “Quinto potere” (Network)del1976 diretto da Sidney Lumet
Questo libro, naturalmente, farebbe bene a leggerlo anche un ministro dell’economia di un paese, ed anche tutti gli esponenti politici, uomini e donne, che continuano a ripetere a pappagallo, “che dobbiamo crescere” perché lo hanno sentito in qualche lezione universitaria di qualche invasato dal monetarismo, o lo hanno acquisito come luogo comune dai mass-media.
In questo racconto-trattato si vuole dimostrare che non sono assolutamente salutari per il pianeta i seguenti modelli:
Modello economico della crescita frenetica tut-cour in tutti i paesi del globo
Il monetarismo impone alle banche di acquisire valori crescenti solo per poter raggiungere annualmente la propria autoliquidazione di bilancio. Le filiali bancarie, così eleganti, informatizzate, sorvegliate e moltiplicate a sproposito, sono una palese sicura perdita di bilancio perché il loro R.O.A., incassando i miseri interessi imposti dal monetarismo mondiale, li farebbe fallire istantaneamente. Ecco che quindi ogni banca di dota di un servizio di investimento basato sugli scambi borsistici, ovvero un sistema di scommesse come sisal o lottomatica, con cui proporre “prodotti” ai propri clienti.
Questi “prodotti”, essendo sostanzialmente delle scommesse, possono produrre frutti oppure possono produrre perdite.
Vi sembra giusto avere una legge che vieti i giochi di azzardo, e poi ammettere che le banche propongano prodotti borsistici che altro non sono che giochi di azzardo planetari?
Ma ecco che gli psicologi sociali entrano in scena a giustificazione delle male azioni monetaristiche globali affermando:” Ma al consumatore piace giocare-- è lui che vuole giocare!...”
Dove sono finite le religioni, i codici biblici, ebraici, arabi, musulmani, salomonici e Aristotelici tutti che deprecavano la speculazione sui mezzi di scambio? Nessuno se li ricorda più? Abbiamo dato via libera alla perversione sociale del modello romano “Panem et circenses?” Siamo d’accordo che le generazioni future ereditino un simile paese dei balocchi e delle gozzoviglie, mentre i colleghi esteri che abbiamo fatto
pag. 8! - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman
entrare nei nostri paesi ce li stanno silenziosamente conquistando
lavorando 24/24 7/7, mentre i nostri politici predicano “la crescita”?
Una banca deve guadagnare solo i propri stipendi e mai i muri dei propri clienti.
Il numero di banche e di avvocati in una località deve essere limitato per legge costituzionale.
Se a Francoforte è piaciuto il film di Totò ove stampavano soldi, deve ricordarsi che alla fine si sono dovuti fermare per forza.
Si ridimensionino i monetaristi di Francoforte, perché la loro smania di guadagno non deve costare simili effetto disastrosi per l’umanità globale.
Se per crescere si aumenta l’immigrazione e si ricorre ai mercati emergenti, non si fa che favorire questi ultimi, facendo morire i propri lavoratori il proprio mercato storico.
Se invece si vuole competere veramente con i mercati emergenti, bisogna trattenere i nostri giovani cervelli, ( che sono i migliori del mondo) ridimensionando l’inutile baronismo universitario italiano, e bisogna subito porre in cima alla scala sociale la classe imprenditoriale autoctona.
Se si vuole sanificare un paese bisogna eliminare i politici concussi e che accettano di essere corrotti dagli ingenti versamenti che entrano nelle loro casse ad opera delle multinazionali commerciali, che invadono il territorio di ogni comune uccidendo il mercato locale.
Se si vuole sanificare un’economia bisogna eliminare il tributarismo pazzo, il fiscalismo delirante, il sanzionismo folle, e il giustizialismo assassino. Una tassa sui rifiuti deve essere pagata per persona e non per metro quadrato, Un’azienda non deve essere obbligata a pagare il 142 per cento del propri reddito, Una sanzione non deve mai superare il dieci percento dell’importo originario, e un organo di giustizia non può ammettere che in una qualsiasi sentenza il costo complessivo di giudici, avvocati e periti gravi complessivamente per più del 50% dell’importo capitale.
Modello di vita stressata per i cittadini che tale precedente schema politico impone ai popoli e ai politici stessi
Ogni cittadino è importante soprattutto perché è un essere umano.
Il modello con crescita obbligaoria, e lavoro precario si è rivelato la realizzazione più destabilizzante della storia moderna.
Se questo modello è stato adottato a causa dell’eccessivo vampirismo dei sindacati verso la classe degli imprenditori, si ridimensionino i sindacati come lo si faccia per i monetaristi, i fiscalisti, i sanzionisti, i tiributaristi, i giustizialisti e gli altri becchini sociali.
Appendice
“Questa appendice contiene tabelle, dati e documenti che l’autore ha ritenuto utile compendio per il lettore, da considerare in ogni sua
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman valutazione economica complessiva futura.
Grandi eventi disastrosi, dannosi, epocali debbono essere tenuti d’esempio per ogni valutazione di successo”.
E.F.Aspettando i barbari Costantino Kavafis
Che aspettiamo, raccolti nella piazza? Oggi arrivano i barbari.
Perché mai tanta inerzia no Senato?
E perché i senatori siedono e non fan leggi?
Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori? Quando verranno le faranno i barbari.
Perché l’imperatore s’è levato
così per tempo e sta, solenne, in trono, alla porta maggiore, incoronato?
Oggi arrivano i barbari L’imperatore aspetta di ricevere
il loro capo. E anzi ha già disposto l’offerta d’una pergamena. E là
gli ha scritto molti titoli ed epiteti.
Perché i nostri due consoli e i pretori
sono usciti stamani in toga rossa?
Perché i bracciali con tante ametiste,
gli anelli con gli splendidi smeraldi luccicanti? Perché brandire le preziose mazze
Oggi arrivano i barbari,
e questa roba fa impressione ai barbari.
Perché i valenti oratori non vengono
a snocciolare i loro discorsi, come sempre?
Oggi arrivano i barbari:
sdegnano la retorica e le arringhe.
Perché d’un tratto questo smarrimento ansioso? (I volti come si son fatti serii)
Perché rapidamente le strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?
coi bei caselli tutti d’oro e argento?
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2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? Era una soluzione, quella gente.
(Tratto da Poesie, Oscar Mondadori editori, Milano, 1961. A cura di Filippo Maria Pantani.)
Il modello “divide et impera”, terrorismi monetari, ingaggio di guerre, occupazioni, devastazioni planetarie, esperimenti atomici
America, Inghilterra, Francia, Germania e Russia hanno sempre cercato i cattivi tiranni nei paesi arabi e nei paesi di interesse geografico oppure ove sussistesse qualcosa da estrarre o da depredare, al fine di eliminare il tiranno ed impossessarsi diplomaticamente di tali paesi, creando in essi un ingente debito di guerra per essere stati liberati dal tiranno.
Tale politica militare ed espansionistica non ha fatto che seminare odio nei popoli sottratti inconsapevolmente del proprio territorio, e distruzioni ecologiche di una gravità sorprendentemente incalcolabile.
I tassi di radio attività che il sistema eco - biologico planetario ha assorbito in luoghi puri ed incantati come la polinesia o il deserto, per attività volontarie di sperimentazione nucleare attuate da vari paesi, è tuttora impressionante.
Le conseguenze fisiche apportate alla crosta terrestre dalle esplosioni nucleari, ha provocato e continuerà ancora a provocare reazioni di assestamento gravi come terremoti, cicloni, uragani e tsunami su tutto il nostro pianeta già sismico di suo.
Un modello economico che rispetti a pieno le priorità ecologiche, biologiche dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo, dell’erba che mangiamo deve essere la priorità di tutti i popoli e di tutte le nazioni per cui si ridimensionino tutti i programmi nucleari e bellici mondiali a partire da subito, per un colossale risparmio monetario immediato e un immediato guadagno ecologico e biologico collettivo
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Una catastrofe non ponderata
Monetarismo distruttivo dell’economia privata e pubblica
La casta illuminata, per mantenere i dettami monetaristici delle banche centrali, compiva azioni di concessione in uso, oppure distruzione ecologica del proprio territorio pensando di poter attuare l’utopia della “global governance” che non sarebbe mai stata realizzabile perché palese ed innaturale abominio delle distinte identità culturali dei popoli mondiali.
La ricerca contemporanea del significato del termine “governance” metteva in rilievo molti fattori strani, tra i quali il potenziarsi del ruolo svolto da certe istituzioni sovranazionali gestite appunto da tale “casta illuminata”, che sottraeva dall’alto alla sovranità statale funzioni e poteri, ed il progressivo strutturarsi di una rete di azioni pubbliche globali che costringevano le autorità statali in una maglia di rapporti e relazioni strutturate e formalizzate.
Grazie a questa invenzione sovranazionale della governance internazionale, gli Stati sembravano perdere autonomia decisionale (sia sul piano legislativo che su quello esecutivo) e il potere d’intervento in alcuni dei campi cruciali della politica:
l’economia, la moneta, la gestione delle risorse ambientali, i flussi migratori... ecc.
Certamente su altri aspetti fondanti la sovranità, quali l’integrità territoriale o il potere di dichiarare la guerra, poco sembrava fosse cambiato, anche se la costituzione di forze multinazionali d’intervento o la pressante ingerenza d’istituzioni internazionali nei conflitti tra stati erano indici importanti dei mutamenti in atto.
Quindi, nell’anno 2011 d.c., quando i popoli del pianeta terra stavano per essere totalmente dominati dalla cosidetta “casta illuminata” attraverso la “governance internazionale”.
Qualcuno definiva anche tali signori oscuri, anche “casta sovrana” che aveva rifondato le regole globali per continuare il suo dominio sul comune cittadino, detto anche “spettatore di televisione” o “ignaro contribuente”.
Ad opera delle nuove specie di “proconsoli” da essa forgiati quali “Gli intrattenitori”, “I nuovi Satrapi”, “I guru forever”, “Gli always terrorist”, e i “Ragiunat de Tremunt”, mantenevano abilmente la manipolazione delle masse.
Attraverso questi alfieri indotti nel loro lavoro quotidiano ignorante tutti i
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lati umani del cittadino comune ed eseguente rigidamente tutte le fredde prassi aziendali, la casta globale, sottoponeva la società a continue
torture burocratiche, inquisitorie, vessatorie, ed infine mediatiche narranti catastrofi ecologiche o crescenti ed episodi di efferata violenza sociale.
L’obiettivo dei cronisti sembrava essere quello di guastare la quiete pubblica, perché altrimenti avrebbero potuto perdere il proprio posto non raggiungendo l’audience minimo atteso.
Pertanto il comune cittadino, che avrebbe potuto comodamente e tranquillamente restare nella propria casa davanti al proprio televisore con i popcorn e una aranciata a guardare le partite sulla nuova tv e con il nuovo abbonamento al digitale acquistati a rate... non poteva farlo perché i telegiornali allarmisti gli bloccavano la digestione ed ogni altra velleità.
Perché tutto questo? Non ci è dato saperlo, anche se qualcuno ha ipotizzato che in tal modo il cittadino, altrimenti tendente all’inerzia, innervosendosi e preoccupandosi per i disastri del pianeta, dell’economia e della società, avrebbe così creato azioni di reazione che avrebbero generato il “movimento economico” necessario al sostentamento del bilancio bancario perennemente deficitario in conseguenza del modello dell’espansionismo monetaristico imposto dalle banche centrali.
Alcuni descrivevano la “casta illuminata“ come una razza “non umana”, da sempre dominante, sviluppatasi silenziosamente e in modo strisciante nel corso dei secoli sin dai tempi dei Babilonesi ad allora.
Tale progenia pare provenisse da una genealogia non ben definita, ma da alcuni considerata addirittura ultraterrena che venne chiamata dai Romani “Neither Man” che signifca appunto “non umani”.
Ma veniamo ai fatti storici del tempo.
L’andamento delle economie aveva sempre avuto dei momenti di crisi profonda periodica anche prima di allora.
Tale inevitabile fenomenologia ciclica era insita negli stessi sistemi monetaristico e borsistico aggregati.
Il grafico degli andamenti economici dopo il 1800 dimostrava chiaramente che il ritmo dei crolli, faceva presumere l’avvicinarsi della crisi ciclica all’inizio del nuovo millennio, ma nessuno dava segni di preoccupazione o proponeva mezzi di prevenzione per tempo.
Come si sa, per il benessere portato all’ennesima potenza, l’elevato numero sociale dei consumatori di supermercato, degli ostentatori del lusso, degli spenditori del denaro facilmente guadagnato erano gli ultimi a volersi preoccupare per il proprio proprio avvenire, nonostante le avvisaglie che il sistema cominciava a lanciare attraverso i media.
Insomma la società del benessere non dava segni di cedimento morale o patrimoniale, finché la bolla speculativa continuava a tenere, e i mercati mobiliari ed immobiliari continuavano a prosperare.
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Ma dopo l’ennesima crisi borsistica generata “dai contratti derivati” del 2008, la casta illuminata, decideva di interrompere l’idillio del paese dei
balocchi, seminando ondate di terrore progressive, onde far cadere nella totale sottomissione psicologica il popolo degli imprenditori e dei lavoratori.
Il progetto della governance internazionale
“Siamo alla vigilia di una trasformazione globale: ci serve solo la crisi giusta e le nazioni accetteranno il nuovo ordine del mondo”
David Rockefeller
Alla famosa ricetta dittatoriale dell’epoca Romana “Panem et Circenses” la casta illuminata a partire dall’ anno 1995 pensò e deliberò che si dovesse sin da allora aggiungere una ricetta letale per definitivamente far cadere i popoli nella più completa depravazione morale.
“OPIUM et COCAINAM” erano già una bella moda di consumo, diffusa abilmente e allegramente accettata da tutta la popolazione dei discotecari ma anche degli amministratori delegati o funzionari pubblici che dovevano raggiungere gli obbiettivi istituzionali imposti dalle rispettive alte dirigenze.
La miscela “Auctione, Alea et Meretricium” propria dell’allora vigente epopea “espropristica, borsistica, lotteristica e sessista” che la governance internazionale stava mantenendo in tutti i paesi del Globo, sembrava la più adatta per gettare i popoli di tutte le nazioni nell’ulteriore oblio della retta via, gettandoli così presto nella più completa perdita di fiducia nei valori istituzionale, civili e religiosi.
Fu così che presto si giunse alle soglie di una nuova grande e importante crisi mondiale, come quelle che in passato avvenirono dagli anni 1929 in avanti.
La crisi mondiale, veniva vissuta come una novità intangibile, e con una totale inconsapevolezza storica da parte dei nuovi immigrati, che agevolati al trattato di Shengen e dalle varie leggi degli Stati Europei, invadevano ormai liberamente tutti i Paesi, una volta loro coloni, ed allora loro ostellatori.
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Gli effetti visibili della distruzione delle culture e delle tradizioni locali
Piazze storiche tradizionali deturpate.
Dall’avvento delle immigrazioni selvaggie, le piazze dei paesi e delle cittadine Europee, erano ormai piene di gente, coppie e carrozzine con
bambini di tutte le razze, tranne quella autoctona ormai in via d’estinzione e le genti nelle strade parlavano lingue sconosciute ai locali, che venivano via via sempre più isolati dal gruppo lavoratore e imprenditore attivo, sia come gruppo etnico che idiomatico.
Gli immigrati provenienti da paesi poveri, affamati e preoccupati solo ad ottenere un risultato, riuscivano infatti in pochi anni a formare e ad aprire anche tre o quattro aziende, senza difficoltà, ragazze che facevano le pulizie riuscivano in pochi anni a comprarsi un appartamento.
Ragazze peruviane che facevano le pulizie lavorando giorno e notte riuscivano ad accumulare un capitale, mentre le ragazze locali,
indottrinate sul giusto periodo di riposo settimanale fatto di due ben due interi giorni, vivevano alle spalle dei propri genitori, perennemente squattrinate ed in perenne attesa incazzata del famoso “principe azzurro”.
Così i residenti autoctoni, pur proprietari di abitazioni o aziende anche tramandate da generazioni, trovandosi colpiti dall’eccessiva onerosità
pretesa dai sistemi delle tasse e delle banche prestatrici di denaro, proprio perché ben conosciuti alle anagrafi come proprietari immobiliari, subivano gli effetti della crisi del debito, e chiudevano a raffica le loro ditte o vedevano chiudere le ditte per le quali lavoravano per i più svariati motivi tra i quali crisi settoriale, livello di produttività basso, clima aziendale pessimo, macchinari e attrezzature obsolete, scarsa organizzazione, canali di vendita inadeguati, insufficienza delle vendite, insolvenza grave dei clienti, evoluzione della domanda, incapacità manageriale, legislazioni destabilizzanti, mancanza di tutela da parte dei pubblici amministratori, demotivazioni personali dei titolari, alti indebitamenti, fallimenti, ecc..
Lectio Magistralis
L’intervento della Chiesa
La Chiesa attuava varie iniziative a sostegno dei popoli invitando i
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principali esponenti sociali e politici di spicco a presenziare e ad
intervenire. Una di queste fu la seguente.
TESTO INTEGRALE Con note critiche di E.F.
Roma, 18.11.2011
Convegno di Scienza e Vita
“Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia” Cardinale Angelo Bagnasco - Arcivescovo di Genova Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
“La Chiesa, al di là dell’ambito della sua fede, considera suo dovere difendere, nella totalità della società, le verità e i valori, nei quali è in gioco la dignità dell’uomo in quanto tale”. A ribadirlo è stato oggi il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, aprendo a Roma l’VIII Congresso nazionale di “Scienza & Vita” con una “lectio magistralis” sul tema “Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia” “Una società è veramente umana soltanto quando protegge senza riserve e rispetta la dignità di ogni persona dal concepimento fino al momento della sua morte naturale”, ha affermato il cardinale citando il Papa, e ha aggiunto: “Non abbiamo diritto di giudicare se un individuo sia ‘già persona’, oppure ‘ancora persona’, e ancor meno ci spetta manipolare l’uomo e voler, per così dire, farlo”. “Non si tratta – ha precisato – di voler imporre la fede e i valori che ne scaturiscono direttamente, ma solo di difendere i valori costitutivi dell’umano e che per tutti sono intelligibili come verità dell’esistenza”. “Poiché appartengono al Dna della persona – ha proseguito il cardinale – non possono essere conculcati, né parcellizzati o negoziati attraverso mediazioni che, pur con buona intenzione, li negano. È questo il ceppo vivo e solido che costituisce l’etica della vita”, e su cui “germogliano tutti gli altri necessari valori che vengono riassunti con l’etica sociale”.
Dignità inviolabile.
“Tra questi – ha sottolineato il card. Bagnasco – la vita umana, dal suo
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concepimento alla sua fine naturale, è certamente il primo”. Se “la questione sociale è divenuta radicalmente questione antropologica”, ha
argomentato il presidente della Cei sulla scorta delle affermazioni di Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”, “i cattolici non possono tacere circa la concezione dell’uomo che fonda l’umanesimo integrale”, poiché “non tutti gli umanesimi sono equivalenti sotto il profilo morale: da umanesimi differenti discendono conseguenze opposte per la convivenza civile”. Per dissipare questa “tragica confusione”, la tesi del cardinale, occorre chiedersi “su che cosa si potrà poggiare la sua dignità inviolabile, e quale il fondamento oggettivo e perenne dell’ordine morale”. In particolare, secondo il card. Bagnasco, “ci dobbiamo chiedere: chi è più debole, più fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto? Vittime invisibili ma reali! E chi più indifeso di chi non ha voce perché ancora non l’ha o, forse, non l’ha più?”. “La presa in carico dei più poveri e indifesi – ha ammonito il cardinale – esprime il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento”, e “modella il costume di un popolo e di una nazione”. Quella affrontata da Scienza & Vita, ha precisato il card. Bagnasco, è “una questione quanto mai delicata e ineludibile non solo per ogni singola persona, ma anche per la società, sapendo che dalla responsabilità e dai modi di affronto della vita nei suoi vari momenti si ha una prima decisiva misura del livello umano della convivenza”. Di qui la “delicatezza dell’argomento in gioco, così come delle visioni diverse che spesso si confrontano, tanto da essere considerata – la vita umana – uno di quegli argomenti ‘divisivi’ di cui è meglio non parlare, come se l’ordine sociale, basato sulla giustizia, potesse reggersi sull’ingiustizia che deriva dal non affrontare ciò che è fondamentale”. In un clima culturale in cui dominano lo “scetticismo” e il “nichilismo di senso e di valori”, che “si alimenta dello spettro ridente del consumismo che porta a concepire l’esistenza come una spasmodica spremitura di soddisfazioni e godimenti fino all’estremo”, ma da cui deriva “una immane svalutazione della vita”, occorre porsi di nuovo la domanda “cos’è la verità”. “Oggi – ha sottolineato il cardinale – si tende a pensare che, sul piano dell’etica, ognuno è costruttore di ciò che per lui, soggettivamente, ha importanza e significato; che il nostro compito è quello di comporre i diversi, a volte opposti, valori; che l’importante – quando va bene – è disturbare il meno possibile”.
Due questioni. Per il card. Bagnasco, “la tendenza diffusa è rendere la libertà individuale un valore assoluto”, poiché c’è “una certa allergia per ciò che si presenta come assoluto, cioè oggettivo, universale e definitivo: sembra di sentirsi come in una gabbia insopportabile”. Ma la libertà non è autodeterminazione, ha obiettato il presidente della Cei, secondo il quale occorre invece “una verità che crei appartenenza e generi una comunità di vita e di destino”. Per questo è urgente porsi due questioni: la prima deriva dal fatto che, secondo la nostra Costituzione, “il bene della salute e quindi della vita, ma dovremmo dire di ogni uomo, è un bene non solo per sé ma anche per gli altri; e questi altri non sono solo i familiari e gli amici, ma la società nel suo insieme”, e ciò comporta che “nessuno deve sentirsi abbandonato nella società-comunione, né nei momenti di gioia né negli appuntamenti del dolore, della malattia e della morte”. La seconda questione da porsi è l’urgenza di “recuperare il senso
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del dolore che è sistematicamente emarginato, nascosto nella sua naturalità, oppure è esorcizzato”. In altre parole, ha concluso il card.
Bagnasco, “la cultura contemporanea deve riconciliarsi con il dolore e la morte se vuole riconciliarsi con la vita, poiché i primi fanno parte della seconda. E quindi dobbiamo recuperare la capacità di portarlo insieme”.
Saluto i partecipanti al Convegno sul tema “Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia”, e ringrazio l’Associazione “Scienza e Vita” per questa iniziativa che affronta una questione quanto mai delicata e ineludibile non solo per ogni singola persona, ma anche per la società, sapendo che dalla responsabilità e dai modi di affronto della vita nei suoi vari momenti si ha una prima e decisiva misura del livello umano della convivenza. Siamo tutti consapevoli della delicatezza dell’ argomento in gioco, così come delle visioni diverse che spesso si confrontano, tanto da essere considerata – la vita umana – uno di quegli argomenti “divisivi” di cui è meglio non parlare, come se l’ordine sociale, basato sulla giustizia, potesse reggersi sull’ ingiustizia che deriva dal non affrontare ciò che fondamentale: “ come Chiesa e come credenti – abbiamo scritto nel Documento conclusivo della XLVI Settimana Sociale – siamo chiamati al grande compito di servire il bene comune della civitas italiana in un momento di grave crisi e allo stesso di memoria dei centocinquant’anni di storia politicamente unitaria” ( Documento conclusivo, Reggio Calabria ottobre 2010, n.2). E’ questo lo spirito e l’intendimento dei cattolici consapevoli che, storicamente, “se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza” (CEI, La Chiesa Italiana e le prospettive del Paese, 1981, n.13).
Tutti ci rendiamo conto che siamo dentro ad una crisi internazionale che non risparmia nessuno, e che nessuno, nel mondo, può atteggiarsi da supponente maestro degli altri.
I grandi problemi dell’economia e della finanza, del lavoro e della solidarietà, della pace e dell’uso sostenibile della natura, attanagliano pesantemente persone, famiglie e collettività, specialmente i giovani.
Su questi versanti, che declinano la cosiddetta “etica sociale”, la sensibilità e la presenza della Chiesa sono da sempre sotto gli occhi di tutti. Fanno parte del messaggio cristiano come inderogabile conseguenza: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare il Dio che non vede” (1 Gv 4,20).
L’incalcolabile rete di vicinanza e di solidarietà che abbraccia l’intero territorio nazionale grazie ai nostri sacerdoti, consacrati, innumerevoli
volontari, associazioni, rappresenta una mano tesa trasparente, universalmente nota: è quotidianamente frequentata da un crescente stuolo di fratelli e sorelle in difficoltà che ricevono ascolto, aiuto, attenzione.
Ed è sempre più anche luogo di incontro e di concreta integrazione tra popoli, religioni e culture. Una rete che si avvale di risorse provvidenziali
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e di quell’amore gratuito che nessuna legge può garantire poiché l’amore
viene dal cuore e dall’Alto.
E’ possibile conoscere?
Ma oggi dobbiamo puntare la nostra attenzione sulla vita umana nella sua nudità: è evidente che gli aspetti citati fanno parte dell’esistenza concreta di ogni persona, ma essi non devono oscurare la vita nei momenti della sua maggiore fragilità e quindi di più pericolosa esposizione.
Per questo credo sia inevitabile allargare, seppur brevemente, l’orizzonte per poter meglio affrontare il tema della vita umana nella sua assoluta indisponibilità o, se si vuole, sacralità.
Per poter parlare di qualcosa, infatti, bisogna innanzitutto chiederci se esiste qualcosa fuori di noi.
E, se esiste, possiamo conoscerla?
Oppure siamo dentro ad una realtà unicamente costruita dal soggetto pensante, siamo alle prese solo con le nostre opinioni individuali, senza una presa diretta sulla realtà oggettiva?
E’ il problema antico ma non scontato della conoscenza. Come rispondere?
Dando fiducia al mondo e all’uomo!
La conoscenza, infatti, parte da un atto positivo, di fiducia: fa appello al senso comune, all’esperienza universale. E’ più naturale, logico, istintivo, porre questo atto di fiducia oppure sfiduciare l’universo?
E’ dunque un atto di sintonia, di comunione pre riflessa con il mondo il punto di partenza del nostro rapportarci con il mondo, non il rinchiuderci nel sospetto e nel dubbio metodico e universale che – forse con aria di profonda intelligenza – accusa di fanatismo chi affermi che la verità esiste ed è conoscibile. La storia umana della conoscenza – nonostante grovigli a volte sofferti – corre sostanzialmente su questo filo e testimonia che, ogni qualvolta lo scetticismo si è imposto, gli esiti personali e sociali non sono stati più felici.
Il figlio di questo atteggiamento è lo scetticismo che genera inevitabilmente quel nulla di significato e di valore, quello svuotamento della vita e del mondo che già Nietzsche aveva annunciato. In realtà egli lo fa derivare dalla dichiarata “morte di Dio”, ma quando la ragione viene cancellata dall’ orizzonte, anche la fede si indebolisce:
“Cerco Dio! cerco Dio! (...) Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto?
Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è
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che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati?
Esiste ancora un alto e un basso?
Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?” (Nietzsche,
La gaia scienza, Mondadori 1971, pagg.125-126).
Il nichilismo di senso e di valori nasce da una visione materialista dell’uomo e del mondo, e si alimenta allo spettro ridente del consumismo che porta a concepire l’esistenza come una spasmodica spremitura di soddisfazioni e godimenti fino all’estremo. Ma ben presto – lo vediamo nella cronaca – ne deriva una immane svalutazione della vita. Essa non è più custodita dal sigillo della sacralità, e così quando non è più gradita o risulta faticosa, la si vorrebbe eliminare. “Si va costituendo – dice Benedetto XVI – una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Questa ideologia è divenuta un modo di vivere, una prassi, che troviamo presente in molti ambiti e che ha diversi volti”
(J. Ratzinger, Omelia della Messa Pro eligendo Pontifice, 18.4.2005).
Cos’è la verità?
“Cos’è la verità?” chiedeva Pilato a Gesù prigioniero davanti a lui.
E’ una domanda sempre attuale che richiede una risposta seria e motivata.
Per aiutarci con un esempio, possiamo dire che la verità della cappella Sistina consiste nella sua corrispondenza con l’idea di Michelangelo: in questo caso, la Sistina dipende dal pensiero di chi l’ha ideata.
Ma la verità della mia idea dell’aula in cui siamo consiste nella corrispondenza della mia idea con ciò che è oggettivamente davanti a me: in altre parole è il mio pensiero che dipende dall’oggetto conosciuto.
La tradizione culturale parla di verità ontologica nel primo caso, e di verità logica nel secondo.
E’ vero che nella conoscenza logica il soggetto entra in gioco con la sua soggettività, ma mai a tal punto da falsare la realtà stessa; infatti ognuno di noi si ribella quando si sente conosciuto da un altro in modo distorto.
Ora, se dal piano teoretico passiamo al piano pratico dell’agire, ci chiediamo: nella conoscenza dei valori morali in quale campo siamo?
Ontologico, per cui siamo noi, come Michelangelo, a creare qualcosa? oppure in quello logico per cui noi dobbiamo piegarci alla realtà di qualcosa che ci precede e che non ammette distorsioni?
Oggi si tende a pensare che, sul piano dell’etica, ognuno è costruttore di ciò che per lui, soggettivamente, ha importanza e significato; che il
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nostro compito è quello di comporre i diversi, a volte opposti, valori; che l’importante – quando va bene – è disturbare gli altri il meno possibile. Ma non esiste qualcosa a cui l’uomo possa rifarsi nella sua conoscenza e quindi adeguarsi raggiungendo così la verità?
E’ fuori dubbio che non pochi di quelli che chiamiamo valori appartengono alla sfera della soggettività individuale e sociale, basta pensare al modo di vestire, di nutrirsi, a tante convenzioni che hanno un peso nella convivenza, hanno una importanza, ma sono destinati nel tempo a mutare.
Ma è tutto solo così?
Non esiste nulla di oggettivo in grado di essere metro della verità morale?
Che possa regolare, normare i miei comportamenti?
Qualcosa che sia talmente fondamentale per l’uomo da essere universale, cioè per tutti?
Di solito, fino ad un certo punto di questo ragionare tutti si è concordi, ma quando entra in gioco la questione del “valido per tutti”, allora si accende una spia e sorge in noi una trincea difensiva quasi si sentisse in pericolo la propria libertà individuale, che si esprime nell’autodeterminazione.
La libertà e l’autodeterminazione
Entra sulla scena, dunque, la libertà nervo sensibile dell’anima moderna.
Mi pare interessante ricordare quanto affermava Hegel nella sua Enciclopedia delle scienze filosofiche: “La libertà è l’essenza propria dello spirito e cioè la sua stessa realtà.
Intere parti del mondo, l’Africa e l’Oriente, non hanno mai avuto questa idea (...) i Greci e i Romani, Platone e Aristotele (...) non l’hanno avuta: essi sapevano che l’uomo è realmente libero in forza della nascita (come cittadino ateniese, spartano, ecc.); o della forza del carattere o della cultura, in forza della filosofia.
Quest’idea è venuta nel mondo per opera del cristianesimo, ed essendo oggetto e scopo dell’amore di Dio, l’uomo è destinato ad avere relazione assoluta con Dio come spirito, e far sì che questo spirito dimori in lui. cioè l’uomo è destinato in sé alla somma libertà” (Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Tr. It., Laterza, Bari 1951, pp. 442-443).
Del resto è noto che, prima del Cristianesimo, si concepiva come superiori all’uomo le grandi potenze del Fato, della Natura, della Storia; ed egli doveva obbedire a queste forze.
Ora, se l’uomo è libero per dono di Dio, ed egli si realizza attraverso l’esercizio della propria libertà (in actu exercito), bisogna chiederci se qualunque forma di esercizio realizza la persona oppure no.
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A ben vedere, come qualunque agire non si qualifica da sé ma è
qualificato da ciò verso cui tende
-camminare per fare una passeggiata non è lo stesso che camminare per andare a fare una rapina –
così la libertà, se per un verso è valore in se stesso in quanto è condizione di responsabilità, per altro verso non è la sorgente della bontà morale.
La libertà è qualificata dal contenuto che scelgo liberamente, e sta ad esso come il contenitore sta al suo contenuto.
Il fatto che un atto sia una mia scelta non qualifica l’agire come buono, vero, giusto. Inoltre, non bisogna dimenticare che la bontà e il male morale non sono astrazioni lontane alle quali sacrificare gli uomini nei loro desideri individuali; il bene è tale perché mi fa crescere come persona mentre il male mi diminuisce nella mia umanità.
E se le persone crescono nel loro essere persone, la società intera cresce dato per acquisito che tra l’individuo e la collettività vi è un rapporto reciproco. Oggi la tendenza diffusa è rendere la libertà individuale un valore assoluto, sciolto non solo da vincoli e norme ma anche indipendente dalla verità di ciò che sceglie; in tale modo però essa si rivolta contro l’uomo e perde se stessa, diventa prigioniera di se stessa come ogni personalità narcisista.
Ecco perché il Signore Gesù ricorda che “la verità libera la libertà” e rende libero l’uomo.
Oggi vi è una certa allergia per ciò che si presenta come assoluto, cioè oggettivo, universale e definitivo: sembra di sentirsi come in una gabbia insopportabile.
Ma, dobbiamo chiederci, qual’ è la vera prigione: l’assolutismo di una libertà individualista o l’assolutezza della verità?
Partecipazione dei cattolici alla civitas
Ma torniamo alla domanda: esiste qualcosa con la quale la nostra libertà deve rapportarsi come ciò che la precede nel valore e la qualifica moralmente?
Qualcosa che, conosciuto dalla nostra ragione, permetta di superare l’angusto cerchio dell’opinione e di camminare liberi nella verità oggettiva per tutti e per sempre?
Verità che dia senso al vivere e alla storia, alla persona e alla società?
Risuonano sempre attuali le parole di Schopenauer quando parlava della “naturale disposizione metafisica dell’uomo”, quella disposizione universale che spinge ciascuno a suo modo a cercare una risposta alla più tremenda e fondamentale delle domande:
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“Per quale motivo esiste qualcosa piuttosto che il nulla, se nulla ha
necessità di esistere?”.
Una verità, dicevo, che crei appartenenza e generi una comunità di vita e di destino?
Oppure non esistono altro che vari, piccoli e brevi significati, relativi alla riuscita nella vita, al piacere, alle voglie, alle emozioni, alla fortuna?
Ogni anno in Europa muoiono circa 50.000 persone per suicidio, e in una quindicina di Paesi europei la più alta percentuale di morte dei giovani è costituita dal suicidio!
Se tutto è relativo, merita ancora vivere quando la vita mostra le sue durezze?
La Chiesa, inviata dal suo Signore come sale della terra e luce del mondo, svolge la sua missione evangelizzatrice in molti modi, con la Parola, i Sacramenti e il servizio della carità.
Fa parte del suo servire il mondo l’essere con umiltà e amore coscienza critica e sistematica della storia: non è arroganza, ingerenza o intransigenza, ma fedeltà a Dio e agli uomini.
E’ portare il suo contributo alla costruzione della civitas terrena. Per questo non c’è da temere per la laicità dello Stato, infatti il principio di laicità inteso come “autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica – ma non da quella morale – è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto (...) La laicità, infatti, indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale dell’uomo che vive in società, anche se tali verità sono nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24.11.2002, n. 6).
E’ dunque giusto riconoscere la rilevanza pubblica delle fedi religiose: però se il semplice riconoscimento è già un valore auspicabile e dovuto, dall’altro è fortemente insufficiente in ordine alla costruzione del bene comune e allo stesso concetto di vera laicità.
Potremmo dire che è come una cornice di apprezzabile valore ma che deve essere riempita di contenuti.
Fuori dall’immagine, la laicità positiva non può ridursi a rispetto e a procedure corrette, ma deve misurarsi con l’uomo, per ciò che è in se stesso universalmente, cioè con la sua natura.
E’ questa – la sua conoscenza integrale e il suo rispetto plenario – che invera le diverse culture e ne misura la bontà o, se si vuole il livello intrinseco di umanesimo. A questo livello primario si colloca il doveroso apporto dei cristiani come cittadini, consapevoli che le principali virtù di chiunque si dedichi al servizio della città è la competenza e il merito: questo è l’insieme di onestà, spirito di sacrificio e stile sobrio.
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Essi offrono il loro contributo senza per questo dover mettere tra parentesi la propria coscienza formata dalla Dottrina Sociale della
Chiesa, dal Magistero autentico e da una solida vita spirituale nella comunità ecclesiale, ricordando che la coscienza è l’eco della voce di Dio – come affermava il beato Newman – ed deve essere sempre attenta perché le opinioni, le ideologie, gli interessi o le abitudini, non oscurino quella suprema voce che indica la via della verità e del bene. Il ministero di Pietro, che è servizio di verità e di carità, è posto da Cristo Gesù perché la coscienza non si smarrisca tra gli innumerevoli rumori del mondo.
Umanesimo e umanesimi
Se, come ha affermato il Santo Padre Benedetto XVI, “la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 75), allora i cattolici non possono tacere circa la concezione dell’uomo che fonda l’umanesimo integrale.
Non tutti gli umanesimi, infatti, sono equivalenti sotto il profilo morale; da umanesimi differenti discendono conseguenze opposte per la convivenza civile. Se si concepisce l’uomo in modo individualistico, come oggi si tende, come si potrà costruire una società aperta e solidale dove si chiede il dono e il sacrificio di sé?
E se lo si concepisce in modo materialistico, chiuso alla trascendenza e centrato su se stesso, un “sasso” che rotola nello spazio, come riconoscerlo non come “qualcosa” tra altre cose, ma come “qualcuno” che è qualitativamente diverso dal resto della natura?
L’uomo si autotrascende nel senso che è sempre più di se stesso, tende ad andare oltre di sé per essere sé, già e non ancora, finito e desiderio di infinità, tempo ma con la scintilla di eterno: è la creatura di confine fra cielo e terra, umano ma chiamato all’intimità con Dio. Individuo ma non individualista, unico ma non chiuso, soggetto aperto al mondo e agli altri in virtù dell’istinto di comunione nella verità e nell’amore. “ Il mondo moderno – scriveva J. Maritain – confonde semplicemente due cose che la sapienza antica aveva distinte: confonde l’individualità e la personalità” ( J. Maritain, Tre riformatori, Brescia 1964,
Purtroppo, segnali inquietanti di questa tragica confusione non mancano. Su che cosa, allora, si potrà poggiare la sua dignità inviolabile, e quale il fondamento oggettivo e perenne dell’ordine morale?
Era questa la domanda che il Santo Padre Benedetto XVI poneva nel viaggio apostolico nel Regno Unito e anche a in Germania.
E sta proprio qui il punto di incontro e d’intesa di ogni dialogo civile e politico, sta qui il giudizio di verità su ogni società, cultura e religione: “La Chiesa cattolica
è convinta di conoscere, attraverso la sua fede, la verità sull’uomo e quindi di avere il dovere di intervenire in favore che sono validi per
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l’uomo in quanto tale indipendentemente dalle varie culture. Essa distingue fra la specificità della sua fede e le verità della ragione, a cui la fede apre gli occhi e alle quali l’uomo in quanto uomo può accedere anche a prescindere da questa fede. (...).
La Chiesa, al di là dell’ambito della sua fede, considera suo dovere difendere, nella totalità della nostra società, le verità e i valori, nei quali è in gioco la dignità dell’uomo in quanto tale.
Quindi, per citare un punto particolarmente importante, non abbiamo diritto di giudicare se un individuo sia ‘già persona’, oppure ‘ancora persona’, e ancor meno ci spetta manipolare l’uomo e voler, per così dire, farlo.
Una società è veramente umana soltanto quando protegge senza riserve e rispetta la dignità di ogni persona dal concepimento fino al momento della sua morte naturale” (Benedetto XVI, Discorso al nuovo Ambasciatore tedesco, Roma 7,11,2011).
Non si tratta quindi di voler imporre la fede e i valori che ne scaturiscono direttamente, ma solo di difendere i valori costitutivi dell’umano e che per tutti sono intelligibili come verità dell’esistenza.
Poiché appartengono al DNA della persona non possono essere conculcati, né parcellizzati o negoziati attraverso mediazioni che, pur con buona intenzione, li negano.
E’ questo il ceppo vivo e solido che costituisce l’etica della vita, ed è su questo ceppo che germogliano tutti gli altri necessari valori che vengono riassunto con etica sociale.
Tra questi, la vita umana, dal suo concepimento alla sua fine naturale, è certamente il primo. La coscienza universale ha acquisito – e sancito almeno nelle carte – una elevata sensibilità verso i più poveri e deboli della famiglia umana.
Ma ci dobbiamo chiedere: chi è più debole e fragile, più povero, di coloro che neppure hanno voce per affermare il proprio diritto, e che spesso nemmeno possono opporre il proprio volto?
Vittime invisibili ma reali!
E chi più indifeso di chi non ha voce perché non l’ha ancora o, forse, non l’ha più?
La presa in carica dei più poveri e indifesi esprime il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento.
E modella, educa, la forma di pensare e di agire – il costume- di un popolo e di una Nazione, il suo modo di rapportarsi al suo interno, di sostenere le diverse situazioni della vita adulta sia con codici strutturali adeguati, sia nel segno dell’attenzione e della gratuità personale.
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A volte si evidenzia che un conto è la presa in carica, il prendersi cura della vita fragile di chi questo vuole e comunque ne ha diritto, e un altro sarebbe la volontà diversa di chi determina un diverso comportamento.
Torniamo ad un punto cruciale: se la libertà individuale abbia o non abbia qualcosa di più alto a cui riferirsi e a cui obbedire.
Abbiamo visto che l’autodeterminazione non crea il bene e il male, ma ciò che è scelto.
Ora la libertà è tenuta a fare i conti con la natura umana, con il suo bene oggettivo poiché per questo Dio ce l’ha donata, perché costruissimo noi stessi e non per andare contro noi stessi.
Ma anche fuori da un’ottica religiosa, penso si possa giungere alla medesima conclusione.
A questo punto credo che le questioni siano due.
Innanzitutto, come anche recita la nostra Costituzione, il bene della salute e quindi della vita, ma dovremmo dire ogni uomo, è un bene non solo per sé ma anche per gli altri e questi altri non sono solamente i familiari e gli amici – che purtroppo a volte possono non esserci – ma sono la società nel suo insieme.
Qui sta una nota dolente a cui bisogna sempre più reagire: se l’uomo sta scivolando dalla realtà di persona a quella di individuo assoluto e geloso della propria assoluta indipendenza e autonomia, allora la società si concepirà come una massa di monadi dove ciascuno si arrangia a portare la vita, nutrendo dei diritti verso il corpo sociale come la casa, il lavoro, la sicurezza...ma lasciando gli altri fuori per tutto il resto.
Il punto non è far entrare la società nel privato, ma si tratta di
recuperare la natura relazionale della persona sicché la società possa e debba concepirsi e strutturarsi non solo come erogatrice di servizi, ma come comunione di destino.
Cambia totalmente la prospettiva.
Nessuno deve sentirsi solo e abbandonato nella società-comune, né nei momenti di gioia né negli appuntamenti del dolore, della malattia e della morte.
E se dietro al rispetto di ogni volontà ci fosse il desiderio di non prendersi in carica, poiché il prendersi cura richiede intelligenza e cuore, tempo e sacrificio, risorse umane e economiche?
Una cultura siffatta sarebbe più rispettosa o più egoista, umana o violenta?
E poi, mi sembra esista un secondo nodo: dobbiamo recuperare il senso del dolore che è sistematicamente emarginato, nascosto nella sua naturalità, oppure è esorcizzato somministrandone dosi massicce e continuative nel tentativo di anestetizzare la sensibilità della gente e renderla quindi impermeabile.
Due modalità diverse ma lo scopo è identico: far morire la morte.
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La cultura contemporanea deve riconciliarsi con il dolore e la morte se
vuole riconciliarsi con la vita, poiché i primi fanno parte della seconda.
E quindi dobbiamo recuperare la capacità di portarlo insieme.
La persona sofferente ha paura di essere sola, abbandonata: tutti abbiamo sperimentato quanto una persona malata cerchi il contatto fisico della mano dell’altro, e questo piccolo, umanissimo gesto ha il potere di tranquillizzare e rasserenare.
E’ la presenza, la compagnia d’amore che dobbiamo riscoprire non solo come singoli e famiglie, ma come società.
Ma per questo dobbiamo rimettere al centro la relazione, sull’esempio di Dio che in Cristo ci ha incontrato nel nostro dolore, nelle molte fragilità della vita e nelle stesse gioie, facendo sentire che nessuno è solo, e che assolutamente nessuno sarà da Lui abbandonato.
Risposta al Cardinal Bagnasco, sulla sua Lectio Magistralis
Egregia Eminenza,
Come al solito la Chiesa dimostra attraverso i suoi cardinali, un tentativo di trattazione di temi reali, senza l’opportuna conoscenza reale di ciò che prova l’individuo “Non privilegiato” nella vita di tutti i giorni.
Affrontare ancor oggi i temi di ciò che sia la conoscenza, la possibilità di avere la conoscenza, la verità, la libertà, l’autodeterminazione, la differenza tra bene e male, la natura relazionare della persona, la somministrazione del dolore alla società a fini terapeutici, ci sembra superflua trattazione troppo complessa per chi non può coglierla e già ampiamente superata dagli altri, visto il grado di avanzamento sociale raggiunto.
Le uniche proposizioni apprezzabili sono che la Chiesa confermi di farsi carico della difesa delle parti deboli della società, dando loro la voce e l’energia che da soli non possono né raccogliere né utilizzare.
L’azione sociale di combattere l’emarginazione dei deboli è sicuramente encomiabile, benché già nota e riconosciuta da sempre quale ruolo tipico degli ecclesiastici cristiani.
Il tentativo infine, di “spacciare” l’autodeterminazione degli individui e quindi anche dei popoli, come abuso della propria libertà, suona come un mero tentativo di sedazione delle velleità di alcuni movimenti politici italiani, che esula dalle competenze della Chiesa, a meno che non stiamo parlando della “Industria Chiesa”.
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Casa dolce casa
Giovani traditi dagli errori-orrori del monetarismo
Dopo l’esproprio dei mutui istruiti e quasi in fase di stipule, l’annullamento di centinaia di compromessi già firmati, con cauzioni già versate, in capo a centinaia di imprese italiane, il settore immobiliare non poteva che subire gli esiti disastrosi che tutti hanno potuto rilevare dagli anni 2008 sino al 2012 vedendo l’altissimo numero di appartamenti ultimati e rimasti invenduti.
Nonostante ciò alcuni costruttori pagavano ingenti oneri ai Comuni già nel 2011, per iniziare a costruire nuovi cantieri.
Quindi il black out monetario ha avuto com effetto “stop and go” che ha stoppato imprese esistenti che non hanno più riaperto, ed ha lanciato imprese forti e nuove che sono subito ripartite con nuovi cantieri nel 2011.
Eccezione naturalmente hanno fatto tutte le imprese dell’indotto Milanese dell’Expo, che subito hanno seguito la scia gettata dalle società di coordinazione degli investimenti preposte, i cui soci costituenti erano Regione Lombardia, Provincia di Milano, Comuni dell’Hinterland.
Tali società hanno identificato solo poche solide imprese dotate della credibilità sufficiente per realizzare rapidamente grandi edifici come Fiera di Rho Pero, Palazzo Lombardia e interventi similari.
Per quanto riguarda le imprese silurate, invece, nessun aiuto da chicchessia: anzi i rimproveri delle banche prone a Basilea due e tre per i
cui parametri e dettami tali imprese basate storicamente sul finanziamento swap bancario, avrebbero dovuto essere improvvisamente dotate di tutto il patrimonio necessario ad ultimare il cantiere senza contare sugli acconti provenienti dalle vendite dinamicamente effettuate in corso d’opera. (sic!).
I giovani allo sbando
Per i giovani, lasciati senza il compromesso firmato, senza la possibilità del mutuo, è stato un duro colpo.
Da una simile esperienza era facile aspettarsi l’aumento dell’indice di perdita di fiducia verso le istituzioni e verso il futuro.
Il vero danno derivante da tutto ciò è stato proprio questo gravissimo ulteriore attacco fatto dal cieco monetarismo aberrante, verso il sistema paese di ogni stato europeo.
Dopo la già notevolmente precaria situazione di sfiducia giovanile precedente, dimostrata dall’aumento di usi di stupefacenti, alcol,
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frequentazione di discoteche, espatrii selvaggi, questa della negazione del credito è stata proprio l’arma letale per lo snervamento delle classi giovanili europee.
Precariato selvaggio, baronismo, eccesso di laureati, immigrazione selvaggia, hanno causato fuga della maggior parte dei giovani dalla nazione o dalla realtà.
Per quei pochi rimasti, che volevano unirsi per formare una famiglia, acquistando una casa propria, la stangata della negazione del credito è stata la decimazione della fiducia nelle istituzioni.
Le giovani coppie dopo lo stop dei mutui
Nel frattempo qualcuno voleva riprovarci, e mettere su una propria famiglia. Magari coppie di diversa etnia o di etnia estera, o di fatto, ma il mercato continuava.
Ecco allora il rilancio delle agenzie immobiliari con siti internet sempre più esaurienti e interattivi.
L’acquisto di una casa è stata sempre la decisione importante per ogni copia e per esso si dovevano allora considerare un maggior numero di fattori rispetto il passato.
Innanzitutto una coppia, voleva assolutamente essere sicura di non comprare una casa finché non avesse identificato un lavoro per ciascuno dei componenti, che avesse permesso loro di vivere in una città per almeno cinque anni.
Essi avrebbero voluto inoltre, una stabilità finanziaria che assicurasse loro di mettere da parte almeno il 20% dello stipendio in modo da poter andare avanti bene ed eseguire puntualmente i pagamenti mensili dei mutui.
La casa target per una coppia, doveva essere ubicata anche in una splendida zona e in prossimità di una scuola.
Infine l’intermediario immobiliare doveva essere un’agenzia primaria di serissima reputazione che desse inoltre tutte le informazioni necessarie anche attraverso un ottimo sito web con i seguenti requisiti minimi:
Che presentasse ogni lista con diverse decine di fotografie, film panoramici e e dettagli di ogni aspetto della casa. Dal ogni punto di vista
e da porta a porta sino a mostrare persino i rubinetti del bagno degli ospiti, onde permettere di controllare ogni angolo della casa ogni potenziale.
Una calcolatrice di mutuo che desse una buona idea su ciò che sarebbero stati i loro pagamenti mensili, e che desse loro un buon anteprima per una buona conversazione qualora avessero iniziato i colloqui con gli agenti immobiliari.
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Ma nonostante ciò, il mercato proseguì a rilento per ancora molto tempo, e la decisione sulle misure economiche da adotttare sembrava sempre più difficile da adottare.
Nuove fabbriche e nuovi sindaci
Se le piazze dei paesi erano visibilmente ormai gremite da popolazioni non autoctone, appartenenti alle culture più svariate,
e in ogni negozio gestito da Cinesi appariva puntualmente un gruppo di bambini Cinesi, e così in un negozio gestito da arabi, egiziani,
turchi, greci, rumeni, marocchini, tunisini, indiani, ecc, l’osservatore ne deduceva che ben presto i capi delle fabbriche del paese, presto sarebbero divenuti stranieri, e così sarebbe avvenuta necessariamente a breve anche per il padrone della stessa fabbrica, il Prete della Chiesa, e il Sindaco del Paese, e così infatti fu.
Mentre a San Marino la legge stabiliva che per possedere la cittadinanza sanmarinese si dovesse permanere nel granducato per almeno sette generazioni, in Italia ed Europa ne bastava solo una, e forse solo mezza e nessuna legge fu mai varata per tutelare il patrimonio etnico italiano.
I muri che i nonni dei cittadini autoctoni avevano lasciato in eredità dopo averli strenuamente difesi nelle guerre storiche, mantenuti e tramandati alla generazione attuale, sia per cessione, sia per fallimento, venivano levati a quest’ultima, che si vedeva così “soffiare” millenni di storia in un solo ventennio di “world globalization”.
Ma quali furono le vere cause di tutto questo processo?
Perché gli americani fecero entrare da sempre nei loro territori prima, orde di navi con lavoratori africani, e poi altri da tutto il resto del mondo, facendo dell’immigrazione un business per lo stesso mantenimento statale in vita?
Perché i Francesi prima colonizzanti e poi colonizzati dai suoi stessi coloni, che di riflusso sono entrati ad invadere la Francia da diversi anni non è stata capace di riprodursi a sufficienza, per creare il numero di contribuenti voluto dal proprio capo di gabinetto del tesoro, utilizzando la genealogia autoctona?
Perché lo stesso hanno fatto i tedeschi, tanto che un turista che passava casualmente da Hannover, assisteva all’effettiva invasione di Turchi nelle discoteche tedesche, unica razza questa ben tollerata evidentemente dal razzismo ariano?
E perché ora tutto questo stava avvenendo nella sacrale Italia, ex paese abbondantemente ecclesiastico, nonostante nessun cittadino lo avesse voluto?
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L’inviolabilità bancaria
Si dice che un anonimo banchiere finito in galera come capro espiatorio per tutta la categoria ha scritto recentemente dei libri-denuncia.
In carcere avrebbe sviluppato e lasciato una confessione significativa, la cui sostanza è questa: l’economia non è morta, ma l’attuale sistema è stato ucciso dall’egoismo finanziario di poche persone.
E la cosa paradossale è che questi casta finanziaria ha utilizzato l’arma preferita dal comunismo: l’egemonia culturale. La nozione sviluppata da
Gramsci negli anni Venti, stabiliva la necessità di imporre una visione del mondo e delle idee per poter leggere e interpretare la società. I nuovi guru del pensiero unico disumanizzante hanno semplicemente venduto delle idee di felicità a breve termine per imporre una determinata visione della realtà, che in pochi anni è diventata dominante grazie al contributo delle classiche figure accademiche ben prezzolate: i professori universitari (i loro rapporti orali sono i più pagati).
La regola principale di questo tipo di filosofia liberista è la seguente: “Ciascuno è libero di fare del bene, ma a sue spese” (Milton Friedman, premio Nobel nel 1976). Che è come dire che siccome siamo quasi tutti buoni si può fare a meno di spendere soldi nelle forze di polizia.
Invece il concetto fondamentale di questa politica era quello di Margaret Thatcher: “La società non esiste, esistono solo gli individui” (quelli che comandano e quelli che s’incazzano).
Del resto ci furono molti premi Nobel tra gli economisti liberisti: vinse Hayek nel 1974 (a mio parere il più creativo e serio tra tutti) e l’ultimo premiato fu probabilmente Vernon Smith nel 2002.
Con tutti questi economisti che originarono il pensiero unico e il tabù dell’inviolabilità delle Banche Centrali, è un miracolo che si sia arrivati al 2009. In effetti fino al 2009 ci si è arrivati solo grazie ai vari camuffamenti finanziari e ai giochi matematici che solo dei “grandi luminari” potevano ideare.
Tutti hanno preferito non pensare alle implicazioni del Teorema dell’incompletezza di Godel che ha dimostrato che la verità di un assioma non è la sua dimostrazione logica, nel senso che è impossibile dimostrare la non contraddittorietà di un sistema logico-matematico con il linguaggio dello stesso sistema. Quindi, se si vuole indagare il mondo con sistemi logico-matematici, sorge la necessità di utilizzare altri linguaggi e sistemi per descrivere accuratamente questo mondo.
Cioè l’economia e la finanza non si possono ridurre solo a delle semplici o a delle complicatissime formule matematiche. In realtà in molti sapevano benissimo che vendere e rivendere debiti travestiti da titoli “sani” (insieme a titoli sani), avrebbe portano alla batosta finale, ma l’importante era levare le tende prima dello scoppio della bufera finanziaria e popolare. Però Reagan aveva ragione, ma non nel senso che intendeva lui: “Lo stato non è la soluzione ai nostri problemi, ne è la
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causa”, perché ha lasciato andare la barca alla deriva. Infatti la società che naviga in un’economia è come una barca: se non viene governata prima o
poi si incaglia, si spiaggia o affonda speronando un’altra barca o degli scogli. E purtroppo in quasi tutti i paesi si lasciano governare dei vecchi stolti molto impreparati: anche quando riescono a prendere la decisione giusta è ormai troppo tardi.
Illuminati nordici
Mentre in Italia giornalisti e cittadini credevano ancora nel 2011 dell’illeicità e dell’ingiustificatezza assoluta di movimenti come la p2 e poi la p3,
in tutti i paesi europei erano state costituite delle vere e proprie istituzioni pubbliche per gestire lo sviluppo del paese verso i nuovi dettami globali. In Germania ad Esempio, era stato costituito il
“DIE” ovvero l’Istituto di sviluppo economico Tedesco - Dipartimento della Governance Globale
Con relativo sito pubblico Edito dall’istituto di sviluppo - economico Tedesco -Deutsches Institut für Entwicklungspolitik (DIE) -Tulpenfeld 6 -53113 Bonn -Germania -Telefono: +49 (0) 228 94927-0 - Fax: +49 (0) 228 94927-130 - DIE@die-gdi.de - www.facebook.com / DIE.Bonn
Il Dipartimento si concentrava sull'analisi della trasformazione politica e la stabilità dei diversi ordini politici e sulla capacità degli Stati di adempiere le funzioni pubbliche. Il loro sito riportava:
“..Esaminiamo governance e modelli di conflitto correlati a queste problematiche e incorporare le nostre analisi nel più ampio contesto internazionale.
La nostra competenza principale consiste nella analisi empirica da una prospettiva di economia politica, che è la teoria-driven e suono metodologici. La nostra profonda competenza in diverse regioni ci permette di andare oltre il paese o la regione specifica analisi verso i confronti interregionali. La nostra conoscenza tacita sui campi di assistenza allo sviluppo e la politica estera ci consente di promuovere la comunicazione tra ricercatori e professionisti, nonché per fornire consulenza a base di ricerca per i decisori politici.
Attualmente la nostra attività si concentrano su tre aree principali:
• Trasformazione: Democratizzazione e determinanti esterni di ordine politico
• Stabilità: gli Stati fragili e conflitti armati
• Stato Capacità: Decentramento e finanza pubblica Progetti in corso
Responsabilità in Mozambique: sfide e opportunità per la cooperazione
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allo sviluppo
Obiettivi contrastanti della promozione della democrazia
Promozione della democrazia nell'era di Social Media digitali: sfide e opportunità
Valutare l'intervento di governo con metodi rigorosi Governance nei Paesi donatori e la qualità degli aiuti esteri
Cartolarizzazione degli aiuti esteri
L'efficacia del sostegno di bilancio
L'impatto della Russia, India e Cina per le strutture nella loro governance regionale per l'ambiente (RICGOV)
Dipartimento "Competitività e lo Sviluppo Sociale"
"Competitività e lo Sviluppo Sociale" reparto lavora sul rapporto tra crescita economica, innovazione, competitività, produttività e sviluppo,
da una parte e (proventi) la distribuzione e la povertà nei paesi in via di sviluppo dall'altra. Sulla base dei risultati delle sue ricerche, il team sviluppa concetti per le politiche economiche e sociali che servono a rafforzare la competitività a lungo termine dei paesi in via di sviluppo, e sono allo stesso tempo socialmente inclusiva e sostenibile. Il team di sviluppo consiglia anche le istituzioni tedesche e internazionali. attuali attività del dipartimento di ricerca e consulenza concentrano su:
• promozione attiva di affari e business in settori quali la promozione SMI e di integrazione nella catena del valore;
• innovazioni per una crescita ecologicamente sostenibile e socialmente inclusivo ;
• determinanti di un clima favorevole agli investimenti nei paesi emergenti , che pone le basi per una crescita inclusiva e le misure di sostegno più adatto allo scopo;
• efficienza di sensibilizzazione e di riduzione della povertà della politica agricola e dello sviluppo rurale ;
• sistemi di protezione sociale nei paesi in via di sviluppo e trasformazione ;
• pro scarsa crescita in India e Brasile.
Oltre a questo focus della ricerca, il dipartimento è attualmente responsabile del coordinamento del progetto di cooperazione con i paesi di ancoraggio . Questo progetto analizza lo sviluppo della cooperazione tedesca con questo gruppo paese e sviluppa concetti di cooperazione tra agenzie.
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Progetti da allora in corso
• La produzione di biocarburanti in area sub sahariana
• Innovazioni per uno sviluppo ecologicamente sostenibile
• Nuove strategie di governance per la ricerca multilaterale per affrontare le sfide globali
• Shaping catene del valore in vista di esigenze di sviluppo
• Aggiornamento delle PMI: le barriere alla crescita per le piccole imprese
• L'impatto della crisi finanziaria ed economica globale sulle famiglie, piccole imprese e mercati del lavoro
• Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: I punti di forza e di debolezza - e che cosa questo significa per il futuro orientamento della politica di sviluppo globale?
L’intervento della Chiesa 26
“La Chiesa, al di là dell’ambito della sua fede, considera suo dovere difendere, nella totalità della società, le verità e i valori, nei quali è in gioco la dignità dell’uomo in quanto tale”. A ribadirlo è stato oggi il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, aprendo a Roma l’VIII Congresso nazionale di “Scienza & Vita” con una “lectio magistralis” sul tema “Scienza e cura della vita: educazione alla democrazia” “Una società è veramente umana soltanto quando protegge senza riserve e rispetta la dignità di ogni persona dal concepimento fino al momento della sua morte naturale”, ha affermato il cardinale citando il Papa, e ha aggiunto: “Non abbiamo diritto di giudicare se un individuo sia ‘già persona’, oppure ‘ancora persona’, e ancor meno ci spetta manipolare l’uomo e voler, per così dire, farlo”. “Non si tratta – ha precisato – di voler imporre la fede e i valori che ne scaturiscono direttamente, ma solo di difendere i valori costitutivi dell’umano e che per tutti sono intelligibili come verità dell’esistenza”. “Poiché appartengono al Dna della persona – ha proseguito il cardinale – non possono essere conculcati, né parcellizzati o negoziati attraverso mediazioni che, pur con buona intenzione, li negano. È questo il ceppo vivo e solido che costituisce l’etica della vita”, e su cui “germogliano tutti gli altri necessari valori che vengono riassunti con l’etica sociale”.
Il Modello di Klein-Monti
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Il modello di Klein-Monti (risultato di studi pubblicati nel 1971 e nel 1972) è un modello completo di comportamento di una banca in regime di
monopolio. Si tratta, cioè, di un modello teorico che si propone di spiegare le modalità attraverso cui si determina l'equilibrio microeconomico delle banche (modello di comportamento), considerando scelte di ottimizzazione che riguardano tanto l'attivo quanto il passivo (modello completo).
All'interno della categoria dei modelli di comportamento delle banche tale modello risulta essere lo schema teorico maggiormente condiviso tra gli economisti, in particolare perché si basa sull'assunzione di monopolio nel mercato degli impieghi e nel mercato della raccolta (a differenza di altri modelli che ipotizzano la concorrenza perfetta).
Schema del modello
1 Ipotesi del modello
2 Esposizione del modello
3 Conclusioni
4 Critiche
5 Bibliografia
Ipotesi del modello Klein-Monti
• monopolio nel mercato dei prestiti e nel mercato dei depositi;
• concorrenza perfetta nel mercato dei titoli; assenza di ricavi da servizi;
assenza di costi
D = quantità depositi;
T = quantità titoli;
R = quantità riserve;
k = proporzione di depositi destinata a riserva obbligatoria; iL = tasso d'interesse sui prestiti;
• •
iD = tasso d'interesse sui depositi;
iT = tasso d'interesse sui titoli (privi di rischio);
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Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• iR = tasso d'interesse sulle riserve;
• irob = tasso d'interesse sulla riserva obbligatoria;
• riserve = riserva obbligatoria (ipotesi semplicistica di
assenza di riserve libere);
• L+R+T=D (impieghi = fonti, ipotizzando per semplicità che la banca raccolga le proprie fonti di finanziamento solo attraverso i depositi);
• investimento;
• •
tasso iL;•
ηDd = elasticità della domanda di depositi rispetto al Esposizione del modello Klein- Monti
Considerando i ricavi degli investimenti (prestiti, titoli, attività con funzione di riserva liquida) e i costi dei finanziamenti (raccolta dei depositi), e tralasciando per semplicità l'esistenza di ricavi da servizi e costi reali, questa è
NV=L(1+iL) +T(1+iT) + R(1+ir)-D(1+iD)
la formula del valore netto della banca a fine periodo di investimento:
NV=L(1+iL) +T(1+iT) + kD(1+irob)-D(1+iD)
Considerando per semplicità che le riserve R=kD e iR=irob detenute dalla banca corrispondano alla sola riserva obbligatoria (rob), la formula del valore netto si ottiene ponendo e:
Dato che:
L+R+T=D
Abbiamo: T=D-L-R
Il valore netto diventa:
NV=L(1+iL) +(D-L-kD)(1+iT) + kD(1+irob)-D(1+iD)= =L(1+iL) +D(1+iT)-L(1+iT) + kD(1+iT) kD(1+irob)-D(1+iD)= =L(1-iL-1-iR)-D(1+iD-1-iT)-kD(1-iT-1-irob)= =L(iL-iT)-D(iD-iT)-kD(iT-irob)
Dove (considerando iT come il tasso d'interesse privo di rischio):
iL- iT è il premio per il rischio richiesto dalla banca ai prenditori di fondi;
tasso iT. •
NV = valore netto della banca alla fine del periodo di
Ld = f(iL) (domanda di prestiti);
Dd = f (iD) (domanda di depositi);
ηLd = elasticità della domanda di prestiti rispetto al
pag. 3! 6 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman iD - iT è il premio per il rischio offerto ai depositanti dalla banca;
iT - irob è il costo opportunità del detenere riserve (da notare che non si
tratta di un costo totale, ma di un costo marginale, ovvero costo
per unità di capitale investito in riserve).
La banca presenta un premio richiesto positivo nel primo caso e un premio offerto negativo nel secondo caso (che equivale ad un premio richiesto positivo); il costo opportunità sarà positivo.
Il premio per il rischio richiesto dalla banca ai prenditori è positivo perché la banca vuole compensare il proprio rischio di credito e il proprio rischio di liquidità inerenti all'attività di prestito.); ciò perché, se è vero che i depositanti corrono un certo rischio in caso di fallimento bancario, è pur vero che l'estrema liquidità dello strumento deposito, il controllo professionale dei rischi da parte della banca e la presenza (in certi paesi) di un meccanismo di assicurazione sui depositi, rendono in realtà tale strumento poco rischioso e molto comodo per i depositanti (gli svantaggi di questa forma di investimento sono più che compensati dai vantaggi che essa offre).
Il costo opportunità del detenere riserve rappresenta il costo in termini di mancato guadagno derivato dal fatto che la banca centrale obbliga le banche a detenere una parte di liquidità presso di essa, remunerandola ad un tasso inferiore a quello di mercato; questa quantità agirà quindi in senso negativo sul valore netto, per cui sarà maggiore di 0 (dato che l'addendo risulta negativo solo quando ).
La domanda di prestiti e la domanda di depositi sono rispettivamente:
Ld=f(iL) (funzione decrescente rispetto al tasso d'interesse sui prestiti) Dd=f(iD) (funzione crescente rispetto al tasso d'interesse sui depositi)
Il valore netto dovrà tenere conto della combinazioni quantità-tasso accettabili dalla domanda; la funzione del valore netto diventa quindi:
NV=Ld(iL-iT)-Dd(iD-iT)-kDd(iT-irob)
L'obiettivo della banca è la massimizzazione del profitto, ovvero la massimizzazione della funzione del valore netto a fine periodo rispetto alle variabili strategiche che la banca può governare; in presenza di monopolio la banca può governare direttamente la variabile prezzo (in questo caso corrispondente al tasso d'interesse, quello sui prestiti e quello sui depositi); il problema di ottimizzazione della banca può essere espresso dunque come:
max(iL,iD)NV=Ld(iL-iT)-Dd(id-it)-kDd(iT-irob)
Risolvendo il problema di massimizzazione in due variabili si ha il sistema costituito dalle seguenti equazioni:
δNV/δiL=δLd/δiL(iL-iT)+Ld =()(derivata parziale di rispetto a posta pag. 3! 7 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman uguale a 0)
(derivata parziale di rispetto a posta uguale a 0)
Conclusioni del modello Klein- Monti
Dal modello risulta una dicotomia tra il tasso d'interesse sui prestiti e il tasso d'interesse sui depositi (la fissazione dell'uno non influisce sulla fissazione dell'altro, se non indirettamente attraverso variabili determinanti comuni).
I titoli rappresentano una sorta di "variabile buffer", ovvero una posta attiva che viene "riempita" quando vi sono risorse in eccesso, e "svuotata" quando si vogliono ottenere delle risorse in più (attraverso la liquidazione dei titoli) da investire maggiormente in prestiti; non sempre quindi una riduzione dei depositi comporta una riduzione dei prestiti, dato che le banche possono appunto sfruttare le risorse detenute in titoli e reinvestirle in prestiti.
Per quanto riguarda gli effetti della politica monetaria, diversi sono i fattori su cui questa può agire per controllare l'ammontare delle grandezze bancarie (depositi e prestiti): tasso d'interesse sui titoli, tasso d'interesse sulla riserva obbligatoria, frazione di riserva obbligatoria.
Va infine sottolineato come i tassi fissati dalla banca sui due mercati controllati monopolisticamente siano funzione dell'elasticità della domanda al tasso d'interesse: se l'elasticità aumenta la banca fissa tassi d'interesse per essa più convenienti (del resto in genere esiste una relazione diretta tra elasticità della domanda rispetto al prezzo e grado di monopolio).
Critiche al modello Klein- Monti
Nonostante il comune riconoscimento dell'importanza del modello da parte degli studiosi, si rilevano alcuni spunti critici che evidenziano la necessità di approfondire gli studi teorici per migliorarne la capacità rappresentativa e interpretativa dei fenomeni economici considerati. Le principali critiche del modello riguardano i seguenti aspetti:
assenza del fattore rischio nella funzione di ottimizzazione della banca (assumendo la neutralità al rischio, il problema di ottimizzazione non si configura come scelta della combinazione ottimale rendimento atteso-rischio, ma semplicemente come scelta del livello ottimale del profitto);
assenza di relazione diretta tra ottimizzazione dell'attivo e ottimizzazione del passivo;
assenza di una prospettiva di scelta multiperiodale;
assenza di costi reali nella funzione obiettivo della banca (ovvero
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman nella funzione del valore netto).
Bibliografia del modello Klein- Monti
G. B. Pittaluga, "Economia monetaria", ed. Hoepli, 1999
M. Onado, "Mercati e intermediari finanziari", ed. Il Mulino,
2000
Considerazioni sul modello di Klein-Monti
Il modello è una semplice utility di calcolo del dimensionamento dei tassi di interesse attivi e passivi che il sistema bancario dovrebbe tendere a fissare sul mercato.
Tale modello è alquanto astratto ed erroneo per i seguenti macro motivi:
Presuppone il controllo monopolistico dei mercati da parte delle banche
Presuppone la concorrenza perfetta del mercato dei titoli che non può esistere come non può esistere l’uso esclusivo della moneta elettronica
Le soluzioni anticrisi
Il modello economico matematico della manovra di un paese
Variabili Le celle color azzurro sono modificabili (Attenzione: variazioni inverosimili di eccessiva entità rendono inattendibili i dati).
0,830
100,000
a livello di consumo autonomo 8,000
b propensione ai consumi rispetto al reddito
Strumenti di Politica Economica
t aliquota fiscale proporzionale 0,395
e livello di investimento autonomo: 75,000
Politica fiscale
d propensione agli investimenti rispetto al tasso Indicare la variazione (con segno algebrico) di:
g livello delle esportazioni nette autonomo 42,500 variazioni
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
m propensione alle esportazioni nette rispetto al reddito
( G ) Spesa pubblica (mil.euro) -55,000 -7,30%
n propensione alle esportazioni nette rispetto al tasso
50,000 ( t ) Aliquota fiscale -0,030 -7,59%
k propensione a detenere moneta rispetto al reddito
h propensione a detenere moneta rispetto al tasso 100,000 G ammontare della spesa pubblica (miliardi di euro) 753,000
Politica monetaria
0,100
0,200
M offerta di moneta da parte delle autorità (miliardi di euro) 1.157,000 Indicare la variazione (con segno algebrico) di:
td tasso di disoccupazione 0,064 variazione
i tasso di interesse generale
di moneta (mil. €) 40,000 3,46% Valori ricavati dalle variabili
variazioni
P Livello generale dei prezzi
0,040 ( M ) Quantità Valori dopo la manovra
generale dei prezzi 4,254 5,85%
Y* Reddito di equilibrio (miliardi di euro)
176,539 Nuovo disavanzo di bilancio
P 4,280 4,019 3,758 4,280 4,254
DA valore di Y nella curva 1.430,071 1.492,794 1.423,917 1.426,826
PI Reddito di Pieno impiego delle risorse 1.559,351 1.559,351 1.559,351 1.559,351
1.459,396 -2,23%
Nuovo reddito di equilibrio 1.426,826
D Disavanzo di Bilancio pubblico [G - (t*Y)] (in miliardi di euro)
Pil Pil italiano 1.459,396 1.459,396 1.459,396 1.426,826 1.426,826 1.426,826
Agire sulla quantità di moneta immessa
4,019
Nuovo livello
177,208 0,38%
3,758
1.459,396 1.490,659
1.559,351 1.559,351
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Se si fosse aumentata la quantità di moneta dagli attuali 40 M ad esempio a 80 M (prelevando tutti i fondi giacenti overnights) il nuovo livello generale dei prezzi sarebbe salito dal tendenziale attuali del 1,46 per cento al 4,85 per cento stabilendo un incredibile balzo inflattivo.
Probabilmente la paura dell'inflazione galoppante, è quella che frenava i fautori dell'euro.
Ma con grave errore. Essi temevano per la stabilità della loro moneta coniata con tanta cura, e professavano una tendenza alla stabilità totale.
Io questa utopistica stabilità la avrei chiamata invece "stasi improduttiva".
Ed è risaputo infatti che in ogni stasi, in ogni inerzia assoluta, sia insita sterile negatività e improduttività.
Anche se professavo contemporaneamente contro ogni la pretesa verso tutti i sistemi economici, allora vigente, di una crescita tout cour obbligatoria e incondizionata per i motivi già esposti in questo libro, ritenevo, come tuttora, che un organismo adulto anche pur abbia il sacrosanto diritto a non dover crescere oltre un certo limite di equilibrio esistenziale, ma che dovesse comunque continuare a muoversi per non arrugginire.
Si poteva benissimo ricordare ad esempio, il periodo di assoluto benessere monetario per ogni classe, quando l'andamento galoppante dell'inflazione muoveva ciclicamente verso un apice, per poi ciclicamente riazzerarsi con un aggiustamento dei cambi valutari. Questa fenomenologia di "Alimentazione delle energie potenziali Economiche a Correnti Alternate inflattive galoppanti" ("AECA") hanno visto la crescita del "BENESSERE EFFETTIVO NAZIONALE" ("BEN") in molti paesi emblematici come Italia e ancor più il Brasile per esempio.
Agire sulla leva della spesa pubblica
Se fossimo partiti da un valore di riduzione della spesa pubblica ad esempio del -20% e avessimo portato questo valore per pura prova al -40% avremmo notato sia il passaggio del nuovo livello generale dei prezzi dal +1,46% al +3,94% e il nuovo disavanzo di bilancio dall'allora attuale -7,41% al -3,36%. Su questo tipo di azione era inevitabile non poter esprimere altro che un giudizio di non perseguibilità per via del livello di aumento dei prezzi molto importante, in rispetto dei dettami della stabilità dettati da Francoforte.
Agire sui tassi di interesse bancari
Se si fosse agito aumentando l'attuale 4% sino a portarlo al tasso dell'80% di colpo, per un solo anno, si sarebbero notino i seguenti elementi:
Nuovo livello generale dei prezzi scende al -0,999%
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman Nuovo disavanzo di bilancio -2,26%
Pur sapendo che tale azione temeraria e folle sarebbe improponibile e scandalosa, la si evidenzia a meri scopi didattici indicandola comunque come possibile soluzione drastica, ma risanante e anti inflattiva
Agire su aliquote fiscali proporzionali
Aumentando l'aliquota proporzionale dal 39,5% previsto per esempio al 800%
si otterrebbe una variazione dell'aumento dei prezzi del 5,90% ma una variazione del disavanzo da gli attuali 176 miliardi a ben -257 miliardi in un solo anno pari a meno 1,28%. dall'attuale +7,58%.
Pur sapendo che tale azione temeraria e folle sarebbe improponibile e scandalosa, la si evidenzia a meri scopi didattici indicandola comunque come possibile soluzione drastica, ma risanante e anti inflattiva
Agire sulla spesa pubblica
Se gli attuali 753 miliardi di euro spesi per la gestione pubblica, si riducessero di 55 miliardi si avrebbe un aumento generale dei prezzi del 5,65 per cento e ciò farebbe iniziare la galoppata inflazionistica del'euro, ma avrebbe il vantaggio di ridurre il disavanzo di bilancio al minimale 0,38%Agenzie di Rating inaffidabili?
Matematici globali erronei
Ma la Credibilità Americana e le sue Agenzie di S-rating sui Lybor CHE DICONO ?
Proprio quando si pensava che Wall Street non sarebbe riuscita a cadere più in basso - dopo che una miriade di abusi sulla fiducia del pubblico avevano già diffuso un miasma di cinismo su tutto il sistema economico, facendo nascere "Tea Parties"' “Movimenti di Occupanti” e ogni sorta di teorie del complotto, dopo che i suoi eccessi avevano già provocato il caos nella vita di milioni di americani, facendo sborsare miliardi ai contribuenti (che hanno recuperato solo in parte) ci rendiamo conto che ...... tutto questo non era ancora abbastanza!
Sedetevi e tenetevi forte !
I Top Managers di Wall Street hanno ricominciato a fare più soldi di prima grazie al loro irrefrenabile potere politico (frutto di "contributions" /mazzette più o meno legali), che ha già azzerato gran parte degli effetti della legge “Dodd-Frank” che avrebbe dovuto tenerli a
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
freno. Compresa la cosiddetta "Regola Volker" che è stata "venduta al popolo" come una versione più moderata della vecchia legge "Glass-
Steagall", che serviva a tenere da un lato gli investimenti e dall'altro la speculazione del sistema bancario commerciale. Sì, proprio quando si pensava che Wall Street aveva toccato il fondo, ci si è accorti che esiste un livello ancora più profondo di corruzione e di avidità per accaparrarsi denaro pubblico.
Quali sono i servizi più elementari che forniscono le banche? Prendere denaro in prestito e ri-prestarlo. Tu metti i tuoi risparmi in una banca di cui hai fiducia, e la banca si impegna a pagarti gli interessi. Oppure prendi in prestito denaro da una banca e accetti di pagare gli interessi bancari.
Come viene determinato il tasso di interesse?
Facciamo conto che il sistema bancario stia valutando il tasso di sconto di oggi impostando i suoi calcoli su una ipotesi ottimistica sul valore futuro del denaro. E supponiamo che questa ipotesi si basi, a sua volta, sulle previsioni del mercato globale formate dalle indicazioni degli istituti, che gestiscono credito e debito in tutto il mondo, sull'evoluzione futura della domanda e dell'offerta di denaro.
Ora supponiamo che la nostra ipotesi sia sbagliata. Supponiamo che i banchieri stiano manipolando il tasso di interesse in modo da poter fare scommesse con i soldi che gli state prestando o con cui devono ripagarvi - scommesse con cui guadagneranno montagne di soldi, perché loro conoscono in anticipo le informazioni su quello che farà veramente il mercato. Informazioni che però non stanno condividendo con voi.
Se questa ipotesi fosse vera, costituirebbe non solo una enorme violazione della fiducia del pubblico ma anche una estorsione di proporzioni quasi cosmiche – miliardi di dollari che voi ed io e altre persone del ceto medio non avremmo ricevuto sui nostri correnti o non avremmo risparmiato sui nostri prestiti, che invece sarebbero rimasti in tasca ai banchieri.
Se questo fosse vero gli altri abusi di fiducia a cui abbiamo assistito finora, a confronto, sembrerebbero un gioco da ragazzi.
E’ triste dirlo, ma c'è ragione di credere che questo, o qualcosa di molto simile, sia già successo. Questo è quanto emerge dallo scandalo "Libor" (abbreviazione di "London Interbank Offered Rate") .
Libor è il parametro su cui si elabora il tasso di interesse per gestire migliaia di miliardi di dollari di prestiti in tutto il mondo – dei mutui, di
piccoli prestiti aziendali, di prestiti personali. Questo valore è il risultato della media dei tassi a cui le grandi banche dicono di prendere soldi in prestito.
Finora, lo scandalo è stato limitato alla Barclay’s, una grande banca con sede a Londra, che ha appena pagato 453 milioni dollari ai controllori del
sistema bancario americano e britannico, i cui alti dirigenti sono stati costretti a dimettersi. Le loro e-mail danno un quadro agghiacciante su quanto facilmente i loro colleghi abbiano potuto alterare i tassi di interesse e fare un sacco di soldi. (Robert Diamond Jr., ex amministratore
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delegato della Barclay's Bank, che è stato costretto a dimettersi, ha dichiarato che le e-mail gli hanno fatto "male fisicamente " - forse perché rivelano la corruzione nella sua Banca in modo troppo evidente.)
Ma anche Wall Street è stata quasi sicuramente coinvolta in cose del genere, comprese le solite sospette - JPMorgan Chase, Citigroup e Bank of America - perché ogni grande banca contribuisce a fornire dati per fissare il tasso Libor, e la Barclay’s non avrebbe potuto agire senza che le altre ne fossero consapevolmente coinvolte.
Infatti la difesa della Barclay è stata che ogni banca importante stabiliva il Libor con il loro stesso metodo e con gli stessi scopi. E la Barclay's ora sta "collaborando" (cioè, fornendo prove schiaccianti sulle altre grandi banche) con il Dipartimento di Giustizia e con altre autorità di controllo per evitarsi sanzioni maggiori o procedimenti penali, prima che comincino i veri fuochi d'artificio.
Veramente ci sono due diversi momenti nello scandalo Libor.
Il primo è avvenuto nel periodo prima della crisi finanziaria, verso il 2007, quando la Barclay's e altre banche presentavano falsi tassi Libor,
inferiori agli oneri finanziari effettivi per nascondere i problemi in cui si trovavano veramente (e continuare a prendere i Bonus). E questa è stata una cosa delittuosa, perchè se si fosse saputo allora, forse qualche precauzione presa in tempo avrebbe ridotto l'impatto della crisi finanziaria prima che avvenisse nel 2008.
Ma il secondo scandalo è ancora peggio. Si tratta di una pratica più generale, iniziata intorno al 2005 e non si sa fino a quando potrà continuare a fare danni : si tratta di Manipolare il Libor in qualunque modo sia necessario pur di garantire alle banche che le loro scommesse sui derivati continuino a essere redditizie.
Si tratta di insider trading su scala gigantesca per cui i vincitori saranno sempre i banchieri e tutti gli altri - cioè noi - il cui denaro cè stato usato per fare le loro scommesse – dovranno essere gli ottusi perdenti.
Cosa fare a questo proposito, oltre sperare che il Dipartimento di Giustizia e le altre autorità di controllo impongano multe e sanzioni, anche penali, e incriminino i dirigenti responsabili?
Quando si tratta di Wall Street e del settore finanziario in generale, la maggior parte di noi si sente profondamente impotente e travolta da un cinismo che fa credere che non potrà mai essere fatto niente per fermare questi abusi perché è gente troppo potente. Ma dovremo vincere questo cinismo e superare la fatica di reagire senza farci prendere dallo sconforto perché se soccomberemo a queste enormi forze anche stavolta, nulla verrà mai fatto.
Non abbiamo scelta - bisognerà essere instancabili e tenaci nella nostra richiesta - bisogna che la legge “ Glass-Steagall” venga riattivata e che
tutte le maggiori banche vengano divise. La domanda che dobbiamo porci è "lo scandalo Libor che si sta svelando oggi basterà a segnarci tanto da darci la forza di pretendere che venga finalmente fatto un lavoro serio sulla politica bancaria?".
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Robert Reich, uno dei maggiori esperti su lavoro e economia, è Chancellor’s Professor of Public Policy alla the “Goldman School of
Public Policy” dell’University of California a Berkeley. Ha servito in tre amministrazioni nazionali, più di recente come segretario del lavoro durante la presidenza di Bill Clinton. Time Magazine lo ha nominato come uno dei più efficaci dieci segretari di gabinetto del secolo scorso. Ha scritto tredici libri, tra cui il suo ultimo best-seller, Aftershock: The Next Economy and America’s Future; The Work of Nations; Locked in the Cabinet; Supercapitalism; e il suo ultimo, un e-book, Beyond Outrage. I suoi articoli e i suoi commenti televisivi e radiofonici raggiungono milioni di persone ogni settimana. E 'anche editor fondatore della rivista American Prospect, e presidente di “ Citizen’s group Common Cause”. Il suo blog Robert Reich. È molto seguito
Agire sulle leve della manovra
Economia e diritto
Modello matematico di politica economica
E’ da tempo disponibile su internet un modello economico che illustra come varia il Pil italiano per effetto delle manovre di politica economica (fiscale e monetaria) del governo.
Chiunque può provare ad usarlo e vederne i risultati.
Leggiamo e sentiamo spesso parlare di manovre pubbliche o di interventi di politica economica da parte del governo. Sappiamo che queste politiche producono delle conseguenze sul nostro sistema economico e sono ideate e poste in essere proprio allo scopo di raggiungere i grandi obiettivi di sistema: crescita del Pil, ovvero del reddito nazionale, diminuzione della disoccupazione e contenimento dell’inflazione (crescita dei prezzi).
Ma nello specifico, cioè da un punto di vista strettamente numerico, come influiscono le decisioni di politica economica sulle importanti variabili del sistema economico? Per esempio un intervento di politica fiscale come modifica le principali grandezze economiche del paese?
Un aumento della spesa pubblica aumenta il reddito nazionale (Pil) o lo diminuisce? E di quanto?
La riduzione delle tasse che colpiscono i redditi degli italiani che effetto produce? E un’iniezione di liquidità monetaria nel sistema bancario, ad opera delle autorità pubbliche, a quali scenari conduce?
Sono tutte domande che possono trovare una risposta grazie al modello
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
economico liberamente scaricabile in questa pagina.
(http://www.studiamo.it/studiamo-file/Modello economico 6.xls)
Ci si può quindi divertire a cambiare i valori del modello legati agli strumenti di politica economica: spesa pubblica (G), aliquota fiscale (t) e quantità di moneta offerta (M). Ciò allo scopo di analizzare le conseguenze che le modifiche hanno sul:
• Pil nazionale
• Livello generale dei prezzi (P) e quindi sull’inflazione
• Disavanzo del bilancio pubblico
Il modello è costruito sulla base della nota teoria IS-LM, ampiamente studiata ed utilizzata nei corsi di economia politica. Il grafico IS-LM ha il vantaggio di trovare il reddito di un paese ponendo in equilibrio simultaneamente il mercato dei beni e quello della moneta.
Dall’uguaglianza dei valori di equilibrio dei due mercati si ricava un’equazione conosciuta come domanda aggregata. E’ proprio tale retta della domanda aggregata la prima indicazione fornita dal modello economico, insieme al punto su di essa espressivo del Pil nazionale di equilibrio.
Inoltre, mediante l’inserimento del tasso di disoccupazione del sistema, il modello mostra anche il livello di produzione nazionale corrispondente al reddito di pieno impiego, evidenziando quindi il gap di Pil da colmare per raggiungere la piena occupazione delle risorse.
Variando le variabili di politica economica (G, t e M) è anche possibile elaborare una nuova domanda aggregata ed un nuovo punto di equilibrio sulla stessa, rappresentativi della nuova situazione economica così come modificatasi per effetto dell’intervento pubblico nel sistema.
Ricordiamo che la politica economica si concretizza sostanzialmente in due importanti strumenti a disposizione del governo:
• la politica fiscale, con la quale si cerca di raggiungere gli obiettivi di reddito, di inflazione e di disavanzo programmati attraverso modifiche dell’aliquota fiscale sui redditi (t) e/o del livello di spesa pubblica (G)
• la politica monetaria, con la quale si cerca di realizzare soprattutto il contenimento dei prezzi e quindi dell’inflazione variando la quantità di moneta offerta (M)
Scendendo nel dettaglio, l’equazione IS-LM utilizzata per il modello economico è questa:
Y* = a + e + g + G + [(M/P)(d + n)]/h
1 – b(1 – t) + m + (d + n)(k/h) dove
a livello dei consumi autonomo, cioè indipendente dal reddito
pag. 4! 6 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman b propensione al consumo rispetto al reddito
t aliquota fiscale sui redditi (in altre parole è il livello della pressione fiscale)
e livello di investimento autonomo, cioè indipendente dal tasso di interesse
d propensione agli investimenti rispetto al tasso di interesse g livello delle esportazioni nette (export – import) autonomo
m propensione alle esportazioni nette rispetto al reddito
n propensione alle esportazioni nette rispetto al tasso di interesse
k propensione a detenere moneta rispetto al reddito
h propensione a detenere moneta rispetto al tasso di interesse
G ammontare della spesa pubblica dello Stato (in miliardi di euro)
M offerta di moneta da parte delle autorità monetarie (in miliardi di euro)
P livello generale dei prezzi (da non inserire perché calcolato automaticamente dal modello)
Y* reddito di equilibrio (o Pil, calcolato anch’esso automaticamente)
Inoltre servirà, ai fini del funzionamento del modello, l’inserimento dei seguenti dati:
td tasso di disoccupazione del sistema
i tasso di interesse generale (p.es. quello dei BOT a 1 anno oppure il tasso BCE)
Modello matematico
(presente alla pagina http://www.studiamo.it/studiamo-file/Modello economico 6(1).xls),
I precedenti dati numerici sono già inseriti, ma si possono liberamente cambiare in modo da configurare una diversa domanda aggregata di partenza.
I valori proposti sono in parte tratti dalle informazioni ufficiali di fonte ISTAT ed in parte scopiazzati dai vari libri di testo di economia politica. Hanno però il pregio di fornire un reddito (Pil) di equilibrio coincidente con quello attuale (inizio anno 2008) del nostro paese.
I suddetti parametri vanno inseriti nel primo foglio di lavoro del file excel, quello denominato “Dati economici e finanziari” (di colore azzurro).
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman Le celle di inserimento sono quelle di colore azzurro.
Si otterranno così i valori dei prezzi (P), del reddito di equilibrio (Y*) e del disavanzo pubblico (D).
Nello stesso foglio vanno anche inserite, se si vuole, le variazioni ad uno o più dei valori influenzanti la politica economica (G, t e M) per determinare una seconda retta di domanda aggregata, espressiva del nuovo scenario economico di sistema.
Anche in questo caso i dati sono già proposti, ma possono essere cambiati a piacimento.
I valori inseriti (ma modificabili) evidenziano quella che sembra essere la recente politica economica del governo Berlusconi: giù le spese pubbliche (G) e contenimento/riduzione delle imposte (t). Per la moneta (M) si è adottata la regola di politica monetaria della BCE (Banca Centrale Europea), per la quale l’offerta di liquidità deve aumentare di circa il 3/4% all’anno.
Una volta inseriti i dati è possibile vedere il grafico dello scenario economico di sistema andando al foglio di lavoro excel denominato “Grafico Domanda aggregata” (di colore rosso).
L’andamento del disavanzo pubblico conseguente le scelte di politica fiscale sono mostrate nel terzo foglio di lavoro del file excel: “Dinamica disavanzo pubblico (di colore verde).
Ricordiamo che le celle di inserimento sono quelle di colore azzurro.
Si raccomanda di non procedere a grosse variazioni dei parametri indicati (sia di sistema che riferiti alla politica economica) per non rendere inservibili i grafici. D’altro canto le variazioni apportate devono essere di entità verosimile e fintanto che tale circostanza viene rispettata il grafico dovrebbe rimanere “leggibile”.
Come sempre dichiariamo che abbiamo messo il nostro massimo impegno nella creazione del modello offerto gratuitamente a tutti i navigatori, tuttavia il suo fine resta pur sempre didattico e pertanto ci esoneriamo da qualsiasi responsabilità per gli eventuali danni derivanti dal suo uso.
Global praecis
Lo sfogo di un cittadino italiano, trovato su internet
Partiamo da alcuni versi canzonettistici...
..e con le mani.. amore.. per le mani ti prenderò...
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
..e senza dire parole.. nel mio cuore ti porterò...
..e senza fame e senza sete..... e senza ali e senza rete...
..voleremo via... non torneremo più.....
sublimi frasi liberatorie.. consone più che mai in questo momento di affondamento comune privo di giuste reazioni riformiste... tutta colpa delle esagerazioni del secolo e dell'autoipnosi collettiva sciale autodemagogizzante.. perbenista e paurosa di esperire nuovi pensieri.. Benché propri!.. e soprattutto di condividerli con i propri amici... tutti convinti dell'inviolabilità degli enti dominanti.. e del loro superpotere inespugnabile.. un popolo sovrano che non vuole.. non può.. o non sa come esercitare questa benedetta propria sovranità... lasciato Impotente dai pochi cervelloni della psicologia sociale, dell'informatica, del governo mondiale.. forse anche del "loro" paradiso Terrestre,,, ..grazie inps.. grazie fisco... grazie politica ladra.. ..grazie bancari dracula... grazie ladri truffatori di aziende che vi hanno dato credito... grazie consulenti del fallimento a catena... grazie avvocati pescecani delinquenti....grazie giudici in gonnella togate ma non laureabili nel senso della realtà e della logica.. grazie giudici e professori perversi corrotti e collusi.. che hanno creato luridi acquitrini e usuranti sabbie mobili nei tribunali e nelle università rendendoli inaccessibili se non al prezzo di prestazioni e favori di ogni tipo.....grazie lesbiche giustizialiste.. e separatiste distruttrici della famiglia... e dell'amor proprio maschile.....grazie giornalisti dipendenti.. inutili trombettieri inquinanti.....grazie presidenti stellari... impotenti marionette appostate dal sistema di impostazione di impostori destituiti di ogni autonomia decisoria.....ma consoliamoci..la dura verità è liberatoria.....facciamo terminare queste ingiustizie! .spazziamo via decisamente questi personaggi empi e questi comportamenti dissoluti, privi di alcuna consapevolezza globale, e indegni di ogni facoltà erroneamente riconosciuta dal sistema clientelare....ripuliamo la società da chi critica solo per criticare.. da chi non ha la volontà di riconoscere un genio, per semplice invidia..provocando oltre che la fuga dei cervelli anche l'ingresso dei coglioni....e ricordate.. risorgeremo sempre dalle nostre ceneri.. e alla fine vinceremo noi.. il popolo della verità... la verità del lavoro.. non di destra o di sinistra .. ma della collaborazione.. non dipendente e datore di lavoro.. ma equi compartecipi all'impresa comune...... non secessionisti o romanisti.. ma revisori della distribuzione risorse comuni e globali.....iniziamo a caricare il nostro cannone.. per sparare la diffusione delle nostre idee.. tutti i giorni .. fino alla fine.. tramandando le nostre nuove idee ai figli e ai nipoti.. affinché spariscano tutti gli "omini del carrozzone del paese dei balocchi.. " ...basta diffusione della cultura dell'azzardo e delle scommesse che fa più male del vizio del fumo... .. ma basta anche a tutti i pinocchi e i pulcinella.. perché ognuno abbandoni il vittimismo o il sotterfugio per autodifesa.. ed anzi trovi la propria dignità e e autonomia collaborativa sociale.. basta voler tutto facile.. basta.. ..voler essere continuamente mantenuti o imboccati dagli altri o dallo Stato.. ..basta voler essere mantenuti o voler mantenere per forza una poltrona.. basta non riconoscere chi fa bene.. o chi fa male.. aiutandolo nel suo giusto intento o fermandolo definitivamente dalla sua persistenza all'errore..basta non dedicare se stessi alla cosiddetta .. consapevolezza globale.. stop ai rivenditori
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
dell'acqua del rubinetto... ai detrattori della moneta della repubblica italiana... agli esattori dei diritti sull'opera dell'ingegno altrui.. del
commercio altrui.. della produzione altrui.. della vita e della previdenza altrui... la nettezza urbana deve essere regolata non secondo i metri quadri posseduti ma secondo la quantità di rifiuti realmente prodotti dalle persone ivi viventi, ed anche secondo la reale capacità contributiva di un individuo storicamente presente nel proprio comune di residenza.. Che pur avendo una proprietà grande, essendo magari rimasto con un solo familiare produce pochissimi rifiuti.. come l'acqua deve essere di tutti...la moneta deve essere di tutti...la musica deve essere di tutti...l'arte deve essere di tutti.. la vita deve essere di chi la detiene.. ovvero del proprietario della medesima.. e così la previdenza personale..la previdenza sociale deve essere ridotta ad un'attività prudenziale collettiva ma non coercitiva od obbligatoria per gli impossibilitati alla sostenibilità della quota imposta.. e soprattutto.. dico soprattutto.. la pubblicità deve essere libera.. e nessuno deve mai imporre una tassa su una pubblicità, un libro, un opera .. una canzone.. una vita..e soprattutto basta all'obbligatorietà delle assicurazioni sulla vita, e sulla previdenza specie se con quote palesemente e congiunturalmente insostenibili... e un pç di ricette di correzione immediata dell'economia? Ok.. quando si entra in deflazione, recessione, depressione.. la ricetta per uscirne subito senza far cadere le persone nella rovina, anzi attirando investitori esteri.. può essere basata su questa semplice traccia:
0 - Statuizione costituzionale che in Italia nessuno potrà mai sequestrare la prima casa o la tomba di famiglia per soddisfare ragioni impositive o creditizie..
1 - decimazione dell'iva, ires e irap
2 - abrogazione di tutti i terrorismi di ogni sanzione usurante, costituzionalmente, civilmente, logicamente, improba ed illegittima
3 - decimazione dell'imposizione inps
4 - costituzione di buoni spesa rilancio repubblicani sovrani alla moneta di bankitalia, bce & c.
5 - diffusione immediata e semplificazione dell'accesso al credito agevolato, costituito sia dalla moneta europea che dai mezzi di sostenimento economico repubblicani..
6 - varie in aggiunta a sostegno della permanenza dei cervelli produttivi ed inventivi in Italia
7 - divieto di esportazione della tecnologia italiana per i prossimi cento anni.
L’abominio della svalutazione selvaggia del valore di un bene
Eccesso di sanzione, Eccesso di svalutazione a mero fine meramente speculatorio sono azioni deprecabili per ogni società (Aristotele, Politica)
Il deprezzamento dei beni per asta giudiziaria
Salomone: 11,1 La bilancia falsa è in abominio al Signore, ma del7 peso
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman esatto egli si compiace.
Mentre veniva considerata deprecabile la svalutazione dei beni di un’azienda per via dell’effetto borsistico oltre una certa soglia di guardia, nel mercato delle aste giudiziarie, si era creata una nuova moda: quella del “Fallo fallire che mi serve un capannone lì”.
Ecco che beni aventi valori di mercato reale pari a 100 venivano venduti ed acquistati liberamente anche a 10, compiendo il più aberrante gesto di sterminio del lavoro umano, mai concepito da una civiltà pacifica prima di allora.
Solo la guerra o il terremoto potevano essere comparati a questa silenziosa azione devastante le sorti di una EER.
Questo terrorismo mobiliare ed immobiliare imperversò per anni arricchendo ingiustamente ed indebitamente migliaia di persone, avvocati e giudici, ai danni di altrettante persone cadute nell’impossibilità di pagare per via della crisi.
L’assenza dei giurati di ogni classe e rango sociale dalle sezioni giudicanti dei tribunali
Per avere l’assoluto dominio della giustizia la setta gerente definita da alcuni la “Ndrango-Massoneria-Giustizialista” ha pensato di attivare deliberatamente ed impunitamente le seguenti forme di auto boicottaggio delle proprie strutture affinché non potessero appositamente funzionare se non attraverso la propria decisione o il proprio intervento diretto:
Mantenimento del caos dei documenti cartacei
Mantenimento dell’uso di scrivere manualmente durante le udienze attraverso avvocati di controparte che usavano appositamente zampe di gallina, per non far comprendere l a propria scrittura
Inerzia assoluta verso qualsiasi forma di regolarizzazione organizzativa interna, quanto mai dovuta per diritto a tutti i cittadini
Eliminazione della responsabilità dei giudici per referendum popolare
Eliminazione delle composizioni dei giudici di tribuni di classe che difendessero una specifica classe sociale od economica con la propria competenza specifica, altrimenti assente nei giudici di cultura ordinaria.
Alcune recenti sentenze pubbliche da alcuni assistite o subite risultavano palesemente inique
Esempi
- Pensionata condannata a pagare 90000 euro per un impunito errore di notifica del postino, e nonostante la palese assenza di base imponibile.
- Magazziniere edile condannato a pagare 30000 euro perché il suo parquet è stato fatto posare dal direttore lavori del cliente in una casa
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
umida fondata su terreno poi risultato ex risaia non risanata e la casa non isolata.
- Proprietario di immobile cittadino condannato a pagare 30 mila euro per aver inviato una mail di richiesta di offerta per un terreno ad una famiglia calabrese recidiva in “terrorismo legale” per carenza legislativa e nozionale da parte delle giudici stesse della fattispecie di responsabilità precontrattuale...
- Magazziniere edile condannato a pagare 15000 euro perché il gatto della cliente ha macchiato la piastrella con il suo liquido organico e la cliente non poteva trovare il prodotto giusto al supermercato..
- Magazziniere edile condannato a pagare 40000 euro perché il parchettista della cliente non avrebbe potuto secondo la giudice, non poter dare martellate sulla vernice del parquet prefinito all’impazzata...
- Aziende commerciali non riuscivano mai ad incassare i propri crediti perché i professionisti della truffa e dell’inadempienza crescevano giorno per giorno tutelati dal sistema statale della giustizia
Praticamente le aziende dell’economia reale venivano ogni giorno affossate dalle persecuzioni giustizialiste e bancarie senza che una sola istituzione pro commercio (la camera di commercio per esempio o l’associazione dei commercianti) fosse ancora riuscita a porre fine a questi puri abusi di posizione dominante.
Un cittadino ala domenica in una pubblica piazza chiedeva, “Amici ma cosa abbiamo fatto togliendo la responsabilità ai giudici?” Non vediamo forse che tutte queste sentenze sono “letteralmente pazze”? Non ci conviene rimettere la responsabilità al suo posto prima che questo sistema impazzito ci espropri delle nostre case?
Infatti L’art. 55 del c.c. inerente la responsabilità civile dei magistrati era stato abrogato con d.p.r. 497/87 a seguito di referendum popolare.
La materia era allora regolata dalla legge 13.04.1988 n. 117, secondo la quale, chi aveva subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia, poteva agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali ed anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.
Ma chi avrebbe agito contro lo Stato?
Non sarebbe forse stato come agire contro se stessi?
Perché avrebbero dovuto attendere quindi oltre la chiusura di tutte le aziende italiani per sentenze inique?
Perché quindi non proporre una legge che riformasse il concetto di
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman responsabilità dei magistrati quanto ai necessario e urgente?
Così facendo avrebbero interrotto quello che era diventato un vero e proprio stillicidio di sentenze pazze che rovinavano iniquamente ditte, aziende, e privati proprietari.
Così facendo il numero di “sentenze palesemente inique” sarebbe stato immediatamente inferiore e le medesime sarebbero risultate più eque e razionali.
Così facendo il cittadino ingiustamente o iniquamente leso avrebbe potuto agire immediatamente contro il magistrato iniquo o disinformato tecnicamente, poiché regolarmente coperto da polizza assicurazione, come tutti gli altri professionisti dovevano esserlo.
La casta illuminata
Tratto dal Il sito mistic.it
Nei Protocolli dei Savi di Sion”. In 24 paragrafi, viene descritto come soggiogare e dominare il mondo con l’aiuto di un sistema economico.
Mayer Amschel Rothschild aiuta e finanzia l’ebreo Adam Weishaupt, un ex prete gesuita, che a Francoforte crea un Gruppo Segreto dal nome “Gli Illuminati di Baviera”. Weishaupt prendendo spunto dai “ Protocolli dei Savi di Sion” elabora all’incirca verso il 1770 “Il Nuovo Testamento di Satana” un piano che dovrà portare, non più gli Ebrei ma un gruppo ristretto di persone (gli Illuminati o Banchieri Internazionali) ad avere il controllo ultimo del mondo intero.
La strategia di Weishaupt era basata su principi molto fini e spietati. Bisognava arrivare alla soppressione dei Governi Nazionali e alla concentrazione del potere in Governi ed Organi Soprannazionali ovviamente gestiti dagli Illuminati. Ecco alcuni esempi operativi sulle cose da fare:
* Creare la divisione delle masse in campi opposti attraverso la politica, l’economia, gli aspetti sociali, la religione, l’etnia etc ... Se necessario armarli e provocare incidenti in modo che si combattano e si indeboliscano.
* Corrompere (con denaro e sesso) e quindi rendere ricattabili i politici, qualche giudice, o chi ha una posizione di potere all’interno di uno istituzione statale.
* Scegliere il futuro capo di stato tra quelli che sono servili e sottomessi incondizionatamente.
Avere il controllo delle scuole (licei ed Università) per fare in modo che i giovani talenti di buona famiglia siano indirizzati ad una cultura internazionale e diventino inconsciamente agenti del complotto.
* Assicurare che le decisioni più importanti in uno stato siano coerenti
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman nel lungo termine all’obiettivo di un Nuovo Ordine Mondiale.
* Controllare la stampa, per poter manipolare le masse attraverso l’informazione.
* Abituare le masse a vivere sulle apparenze e a soddisfare solo il loro piacere, perché in una società depravata gli uomini perdono la fede in Dio.
Secondo Weishaupt, mettendo in pratica le sue raccomandazioni si doveva arrivare a creare un tale stato di degrado, di confusione e quindi di spossatezza, che le masse avrebbero dovuto reagire cercando un protettore o un benefattore al quale sottomettersi liberamente. Da qui il bisogno di costituire degli Organi Sovranazionali pronti a sfruttare questo stato di cose, fingendosi i salvatori della patria, per istituire un Unico Governo Mondiale .
Nel 1871 il piano di Weishaupt viene ulteriormente completato da un suo seguace Americano Albert Pike che elabora un documento per l’istituzione di un Nuovo Ordine Mondiale attraverso tre Guerre Mondiali.
Il suo pensiero era che questo programma di guerre avrebbe generato nelle masse un tale bisogno di pace, che sarebbe diventato naturale arrivare alla costituzione di un Unico Governo Mondiale. Non a caso dopo la Seconda Guerra Mondiale venne fatto il primo passo in questa direzione con la formazione dell’ONU, che possiamo definire la polizia del mondo degli Illuminati. Tornando al pensiero di Pike, la Prima Guerra Mondiale doveva portare gli Illuminati, che già avevano il controllo di alcuni Stati Europei e stavano conquistando attraverso le loro trame gli Stati Uniti d' America, ad avere anche la guida della Russia. Quest’ultima avrebbe poi dovuto interpretare un ruolo che doveva portare alla divisione del mondo in due blocchi. La Seconda Guerra Mondiale sarebbe dovuta partire dalla Germania, manipolando le diverse opinioni tra i nazionalisti tedeschi e i sionisti politicamente impegnati. Inoltre avrebbe portato la Russia ad estendere la sua zona di influenza e reso possibile la costituzione dello Stato di Israele in Palestina. La Terza Guerra Mondiale sarà basata sulle divergenze di opinioni che gli Illuminati avranno creato tra i Sionisti e gli Arabi, programmando l’estensione del conflitto a livello mondiale.
Col passare degli anni il Quartiere Generale di questo complotto passa dalla Germania (Francoforte), alla Svizzera, poi all’Inghilterra (Londra) ed
infine agli Stati Uniti d’America (New York). E’ quindi dal 1700 che le famiglie degli Illuminati, generazione dopo generazione, influenzano la storia per raggiungere i propri traguardi. Ecco un elenco dei fatti principali che negli ultimi 3 secoli sono stati architettati, fomentati o finanziati dagli Illuminati:
- la Rivoluzione Francese, le Guerre Napoleoniche, la nascita dell’ideologia Comunista, la I Guerra Mondiale, la Rivoluzione Bolscevica, la nascita dell’ideologia Nazista, la II Guerra Mondiale, la fondazione dell’ONU, la nascita dello Stato di Israele, la Guerra del Golfo, la nascita dell’Europa Unita...
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
La rete di potere che gli Illuminati si sono costruiti in quasi 300 anni. Ovviamente non potevano pensare di conseguire i loro obiettivi da soli,
avevano ed hanno bisogno di una “struttura operativa”, composta da organizzazioni o persone che esercitando del potere operino più o meno consapevolmente nella stessa direzione. Come potete constatare gli Illuminati controllano o hanno i loro uomini ovunque, possiamo tranquillamente dire che sono i signori del mondo.
La loro strategia ha fatto leva su 2 capisaldi: a) la forza del denaro, hanno costituito e controllano il Sistema Bancario Internazionale; b) la disponibilità di persone fidate, ottenuta attraverso il controllo delle Società o Associazioni Segrete (logge massoniche).
Queste ultime con i loro diversi gradi di iniziazione hanno garantito e garantiscono tutt’ora quell’alone di discretezza necessario al piano degli Illuminati.
Gli Illuminati, e chi con loro controlla queste Società, sono Satanisti e praticano la magia nera. Il loro Dio è Lucifero e attraverso pratiche e riti occulti manipolano e influenzano le masse. E pensare che la cultura dominante ci dice che la magia non esiste anzi, considera ridicolo chi ci crede. E’ anche da questa scienza di tipo occulto, che gli Illuminati hanno sviluppato la teoria sul controllo mentale delle masse. Per chiarire ecco un esempio:
A quanto sembra anche Hollywood, le maggiori Case Cinematografiche e Discografiche internazionali, fanno parte della rete degli Illuminati. Molte volte i loro prodotti sono usati come strumenti di indottrinamento e agiscono in modo “invisibile” sulla psiche. Penso che nessuno possa negare che oggi esistono certi tipi di musica, privi di qualsiasi qualità, il cui unico effetto voluto è quello di provocare nei giovani apatia, robotismo, violenza ed essere uno stimolo all’uso di droghe per renderli dei robot .... Umanoidi simili agli zombi. Intanto crediamoci, siamo stati programmati anche per questo.
Mistic.it - 1- 4 - 2005
Il malfunzionamento e il sovranumero della superclasse dei giustizialisti
L’eccesso di liti pendenti derivate dall’emergente malcostume sociale del ricorso alle vie legali è confermato dall’incredibile numero di avvocati e giudici il cui costo grava interamente sulla società intera.
La crisi coinvolse tutti ed anche i gendarmi, le guardie, i giudici e i ladri.
Ecco quindi che i corpi d’armata tuonarono verso i superiori e così i giudici verso coloro che potevano spolpare. I grassi borghesi perdenti,
era l’unica soluzione per risolvere il problema degli introiti giudiziari, che altrimenti non sarebbero altrimenti avvenuti. Infatti una parte povera non
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
avrebbe mai potuto dare le sostanze sufficienti a pagare non
profumatamente ma esageratamente bene i costi di giustizia.
Ridurre i costi e spennare i grassi: ecco la ricetta adottata dai tribunali italiani a scapito del concetto di diritto e di libertà, ma soprattutto di parità dei cittadini, di fronte alla legge.
E fu così che venne attuato il di allora sistema di protezione dei truffatori, degli aggressori, e dei delinquenti in genere ai quali, in pratica accadeva poco o niente, o al massimo veniva propinato un bel mantenimento gratuito a carico dello stato per un certo periodo.
Ma come giustificare dinanzi ad un uomo, da parte di un altro uomo una sentenza evidentemente assurda? Semplice: facendola pronunciare da una donna.
L’introduzione delle donne nei tribunali infatti risolse il problema dei ricorsi continui perché per una sorta di emanazione psicologica subliminata dai verdetti delle corti, gli imputati sentendosi condannare da una donna associavano inevitabilmente questa sorta di « atto di rimprovero » agli episodi già vissuti nell’infanzia ad opera delle proprie madri, li accettavano senza reagire molto, anche sentendosi propinare le sentenze più assurde, non ultime le copiose sentenze assegnanti alimenti perpetui alle mogli mediante l’assegnazione di debiti perenni ai rispettivi mariti. Questa il plot comunicativo - giustizialista femminile: una sorta di « matriarcato giuridico - sociale rivelato ».
Ma un giorno salì in politica un uomo che aveva giurato vendetta contro il potere giudiziario e questo certo Silvio, stava effettivamente organizzando un bel paio di scarpe nuove a tutto il sistema giudiziario.
Fu così che i templari di quest’ultimo decisero di sfornare per tempo la loro contro mossa, la loro carta vincente, il loro asso nella manica, un uomo perennemente urlante e imprecante, ex poliziotto chiamato Tonino.
Tutto si bloccò, i tempi delle riforme si dilatavano per via dei boicottaggi lanciati per ordinanza della casta fatti delle dure battaglie operate dall’opposizione politica in parlamento, dai duri colpi scandalistici creati ad arte dall’industria dei media, e non ultimo dalle innumerevoli inquisizioni lanciate proprio dalle magistrature in capo all’avversario, come nessun uomo mai al mondo avesse mai potuto ricevere da una serie di tribunali terreni od ultraterreni.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Le politiche delle immigrazioni
Doppio papato straniero uguale a doppia immigrazione indesiderata
Perché prima un papa Polacco e poi un papa Tedesco hanno coinciso con l’aumento delle immigrazioni?
E’ vero che ormai si potesse ipotizzare qualunque cosa passava per la testa, ma quella del Papa polacco prima, e del papa tedesco poi, oltre che a trasformare le auto blu statali, da italiane ad estere, influì sicuramente sull’aumento dell’afflusso di circolazione di stranieri dall’Africa per l’Europa, attraverso il territorio italiano.
Che dire poi, durante questo doppio papato, della sparizione dell’autorità ecclesiastica di un tempo, durante il quale se si parlava male, si veniva censurati, e in tv non si praticava certo il torpiloquio allora esploso ovunque.
Presentatrici come la che dicevano sei più figa in tivu, tranquillamente
Reazioni al crollo borsistico del 11 agosto
2011
Il commento web del 12 agosto 2011
Su http://www.social-europe.eu il 2011/12/08 di Daniel Gros
Gli investitori stanno anticipando il dipanarsi del 21 luglio 2011 "soluzione" e una ripartizione del mercato interbancario, che avrebbe
gettato l'economia in una "recessione immediata", come quella vissuta dopo il fallimento Lehman.Questa colonna sostiene che questo accadrà senza un'azione rapida e coraggiosa. Il EFSF non può funzionare come previsto, ma se fosse registrato come una banca - che le permette di accedere a un numero illimitato BCE rifinanziamento - i governi potrebbero fermare il crollo generalizzato di fiducia, lasciando la gestione del debito pubblico in mano della finanza ministri.
Canarini sono stati tenuti nelle miniere di carbone perché muoiono più velocemente di quanto gli esseri umani quando sono esposti ai gas pericolosi. Quando smise di cantare gli uccelli, i minatori saggio sapeva che era tempo di marcia le procedure d'emergenza.
Grecia, a quanto pare, era canarino della zona euro. Il canarino è stato rianimato e un meccanismo di salvataggio piccolo è stato istituito per far rivivere un canarino ulteriore o due - ma oltre a questo l'avvertimento è stato ignorato. I minatori continuando a lavorare. Si convinse che questo era il problema del canarino.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Grecia non era un caso speciale
I problemi della Grecia non avrebbe dovuto essere interpretato come un caso speciale. Avrebbero dovuto essere vista come la prima manifestazione di un problema generale:
• Come segno che la crisi globale si diffondeva al debito pubblico;
• Come segno che i mercati di capitali non sarebbe livelli longer rifinanziare eccessivo del debito pubblico, specialmente nei membri dell'Eurozona che non potevano più contare sul sostegno delle banche centrali.
Questo è diventato particolarmente evidente dopo il luglio 2011 il Consiglio europeo - l'incontro che avrebbe dovuto porre fine alla crisi da risolvere il caso greco con una miscela di tassi di interesse più bassi e qualche ristrutturazione del settore privato e di ristrutturazione.
Il pubblico greco potrebbe non apprezzare, ma ha ricevuto un trattamento preferenziale da parte dell'UE.Con le decisioni prese al Consiglio europeo di luglio, la Grecia essenzialmente avere tutto il suo fabbisogno finanziario per il prossimo decennio e organizzati è assicurato di pagare meno del 4% sul nuovo debito essa subisce. Gli altri due paesi con un programma, Irlanda e Portogallo, avrà tassi di interesse bassi e altrettanto prestiti a lungo termine, ma sono ancora attesi per affrontare la prova dei mercati in pochi anni.
I timori debito raggiungere il nucleo
Ma mentre Grecia, Irlanda, Portogallo e ha tassi più bassi per i loro ufficiali finanziamento a lungo termine, Spagna e Italia sperimentato un aumento nella loro oneri finanziari. Essi stanno pagando vicino al 6% per dieci anni i soldi.
E 'chiaro che questi paesi non si può pretendere di fornire miliardi di euro di crediti verso la Grecia al 3,5%, quando sono loro stessi pagando molto di più. I leader europei ha voluto essere generoso con la Grecia, ma l'offerta di fondi a buon mercato è limitata. Non tutti possono essere serviti in questo modo.
Il EFSF è stato progettato per una crisi periferica
Questo vale in particolare per fondo di salvataggio della zona euro, il Fondo europeo per la stabilità finanziaria (EFSF). Questo semplicemente non hanno fondi sufficienti per effettuare gli acquisti di bond massiccia ora necessario per stabilizzare i mercati. E 'stato sufficiente a fornire il finanziamento promesso di Grecia, Irlanda e Portogallo.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Inoltre la struttura del EFSF lo rende vulnerabile ad una catena di
domino.
• Le regole del EFSF implica che i paesi che hanno bisogno di finanziamenti o si volto 'uscire' gli elevati oneri finanziari, cioè non forniscono più garanzie per la EFSF.
• Se i costi di indebitamento di Italia e Spagna rimanere a livelli di crisi, o se questi due paesi hanno bisogno per salvare se stessi, solo i membri dell'Eurozona nucleo rimarrebbe a sostenere la EFSF.
A questo punto, il peso del debito sul core sarebbe diventato insopportabile.
Pericoli di applicare la soluzione periferia al centro
Importante, la più grande è la EFSF, più velocemente la caduta domino. La posizione del governo francese - che l'EFSF deve essere aumentata - non ha senso anche da un punto stretto di vista francese.
• I mercati finanziari hanno capito questo e aumentare così i costi di finanziamento per la Francia - il paese nucleo più in pericolo di perdere il suo rating AAA.
• Se la Francia deve 'uscire' del EFSF, Germania (e alcuni dei suoi vicini più piccoli), avrebbe dovuto portare tutto il peso.
Questo sarebbe troppo anche per la Germania - il debito pubblico italiano da solo è equivalente all'intero PIL tedesco.
Come questa guida i mercati
La situazione è così critica, perché questo effetto domino ha iniziato ad operare.
◦ I mercati finanziari non aspettare paese dopo paese ad essere degradati.
◦ Gli investitori anticipare il finale di partita - il disfacimento di tutta la EFSF / ESM struttura.
◦ Come è stata la risposta EFSF centrale leader dell'Eurozona 'al problema del debito, la sua scomparsa avrebbe lasciato la zona euro, con un grosso problema e nessuna soluzione.
La banca— governo e il debito - trappola
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Come al solito, le banche sono l'anello più debole e sono soggette a un
altro effetto domino.
▪ Molte banche contenere grandi quantità di debito pubblico dell'Eurozona;
▪ Il loro rating non può mai essere superiore a quella del loro sovrano proprio.
▪ Qualcuno aspetta il downgrade di un paese deve anche vendere le azioni delle sue banche.
Questo, a sua volta, aumenta il costo del capitale per le banche vulnerabili rendendoli più vulnerabili.
▪ Altre banche - che vedono la caduta dei corsi azionari della banca e l'ampliamento credit default si diffonde - reagisce rifiutandosi di fornire alle banche vulnerabili liquidità interbancaria.
▪ Questa ripartizione del mercato interbancario, a sua volta, porta ad una ripartizione del circuito del credito.
Questo è ciò che conducono alla "recessione immediata" vissuto dopo il fallimento di Lehman ha dimostrato.
In questi giorni sembra che i mercati azionari sono anticipando uno scenario apocalittico con l'economia va in recessione bruscamente in quanto il mercato interbancario si rompe sotto l'anticipazione di ulteriori problemi del debito pubblico. Purtroppo questa previsione si realizzerà a meno che la ripartizione del mercato interbancario si rivolge molto presto.
Cosa deve essere fatto
A questo punto la zona euro ha bisogno di una massiccia infusione di liquidità. Dato che la struttura a cascata di dell'EFSF è parte del problema, la soluzione non può essere un massiccio aumento della sua dimensione. Tuttavia, il EFSF potrebbe semplicemente essere registrato come banca e potrebbe quindi avere accesso a un numero illimitato ri- finanziamento da parte della BCE, che è l'unica istituzione in grado di fornire la liquidità necessaria rapidamente e in quantità convincente.
Questa soluzione avrebbe il vantaggio che lascia la gestione dei problemi del debito pubblico in mano dei ministeri delle finanze, ma fornisce loro il fermo di liquidità che è necessaria quando c'è un crollo generalizzato di fiducia e di liquidità. Questo è esattamente quando un prestatore di ultima istanza è più necessario.
Sarebbe ovviamente molto meglio se la BCE non ha dovuto 'salvare' il meccanismo europeo di salvataggio, ma in questo caso si deve scegliere tra due mali. Anche un forte aumento nel bilancio della BCE (che se l'esperienza degli Stati Uniti è una guida non porterà l'inflazione) costituisce un male minore rispetto ad un collasso del sistema finanziario dell'Eurozona.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Il contro commento del 12 agosto 2011
Dato da http://www.social-europe.eu Il 2011/12/08 di Andrew Watt Nuove proposte da due commentatori che porta sulla crisi dell'euro:
perché signori così tardi?
Due pezzi recenti di commentatori che parlano sulla crisi dell'area Euro stanno per darmi una pausa di riflessione.
Daniel Gros ha scritto un tipico conciso e penetrante commento sull'ultima fase della crisi presa l'area dell'euro.
E 'molto buona l'interazione tra banca e del debito sovrano ed espone le debolezze del EFSF nella sua composizione attuale. Egli conclude che una massiccia infusione di liquidità è necessario. Sono d'accordo. La sua raccomandazione è per dell'EFSF essere dichiarato una banca in modo che possa essere back stopped dalla BCE.
Non ho una visione forte su questo.
Per me va bene se il denaro proviene direttamente dalla BCE. Ma se facilita il sonno dei banchieri centrali al fine di evitare apparentemente, dal gioco di prestigio, la miscelazione-up della politica fiscale e monetaria che le persone li manifestino così up-stretto, poi importante mieux .
Tuttavia, pezzo di Daniel mi lascia perplesso sul corso del dibattito tutto negli ultimi 18 mesi. Cominciamo con il fatto che non è corretto dire che i mercati dei capitali non sono disposti a finanziare un alto livello di debito pubblico, come è illustrato dai tassi estremamente bassi applicati sui titoli di debito emessi da paesi come gli Stati Uniti (nonostante il continuo downgrade), Regno Unito e Giappone, il cui debito e PIL è uguale o superiore a molti dei paesi dell'area dell'euro. Il problema è specifico anche per i paesi dell'area dell'euro.
Che cosa critica è, però, capire esattamente il motivo per cui i 'mercati' chiedono rendimenti molto elevati, al fine di concedere prestiti ai paesi come il Portogallo, Grecia e Irlanda e, più recentemente, Spagna e Italia, in un'epoca in cui i tassi su American, inglesi e tedeschi debito sovrano sono così bassi e in calo. E la risposta è semplice: sono preoccupati di prendere le perdite derivanti da una qualche forma di - qualunque sia educato termine viene usato - default sovrano. E perché sono preoccupati per tali perdite? Beh, perché i responsabili politici europei, guidata dal cancelliere Merkel, ha insistito sul settore privato che partecipano al salvataggio: questo è ciò che significa la partecipazione - perdite. I politici lo hanno fatto per vari motivi (in particolare fuori posto rabbia popolare su ciò che è stato dipinto come dare soldi alla immeritevole), ma uno di loro era importante che gli economisti ei commentatori avevano chiamato per 'default ordinato' come un modo per risolvere la crisi. E uno dei sostenitori più importanti di questo approccio è stato Daniel Gros, il cui appello per un Fondo monetario europeo all'inizio del 2010 era molto influente, in linea con i suoi piedi
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman come un top commentatore di politica economica europea.
Un caso simile è quello dell’altrettanto illustre Charles Wyplosz , autore libri di testo, consigliere della Commissione europea, e altro ancora. Ora ha invitato politici dell'UE, che, dice, « ancora non capisco », per consentire alla BCE di agire liberamente come prestatore di ultima istanza e comprare debiti in sofferenza governo come richiesto. Egli afferma che questo è diventato necessario, ma è una conseguenza indesiderata del fallimento delle politiche 'a seguire il suo consiglio di maggio 2010 , che è stato - probabilmente avete indovinato - per la Grecia per andare al FMI, di default e di imporre un taglio di capelli ai creditori.
Sono io, o non è evidente che proprio questi discorsi di default che inesorabilmente diffondere il contagio? Dubbi sul rimborso integrale del debito pubblico elevato rendimento e spread. Questo nutrito dubbi maggiori circa la sostenibilità di bilancio, i mercati spaventati e anche elettorati. La morte-spirale filato sempre più velocemente. Tutto ad un tratto un paese come la Francia - che ha non meno a suo titoli di Stato in quanto le guerre napoleoniche! - Si trova sotto la minaccia di un attacco speculativo, e unendo la frenesia di annunciare ulteriori misure di austerità in una, probabilmente vano, tentativo di placare i mercati.
In realtà, come ho sempre sostenuto durante la crisi (ad esempio all'inizio , più recente , recente ), la giusta strategia era quella di escludere un
default del debito sovrano, inaudito in Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale, fin dall'inizio, di obbligazioni, , fornendo sostegno agli investimenti e la ripresa economica, il tutto in cambio di credibile a medio termine gli impegni di consolidamento fiscale. Certo, ci sarebbe stata opposizione a questo, ma il problema era tutta politica, non economica. Le somme coinvolte all'epoca erano minuscole: Grecia, Irlanda e Portogallo insieme rappresentano solo il 6% del PIL dell'area dell'euro. I problemi che si manifestano in Grecia e gli altri erano molto chiaramente - e qui mi sono del tutto d'accordo con Daniel Gros - il risultato di una precedentemente mal capito malfunzionamento della zona dell'euro nel suo insieme, piuttosto che errori grossolani politica dai singoli governi. Quello che sembrava essere la solidarietà era chiaramente illuminato interesse e avrebbe potuto facilmente essere venduti come tali elettorati scettici.
Riassumendo. Il motivo centrale per la diffusione della crisi è stata la prospettiva di perdite su attività finanziarie, a ovest titoli di stato europei, che erano in precedenza e giustamente considerato sacrosanto. Pieno appoggio del debito sovrano della zona euro da parte della BCE è la cosa giusta da fare. Ma è non lo spiacevole risultato di non aver insistere su di default o meno un anno fa. Al contrario, è ciò che si sarebbe dovuto fare all'inizio. Il fatto che è ora sembra una operazione più difficile e costoso (anche se piuttosto che il secondo significa in un mondo in cui la banca centrale, e solo esso, può creare soldi a volontà non riesco a capire) è proprio perché la minaccia di insolvenza è stato sollevato inutilmente. Le persone che oggi discutendo per il pieno sostegno da parte dell'autorità monetaria, in una forma o nell'altra, dovrebbe riconoscere questo ritardo.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Ciò che è bello è che ora tutti d'accordo su ciò che deve essere fatto. La
riforma elettorale: confusione pilotata
La campagna per le elezioni politiche che do solito si effettuavano nella primavera successiva, ogni anno iniziava in autunno e lo scontro tra i due schieramenti di centro-sinistra e centro-destra si faceva sempre più duro. Come sempre sembrava di conseguenza che non ci fosse più nessuna possibilità di dialogo tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione sul difficile tema della riforma elettorale. Mesi e mesi di estenuanti discussioni e continui "tira e molla" non erano sono serviti a raggiungere un accordo per riscrivere insieme le regole del confronto elettorale e per trovare quella "formula magica" in grado di soddisfare gli interessi dei tanti (troppi?) partiti e "partitini" che affollavano il panorama politico italiano. Con ogni probabilità, dunque, Gli italiani avrebbero scelto i loro prossimi rappresentanti al Parlamento con il sistema elettorale attualmente in vigore che, paradossalmente, tutti giudicavano inefficiente.
E pensare che questo sistema venne introdotto solo alcuni anni prima! Era, infatti, nel 1993 quando, in piena "Tangentopoli" e con i vecchi partiti politici ormai al collasso, la maggioranza dei cittadini decise, attraverso un referendum (18 aprile), di dire per sempre addio sistema proporzionale in vigore fin dalla nascita della Repubblica e giudicato da molti all’origine dei tanti mali del sistema politico italiano.
Quando si trattò di scegliere un metodo nuovo alcuni avrebbero preferito voltare del tutto pagina e adottare un sistema maggioritario (o uninominale) puro, perché lo ritenevano il più adatto al raggiungimento di tre obiettivi: la semplificazione del sistema dei partiti, l’introduzione del principio dell’alternanza nella guida del Paese, e la tanto sospirata stabilità dei governi. Altri, specialmente i partiti più piccoli, vedevano nel maggioritario una minaccia al principio del pluralismo e della rappresentanza in Parlamento di tutte le forze politiche, anche di quelle che nel Paese avevano meno seguito in termini di voti.
Alla fine si giunse ad un compromesso. Per dare seguito alla volontà dei cittadini, espressa attraverso il referendum, venne approvata una nuova legge elettorale, la cosiddetta "Legge Mattarella" (o "Mattarellum" come sarebbe poi stata ribattezzata dai giornali), la quale prevedeva per l’elezione dei membri della Camera e del Senato un sistema misto con una forte componente maggioritaria (75%) "corretta" da una quota proporzionale (25%).
Un sistema quello previsto dalla Legge Mattarella abbastanza complicato, che però sembrò favorire una ristrutturazione del sistema dei partiti su basi nuove. La prevalenza del maggioritario costrinse, infatti, le forze politiche a scendere a patti con la logica del bipolarismo e delle alleanze elettorali. Si formarono così due coalizioni contrapposte: nacquero il centro-sinistra e il centro-destra che si sarebbero sfidati nelle prime elezioni politiche indette con il nuovo sistema elettorale, quelle del 1994.
In occasione delle elezioni del 1994, vinte dalla coalizione di centro- destra alleata con la Lega Nord, molti salutarono con entusiasmo la nascita della "Seconda Repubblica", ma dovettero ben presto ricredersi.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Si trattò, infatti, di una "falsa partenza" del nuovo potenziale assetto politico. Dopo soli otto mesi di governo il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi venne costretto alle dimissioni per l’abbandono da parte della Lega della maggioranza governativa (il cosiddetto "ribaltone").
La seconda occasione venne offerta dalle elezioni politiche anticipate del 1996, la cui importante novità era costituita dal fatto che per la prima volta ciascuna delle due coalizioni indicava agli elettori il proprio "candidato premier" in caso di vittoria, consentendo così ai cittadini italiani di determinare, anche se indirettamente, chi sarebbe diventato Presidente del Consiglio.
Se con il successo elettorale della coalizione di centro-sinistra e la successiva nomina di Romano Prodi a Presidente del Consiglio, si
affermava il principio dell’alternanza alla guida del Paese tra forze politiche diverse per idee e programmi, gli altri obiettivi per il raggiungimento dei quali si era fatto affidamento ad un sistema prevalentemente maggioritario non erano stati raggiunti.
La frammentazione politica, infatti, aumentò invece di ridursi, complice una fase di transizione mai conclusa e anche, in una certa misura, il persistere della quota proporzionale che offriva la possibilità anche a forze politiche piccole di avere comunque una rappresentanza in Parlamento.
La nascita di nuovi "partitini" era quasi all’ordine del giorno e la coesistenza all’interno della maggioranza di tante forze diverse con posizioni spesso difficilmente conciliabili rendeva la stabilità del governo fortemente e continuamente a rischio (dal 1996 ad oggi si sono succeduti ben quattro governi di centro-sinistra).
Si fece allora strada l’idea che la formula scelta nel 1993 per il sistema elettorale non fosse la più adatta e si iniziò a parlare di riformarla. Il tema della riforma elettorale venne così inserito nel più ampio dibattito sulle riforme costituzionali che ebbe luogo a partire dal 1996 nella Commissione parlamentare (la cosiddetta "Bicamerale") appositamente costituita e presieduta da Massimo d’Alema.
Nel frattempo si diffondeva in alcuni ambienti politici l’opinione secondo la quale, dopo "l’ubriacatura del maggioritario", fosse necessario tornare al vecchio sistema proporzionale. Questa tendenza proporzionalistica fu sottolineata da due fatti politici rilevanti. Essa venne alla luce innanzi tutto quando fu reso pubblico un accordo, inizialmente segreto, raggiunto dai vertici di alcuni partiti politici di maggioranza e di opposizione (giugno 1997), il quale suggeriva che molti elementi della futura riforma elettorale avrebbero dovuto garantire la sopravvivenza dei partiti più piccoli. Quello che in seguito passò alla storia come "il patto della crostata" (perché presumibilmente siglato mangiando una crostata a casa di uno dei collaboratori di Silvio Berlusconi) venne fortemente criticato sia per i suoi contenuti (il ritorno ad un sistema proporzionale puro) sia per il modo in cui era stato stipulato (al di fuori delle più appropriate sedi parlamentari) e molti lo considerarono come un segnale del ritorno alla "partitocrazia", vale a dire al governo dei partiti per i partiti e non per l’interesse del Paese, un modo di fare politica che aveva
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman caratterizzato tutta la vita della quasi defunta "Prima Repubblica".
Il secondo fatto politico rilevante fu rappresentato dalla reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti politici, abrogato dal referendum del 1993, che, di fatto, rafforzava i partiti più piccoli e la logica del proporzionale. In questa occasione molti giornali si diedero da fare per calcolare a quanti partiti, con la nuova legge, venissero assegnati fondi pubblici e si arrivò a calcolarne cinquanta!
La voglia di proporzionale di alcune forze politiche, giudicata da molti un pericolo, e il fallimento dell’esperienza della Bicamerale dopo due anni di lavori (1996-1998) per l’abbandono del tavolo delle trattative da parte dell’opposizione di centro-destra, fecero crescere l’interesse di molti per la possibilità di proporre un nuovo referendum elettorale, questa volta per l’abolizione della quota proporzionale.
L’obiettivo dei promotori del referendum era di dimostrare che la maggioranza dei cittadini italiani era favorevole all’introduzione di un sistema maggioritario puro (rimaneva da discutere se a turno unico, secondo il modello inglese, o a doppio turno, secondo quello francese) e di costringere quindi i politici ad agire di conseguenza.
Mentre nella primavera del 1998 iniziava la raccolta delle 500.000 firme necessarie per promuovere la consultazione referendaria, le forze politiche si dividevano in schieramenti trasversali pro o contro il maggioritario puro. I partiti più grandi (Democratici di Sinistra, Forza Italia e Alleanza Nazionale) si mostrarono generalmente favorevoli, ma lo fecero in maniera poco chiara e spesso contraddittoria, nel timore di perdere l’appoggio dei partiti più piccoli "proporzionalisti" dal cui sostegno dipendeva la sopravvivenza delle coalizioni, ed in particolare di quella di centro-sinistra (il Partito Popolare, i Verdi e Rifondazione Comunista condannavano anche il minimo appoggio al referendum).
Il referendum elettorale si svolse il 18 aprile 1999 e si rivelò un inaspettato fallimento. Il numero di voti necessario per la sua validità (il "quorum" corrispondente al 50% più uno dei voti validamente espressi) non venne, infatti, raggiunto. Benché fosse chiaro che l’orientamento di gran parte degli italiani in favore di un sistema maggioritario, molti cittadini preferirono non andare a votare incrementando così il già preoccupante fenomeno dell’astensionismo.
Dopo l’insuccesso del referendum del 1999 il tormentato cammino della riforma elettorale fa ormai parte della cronaca politica degli ultimi mesi. La discussione sul nuovo sistema elettorale è approdata all’inizio della scorsa estate nella Commissione affari costituzionali del Senato.
La speranza era di trovare una soluzione attraverso le vie parlamentari con l’approvazione di una nuova legge in tempi brevi. Ma il compito non si presentava per nulla facile poiché si trattava di trovare un accordo che godesse dell’approvazione la più ampia possibile tra le forze politiche presenti in Parlamento sia di maggioranza sia di opposizione. Le "regole del gioco" dovevano essere scritte insieme con il contributo e il consenso di tutti i partecipanti.
Dall’iniziale progetto presentato dall’opposizione di centro-destra che
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prevedeva un sistema elettorale proporzionale sul modello tedesco (il cosiddetto "Urbani-Tremonti"), si è passati, attraverso una serie
interminabile di proposte e contro proposte, ad un’altra possibile soluzione appoggiata dalle forze politiche di centro-sinistra che si basava su un sistema misto uguale per Camera e Senato con un premio di maggioranza del 20% alla coalizione che avesse raggiunto almeno il 40% dei voti.
Una proposta giudicata dal centro-sinistra in grado di garantire sia la stabilità dei governi sia la fondamentale esigenza di pluralismo politico e che sembrava in un primo tempo trovare accoglienza positiva anche tra le forze di opposizione. Ma quando sembrava che si fosse ad un passo dal raggiungimento dell’accordo il dialogo tra maggioranza e opposizione a subito una battuta d’arresto fino a determinare il netto rifiuto da parte del centro-destra di qualsiasi ipotesi di ulteriore trattativa.
Il progetto di riforma potrebbe a questo punto essere portato all’esame delle Camere ed essere approvato con i soli voti dei partiti facenti parte della coalizione di maggioranza. Ma questa ipotesi viene giudicata da gran parte delle stesse forze del centro-sinistra politicamente inopportuna, anche se costituzionalmente corretta. Non se ne farà probabilmente nulla e tutto verrà dunque rimesso nelle mani del nuovo Parlamento che uscirà dalle elezioni politiche della prossima primavera.
Un possibile programma di riforme
Stato e cittadini
Energia
Informazione
Economia
Trasporti
Salute
Istruzione
Giustizia e forze pubbliche Premessa
L’organizzazione attuale dello Stato è burocratica, sovradimensionata, costosa, inefficiente. Il Parlamento non rappresenta più i cittadini che
non possono scegliere il candidato, ma solo il simbolo del partito La Costituzione non è applicata. I partiti si sono sostituiti alla volontà popolare e sottratti al suo controllo e giudizio.
Stato e Cittadini
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• Abolizione delle province ed interiorizzazione delle funzioni delle
medesime nelle Regioni
• Accorpamento dei Comuni sotto i 5.000 abitanti
• Abolizione del Lodo Alfano
• Insegnamento dei congiuntivi, della Costituzione ed esame obbligatorio per ogni rappresentante pubblico
• Riduzione a due mandati per i parlamentari e per qualunque altra carica pubblica, salvo raggiungimento di obbiettivi eccezionali prefissati.
• Eliminazione di ogni privilegio particolare per i parlamentari, tra questi il diritto alla pensione dopo due anni e mezzo
• Divieto per i parlamentari di esercitare un’altra professione durante il mandato
• Stipendio parlamentare allineato alla media degli stipendi nazionali
• Divieto di cumulo delle cariche per i parlamentari (esempio: sindaco e deputato)
• Non eleggibilità a cariche pubbliche per i cittadini condannati
• Partecipazione diretta a ogni incontro pubblico da parte dei cittadini via web, come già avviene per Camera e Senato
• Abolizione delle Authority e contemporanea introduzione di una vera class action
• Referendum sia abrogativi che propositivi senza quorum
• Obbligatorietà della discussione parlamentare e del voto nominale per le leggi di iniziativa popolare
• Approvazione di ogni legge subordinata alla effettiva copertura finanziaria
Leggi rese pubbliche on line almeno tre mesi prima delle loro approvazione per ricevere i commenti dei cittadini.
Energia
Se venisse applicata rigorosamente la legge 10/91, per riscaldare gli edifici si consumerebbero 14 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato calpestabile all’anno. In realtà se ne consumano di più.
Dal 2002 la legge tedesca, e più di recente la normativa in vigore nella Provincia di Bolzano, fissano a 7 litri di gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato calpestabile all’anno il consumo massimo consentito nel riscaldamento ambienti. Meno della metà del consumo medio italiano.
Utilizzando l’etichettatura in vigore negli elettrodomestici, nella Provincia di Bolzano questo livello corrisponde alla classe C, mentre alla classe B corrisponde a un consumo non superiore a 5 litri di gasolio, o
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
metri cubi di metano, e alla classe A un consumo non superiore a 3 litri di
gasolio, o metri cubi di metano, al metro quadrato all’anno.
Nel riscaldamento degli ambienti, una politica energetica finalizzata alla riduzione delle emissioni di CO2, anche per evitare le sanzioni economiche previste dal trattato di Kyoto nei confronti dei Paesi inadempienti, deve articolarsi nei seguenti punti:
• Applicazione immediata della normativa, già prevista dalla legge 10/91 e prescritta dalla direttiva europea 76/93, sulla certificazione energetica degli edifici
• Definizione della classe C della provincia di Bolzano come livello massimo di consumi per la concessione delle licenze edilizie relative sia alle nuove costruzioni, sia alle ristrutturazioni di edifici esistenti
• Riduzione di almeno il 10 per cento in cinque anni dei consumi energetici del patrimonio edilizio degli enti pubblici, con sanzioni finanziare per gli inadempienti
• Agevolazioni sulle anticipazioni bancarie e semplificazioni normative per i contratti di ristrutturazioni energetiche col metodo esco (energy service company), ovvero effettuate a spese di chi le realizza e ripagate dal risparmio economico che se ne ricava
• Elaborazione di una normativa sul pagamento a consumo dell’energia termica nei condomini, come previsto dalla direttiva europea 76/93, già applicata da altri
Paesi europei.
Il rendimento medio delle centrali termoelettriche dell’Enel si attesta intorno al 38%.
Lo standard con cui si costruiscono le centrali di nuova generazione, i cicli combinati, è del 55/60%.
La co-generazione diffusa di energia elettrica e calore, con utilizzo del calore nel luogo di produzione e trasporto a distanza dell’energia elettrica, consente di utilizzare il potenziale energetico del combustibile fino al 97%. Le inefficienze e gli sprechi attuali nella produzione termoelettrica non sono accettabili né tecnologicamente, né economicamente, né moralmente, sia per gli effetti devastanti sugli ambienti, sia perché accelerano l’esaurimento delle risorse fossili, sia perché comportano un loro accaparramento da parte dei Paesi ricchi a danno dei Paesi poveri.
Non è accettabile di per sé togliere il necessario a chi ne ha bisogno, ma se poi si spreca, è inconcepibile.
Per accrescere l’offerta di energia elettrica non è necessario costruire
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nuove centrali, di nessun tipo. La prima cosa da fare è accrescere l’efficienza e ridurre gli sprechi delle centrali esistenti, accrescendo al
contempo l’efficienza con cui l’energia prodotta viene utilizzata dalle utenze (lampade, elettrodomestici, condizionatori e macchinari industriali). Solo in seguito, se l’offerta di energia sarà ancora carente, si potrà decidere di costruire nuovi impianti di generazione elettrica.
Nella produzione di energia elettrica e termica, una politica energetica finalizzata alla riduzione delle emissioni di CO2 anche accrescendo l’offerta, deve articolarsi nei seguenti punti:
• Potenziamento e riduzione dell’impatto ambientale delle centrali termoelettriche esistenti
• Incentivazione della produzione distribuita di energia elettrica con tecnologie che utilizzano le fonti fossili nei modi più efficienti, come la co-generazione diffusa di energia elettrica e calore, a partire dagli edifici più energivori: ospedali, centri commerciali, industrie con processi che utilizzano calore tecnologico, centri sportivi ecc.
• Estensione della possibilità di riversare in rete e di vendere l’energia elettrica anche agli impianti di micro-cogenerazione di taglia inferiore ai 20 kW
• Incentivazione della produzione distribuita di energia elettrica estendendo a tutte le fonti rinnovabili e alla micro-cogenerazione diffusa la normativa del conto energia, vincolandola ai kW riversati in rete nelle ore di punta ed escludendo i chilowattora prodotti nelle ore vuote
• Applicazione rigorosa della normativa prevista dai decreti sui certificati di efficienza energetica, anche in considerazione dell’incentivazione alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che essi comportano
• Eliminazione degli incentivi previsti dal CIP6 alla combustione dei rifiuti in base al loro inserimento, privo di fondamento tecnico- scientifico, tra le fonti rinnovabili
• Legalizzazione e incentivazione della produzione di bio - combustibili, vincolando all’incremento della sostanza organica nei suoli le produzioni agricole finalizzate a ciò
• Incentivazione della produzione distribuita di energia termica con fonti rinnovabili, in particolare le biomasse vergini, in piccoli impianti finalizzati all’autoconsumo, con un controllo rigoroso del legno proveniente da raccolte differenziate ed escludendo dagli incentivi la distribuzione a distanza del calore per la sua inefficienza e
il suo impatto ambientale
• Incentivazione della produzione di biogas dalla fermentazione anaerobica dei rifiuti organici.
Informazione
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L’informazione è uno dei fondamenti della democrazia e della sopravvivenza individuale. Se il controllo dell’informazione è
concentrato in pochi attori, inevitabilmente si manifestano derive antidemocratiche. Se l’informazione ha come riferimenti i soggetti economici e non il cittadino, gli interessi delle multinazionali e dei gruppi di potere economico prevalgono sugli interessi del singolo. L’informazione quindi è alla base di qualunque altra area di interesse sociale. Il cittadino non informato o disinformato non può decidere, non può scegliere. Assume un ruolo di consumatore e di elettore passivo, escluso dalle scelte che lo riguardano.
Le proposte:
• Cittadinanza digitale per nascita, accesso alla rete gratuito per ogni cittadino italiano
• Eliminazione dei contributi pubblici per il finanziamento delle testate giornalistiche
• Nessun canale televisivo con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranza da alcun soggetto privato, l’azionariato deve essere diffuso con proprietà massima del 10%
• Le frequenze televisive vanno assegnate attraverso un’asta pubblica ogni cinque anni
• Abolizione della legge del governo D’Alema che richiede un contributo dell’uno per cento sui ricavi agli assegnatari di frequenze televisive
• Nessun quotidiano con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranza da alcun soggetto privato, l’azionariato diffuso con proprietà massima del 10%
• Adeguamento dell’Ordine dei giornalisti
• Vendita ad azionariato diffuso, con proprietà massima del 10%, di due canali televisivi pubblici
• Un solo canale televisivo pubblico, senza pubblicità, informativo e culturale, indipendente dai partiti
• Abolizione della legge Gasparri
• Copertura completa dell’ADSL a livello di territorio nazionale
• Statalizzazione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia, e l’impegno da parte dello Stato di fornire gli stessi servizi a prezzi competitivi ad ogni operatore telefonico
• Introduzione dei ripetitori Wimax per l’accesso mobile e diffuso alla Rete
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• Eliminazione del canone telefonico per l’allacciamento alla rete fissa
• Allineamento immediato delle tariffe di connessione a Internet e telefoniche a quelle europee
• Tetto nazionale massimo del 5% per le società di raccolta pubblicitaria facenti capo a un singolo soggetto economico privato
• Riduzione del tempo di decorrenza della proprietà intellettuale a 20 anni
Abolizione della legge Urbani sul copyright Abolizione della Siae
• Divieto della partecipazione azionaria da parte delle banche e di enti pubblici o para pubblici a società editoriali
• Depenalizzazione della querela per diffamazione e riconoscimento al querelato dello stesso importo richiesto in caso di non luogo a procedere (importo depositato presso il tribunale in anticipo in via cautelare all’atto della querela)
• Abolizione della legge Pisanu sulla limitazione all’accesso wi fi.
Economia
Riformulazione della manovra con modello matematico adeguato, che incrementi i livello di occupazione generale ovvero la crescita del benessere, non necessariamente del fatturato, nel Paese
Introduzione dell’iva al 10 % fissa
Introduzione di un’unica imposizione fiscale costituita dall’imposta generale sulle entrate del 10 % per lo Stato ed anche sulle uscite del 10 % che vada a Regioni e comuni
Eliminazione immediata di tutti gli algoritmi ires, tarsu, ici
Eliminazione di tutte le tasse particolari stimate sulle plusvalenze da alienazione di beni immobili e sugli assi ereditari.
Allineamento immediato delle tariffe dei carburanti al prezzo medio alla pompa mondiale
• Introduzione della class action
• Abolizione delle scatole cinesi in Borsa
• Abolizione di cariche multiple da parte di consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate
• Introduzione di strutture di reale rappresentanza dei piccoli azionisti nelle società quotate
• Riadeguamento della legge Biagi per il ritorno ad una legge sui contratti indeterminati legati alla collaborazione del lavoratore con obbligo di
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman risultato verso l’azienda
• Impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno
• Vietare gli incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale
• Introdurre la responsabilità degli istituti finanziari sui prodotti proposti con una compartecipazione alle eventuali perdite
• Impedire ai consiglieri di amministrazione di ricoprire alcuna altra carica nella stessa società se questa si è resa responsabile di gravi reati
Impedire l’acquisto prevalente a debito di una società (es. Telecom Italia)
Impedire la vendita dei beni demaniali e pubblici a chicchessia
• Introduzione di un tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante o maggioritaria dello Stato
• Abolizione immediata del collegamento della borsa italiana con le borse internazionali agressive ed divieto d’uso per tutti i titoli quotati nella Borsa italiana delle stock option, degli, Swap options, Caps/Floors, FRAs, CDSs., ETF, HF, F, FOF, e altri circa 50 tipi di contratti derivati sofisticati e super aleatori, tutti definibili come “giochi algoritmici praticamente basati sull’azzardo speculativo” e mantenimento unicamente dei contratti normali di Bonds, Repos, Swaps.
• Abolizione dei monopoli di fatto, in particolare Telecom Italia, Autostrade, ENI, ENEL, Mediaset, Ferrovie dello Stato mediante democratizzazione di tali unità economiche di importanza nazionale
• Allineamento immediato delle tariffe di energia, connettività, telefonia, elettricità, trasporti agli altri Paesi europei
• Riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari
• Vietare la nomina di persone condannate in via definitiva (es. Scaroni all’Eni) come amministratori in aziende aventi come azionista lo Stato o quotate in Borsa
• Favorire le produzioni locali
• Sostenere le società no profit
• Sussidio di disoccupazione garantito
• Disincentivi alle aziende che generano un danno sociale (es.distributori di acqua in bottiglia).
Trasporti
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• Disincentivo dell’uso dei mezzi privati motorizzati nelle aree urbane
• Sviluppo di reti di piste ciclabili protette estese a tutta l’area urbana ed extra urbana
• Istituzione di spazi condominiali per il parcheggio delle biciclette • Istituzione dei parcheggi per le biciclette nelle aree urbane
• Introduzione di una forte tassazione per l’ingresso nei centri storici di automobili private con un solo occupante a bordo
• Potenziamento dei mezzi pubblici a uso collettivo e dei mezzi pubblici a uso individuale (car sharing) con motori elettrici alimentati da reti
• Blocco immediato del Ponte sullo Stretto e della Tav in Val di Susa e riorganizzazione del traffico del Mediterraneo
• Proibizione di costruzione di nuovi parcheggi nelle aree urbane se non interrati
• Sviluppo delle tratte ferroviarie legate al pendolarismo
Copertura dell’intero Paese con la banda larga ecologizzata ovvero non
produttrice di radiazioni dannose agli organismi viventi
Interramento obbligatorio degli elettrodotti, pena arresto degli amministratori entro il periodo di adeguamento previsto, con sovvenzionamento parziale pubblico immediato
• Incentivazione per le imprese che utilizzano il telelavoro
• Sistema di collegamenti efficienti tra diverse forme di trasporto pubblici
• Incentivazione di strutture di accoglienza per uffici dislocati sul territorio collegati a Internet
• Incentivazione dei mercati locali con produzioni provenienti dal territorio
• Corsie riservate per i mezzi pubblici nelle aree urbane
• Piano di mobilità per i disabili obbligatorio a livello comunale. L’Italia è uno dei pochi Paesi con un sistema sanitario pubblico ad accesso universali. Due fatti però stanno minando alle basi l’universalità e l’omogeneità del Servizio Sanitario Nazionale: la devolution, che affida alle Regioni l’assistenza sanitaria e il suo finanziamento e accentua le differenze territoriali, e la sanità privata che sottrae risorse e talenti al pubblico. Si tende inoltre ad organizzare la Sanità come un’azienda e a far prevalere gli obiettivi economici rispetto a quelli di salute e di qualità dei servizi.
Salute
Gratuità delle cure e alla facoltà di accesso
• Garantire l’accesso alle prestazioni essenziali del Servizio Sanitario
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Nazionale universale e gratuito
• Ticket proporzionali al reddito per le prestazioni non essenziali
Monitorare e correggere gli effetti della devolution sull’equità d’accesso alla Sanità
Farmaci
• Promuovere l’uso di farmaci generici e fuori brevetto, equivalenti e meno costosi rispetto ai farmaci “di marca” (che in Italia costano spesso di più che all’estero) e più sicuri rispetto ai prodotti di recente approvazione
• Prescrizione medica dei principi attivi invece delle marche delle singole specialità (come avviene ad esempio in Gran Bretagna)
Informazione sanitaria
• Programma di educazione sanitaria indipendente pubblico e permanente sul corretto uso dei farmaci, sui loro rischi e benefici
• Politica sanitaria nazionale di tipo culturale per promuovere stili di vita salutari e scelte di consumo consapevoli per sviluppare l’autogestione della salute (operando sui fattori di rischio e di protezione delle malattie) e l’automedicazione semplice
• Informare sulla prevenzione primaria (alimentazione sana, attività fisica, astensione dal fumo) e sui limiti della prevenzione secondaria (screening, diagnosi precoce, medicina predittiva), ridimensionandone la portata, perché spesso risponde a logiche commerciali
• Sistema di misurazione della qualità degli interventi negli ospedali (tassi di successo, mortalità, volume dei casi trattati ecc.) di pubblico dominio
Medici
• Proibire gli incentivi economici agli informatori “SCIENTIFICI” sulle vendite dei farmaci e rendere obbligatoria loro una remunerazione esclusivamente fissa.
• Separare le carriere dei medici pubblici e privati, non consentire a un medico che lavora in strutture pubbliche di Operare nel privato
• Incentivazione della permanenza dei medici nel pubblico, legandola al merito con tetti massimi alle tariffe richieste in sede privata
• Criteri di trasparenza e di merito nella promozione dei primari
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Organizzazione cure
• Liste di attesa pubbliche e on line o altro metodo facilmente pre accessibile
• Istituzione di centri unici di prenotazione on line
• Convenzioni con le strutture private rese pubbliche e on line
• Investire sui consultori familiari
• Limitare l’influenza dei direttori generali nelle ASL e negli ospedali attraverso la reintroduzione dei consigli di amministrazione
Lotta per il dolore
• Allineare l’Italia agli altri Paesi europei e alle direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nella lotta al dolore. In particolare per l’uso degli oppiacei (morfina e simili)
Ricerca
• Possibilità dell’8 per mille alla ricerca medico-scientifica
• Finanziare la ricerca indipendente attingendo ai fondi destinati alla ricerca militare
• Promuovere e finanziare ricerche sugli effetti sulla salute, in particolare legate alle disuguaglianze sociali e all’inquinamento ambientale dando priorità ai ricercatori indipendenti
• Promuovere la ricerca sulle malattie rare e spesare le cure all’estero in assenza di strutture nazionali
• Introdurre, sulla base delle raccomandazioni dell’OMS, a livello di Governo centrale e regionale, la valutazione dell’impatto sanitario delle politiche pubbliche, in particolare per i settori dei trasporti, dell’urbanistica, dell’ambiente, del lavoro e dell’educazione
Amministratori pubblici
• Eliminazione degli inceneritori
• Applicazione del reato di strage per danni sensibili e diffusi causati dalle politiche locali e nazionali che comportano malattie e decessi nei cittadini nei confronti degli amministratori pubblici (ministri, presidenti di Regione, sindaci, assessori).
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Istruzione
• Abolizione della legge Gelmini
• Diffusione obbligatoria di Internet nelle scuole con l’accesso per gli studenti
• Graduale abolizione dei libri di scuola stampati, e quindi la loro gratuità, con l’accessibilità via Internet in formato digitale
• Insegnamento obbligatorio della lingua inglese dall’asilo
• Abolizione del valore legale dei titoli di studio
• Risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica o alla privata convenzionata con accordi speciali e annuali legati ad obbiettivi di risultato
• Valutazione dei docenti universitari da parte degli studenti
• Insegnamento gratuito della lingua italiana per gli stranieri(obbligatorio in caso di richiesta di cittadinanza)
• Accesso pubblico via Internet alle lezioni universitarie • Investimenti nella ricerca universitaria
• Insegnamento a distanza via Internet
• Integrazione Università/Aziende
• Sviluppo strutture di accoglienza degli studenti
Giustizia, riscossione e forze pubbliche
Adeguamento del ruolo del Presidente della Repubblica verso la Grande Classe Produttiva Italiana
Inserimento immediato della responsabilità personale di tutti i giudici e ricusazione d’ufficio del giudice incompetente nella specifica materia del contendere
Abolizione dell’elezione dei CTU, a discrezione esclusiva del giudice che se incompetente nella materia specifica lo deve essere anche nella scelta degli esperti di provata esperienza nella medesima materia, con proponimento obbligatorio dei candidati alle parti ed elezione dei medesimi con votazione unanime di entrambe.
Inserimento obbligatorio nella giuria fissata il giorno del processo di un tribuno della classe appartenente ad entrambe le parti con poteri di voto per la formazione della sentenza
Abolizione del verbale manuale in ogni caso, e adozione di un sistema informatico ingegnerizzato opportunamente per gestire qualsiasi
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processo di contestazione e, in caso di mancato provvedimento immediato, del successivo reclamo civile inviato telematicamente,
limitando drasticamente il numero di giudici ed avvocati necessari per il carico annuale nazionale, ma informatizzando un sistema con automatismi di calcolo algoritmico mediante opportuni risulutori matematici di equità.
Inserimento informatico delle società di assicurazione nell’intervento risarcitorio immediato nel processo telematico.
Fissazione dell’obbligo di indicazione del valore della causa nel valore minimo possibile, ovvero nel valore del primo unico documento contrattuale originario senza aggiunte.
Disincentivare chiunque ad aprire una causa o una difesa immotivata fissando il pagamento immediato del doppio del valore della causa, in caso di perdita per causa o difesa temeraria.
Abolizione dei patti tra avvocati in assenza della presenza di un tribuno di classe per ciascuna parte
Fissazione del tetto massimo di condannabilità rispetto al capitale contrattuale nella misura del 100 per cento, comprensivo di ogni e qualsiasi spesa di giudizio o avvocatizia complessiva di entrambe le parti
Assegnazione della fissazione di tutti i listini dei costi di giustizia allo Stato ivi compresi quelli degli avvocati e dei giudici che lavoreranno esclusivamente a premio di risultato e ad obiettivo da raggiungersi entro una data congrua
• Insegnamento a distanza via Internet Integrazione internet del territorio
Crea un movimento
Esempio di statuto:
ARTICOLO 1 – NATURA E SEDE
Il “MoVimento” è una “non Associazione”. Rappresenta una piattaforma ed un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel blog
La “Sede” del “MoVimento” coincide con l’indirizzo web
I contatti con il MoVimento sono assicurati esclusivamente attraverso posta elettronica
ARTICOLO 2 - DURATA
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Il MoVimento, in quanto “non associazione”, non ha una durata
prestabilita.
ARTICOLO 3 – CONTRASSEGNO
Il nome del MoVimento viene abbinato a un contrassegno registrato a nome del leader, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso.
ARTICOLO 4 – OGGETTO E FINALITÀ
Il “MoVimento” intende raccogliere l’esperienza maturata nell’ambito del blog dei “meeting”, delle manifestazioni ed altre iniziative popolari e delle “Liste Civiche Certificate” e va a costituire, nell’ambito del blog stesso, lo strumento di consultazione per l’individuazione, selezione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociale, culturale e politica promosse dal leader così come le proposte e le idee condivise nell’ambito del blog in occasione delle elezioni per la Camera dei Deputati, per il Senato
della Repubblica o per i Consigli Regionali e Comunali, organizzandosi e strutturandosi attraverso la rete Internet cui viene riconosciuto un ruolo centrale nella fase di adesione al MoVimento, consultazione, deliberazione, decisione ed elezione.
Il MoVimento non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro. Esso vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi.
ARTICOLO 5 – ADESIONE AL MOVIMENTO
L’adesione al MoVimento non prevede formalità maggiori rispetto alla registrazione ad un normale sito Internet. Il MoVimento è aperto ai cittadini italiani maggiorenni che non facciano parte, all’atto della richiesta di adesione, di partiti politici o di associazioni aventi oggetto o finalità in contrasto con quelli sopra descritti.
La richiesta di adesione al MoVimento verrà inoltrata tramite Internet; attraverso di essa, l’aspirante Socio provvederà a certificare di essere in possesso dei requisiti previsti al paragrafo precedente.
Nella misura in cui ciò sia concesso, sulla scorta delle vigenti disposizioni di legge, sempre attraverso la Rete verrà portato a compimento l’iter di identificazione del richiedente, l’eventuale accettazione della sua
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman richiesta e l’effettuazione delle relative comunicazioni.
La partecipazione al MoVimento è individuale e personale e dura fino alla cancellazione dell’utente che potrà intervenire per volontà dello stesso o per mancanza o perdita dei requisiti di ammissione.
ARTICOLO 6 – FINANZIAMENTO DELLE ATTIVITÀ SVOLTE SOTTO IL NOME DEL “MOVIMENTO
Non è previsto il versamento di alcuna quota di adesione al MoVimento. Nell’ambito del blog potranno essere aperte sottoscrizioni su base volontaria per la raccolta di fondi destinati a finanziare singole iniziative o manifestazioni.
ARTICOLO 7 – PROCEDURE DI DESIGNAZIONE DEI CANDIDATI ALLE ELEZIONI
In occasione ed in preparazione di consultazioni elettorali su base nazionale, regionale o comunale, il MoVimento 5 Stelle costituirà il centro di raccolta delle candidature ed il veicolo di selezione e scelta dei soggetti che saranno, di volta in volta e per iscritto, autorizzati all’uso del nome e del marchio “MoVimento” nell’ambito della propria partecipazione a ciascuna consultazione elettorale.
Tali candidati saranno scelti fra i cittadini italiani, la cui età minima corrisponda a quella stabilita dalla legge per la candidatura a determinate cariche elettive, che siano incensurati e che non abbiano in corso alcun procedimento penale a proprio carico, qualunque sia la natura del reato ad essi contestato.
L’identità dei candidati a ciascuna carica elettiva sarà resa pubblica attraverso il sito internet appositamente allestito nell’ambito del blog; altrettanto pubbliche, trasparenti e non mediate saranno le discussioni inerenti tali candidature.
Le regole relative al procedimento di candidatura e designazione a consultazioni elettorali nazionali o locali potranno essere meglio determinate in funzione della tipologia di consultazione ed in ragione dell’esperienza che verrà maturata nel tempo.Revisione dei concetti economici errati, diffusi tra le credenze popolari e degli esperti aziendali.
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Un falso proverbio
Un agricoltore pugliese un giorno disse a “Linea Verde”:
“Quello che non cresce, marcisce!”
Osservazioni:
Il detto del contadino era riferito ai semi difettosi e non ad altro.
Le interpretazioni affrettate dei proverbi possono essere molto dannose.
L'economia di un paese non è detto che debba crescere continuamente ogni anno: può benissimo assestarsi su un livello massimo standard che rispetti gli equilibri energetici ed ecologici, e conseguentemente economici locali e mondiali, per potersi definire "sistema compiuto".
Non è vero che ciò che non cresce MA È CONTINUAMENTE STABILE, debba necessariamente marcire... oppure debba essere colto: gli olivi giunti alla maturità producono annualmente sempre quel quantitativo di frutto, tranne negli anni di malattia, infestazione, gelo, o altro disequilibrio esterno, per tornare alla normalità passata ogni crisi.. Ma non per questo debbono essere tagliati, estirpati o debbano darsi per morti o marcenti... anzi guai a chi tocca questi alberi sacri.
Quindi in economia è certo che:
“Ciò che non cresce dopo essere diventato già adulto, non marcisce, bensì contribuisce all’eccellenza nella sua specialità” e non altro.
Molti ascoltatori invece pensarono che quello “statement economico scarno ed essenziale”, avesse una certa ragionevolezza, anche se, riflettendoci in seguito, non si poteva assolutamente dire convincente.
Ma fu così che in ogni telegiornale, talk-show, discussione pubblica, spesso i facinorosi intellettuali dall’eloquenza cronacale economica, sfoggiavano incoscientemente il ritrito luogo comune errato che citava;
“la “crescita è vitale e necessaria, per la salvezza dell’economia...” come se si basassero sullo statement del contadino pugliese.
In realtà tali signori ignoravano appieno ogni verità sull’argomento.
Gli unici istituti sociali, realmente interessati alla persistenza della crescita economica continua, erano e potevano essere solo quelli bancari, previdenziali, assistenziali, finanziari, ovvero tutti quelli raggruppabili sotto il nome di “venditori dei mezzi di scambio” acronimizzabili con la sigla “VMS”.
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Costoro, in quanto produttori di un’economia garantistica meramente virtuale, quindi irreale e intangibile sul piano economico sostanziale,
temevano perennemente il loro stesso “fault” , per via dei loro stessi bilanci redatti da loro stessi nel modo più attrattivo possibile ovvero “pro investors”, fatti per garantirsi la fidelizzazione permanente degli azionisti o degli obbligazionisti, anche se riportanti dividendi non convenientemente sostenibili.
I derivati, un puro gioco d’azzardo
Basando i loro guadagni sui contratti matematici tra i quali: Bonds,
Repos,
Swaps,
Swap options, Caps/Floors, FRAs,
CDSs.,
ETF, HF,
F,
FOF,
e altri circa 50 tipi di contratti derivati super aleatori, tutti definibili come
“giochi algoritmici praticamente basati sull’azzardo speculativo” - E.F. - comunemente conosciuti come “derivati”, essi hanno così appeso le sorti dei valori reali, aziendali e monetari, su vere e proprie “scommesse borsistiche legalizzate” relative a previsioni su disponibilità future e vere e proprie “speculazioni sui mezzi di scambio” , sulle performance delle alle imprese e sull’oscillazione di valore dei beni reali.
Quindi, tutti i valori dati dalla borsa, erano da ritenersi più che mai falsi e falsati, perché constavano in mere valutazioni istantanee basate sui fattori emozionali di mercato, collettivi o individuali, con i quali si attribuivano i prezzi di acquisto di entità economiche reali (EER).
Ma queste ultime in realtà avevano valori reali basati su ben altri concetti di estimazione.
Per esempio i criteri di valutazione di un’azienda erano realmente quelli del suo costo di costruzione immobiliare, del suo prezzo di mercato immobiliare, del costo di avviamento commerciale, del valore di mercato
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del suo avviamento in base al valore del fatturato effettivo e potenziale, ma in borsa, se in una giornata veniva diffusa la notizia che i suoi prodotti fossero cancerogeni, le sue azioni potevano crollare a zero e spese per eccesso di ribasso.
Essi soltanto potevano ben sperare sull’esistenza costante di tale “crescita” senza la quale, data la loro specialità di produttori della catena di sant’Antonio del denaro virtuale e degli effetti borsistici, la loro esistenza non avrebbe potuto avere seguito.
Soprattutto per parare gli errori previsionali, e le perdite scaturite dagli andamenti imprevisti dei derivati, si è verifcata la necessità del ripetersi continuo e crescente della richiesta di denaro, senza la quale le banche non avrebbero potuto infatti sopravvivere a lungo.
I fallimenti storici delle banche verificatisi nel 29 e nel 75?? Nek 89?? Stava riavvicinandosi e tutti gli istituti mondiali non volevano crederlo possibile.
Ecco allora che si arrivò ad assistere a richiami solenni prima di piccole agenzie di rating fatte ad interi stati, poi addirittura di banche centrali
che per imitazione iniziavano a richiamare gli stati con deficit superiore alla norma, anziché essere il concerto di questi ultimi a comandare le banche che dopotutto altro non sono che istituti di custodia!
Guida per il nuovo giovane cittadino
“Non nova sed novae” Catullo
Rileggere sempre la legge
Anziché editare, escogitare, inventare nuove leggi e tasse sempre più esotiche, pensare, combinare, muovere, valorizzare il patrimonio esistente che da solo sarebbe già stato in grado di fornire un numero di attività tale da mantenere il lavoro di tutti comprese soprattutto le generazioni future, la società sembrava ormai impazzita nella prolificazione legislativa con nuovi articoli dai mille riferimenti passati, e sempre più incomprensibili anche ad un uomo di intelligenza elevata.
Restare impotenti spettatori nella nuova Euro-Italia dal caotico mondo politico-legislativo, fiscal-giustizialista propiziato da quella storica fase di europeizzazione garantista della nuova moneta comune il cui uso si era rivelato subito fonte di un inesauribilmente e crescente quanto incomprensibile indebitamento individuale.
Non era forse necessario proporre utili quanto urgenti accorgimenti economici correttivi dell'attuale situazione "recessiva", prima che diventi "depressiva"?
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Non era quanto mai abominevole sostenere comunque gli inventori del nuovo monetarismo basato su diabolici strumenti contrattuali ed
algoritmi borsistici basati sulle leggi della scommessa e dell'assoluta aleatorietà, usati a decimazione selvaggia e impunita dei capitali degli ignari investitori,
Non era forse deprecabile non impedire la prosecuzione di quel malcostume della scommessa e dell'azzardo, applicato addirittura nei
contratti borsistici, sviluppato da scaltri inventori matematici e applicato da irresponsabili operatori che giocano sfruttando i soldi dei molti malcapitati quanto inconsapevoli investitori?
Sarebbe stato meglio subire tacitamente gli errori puramente logici presenti talvolta nei testi di legge, nelle sentenze di qualsiasi ordine o
grado, nelle circolari bancarie od in quelle ministeriali, nei comunicati stampa, oppure intervenire liberamente da casa raccontando i propri torti subiti sui comodissimi blog, per ricevere un rapido aiuto?
Sarebbe stato preferibile favorire la prosperità e l'impunità di Cassatori senza arte nè parte, ed anche tutti i satrapi, usurai, bulli e boia che nel
loro dna, non posseggono notoriamente la benché minima molecola di propensione ad un equa ed utile giustizia sociale, oppure lavorare per eliminare il clientelarismo italiano dagli uffici pubblici?
Sarebbe stato conveniente permettere la prosecuzione impunita dello sfruttamento e del vilipendio da parte de sistema "burocrazia italiana"
degli onesti lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori, dei semplici operatori delle arti, dei giusti padri di famiglia, dei giovani e geniali free lancers, degli studenti di successo, unici produttori e preparatori della nuova economia reale nonché eredi della cultura tradizionale italiana e degli antichi principi sani e civili, ereditati da stimabili nonni e genitori che affidarono loro questo meraviglioso e storico territorio che é l'Italia, oppure affermare delle inviolabili regole di rispetto da parte dei pubblici poteri verso queste categorie ora ingiustamente troppo vulnerabilizzate?
Sarebbe stato lecito continuare ad essere il popolo sovrano, non più suddito dei principi delle borse, dei satrapi, del giustizialisti tout cour o degli "omini del paese dei balocchi", o del "mondo delle scommesse, oppure permettere che "le male caste" continuassero a sottrarre sostanze preziose a chi non avrebbe desiderato altro che semplicemente creare, lavorare e pianificare ed avere uno sviluppo graduale, non frenetico né tantomeno obbligatorio, restando costantemente nel giusto, senza commettere eccessi o sprechi economici ed ecologici?Report storico degli anni 2008-2013
La realtà globale del business era stata modificata in modo profondo e permanente dallo sconvolgimento economico e finanziario.
Tale trasformazione avrebbe peso caratteristiche e intensità diverse nei vari settori.
Eppure tutti i dirigenti, nel valutare le misure da adottare, dovevano tenere ben presenti le cinque dimensioni del cambiamento.
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Lehman Brothers, icona di Wall Street, inghiottita dalla più grande
bancarotta della storia.
L'Islanda, uno stato tra i più floridi al mondo, a rischio di insolvenza.
IPIC, il fondo d'investimento di Abu Dhabi, compra in fretta e furia le azioni di compagnie energetiche, industrie chimiche e imprese di costruzioni che non navigavano in buone acque in Spagna, Germania e Canada.
Cosa stava accadendo?
La crisi del credito ( o del debito) e la conseguente recessione globale avevano rivoluzionato il mondo degli affari.
In uno scenario nel quale stavano emergendo nuove realtà economiche e commerciali, i dirigenti aziendali si trovavano costretti a rivedere la strategia di successo che avevano tradizionalmente adottato, se non ad abbandonarla del tutto.
In che modo questa evoluzione stava influendo sulle tre aree critiche per il successo delle imprese ovvero il cliente, le dinamiche concorrenziali e le prospettive di crescita?
E quali sarebbero state le implicazioni per le metodologie adottate dai manager per gestire il business e guidare i loro team? I dati della allora situazione reale
Pil dei 150 Paesi a confronto
Le discussioni del tempo sorte in merito al piazzamento di Italia e Spagna nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi riportavano di attualità un vecchio quesito: quale andamento aveva lo sviluppo dei maggiori Paesi mondiali?
Per rispondere a questa domanda era stata analizzata la dimensione economica dei primi 150 Paesi (con popolazione superiore a un milione di abitanti) dal 2000 al 2008, convertendo in dollari i loro dati sul Prodotto interno lordo (Pil).
E per evitare le distorsioni causate dal fluttuare dei cambi, per cui da un anno all'altro il Pil in dollari di un Paese poteva anche raddoppiare o dimezzarsi, togliendo ogni significato alle comparazioni internazionali, si era adottato il metodo dei "cambi di lungo termine".
Infatti, secondo la dottrina delle parità di potere d'acquisto, dati due Paesi, esisteva tra loro un tasso di cambio di equilibrio a lungo termine la cui variazione dipendeva dalle oscillazioni del rapporto tra prezzi interni ed esteri.
Il cambio di equilibrio includeva anno per anno un aggiustamento per il differenziale d'inflazione. Sarebbe però stato necessario scegliere un
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman anno-base al quale agganciare la compensazione.
Per superare tale arbitrarietà, il metodo del cambio di lungo termine consentiva di definire sia i valori annuali del cambio, sia la generale posizione di equilibrio a lungo termine.
Per la crescita reale dei Paesi dal 2000 al 2008 e per la popolazione furono utilizzati dati e stime del Fmi, tratti dall'allora recente "World Economic Outlook", dell'ottobre 2007.
Nel 2008 il Pil mondiale era stato previsto in 56.777 miliardi di dollari a prezzi correnti e la popolazione in 6.658 milioni, rispetto a 6.028 milioni e 35.960 miliardi del 2000. Esclusa l'inflazione del dollaro, l'incremento risultava del 3,4% annuo. Con 14.596 miliardi gli Stati Uniti rappresentavano il 25,7% del Pil mondiale; e il valore analogo era stato denunciato dalla Ue a 27 (14.070 miliardi), ma in un contesto assai disomogeneo e con 497 milioni di abitanti, contro i 306 milioni degli Usa.
Usando il Pil come indicatore della dimensione dei mercati, si confrontò allora lo sviluppo di due aree con buone prospettive per l’export Italiano e cioè l'Asia, esclusi Giappone e Cina (tanto grande da costituire un'area a sé), e i 28 Paesi ex-comunisti, compresa la Russia.
Il loro Pil, che nel 2000 rappresentava un mercato di 2.581 miliardi di dollari, era allora stimato in 5.021, (+ 61% l'aumento reale). Passando da 2.723 miliardi a 5.068 i 16 Paesi asiatici mostravano invece un aumento del 54% "soltanto". Èra sorprendente constatare come fosse stata proprio la "vecchia" Europa a nascondere l'area più dinamica del globo dopo la Cina e ciò perché i progressi europei si erano diffusi in quasi tutti i Paesi.
Ancor più utile per lo studio dei mercati è il Pil procapite. Esso variava tra un massimo di 51.472 dollari per la Norvegia (che aveva spodestato al vertice la Svizzera) e un minimo di 236 $ per la Repubblica democratica del Congo. In totale, 50 Paesi avevano un Pil procapite superiore a 10.000 $, 45 oltre i 2.000 e 55 al di sotto. Il gruppo più ricco comprendeva 1.367 milioni di abitanti, quello intermedio (che include la Cina) 3.180 $ procapite e 2.653 milioni, quello più povero, con l'India (1.411 $), 2.629 milioni.
L'Italia figurava al 20° posto con 26.476 dollari, a mezza via tra Gran Bretagna (32.293 $) e Spagna (21.069 $).
Per meglio illustrare l'economia dei Paesi nella tabella sottostante furono usati altri parametri: il consumo di energia procapite (in chili annui di petrolio equivalente) e le auto in circolazione, i telefoni fissi, i cellulari e i personal computer ogni 1.000 abitanti. Era inoltre stretto il legame inverso tra Pil procapite e la quota dell'agricoltura: 6 Paesi hanno solo l'1% (tra essi Usa, Germania e Gran Bretagna); otto il 2%, tra cui Giappone, Francia e l'Italia (che nel dopoguerra aveva il 40%), tutti con reddito procapite di oltre 25.000 $. La media variava tra il 2% per i primi 25 Paesi e il 33% per gli ultimi 25. All'opposto, poiché la terziarizzazione economica era progredita senza soste, c'era una altissima correlazione tra reddito e percentuale dei servizi: Usa e Francia erano arrivati addirittura al 77%, un record mondiale; la Gran Bretagna era al 73%, l'Italia al 71%, la Germania al 69% e il Giappone al 68%.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
I principali indicatori di consumo sono l'energia e le auto. Per l'energia si passava da un massimo di 8.649 chili annui procapite del Canada (per gli
Stati Uniti 7.985 kg) a un minimo di 180 kg del Bangladesh. L'Italia era al livello più basso tra i Paesi industrializzati: solo 3.366 kg, rispetto ai 3.706 kg della Spagna e ai 4.126 dell'Irlanda. Le auto variavano tra 768 ogni 1.000 abitanti degli Usa e una soltanto per gli ultimi 6 Paesi. L'Italia era al 4° posto (1° in Europa) con 658 auto, davanti a Germania (624) e Giappone (587).
Di nuovo stretto era il legame tra questi indicatori e il Pil: la media dei primi 25 Paesi (con un reddito procapite di 36.879 $) è 487 auto e 4.905 kg, quella degli ultimi 25 (reddito procapite 472 $) è 5 auto e 362 kg.
Nei dati sui telefoni, oltre alla consueta relazione con il reddito (si passava da 523 ogni 1.000 abitanti per i primi 25 Paesi a 12 per gli ultimi 25), impressionava pure la crescita dei cellulari: 54 Paesi erano giunti a oltre 1.000 apparecchi ogni 1.000 abitanti. Poiché i costi continuava a scendere, sembrava davvero realizzabile il sogno che l'elettronica potesse aiutare i Paesi poveri.
Nel Congo, ad esempio, unico Paese al mondo dove c'era meno di una linea fissa ogni 1.000 abitanti (secondo l'Itu, soltanto 0,2), si stava arrivando a 100 cellulari; nel Mozambico, con 4 linee fisse, a 200 cellulari.
Altrettanto notevole era la diffusione dei personal computer, che aveva già ha raggiunto un miliardo di unità! Rispetto ai cellulari, maggiore è la concentrazione a livello di Paesi: da una media di 674/1.000 per i primi 25 Paesi, per i Paesi tra il 51° e il 75° posto si scendeva già a 117/1.000, mentre vi erano ancora 6 Paesi con solo un personal computer ogni 1.000 abitanti. L'Italia, recuperando il ritardo, stava superando 400/1.000, mentre Usa, Gran Bretagna e Australia erano oltre gli 800. La posizione dei Pvs, in questo caso, era diversa dal solito: se l'Italia, ad esempio, stava arrivando a 40 milioni di automobili (contro 25 in Cina, 20 in Brasile, 11 in India), vi erano 66 milioni di pc in Cina, 34 in Brasile, 32 in India, rispetto ai 26 italiani.
Interessante era anche una nuova statistica della Witsa sulla spesa informatica. Con aumenti annui del 10-40%, essa era arrivata a 98 miliardi di $ per l'Italia (6,2% del Pil), a 198 miliardi per la Gran Bretagna (10,0%) e a 222 per la Cina (5,3%), per non parlare del gigantesco mercato Usa di 1.220 miliardi (8,4%). Poiché ormai si trattava ovunque del 5-10% del Pil, sembrava opportuno che gli uffici statistici nazionali aggiungessero un quarto settore alla classica suddivisione del Pil. Dopo aver però risolto un difficile problema: le spese informatiche rappresentavano un consumo corrente, oppure un investimento per il futuro? E c'era un modo corretto di raggrupparle in un'unica categoria?I nuovi valori per i clienti e la nuova parola d'ordine: "sobrietà"
Gli esempi di una riscoperta della semplicità abbondavano:
dalle comunità dedicate al baratto dove gli scambi non prevedono esborsi di denaro al revival del fai da te, fino alla diffusione di offerte commerciali e retail format più orientati al valore.
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Viceversa l'ostentazione era decisamente in declino, come segnala l'ansia
crescente che serpeggia nel settore dei beni di lusso.
Nonostante ciò, sui monti ginevrini, in vicinanza forzieri del mondo, gente comune poteva assistere a scene di sceicchi pagavano conti di 40 k euro al tavolo di capodanno 2011, dove i loro pargoli sbranavano distrattamente intere confezioni di caviale mentre i genitori si affogavano del miglior champagne.
Che si volesse o meno dieci clienti di questo tipo in tutto il mondo erano ancora rimasti.
Comunque si prevedeva, già allora, che il fascino della semplicità sarebbe rimasto in auge per altri 3-5 anni anche dopo la ripresa economica.
Le ragioni erano molteplici.
Innanzitutto i consumatori che avevano accumulato montagne di debiti, fiduciosi che il valore delle loro case e di altri investimenti sarebbe continuato ad aumentare, si trovavano improvvisamente a fare i conti con i creditori e quindi non si poteva dire fosse certo il momento di sperperare.
In secondo luogo la crescente fetta di consumatori anziani che sarebbero andati in pensione avrebbe avuto meno soldi da spendere.
Infine fattori quali la crescente pressione fiscale, il crollo delle quotazioni e l'eliminazione degli incentivi avrebbero limitato il budget di spesa anche dei consumatori più benestanti.
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si sarebbero fatte decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Anche la durabilità sarebbe stato un fattore determinante in quanto i clienti si sarebbero attesi di acquistare un prodotto e tenerlo per un periodo più lungo.
Negli Stati Uniti, per esempio, il tempo medio di permuta delle auto era passato da 68 mesi nel quarto trimestre del 2006 a 76 mesi alla fine del 2008.
Benché da un lato questo andamento fosse in parte dovuto alla carenza di credito per l'acquisto di nuovi veicoli, dall'altro rifletteva sicuramente anche un miglioramento della qualità della produzione: se in precedenza un'automobile veniva cambiata ogni 100.000 chilometri, allora il nuovo standard sarebbe salito a 200.000 e più.
Ciò significava che i clienti, anziché acquistare una nuova vettura dopo tre-cinque anni di utilizzo, avrebbero potuto tenere più a lungo quella
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman che possedevano, magari fino al momento della rottamazione.
Al servizio del cliente
In molti settori il valore percepito dai clienti e il loro comportamento d'acquisto erano cambiati, spesso radicalmente.
Erano cambiamenti temporanei o si sarebbero consolidati nel tempo?
E quali opportunità ne sarebbero potute derivare in termini di nuove esigenze e conquista di quote di mercato da sottrarre alla concorrenza?
Con meno soldi disponibili le scelte dei consumatori si facevano decisamente più oculate, privilegiando prodotti e servizi su misura in grado di soddisfare esigenze specifiche.
Di conseguenza le imprese avrebbero dovuto adottare strategie più sofisticate di approccio alla segmentazione della clientela e utilizzare queste informazioni per presentare proposte realmente differenziate.
Le imprese avrebbero quindi adottato opportunità di condivisione di costi e rischi degli investimenti di capitale creando consorzi o joint venture terze che permettessero a ex concorrenti diretti di condividere un'infrastruttura comune e un costo più basso.
Questo già avviva nel settore dell'editoria dei quotidiani e della telefonia mobile, dove reti e infrastrutture comuni erano ormai la norma.
Fornitori terzi di servizi quali fatturazione e riscossione, che allora servivano più concorrenti appartenenti allo stesso settore, avrebbero assunto anch'essi una sempre maggiore importanza.
Mentre da un lato le aziende erano alla ricerca di soluzioni per ridurre i costi, dall'altro i fornitori terzi erano chiamati ad ampliare la propria offerta includendovi vendita, servizio assistenza e infrastruttura IT, permettendo così di liberare risorse di liquidità e lasciando alle imprese la possibilità di concentrarsi sui propri principali punti di forza.La risorsa dei consumatori emergenti
La recessione e il periodo che la avrebbe seguita avrebbe avuto un impatto diverso per tutti i paesi e le regioni.
Le economie dei paesi occidentali sviluppati, impegnate a tener testa alle conseguenze del tracollo dei mercati finanziari, avrebbero fatto probabilmente registrare una crescita più lenta per un lungo periodo.
Per quanto riguarda i mercati emergenti, invece, sebbene il rallentamento della domanda globale ne avesse frenato l'espansione, la crescita costante del ceto medio in particolare in India, Brasile, Sudafrica, Cina e in altre economie in via di sviluppo avrebbe costituito un'importante fonte di nuova domanda per le multinazionali.
Per esempio, nel 2011 le vendite al dettaglio in Cina rimasero molto più sostenute rispetto a quelle di altre grandi economie; a spendere in modo importante non erano solo le città tradizionali a rapido sviluppo
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raggruppate intorno al delta dello Yangtze e del Fiume delle Perle, ma anche città dell'entroterra e a più basso profilo: in tutte, il crescente ceto medio cinese continuava a spendere.
Sempre un più alto numero di nuove società di collegamento e mediazione commerciale, aprivano alle foci del fiume della Perle, a Guang Zhou al fine di commercializzare il valore dello sfruttamento commerciali dei più famosi marchi di moda, di Italian Wine and oil, di design europei e mondiali.
Altri valori, come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa, avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori stavano abbandonando i modelli di consumo indiscriminato del passato e diventavano più selettivi nell'operare le proprie scelte.
Un numero crescente di aziende investiva già nella conquista di credenziali verdi che, con i gruppi di attivisti determinati a puntare i riflettori sui principali trasgressori, erano diventate un parametro di misurazione della performance d'impresa sempre più importante.
Nel frattempo, le conseguenze della allora crescente opposizione allo sfruttamento degli animali da pelliccia venivano avvertite pesantemente dal già tormentato Settore dei beni di lusso.
Simili cambiamenti non potevano non influenzare i buyer industriali.
L'attenzione costante e pervasiva per la gestione dei costi avrebbe portato all'adozione sempre più diffusa di pratiche d'acquisto professionali, come per esempio le reverse auction, o aste inverse, e il ricorso a servizi di approvvigionamento specializzati forniti di terzi, e a livelli sempre maggiori di sensibilità al prezzo, in tutti i settori.
Il perdurare della difficoltà di accesso al credito per le aziende di tutti i tipi, avrebbe potuto inoltre far crescere l'interesse per nuovi modelli di proprietà, soppiantando per esempio la proprietà diretta con i modelli di pagamento a consumo “pay-per-use”.
Per esempio, erano sempre più numerose le compagnie aeree che avevano scelto di percorrere la strada della logistica prestazionale, basata
sull'approccio alla proprietà dei motori per aereo “Power by the Hour” elaborato da Rolls-Royce, che prometteva un costo fisso per ore di volo del motore per tutta la durata del contratto.
Dal canto loro, i governi degli Stat Uniti e della Gran Bretagna stavano stipulando contratti per velivoli militari e altre apparecchiature basati sulla disponibilità, lasciando ai costruttori il compito di fornire pezzi di ricambio e altri servizi on demand.
Anche le aziende di una vasta gamma di settori avrebbero cercato di individuare Valori come la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale d'impresa avrebbero assunto presumibilmente un'importanza sempre maggiore allora che i consumatori avevano abbandonato i modelli di consumo indiscriminato del passato.
Nell'ambito dei suoi piani di ristrutturazione, per esempio, il gruppo
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Chrysler stava annullando i contratti con 800 dei 3200 concessionari
presenti negli Stati Uniti, mentre la General Motors Corp.
aveva annunciato l'intenzione di rescindere i contratti di franchising con 1100 concessionari degli USA.
In tempi migliori, questi provvedimenti avrebbero comportato cospicui indennizzi.
Quando GM annunciò la chiusura della divisione Oldsmobile nel 2000, infatti, dovette versare più di 1 miliardo di dollari ai concessionari a titolo di risarcimento.
Guardando invece a valle, un peggioramento della situazione finanziaria dei clienti si sarebbe ripercosso in risalita sulla supply chain, trascinando società per altro sane in mezzo a difficoltà da cui molte non sarebbero riuscite a riprendersi.
I produttori di componenti elettronici, per esempio, avevano già avvertito l'impatto della contrazione della domanda di elettronica di consumo, e una situazione simile si era delineata più in alto nella catena per i costruttori del settore automotive.
Nel comparto dell'editoria, il crollo del fatturato da pubblicità aveva accellerato il declino della redditività per quotidiani e riviste, portando molti sull'orlo dell'insolvenza.L’alterazione degli equilibri di potere nella catena del valore e i nuovi concorrenti
I fallimenti e le difficoltà finanziarie avrebbero cambiato la fisionomia di molti settori.
In alcuni casi avrebbero comportato una riduzione della capacità, con un potenziale miglioramento del rendimento per le aziende che restano sul mercato.
Tuttavia, la capacità avrebbe potuto anche semplicemente cambiare mani, spesso a prezzi stracciati che avrebbero consentito ai nuovi entranti di competere partendo da una base di costi molto inferiore.
In molti settori, gli squilibri fra domanda e offerta, dovuti alla tendenza a sottoinvestire durante la recessione, avrebbero creato una situazione di volatilità dei prezzi con la ripresa della domanda.
La World Steel Association, l'associazione mondiale che riuniva le società siderurgiche, prevedeva per esempio un calo globale della domanda di acciaio del 15% nel 2009, trascinata da una contrazione superiore al 25% in Europa e Nord America.
Tali picchi non saranno stati limitati ai settori delle materie prime.
I comparti delle costruzioni navali e della costruzione di aeromobili rappresentavano solo due dei settori in cui un rallentamento della domanda e una conseguente riduzione della capacità produttiva avrebbe potuto creare delle carenze e spingere i prezzi al rialzo nel medio termine.
Nel primo trimestre del 2009, Airbus, la divisione aerospaziale
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commerciale di EADS, si era aggiudicata soltanto otto nuovi ordini netti (dopo le disdette), rispetto ai 395 nuovi ordini netti dello stesso periodo del 2008.
Sebbene dovesse ancora consegnare una quantità consistente di ordini arretrati, Airbus annunciò un lieve rallentamento della produzione verso la fine dell'anno e previse ulteriori riduzioni per il successivo futuro.
Lo spettro del fallimento che incombeva sui fornitori avrebbe potuto indurre i clienti a valle a rilevarne la società allo scopo di garantirsi l'accesso a risorse limitate o difficilmente replicabili.
La fusione di più fornitori o il loro fallimento avrebbero potuto creare ulteriori problemi per i clienti, alterando gli equilibri di potere e annullando regole consolidate e contratti.
Nuovo panorama competitivo
In seguito alla congiuntura economica negativa, interi settori avrebbero sofferto pesantemente e forse sarebbero stati trasformati in modo permanente.
Come sarebbe potuto cambiare il rapporto di potere fra acquirenti e fornitori? Chi sarebbero stati i nuovi concorrenti, e come sarebbero cambiate le regole del gioco?
Nuove regole
Una maggiore regolamentazione sarebbe stata parte integrante della nuova realtà per molti comparti, in quanto i governi desideravano svolgere un ruolo più attivo nella gestione di settori chiave come quello bancario, dell'edilizia abitativa, della produzione e della sanità.
Si andava dunque dalla proposta delle cosiddette norme cap-and-trade finalizzate a controllare le emissioni industriali dei gas a effetto serra a iniziative orientate a un settore specifico come le misure di abbattimento dell’anidride carbonica per le industrie automobilistiche dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti.
Il risultato finale sarebbe stato misurabile in costi aggiuntivi e nuovi vincoli in relazione a quello che le aziende potevano e non potevano fare.
Guardando agli aspetti positivi, la continua progressione verso l'armonizzazione degli standard regolatori globali in settori così variegati
come quello dell'automotive (controllo delle emissioni e sicurezza) e delle telecomunicazioni avrebbe dovuto contribuire a ridurre i costi per i protagonisti presenti a livello globale.
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Volatilità cronica
Si diceva che le fluttuazioni dei tassi di cambio sarebbero continuate fin tanto che i governi avrebbero cercato di reperire ingenti fondi per finanziare salvataggi economici.
Si pensava anche che i prezzi di una vasta gamma di materie prime, e di servizi quali spedizioni e trasporti, non avrebbero mai smesso di oscillare finché il mercato non avrebbe trovato un equilibrio stabile fra domanda e offerta.
Gli investitori restavano cauti anche mentre le economie riemergevano dalla congiuntura negativa, e questo avrebbe contribuito a generare una maggiore volatilità, con il risultato che le reazioni a variazioni dei principali indicatori economici sarebbero state ancora più rapide ed estreme e l'andamento dei mercati azionari si sarebbe mantenuto instabile.
Nel frattempo, opportunità di acquisizione a prezzi interessanti probabilmente avrebbero attirato nuovi investitori nei mercati occidentali.
Numerose multinazionali dei mercati emergenti avevano già dato prova dell'intenzione di sfruttare le fusioni e acquisizioni come base per espandere la propria presenza sui mercati più redditizi dei Paesi sviluppati.
La cinese Sichuan Tengzhong Heavy Industrial Machinery Co., per esempio, era prossima a concludere l'acquisizione del marchio Hummer
di General Motors, specializzato nella produzione di SUV di grandi dimensioni e pick-up, mentre Industrial and Commercial Bank of China è in procinto di acquisire il 70% della filiale canadese di Bank of East Asia, conquistando così un prezioso avamposto nel mercato canadese.
Anche gli investitori in titoli di società in crisi attuavano ampiamente un meccanismo di riciclaggio di società sofferenti.
Aziende statunitensi come Apollo Investment Corporation, Oaktree Capital Management e Centerbridge, per esempio, potevano acquisire delle società per una frazione del loro valore precedente, spesso per 20 - 30 centesimi per dollaro, per poi riportarle sul mercato con profitto.
Accelerazioni degli asset
Si attendeva un'accelerazione della tendenza alle fusioni in molti comparti, in particolare nel settore delle costruzioni, dell'energia, nel settore bancario e retail, in quanto la congiuntura negativa costringeva le aziende a stringere alleanze per sopravvivere, e il valore fortemente depresso degli asset rendeva l'affare più interessante per le società più forti.
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Anche questo avrebbe cambiato le regole del gioco per gli attuali player, consentendo alle aziende più grandi di realizzare economie di scala e offrire ai clienti vantaggi che i player più piccoli non potevano neanche immaginare di proporre.
Coloro che non disponevano di credito sufficiente o di tasche molto profonde, dovevano contare su un patrimonio netto più costoso per finanziare la crescita.
La caduta drammatica del valore dei fondi pensionistici sarebbe gravata non poco sulle aziende con una forte presenza di persone prossime alla pensione e ne avrebbe limitato la capacità di investire in nuova crescita.
Per citare un esempio molto eloquente, l'operatore di telecomunicazioni britannico BT Group aveva annunciato in maggio che avrebbe dovuto
quasi raddoppiare la somma versata per il programma di pensionamento, da 280 milioni di sterline nel 2008 a 525 milioni di sterline, per ciascuno dei successivi tre anni, a causa di un ammanco previsto di 4 miliardi di sterline nel suo fondo pensione.
Questi versamenti avrebbero assorbito quasi un quarto del cash flow disponibile della società previsto per quel periodo.
Per raccogliere denaro e rimborsare i debiti, alcune imprese avrebbero dovuto svendere delle attività, creando opportunità per protagonisti del settore più solidi dal punto di vista finanziario.
L'attività generale di fusioni e acquisizioni si sarebbe intensificatasi già verso la fine del 2009 e accelerata nel 2010 quando le valutazioni delle aziende si sarebbe stabilizzata maggiormente e i concorrenti finanziariamente solidi avrebbero fatto le loro mosse per approfittare del ridotto valore degli assets.
Già nel 2009 avevano fatto parlare di sé un paio di operazioni commerciali degne di nota: in gennaio, Pfizer ha annunciato l'intenzione di acquisire Wyeth per 68 miliardi di dollari, mentre in giugno Fiat ha acquisito gli asset principali di Chrysler nell'ambito di un accordo in cui il governo USA ha fatto da intermediario.
In seguito a questi e altri cambiamenti, la leva finanziaria media per tutte le aziende si sarebbe ridotta, mentre i tassi di crescita positivi dei mercati emergenti avrebbero continuato ad attirare investimenti a discapito delle economie sviluppate a crescita più lenta.
Le organizzazioni avrebbero potuto avere bisogno di prendere in considerazione strutture di capitale differenti e trovare nuova liquidità per finanziare innovazioni, nuova capacità, miglioramento delle competenze, espansione geografica o acquisizioni.
I manager dovettero anche rivedere piani e prospettive di crescita organica per adattarli alla nuova realtà dei clienti.
Al di là di queste questioni fondamentali, i dirigenti dovettero esaminare attentamente il proprio portafoglio di prodotti e servizi, chiedendosi se fossero ancora adeguati alle mutate esigenze dei clienti e alle nuove dinamiche concorrenziali.
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Nella loro analisi dovettero rilevare tutte le lacune che andavano colmate, o anche le opportunità di abbandonare rami d'azienda che non contribuivano allo slancio strategico di fondo dell'impresa o non soddisfavano i requisiti minimi di performance.
Potendo disporre di una quantità inferiore di denaro da investire, le aziende dovettero fare scelte difficili su come distribuire la spesa fra mercati emergenti o sviluppati e fra crescita organica e operazioni di fusione e acquisizione.
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere contribuì ad ampliare il divario fra vincenti e perdenti del futuro.
Investire in ricerca
Le aziende vincenti continuarono a investire in ricerca e sviluppo anche durante la congiuntura negativa, e terranno a disposizione del denaro per
approfittare di opportunità di fusione/acquisizione a prezzi stracciati, rispondendo alle mutate esigenze dei clienti con nuove proposte innovative conquistando per tempo posizioni libere e ben salde nei mercati emergenti.
Questi investimenti apportarono enormi vantaggi a queste aziende, sospingendole verso performance ancora migliori una volta uscite dalla recessione.
Prospettive di crescita
Gli euforici giorni del contante disponibile e del credito facile sembravano già un ricordo lontano.
In che modo le imprese potevano sostenere la propria capacità di investire in crescita e come potevano dove e come crescere?
La capacità di investire in crescita e la scelta di dove e come crescere avrebbe ampliato il divario fra vincenti e perdenti.
Questi marcati cambiamenti nel comportamento dei clienti, l'ambiente competitivo e le prospettive di crescita avrebbero avuto un impatto rilevante in due aree fondamentali: modalità operative delle aziende e utilizzo del talento a tutti i livelli dell'organizzazione.
Di conseguenza, le aziende dovettero acquisire nuove capacità e ripensare le attività da intraprendere, e dove.
In una realtà in cui i finanziamenti esterni continuavano a scarseggiare, le imprese dovettero prendere in considerazione nuovi modi per conservare il denaro.
Outsourcing e delocalizzazione crebbero probabilmente in modo significativo a fronte della tendenza delle aziende a cercare modi per trarre vantaggio dalle differenze in termini di costo del lavoro e attingere
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman all'elevata efficienza operativa degli specialisti del settore.
A riprova di ciò, una inchiesta condotta presso multinazionali britanniche rivelò che più dell'80% di esse stesse valutando l'ipotesi di trasferire all'estero nei prossimi cinque anni almeno una delle funzioni di business principali, con l'obiettivo di tagliare i costi.
A mano a mano che le aziende si espansero in tutto il mondo, diventò sempre più importante sfruttare in modo più efficace la forza delle
proprie dimensioni, sia in attività di back-office, quali la gestione delle risorse umane, l'amministrazione e gli acquisti, e in applicazioni di front- office, quali la progettazione del packaging, l'analisi di marketing, la pubblicità e l'attività promozionale.
Centri di eccellenza
Anziché duplicare competenze di difficile reperimento in ciascuna regione, i centri globali di eccellenza, potenziati dalle tecnologie informatiche, consentirono ai protagonisti più avanzati del settore di fornire prestazioni di livello mondiale a tutte le aree geografiche.
Altri fattori influenzarono la scelta dei modelli di business.
Il numero crescente di accordi internazionali diede vita a nuove sfide in termini di integrazione di culture diverse, di clienti e di ambienti competitivi.
Questo valse in particolare per le aziende con un piede nei mercati dei Paesi sviluppati e un altro nei mercati emergenti.
Più in generale, con l'espansione delle aziende a livello internazionale, la necessità di far leva sulle dimensioni globali, personalizzando al tempo stesso sia l'offerta che la governance per adeguarle alle esigenze di mercati molto diversi fra loro, richiedesse strutture, processi e competenze rinnovate.
La tecnologia continuò a trasformare il modo di fare business, facilitando una maggiore mobilità e la distribuzione geografica delle attività.
Una crescente carenza di competenze nell'Occidente e la relativa abbondanza delle stesse competenze in Paesi emergenti come India e Cina indusse le aziende a delocalizzare attività sempre più sofisticate, inclusi importanti segmenti della catena del valore della funzione di ricerca e sviluppo.
Migliore gestione del rischio
La congiuntura negativa face nascere l'esigenza di nuove competenze nella gestione del rischio e rispetto delle normative.
Per esempio, per evitare il ripetersi dell'ultima crisi, le banche dovettero definire politiche di governance più robuste e obiettive per quanto
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman riguarda il rischio.
Due banche spagnole, BBVA e Banco Santander, aprirono la via costituendo dei comitati di rischio, comprendenti una forte rappresentanza di dirigenti non esecutivi, cui fu affidato il compito di esaminare le nuove richieste di prestito e discutere i rischi più consistenti.
Molti osservatori hanno attribuito a questo processo il fatto che alle due istituzioni sia stata in larga misura risparmiata la ricaduta delle stretta creditizia.
Con il perdurare della situazione di volatilità, sempre più aziende di un numero sempre maggiore di settori dovetteroNuovi modelli di business
Le nuove sfide richiedevano nuovi modi di operare.
In che modo le aziende si sarebbero adattate alla nuova realtà competitiva e cosa avrebbe comportato questo cambiamento per i modelli, la governance e le competenze aziendali?
Dopo la guerra del Golfo, paesi con sovrabbondanza di capitale, ma capacità agricola insufficiente per coprire le loro esigenze acquistarono o affittarono terreni agricoli all'estero.
Questo li protesse da una futura volatilità dei prezzi e, aspetto ancor più importante, garantì la sicurezza dell'approvvigionamento di cibo in un mondo in cui la minaccia dei divieti di esportazione da parte dei paesi produttori era diventata molto più concreta.
Adottare strategie di copertura e stoccaggio per una serie di materie prime, allo scopo di gestire questi rischi e proteggere i profitti futuri poteva essere per molti paesi un’47747ottima soluzione.
E garantirsi l'accesso a risorse limitate avrebbe assunto una sempre maggiore importanza quando la crescita sarebbe ripresa..
Dopo la congiuntura economica negativa la corsa ai talenti riprenderà slancio in quanto le aziende, ansiose di risollevarsi, si daranno da fare per reclutare le competenze necessarie e ricostituire la capacità persa a causa della recessione.
La sfida pose particolari difficoltà nei settori in cui le competenze specialistiche sono state perse, come per esempio nel settore finanziario, in alcuni casi in modo permanente, in quanto i lavoratori se ne andarono via o cambiarono mansioni.
Nell'Europa occidentale e in Giappone la forza lavoro che invecchiava aggravò la carenza di competenze, costringendo i governi a considerare la possibilità di favorire l'immigrazione o di ricorrere all'outsourcing.
Un altro problema ormai molto sentito in queste regioni è la fuga dei talenti.
La Germania, per esempio, sta perdendo un numero crescente di professionisti qualificati e di lavoratori.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Nel 2008, più di 3.000 medici hanno lasciato il paese, portando il numero di medici tedeschi che lavorano all'estero a quasi 20.000 unità. La ricerca di nuovi boom
Un fenomeno che la congiuntura economica ha portato con sé è stato il ritorno dei baby boomer nella forza lavoro.
L'adattamento ai cambiamenti indotti dalla crisi impose alle aziende di cambiare agilmente direzione a seconda delle esigenze del momento, abbandonando piani e mentalità ormai superate e ri - orientando gli sforzi verso aree nuove e più promettenti.
In quest'ottica, la “qualità della leadership” fu più importante che mai per determinare la sopravvivenza di un'organizzazione.
La congiuntura economica impose alla dirigenza di effettuare scelte difficili e spesso dolorose: quanto tagliare e cosa mantenere, dove investire le limitate risorse di crescita, quali mercati o attività abbandonare, come guidare con fiducia i team attraverso il cambiamento.
I consigli di amministrazione aziendali sostituirono i leader deboli che non riuscivano a fare le scelte giuste o a elaborare una visione che le loro organizzazioni trovassero convincenti.
Nelle aziende in cui la dirigenza fece un buon lavoro, invece, venne chiesto ad alcuni CEO o gruppi di dirigenti prossimi alla pensione di restare un po’ più a lungo per guidare l'organizzazione fuori dal guado.
Questo creò difficoltà alla nuova generazione di dirigenti, che vollero perseguire nuove opportunità in modo da avere maggiori possibilità di promozione ai vertici.
La pianificazione della successione in tali situazioni dovette dare valorizzazione dei talenti riconosciuti a livello nazionale.
L'ambiente in rapida evoluzione pose nuove sfide alla leadership aziendale e in termini di valorizzazione dei talenti.
In che modo dovettero adattarsi i leader per creare una maggiore capacità di reazione a fronte di una elevata volatilità?
Come si sarebbero potuti coltivare i talenti più critici durante la congiuntura negativa, e come si sarebbero potute ricreare le competenze perse quando la crescita sarebbe ripresa?
La società quindi cominciò ad offrire corsi di base in gestione della turnazione che equivalevano ai certificati A-level (un certificato di formazione generica di livello avanzato) rilasciati nel Regno Unito.
Al corso iscrissero più di 2.500 persone, incluse svariate centinaia di laureati desiderosi di intraprendere questo corso di formazione pratica.
Le aziende dovettero anche studiare nuovi modelli di impiego per attrarre e trattenere i giovani lavoratori più brillanti, che spesso, a proposito di carriera e lavoro, avevano punti di vista diversi dai loro genitori.
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Una ricerca ha rivelato che molti dei cosiddetti figli del millennio (i nati fra il 1980 e il 2000), per esempio, sentivano sentito fortemente
l'esigenza di raggiungere un equilibrio fra vita e lavoro; di conseguenza avrebbero potuto optare per strutture di lavoro più flessibili e benefit diversi da quelli tipicamente offerti.
Una ricerca, per esempio, ha dimostrato che i figli del millennio volevano poter usare tecnologia di consumo (smartphone, lettori MP3), applicazioni di social networking e software open source anche sul posto di lavoro.
Recessione e perdita di talenti
La penuria di talenti venne avvertita più fortemente a livello delle posizioni di knowledge worker qualificati, istruiti ed esperti.
In determinati settori, tuttavia, il passaggio di mano del potere economico avrebbe potuto comportare la perdita permanente di posti di lavoro.
Al giugno 2009, più del 25% di tutti i posti di lavoro persi negli Stati Uniti dall'inizio della recessione era concentrato nel settore manifatturiero.
Molti di questi erano presso costruttori di automobili e fornitori correlati.
Senza incentivi del governo e altre forme di intervento, molti di questi lavori avrebbero potuto essere stati trasferiti in sedi a costo inferiore, ma solo creando la minaccia di una disoccupazione su larga scala e a lungo termine in quei comparti.
Le differenze in termini di contributi, produttività e stipendio fra knowledge worker altamente qualificati, istruiti ed esperti dicembre 2007 e il maggio 2009, negli Stati Uniti sono andati persi 5,7 milioni di posti di lavoro, portando la percentuale totale dei disoccupati all'8,9%, il livello più alto degli ultimi 25 anni.
Eppure, fra il dicembre 2007 e il dicembre 2008, il numero di americani di 55 anni o più presenti fra le fila della forza lavoro è cresciuto di oltre 870.000 unità.
A fronte di piani pensione più esigui e di aspettative di prepensionamento ridimensionate, un numero sempre maggiore di baby boomer decise di restare nella forza lavoro.
La ripresa della crescita avrebbe potuto spingere molte di queste persone a lasciare il posto di lavoro, aggravando così la situazione di penuria delle competenze in alcuni settori.
Le aziende che reclutavano talenti di altissimo livello durante la congiuntura negativa potettero conquistare dei vantaggi sul lungo periodo.
Avendo meno opportunità a disposizione, infatti, i nuovi laureati
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman ampliano il raggio d'azione della loro ricerca di lavoro.
Quando alla fine del 2008 nella City di Londra le assunzioni precipitarono, alcune aziende che tradizionalmente avevano difficoltà ad attirare i laureati migliori videro un'opportunità. Il caso Aldi
Aldi, catena di supermercati discount, registrò un aumento del 280% delle domande di lavoro e ha incrementato il proprio target di assunzioni del 50% per approfittare delle condizioni eccezionali del mercato del lavoro.
Sul lungo periodo, anche se il settore finanziario riconquistò un po' del suo prestigio e riuscì ad accaparrarsi alcuni di questi giovani ambiziosi e pieni di talento, datori di lavoro come Aldi furono in una posizione migliore per proporsi nei campus delle università facendo leva proprio su questi ex-allievi.
La possibilità di diventare un datore di lavoro dalle indiscutibili attrattive dipese dalla capacità di preparare una proposta di valore per i dipendenti che attirasse l’interesse delle giovani generazioni.
Nel 2008, McDonald’s è diventato uno dei primi datori di lavoro britannici autorizzati a rilasciare propri certificati di formazione.
Infine, i paesi dove il costo del lavoro era estremamente basso, come Laos, Cambogia e varie regioni dell'Africa, furono oggetto di notevole interesse da parte delle aziende e registrarono significativi livelli di crescita quando le multinazionali si trovarono a gestire i costi della manodopera alla ripresa dell'economia globale e una schiera in rapida espansione di lavoratori disponibili ma prevalentemente non qualificati avrebbe potuto dare origine a una situazione di conflittualità sindacale.
Questa, a sua volta, avrebbe potuto indurre i governi a intervenire, per esempio, con norme che limitassero il trattamento differenziale dei dipendenti.
La congiuntura economica negativa accelerò importanti cambiamenti nel comportamento degli acquirenti, nella struttura industriale e nelle dinamiche competitive e aprì un divario fra vincenti e perdenti che probabilmente crebbe in modo significativo nei successivi anni a venire.
L'opportunità di successo al momento della ripresa dipese dalla capacità della leadership di precorrere e reagire a questi cambiamenti e a quelli che vennero, e di aver operato scelte oculate, spesso molto difficili su come e dove investire, come strutturare le attività e come preservare e ricostituire le competenze chiave quando la fase di crescita avrebbe ripreso.
Proiezione di 8 tipi di probabili crisi mondiali future
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“Nei prossimi anni il mondo cambierà”.
“Bisogna vedere se in meglio o in peggio”.
E.F.
Intanto alcune testate giornalistiche iniziavano ad ipotizzare scenari di crisi molto allegorici
Intanto ecco 8 accadimenti che dobbiamo sperare che NON succedano...
Da un articolo del Sole 24 Ore di lunedì 6 novembre 2006, alcune indicazioni sui possibili scenari per i prossimi 100 anni, su 8 potenziali fattori di crisi planetaria e sui rispettivi elementi di pessimismo/ ottimismo.
CRISI N°1: ANNO 2020 D.C.
LE GRANDI MIGRAZIONI E LA PANDEMIA
Gli scontri fra i paesi ricchi per garantirsi un tenore di vita troppo elevato porteranno a guerre per l'acqua, crisi finanziarie e grandi migrazioni.
• Fattori di pessimismo: Secondo il rapporto Mapping the Global Future del governo Usa, l'aumento dei consumi occidentali e la nuova ricchezza asiatica saranno i motori della crisi
• Fattori di ottimismo: La Banca Mondiale sostiene che lo sviluppo è sostenibile, a patto che sia guidato da regole chiare e dalla "mano invisibile" del mercato
• Probabilità di accadimento: 90%
CRISI N°2: ANNO 2030 D.C.
LA CRISI DEL PETROLIO
La produzione si ridurrà di un terzo e il prezzo del greggio arriverà sopra i 500 $: il poco petrolio rimasto non sarà più utilizzabile economicamente.
• Fattori di pessimismo: L'Unione Europea ha già individuato la data, che alcuni esperti anticipano addirittura di un decennio (2030).
L'UE dovrà importare il 70% del proprio fabbisogno annuo
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• Fattori di ottimismo: Con le fonti alternative già oggi all'8% della produzione mondiale di energia, secondo l'International Energy Agency la fine del petrolio sarà praticamente "indolore"
• Probabilità di accadimento: 75%
CRISI N°3: ANNO 2047 D.C.
LA FINE DEI GIORNALI
Viene stampata l'ultima copia di giornale cartaceo.
E' la fine dell'informazione realizzata da professionisti.
• Fattori di pessimismo: Secondo lo studioso Philip
Meyer, il modello attuale sta venendo ucciso da Internet.
La pubblicazione andrà in rete e l'informazione sarà affidata a volontari
(?) online
• Fattori di ottimismo: Secondo Barry Schwartz, la gente preferirà scegliere fra poche alternative ma di qualità; il futuro del giornalismo professionista è garantito!
• Probabilità di accadimento: 15%
CRISI N°4: ANNO 2047 D.C.
L'APOCALISSE CLIMATICA
Effetto serra, riscaldamento globale, innalzamento dei mari; le terre emerse si ridurranno di un terzo (!!), mentre uragani e siccità colpiranno il pianeta.
• Fattori di pessimismo: WWF e Accademia delle Scienze svizzera sostengono che serve un nuovo pianeta
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio di New Scientist, non abbiamo ancora sufficienti conoscenze sul clima per poter fare previsioni di lungo periodo
• Probabilità di accadimento: 65%
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CRISI N°5: ANNO 2060 D.C.
LA BOMBA NANOTECH
Macchine microscopiche e autoreplicanti sfuggono al controllo umano e distruggono tutte le forme di vita sul pianeta.
• Fattori di pessimismo: Un'apocalisse minuscola ma letale, prevista da Nick Bostrom dell'Università di Oxford e dallo scrittore Michael Crichton
• Fattori di ottimismo: Secondo i ricercatori del Mit di Boston, le nanotecnologie saranno una delle risorse chiave (e non una minaccia) per costruire un futuro migliore per l'umanità
• Probabilità di accadimento: 25%
CRISI N°6: ANNO 2070 D.C.
IL CRACK DELL'OCCIDENTE
Bancarotta completa per l'economia mondiale a causa delle guerre per le risorse e come effetto del clima impazzito.
Le Borse di tutto il mondo potrebbero venir chiuse .
• Fattori di pessimismo: La previsione della compagnia di assicurazioni Swiss RE è basata su sofisticati modelli di analisi di previsione del rischio
• Fattori di ottimismo: I sistemi di governo mondiale si difenderanno con nuove regole sugli scambi economici
• Probabilità di accadimento: 55%
CRISI N°7: ANNO 2080 D.C.
LA FINE DELLE RISORSE
Usa, Ue, Cina e India esauriranno tutte le risorse disponibili sul pianeta con la loro crescita dissennata.
• Fattori di pessimismo: Molte associazioni pag. 1! 02 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
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ambientaliste e perfino uno studio commissionato dal governo britannico sostengono che, salvo repentini cambiamenti di rotta, la catastrofe è annunciata
• Fattori di ottimismo: Secondo il Dipartimento per il commercio Usa, le possibilità offerte da sempre nuove tecnologie permetteranno una crescita sostenibile e quindi senza limiti
• Probabilità di accadimento: 50%
CRISI N°8: ANNO 2100 D.C.
IL RITORNO AL BARATTO
Si vivrà in un nuovo Medio Evo, senza tecnologia, scienza o Stato.
Malattie, guerre tribali, baratti ed una popolazione ridotta al 15% di quella attuale.
• Fattori di pessimismo: Secondo il futurologo americano John Michael Greer, i fondamentalismi e la fiducia dissennata per la scienza porteranno il mondo alla rovina
• Fattori di ottimismo: Secondo uno studio della rivista Usa Nature, il futuro non sarà il giardino dell'Eden, ma di sicuro neanche un inferno post-industriale
• Probabilità di accadimento: 10% Fonte: www.ilsole24ore.com
Le esplosioni nucleari nel mondo
ll primo test nucleare
Il Trinity Test, la prima esplosione atomica prodotta dall'uomo, avviene il 16 luglio 1945, in una località a 95 chilometri da Alamogordo (New Mexico). Il luogo, che gli indiani in passato avevano chiamato "strada della morte", dista dal laboratorio di Los Alamos più di 300 chilometri.
Trinity è il nome in codice scelto da Robert Oppenheimer per l'esperimento. Allo storico evento, che così drammaticamente ha segnato
la storia dell'umanità, sono presenti, tra gli altri, Robert Oppenheimer, Isidor I. Rabi, Enrico Fermi, Hans Bethe, il capo della divisione teorica di Los Alamos, il gen. Leslie Groves, e i consiglieri speciali del Presidente, Vannevar Bush e James B. Conant. Da parte degli alleati inglesi sono presenti gli uomini del Comitato MAUD guidati dal fisico J. Chadwick , arrivati a Los Alamos tra la fine del 1942 e l'inizio del 1943.
La bomba che viene fatta esplodere è al plutonio, lo stesso tipo di bomba utilizzata il 9 agosto su Nagasaki. "Little Boy", la bomba che distruggerà Hiroshima, era invece all'uranio.
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Robert Oppenheimer arriva alla data dell'esperimento atomico molto affaticato. Negli ultimi mesi ha lavorato ininterrottamente, sempre sino a
tarda notte. Ha perso molti chili. Ha chiamato a Los Alamos, per assisterlo negli ultimi giorni di lavoro il suo amico, I.I. Rabi. Si è dovuto inoltre occupare del "Comitato ad interim", la commissione consultiva creata dal Segretario alla Guerra, Henry L. Stimson, per i problemi connessi all'uso militare e civile dell'energia atomica.
Al momento del Trinity test il quadro della guerra è profondamente mutato. Il conflitto in Europa è finito con la resa incondizionata della Germania nazista, nel maggio del 1945. Con la sconfitta tedesca è finita anche la paura, che tanto peso aveva avuto nel far decollare rapidamente il Progetto Manhattan, che il fisico W. Heisenberg, potesse arrivare al successo atomico prima dell'America.
Le notizie che trasmettono gli uomini della missione segreta Alsos confermano che i tedeschi erano ben lontani dalla costruzione della bomba. Gli Stati Uniti hanno un nuovo Presidente, Harry S. Truman, che ha prestato giuramento dopo la morte di F.D. Roosevelt. Nel Pacifico la guerra con i giapponesi continua. Gli scienziati di Chicago, che lavorano al Progetto Manhattan, hanno chiesto con il Rapporto Franck, un documento inviato al Segretario alla Guerra, che le bombe non vengano utilizzate contro i giapponesi senza preavviso. Lo stesso rapporto è stato inviato ai colleghi di Los Alamos, ma Groves ed Oppenheimer ne hanno impedito la diffusione per motivi di sicurezza.
Mentre la bomba che verrà sperimentata viene montata su una torre d'acciaio alta 30 metri, Truman è in viaggio per Potsdam per incontrare Stalin e Churchill. Insieme decideranno le sorti del mondo.
Il Presidente americano attende che il Segretario alla Guerra, Henry L. Stimson, lo informi da Washington dell'esito del Trinity Test. Truman, prima della partenza, ha dato ordine che il test venga comunque fatto prima dell'inizio della Conferenza dei "tre grandi". Vuole trattare con Stalin da una posizione di forza.
L'esplosione
A Los Alamos, scienziati, tecnici e militari, sono tesi e preoccupati. Le previsioni meteorologiche non sono buone. Piove su quasi tutta la zona dal 14 luglio. Più della pioggia è il vento che preoccupa gli scienziati: potrebbe portare molto lontano le radiazioni.
Domenica 15 luglio piove tutto il giorno. E le previsioni continuano a dare tempo brutto. Nei rifugi di cemento, che sono stati approntati per
proteggere il personale dalle radiazioni, la tensione è altissima. Dopo concitate consultazioni si decide di far slittare l'esplosione dalle 4 alle 5:30 del mattino. Si spera in un miglioramento del tempo.
Il generale Groves è quello che più insiste per fare esplodere comunque la bomba.
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Non vuole disattendere gli ordini del suo Presidente. Verso le 4 del mattino il tempo sembra essere leggermente migliorato. Groves ordina
che si proceda. Dal posto di controllo si attivano i comandi automatici per far esplodere la bomba. Alle 5:29 inizia il conto alla rovescia. Non si può più tornare indietro.
Un camionista che attraversava il New Mexico riferì che "il 16 luglio del 1945, aveva visto sorgere il sole verso le 5 del mattino. Il sole decise che
era troppo presto, egli raccontò, così tornò giù per tornare nuovamente su un'ora più tardi." Gli scienziati che avevano fatto esplodere la bomba, sapevano invece che "quel sole" che si era svegliato troppo presto era il terrificante effetto della prima esplosione nucleare prodotta dall'uomo. Ed erano anche consapevoli che altre bombe di quella potenza erano in via di assemblaggio per essere usate contro esseri umani inermi.
La luce provocata dall'esplosione, definita "più brillante di migliaia di soli", che tanto impressionò gli scienziati presenti all'esperimento, non sembrò rispondere alle attese del generale Groves. Riferisce infatti Victor Weisskopf che Groves, quando qualche ora dopo l'esplosione si recò sul posto per vederne gli effetti, si stupì che questi non fossero stati così disastrosi come si era aspettato. E il suo disappunto era facilmente spiegabile con l'ottica che stava dietro alla costruzione della bomba atomica: quella della sua realizzazione per porre rapidamente fine alla guerra, salvare centinaia di migliaia di vite di soldati americani, contenere l'espansione dell'Unione Sovietica in Europa e, infine, dimostrare al mondo intero la potenza degli Stati Uniti. Un potere che per molti significava la salvezza della "nostra civiltà" e della "pace nel mondo".
Di fronte a questi obiettivi, il problema dei rischi delle radiazioni, persino nei confronti degli stessi cittadini americani che vivevano nel New Mexico, era di scarsa importanza. Informazioni segrete, "declassificate" e rese pubbliche recentemente, indicano che il Trinity Test fu un "disastro radiologico".
Dopo l'esplosione si diffuse nell'aria una grande quantità di polvere radioattiva che si sparse su un'area molto ampia. Una nuvola radioattiva fu giudicata "potenzialmente radioattiva per un'area larga 30 miglia e lunga 90 miglia, a nord est della zona dell'esplosione".
La polvere radioattiva restò nell'aria per 4 giorni dopo il test sino ad una distanza di 200 miglia dal luogo dell'esplosione. Alcune persone a circa 20 miglia di distanza assorbirono, nell'arco di due settimane, dosi di radiazioni stimate tra i 50/60 rads, dosi equivalenti a quelle che vengono assorbite da un individuo sottoposto mille volte ai raggi X. La mortalità infantile in New Mexico salì significativamente dopo l'esperimento atomico. Secondo una ricerca condotta dalla Dr.ssa Kathleen Tucker, dell'Istituto per la salute e l'energia, sembrerebbe confermato che buona parte delle morti, possono essere attribuite alla ricaduta della polvere radioattiva. Nonostante le cautele che furono prese per proteggere tutto il personale di Los Alamos dalle radiazioni, non furono prese misure di alcun tipo per proteggere gli abitanti del New Mexico. Essi non furono avvertiti degli esperimenti in corso e, tanto meno, fu predisposta ed
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman attuata l'evacuazione delle zone colpite dalla nuvola radioattiva.
DETTAGLI ESPLOSIONI
DATA: 7 maggio 1945
OPERAZIONE: Projet Manhattan
NOME TEST:"100-tons test"
LUOGO: Trinity, Alamogordo, N.Messico (USA) CARICO/POTENZA: 108 t di TNT (equivalente a)
Si tratta della prima esplosione americana strumentata che condurrà alla Bomba di Trinity. Questa bomba contenente 1000 curies di materiale fissile. Esploderà a 1,5Km. di distanza dal Ground Zero di Trinity al fine di testare le strumentazioni.
DATA: 16 luglio 1945
OPERAZIONE: Projet Manhattan
NOME TEST: Trinity
LUOGO: Trinity, Alamogordo, N.Messico (USA) CARICO/POTENZA: 21 kT
ALTITUDINE: ~20 m
Zona dell'esplosione vista dall'alto. L'esplosione crea un depressione di 400m di diametro. Il calore della defragrazione che si eleva trasforma la sabbia del deserto in un nuovo tipo di roccia cristallina battezzata la "Trinitite".
DATA: 6 agosto 1945
NOME BOMBA: Little Boy
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LUOGO: Hiroshima (Giappone) CARICO/POTENZA: 12.5 kT
ALTITUDINE: 580 m
VITTIME: 140.000 morti fino al 1946
Bomba all'uranio arricchito del peso di 3900Kg. 62.000 edifici distrutti (i 2/3).
DATA: 6 agosto 1945
NOME BOMBA: Little Boy LUOGO: Hiroshima (Giappone) CARICO/POTENZA: 12.5 kT ALTITUDINE:580 m
DATA: 6 agosto 1945
BOMBA: Little Boy
LUOGO: Hiroshima (Giappone)
CARICO/POTENZA: 12.5 kT ALTITUDINE: 580 m
DATA: 9 agosto 1945
NOME BOMBA: Fat Man
LUOGO: Nagasaki (Giappone) CARICO/POTENZA: 22 kT ALTITUDINE: ~500 m
VITTIME: ~73.884 morti a fine 1945 Bomba al plutonio del peso di 4.050 Kg.
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DATA: 9 agosto 1945
BOMBA: Fat Man
LUOGO: Nagasaki (Giappone)
CARICO/POTENZA: 22 kT ALTITUDINE: ~500 m
DATA: 24 luglio 1946
OPERAZIONE: Crossroads
NOME TEST: Baker
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico)
CARICO/POTENZA: 23 kT
ALTITUDINE:160 m
Gli abitanti dell'isola vennero momentaneamente evaquati al fine di far svolgere agli americani le loro azioni
DATA: 29 agosto 1949
OPERAZIONE: Joe 1
NOME TEST: Prima illuminazione
LUOGO: Semipalatinsk, Kazakhstan (URSS)
CARICO/POTENZA: 22 kT
Prima bomba sovietica al plutonio progettata Yakov Zeldovitch e Yuli Khariton.
DATA: 7 aprile 1951
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OPERAZIONE: Greenhouse NOME TEST: Dog
LUOGO: Runit island, Atoll Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 81 kT
ALTITUDINE: 100 m
DATA: 1 maggio 1951
NOME TEST: Dog 2
LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 19 kT
DATA: 8 Aprile 1951
OPERAZIONE: Castle Union
NOME TEST: George
LUOGO: Eberiru island, Atoll d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 225 kT
ALTITUDINE: 60 m
DATA: 30 ottobre 1951
NOME TEST: Charlie
LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 14 kT
DATA: 1 novembre 1951
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NOME TEST: D, Buster Dog-Jangle LUOGO: Nevada Test Site, Area 7 (USA) CARICO/POTENZA: 21 kT
DATA: 22 aprile 1952
OPERAZIONE: Tumbler-Snapper
NOME TEST: Tumbler Charlie
LUOGO: Yucca Flat, Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 20 kT ? ALTITUDINE: Estensione fino a 1034 m.
DATA: 26 aprile 1952
OPERAZIONE: Castle Union
NOME TEST:Union
LUOGO: Bikini, Marshall islands (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 6.9 MT
ALTITUDINE: 4 m
DATA: 5 giugno 1952
NOME TEST:How
LUOGO: Nevada Test Site, Area 2 (USA) CARICO/POTENZA: 14 kT ALTITUDINE:100 m
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DATA: 3 ottobre 1952
OPERAZIONE: Hurricane (Urugano) LUOGO: Monte Bello Island (U.K.)
CARICO/POTENZA: 25 kT Prima bomba nucleare inglese
DATA: 31 ottobre 1952
OPERAZIONE: Ivy
NOME TEST: Mike
LUOGO: Elugelab, Atollo Enewetak, Isole Marshall (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 10.4 MT
ALTITUDINE: superficie
Prima bomba H americana (bomba a fusione). La bomba era alta come un edificio di tre piani, pesava più di 500 tonnellate ed era alimentata da combustibile criogenico e da liquido deuterio. Secondo gli ingegneri di Los Alamos, la palla di fuoco era di una dimensione pari a 4,8Km. di diametro. Durante l'esplosione scomparvero l'isola d'Elugelap e altre isole vicine. Con il successo di Mike, Gli USA entrarono nell'era delle armi nucleari Multi-megatoni.
DATA: 17 marzo 1953
OPERAZIONE: Upshot
NOME TEST: Annie
LUOGO: Knothole, Nevada Test Site, Area 4 (USA) CARICO/POTENZA: 16 kT
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DATA: 24 marzo 1953
OPERAZIONE: Upshot NOME TEST: Nancy
LUOGO: Knothole, Nevada Test Site, Area 4 (USA) CARICO/POTENZA: 24 kT
DATA: 18 aprile 1953
OPERAZIONE: Upshot
NOME TEST: Badger
LUOGO: Knothole, Nevada Test Site, Area 4 (USA) CARICO/POTENZA: 23 kT
DATA: 25 mai 1953
OPERAZIONE: Upshot
NOME TEST: Grable
LUOGO: Knothole, Nevada Test Site, Area 4 (USA) CARICO/POTENZA: 15 kT
ALTITUDINE:157 m.
Bomba lanciata da un cannone Mark 9 di 280 mm.
DATA: 28 febbraio 1954
OPERAZIONE: Castle Romeo NOME TEST: Castle
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LUOGO: Isola artificiale sulla costa di Bikini, isole Marshall (Oceano
Pacifico) CARICO/POTENZA: -
DATA: 26 Marzo 1954
OPERAZIONE: Castle Romeo
NOME TEST: Bravo
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 15 MT
ALTITUDINE: 4.2 m
Bomba posta su una base all'interno del cratere Bravo. La più potente bomba H americana equivalente a 1000 volte Hiroshima. La palla di fuoco misurava 6 Km. di diametro, la cappa 160 Km. 80 milioni di tonnellate di terra e di corallo vennero vaporizzate e crearono un cratere di 1950 metri di diametro e 75 di profondità. A 48 Km. dall'esplosione il personale addetto ricevette una quantità di 2 reims, l'equivalente di 100 radiografie!
DATA: 25 aprile 1954
OPERAZIONE: Castle NOME TEST: Castle Union
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico) Bomba fatta esplodere su una chiatta
DATA: 12 marzo 1955
NOME TEST: Hornet
LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 4 kT
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DATA: 5 maggio 1955
OPERAZIONE: Teapot NOME TEST: Apple-2
LUOGO: Nevada Test Site, Area 1 (USA) CARICO/POTENZA: 29 kT ALTITUDINE: 150 m
DATA: 6 giugno 1956
OPERAZIONE: Redwing NOME TEST: Seminole
LUOGO: Atollo d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 13.7 kT ALTITUDINE:2.1m
DATA: 25 giugno 1956
OPERAZIONE: Redwing NOME TEST: Dakota
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 1.1 MT
ALTITUDINE: Bomba H al livello del mare
DATA: 3 luglio 1956 (2 luglio 1956)
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OPERAZIONE: Redwing NOME TEST: Mohawk
LUOGO: Eberiru island, Atollo d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 360 kT
ALTITUDINE:100 m
DATA: 9 luglio 1956 (8 luglio 1956)
OPERAZIONE: Redwing NOME TEST: Apache
LUOGO: Eberiru island (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 1.85 MT
ALTITUDINE:al suolo, bomba situata nel cratere Ivy
DATA: 1957
NOME TEST: Smoky
LUOGO: Nevada Test Site (USA)
CARICO/POTENZA: ~15 kT ALTITUDINE: ~200 m
DATA: 28 maggio 1957
OPERAZIONE: Plumbbob
NOME TEST: Boltzmann
LUOGO: Nevada Test Site, Area 7c (USA) CARICO/POTENZA: 12 kT ALTITUDINE:150 m
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DATA: 24 giugno 1957
OPERAZIONE: Plumbob NOME TEST: Priscillia
LUOGO: Nevada Test Site, Area 5 (USA) CARICO/POTENZA: 37 kT ALTITUDINE: 210 m
DATA: 7 agosto 1957
OPERAZIONE: Plumbob NOME TEST: Stokes
LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 19 kT ALTITUDINE: 500 m
DATA: 14 settembre 1957
NOME TEST: Fizeau 1 LUOGO: Nevada Test Site (USA) CARICO/POTENZA: 11 kT
DATA: 9 giugno 1958 (8 giugno 1958)
OPERAZIONE: Hardtack NOME TEST: Umbrella
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LUOGO: Atollo d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 8 kT
PROFONDITA': 50 m
DATA: 29 giugno 1958 (28 giugno 1958)
OPERAZIONE: Hardtack
NOME TEST: Oak
LUOGO: Atollo d'Enewetak (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 8.9 kT
ALTITUDINE: 2.6 m
DATA: 22 luglio 1958
OPERAZIONE: Juniper
LUOGO: Bikini, Isole Marshall (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 65 kT
ALTITUDINE: a livello del mare
L'aereo di osservanza è un RB-57D
DATA: 28 aprile 1958
OPERAZIONE: Grapple Yankee
NOME TEST:-
LUOGO: Christmas Island (Australia - Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: -
Bomba H Inglese
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DATA: 1958
OPERAZIONE: Grapple Zulu NOME TEST: Test
LUOGO: Christmas Island (Australia - Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 1 MT ?
Bomba H Inglese
DATA: 1958
OPERAZIONE: Grapple Zulu NOME TEST: Test
LUOGO: Christmas Island (Australia - Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: 1 MT?
Bomba H Inglese
DATA: 13 febbraio 1960
OPERAZIONE: Gerboise Bleue LUOGO: Reggane (Algeria)
CARICO/POTENZA: ~70 kT Prima Bomba atomica Francese
DATA: 1 maggio 1962
OPERAZIONE: Béryl
LUOGO: Ecker (sud di Reggane, Algeria)
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman CARICO/POTENZA: ~30 kT
Questa bomba fatta scoppiare in gallerie sotterranee fece crollare la montagna e contaminò 195 soldati e due ministri. 17 soldati vennero ricoverati al Métropole e più di una decina vi lasciarono la loro vita. Molti di loro non vennero neanche risarciti dei danni subiti.
DATA: 31 ottobre 1961
OPERAZIONE: Bomba Zar
LUOGO: Novaya Zemlya (Oceano Artico -URSS).
CARICO/POTENZA: 50 MT
ALTITUDINE: 4000 m
FALLOUT: Da sola generò il 25% dei residui fissili dal 1945!
La Bomba "Zar", la regina delle bombe, fu la bomba H più potente. Nacque dal lavoro del teorico Yakov Zeldovitch e dei fisici Andrei
Sacharow, Vitali Ginzburg e Viktor Davidenko. La bomba venne lanciata da un bombardiere Tu-95 pilotato da A. E. Durnovtsev, diventato un eroe dell'Unione Sovietica.
Il soprannome di "Bomba Zar" gli venne dato dagli americani per qualificare il progetto come inutile poichè esisteva già il cannone più grande al mondo, lo Zar Pushka.
Si riporta che la bomba poteva infliggere ustioni di primo grado anche a 100 km. di distanza. La distruzione è totale in un raggio di 25 Km e le costruzioni sono seriamente danneggiate fino a 35 Km. di distanza dall'esplosione. Si ignora quali potrebbero essere i danni anche a più grandi distanze, ma è probabile che, in caso di vento i suoi effetti si sentirebbero anche a 1000 Km. dal punto di impatto.
DATA: 6 giugno 1962
OPERAZIONE: Storax
LUOGO: Nevada Test Site, Area 10 (USA)
CARICO/POTENZA: 104 kT
PROFONDITA': 190 m
FALLOUT: 12 milioni di tonnellate di cui 8 fuori dal cratere (Magnitudine
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Ritcher). Le particelle più pesanti ricadono a terra mentre le più leggere continuano ad alzarsi con la nuvola. In superficie, sotto l'effetto del vento, la polvere si propaga nel deserto.
DATA: 6 giugno 1962
OPERAZIONE: Storax
LUOGO: Nevada Test Site, Area 10 (USA) CARICO/POTENZA: 104 kT
NOME CRATERE: Sedan
DIAMETRO: 422 m
PROFONDITA': 105 m
Crateri utilizzati dall'esercito americano per visualizzare l'energia liberata e i danni causati alle rocce dall'onda di choc provocata dall'impatto di un asteroide o di una comete sulla superficie terrestre.
DATA: 9 giugno 1962
OPERAZIONE: Dominic NOME TEST: Truckee CARICO/POTENZA: 210 kT ALTITUDINE: 2091 m
DATA: 30 giugno 1962
OPERAZIONE: Dominic NOME TEST: Bluestone CARICO/POTENZA: 1.27 MT ALTITUDINE: 1494 m
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DATA: 24 settembre 1966
OPERAZIONE: Rigel
LUOGO: Fangataufa, Polinesia Francese (Oceano Pacifico) CARICO/POTENZA: ~200 kT
DATA: 18 dicembre 1970
OPERAZIONE: Emery
NOME TEST: Baneberry venting LUOGO: Nevada Test Site, Area 8 (USA) PROFONDITA': -273 m
DATA: anni '70
LUOGO: Mururoa (Oceano Pacifico - Francia) CARICO/POTENZA: 1 MT?
DATA: 24 Giugno1980
NOME TEST:Huron King
CARICO/POTENZA: 20 KT
Il test sotterraneo nucleare Huron King venne patrocinato dal DOD. La prova coinvolse un dispositivo più o meno di 20 Kilotoni e testò gli effetti dell'impulso elettromagnetico generato (SGEMP) su un satellite di comunicazione militare funzionante in larga scala DSCS-3. Il dispositivo spaziale venne contenuto in un grande carro corrazzato.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman DATA: aprile 1992
OPERAZIONE: Diamond Fortune
Ultimo test sotterraneo americano
Il QUINTO POTERE PERSISTE
Il testo del famoso fil del 1976 si adattava bene alla situazione del 2011, ma nessuno lo avvertiva..
Con le seguenti integrazioni in corsivo... Avevamo una crisi
Molti non avevano un lavoro e chi ce l'aveva viveva con la paura di perderlo
Il potere di acquisto dell'euro era in continua discesa, nonostante la parità costante con il dollaro che altrettanto stava perdendo potere di acquisto, ma essendo in parità con l'euro nessuno lo considerava possibile..
Le banche dicevano di essere forti ma in realtà stavano fallendo con il sistema intero
I negozianti tenevano il fucile nascosto sotto il banco I teppisti scorrazzavano per le strade
Non c'era nessuno che sapeva veramente cosa fare e quindi della crisi non se ne vedeva la fine
Il ministro dell'economia Tremonti, si era forse anch’egli “disturbato” per la situazione, perché una sera alla tv aveva fatto un discorso che parlava di vedere come “una serie di mostri” che apparivano consecutivamente davanti lui e che tutti ci si trovava in “un grande video game” (discorso del 27/08/2011)..
Nelle città L'aria era irrespirabile per i gas dell'aria condizionata, per i campi elettromagnetici e il cibo dei supermercati era immangiabile perché sempre di più bassa qualità e pieno di conservanti..
Tutte le sere la gente stava seduta davanti alla tv mentre i telecronisti elencavano i molteplici omicidi e i numerosi reati di violenza che in quel giorno erano accaduti come se tutto ciò fosse normale...
Tutti sapevano che le cose andavano male.. più che male... era la follia.. era come se tutto fosse impazzito.. uragano Irene.. guerra in Libia.. talebani in Afganistan.. Terremoto e tsunami devastante in Giappone.. Tsunami a Sumatra.. Sembrava la fine del mondo ma tutti continuavano a non incazzarsi, e gli stati continiavano a provocare guerre e test nucleari
La gente chiedeva di essere lasciata almeno tranquilla nei propri salotti... con i propri vecchi tostapane... le proprie vecchie biciclette.. e non
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman avrebbe detto nulla.. in cambio di essere almeno lasciata tranquilla...
Nessuno sapeva cosa scrivere ai propri deputati.. né per combattere l'invasione di cinesi, di russi, di olandesi, di inglesi, di rumeni, di albanesi, di marocchini, di egiziani, di profughi di Lampedusa.. che stava occupando il territorio italiano ed europeo per secoli tradizionalmente appartenuto agli italiani e agli europei..
Nessuno aveva il coraggio di alzarsi, andare alla finestra e gridare ancora una volta: " Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!"
I FALLIMENTI BANCARI
Il più grande fallimento della storia.
Il fallimento di Lehman Brothera è il pù grande nella storia delle bancarotte mondiali.
Lehman ha superato infatti il 'crac' di WorldCom, il gruppo telefonico che finì in amministrazione controllata nel 2002 per via di alcune grosse irregolarità contabili.
Lehman Brothers ha un debito pari a circa 613 miliardi di dollari ed ha superato di conseguenza oltre a WorldCom anche Drexel Burnham Lambert, fallimento avvenuto nel 1990.
Lehman Brothers è inoltre debitrice di qualche cosa come oltre 157 miliardi di dollari nei confronti di una decina di creditori non privilegiati e nei riguardi degli obbligazionisti.
In questo caso - sottolinea l' Agenzia Bloomberg - questi debiti potranno essere saldati solo dopo che saranno stati rimborsati i creditori privilegiati.
La stessa Lehman ha precisato che fra i creditori non privilegiati figurano Commerzbank e Bank of New York Mellon, per il ruolo svolto da questi istituti nel prestare garanzie agli obbligazionisti.
L' esposizione degli obbligazionisti sarebbe pari a 155 miliardi di dollari, quindi pressoché la totalità del credito non garantito.
La graduatoria dei maggiori crack nella storia societaria statunitense, in base a dati elaborati da Bloomberg (fra parentesi gli asset espressi in miliardi di dollari):
1) LEHMAN BROTHERS (639 miliardi) 2) WORLDCOM (103,9 miliardi)
3) ENRON (63,4 miliardi)
4) CONSECO (61,4 miliardi)
5) TEXACO (35,9 miliardi) 6) Financial Corp.
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2050 Fuga dall’Italia
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of America (33,9 miliardi) 7) Refco (33,3 miliardi)
8) IndyMac Bancorp (32,7 miliardi) 9) Global Crossing (30,2 miliardi) 10)Calpine (27,2 miliardi)
FOTOGRAFIA ECONOMICA DELLA SITUAZIONE VALUTARIA INTERNAZIONALE DEL 2010
Cronaca delle 15.56 04/01/2010
Borsa altalenante.
Negli ultimi 25 anni, i mercati azionari europei hanno reso mediamente il 13% all'anno? La Borsa italiana addirittura meglio: le azioni quotate a piazza degli Affari, dal 1975 a oggi, hanno reso mediamente il 18% all'anno.
Si tratta naturalmente di una media.
Controllando infatti l'andamento dell'indice di Borsa anno per anno, si scoprono alti e bassi vertiginosi.
Nel 1977, per esempio, le quotazioni sono scese del 23%, nel 1980 sono salite addirittura del 122% (la vetta degli ultimi 25 anni), nel 1987 sono crollate del 32% (la fossa assoluta); nel 1993 sono salite del 37%, nel 1997 del 58%, nel 1998 del 41% e nel 1999 del 22%.
Si noti sempre inoltre che lo yen dal 90 ad oggi è passato dal cambio di 8.756 Lit.
per 1 Jpy.
al cambio attuale di 14,5 Lit. per 1 Jpy.
ovvero di 0,0075 Eur per 1 Jpj che significa che l'economia del Giappone in soli 20 anni ha fatto guadagnare alla propria moneta un notevolissimo potere di acquisto, rispetto a quella italiana con tasso di rivalutazione totale pari al 65% ovvero pari al tasso medio annuo del 3,28% per tutto il ventennio!
Si veda invece la tabella (1), ove si trovano le quotazioni monetarie degli altri paesi, che pur superando quasi tutte quella italo-eurolandese, hanno determinato un distacco differente secondo l'eziologia di ciascuna realtà economica.
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Indici della Crescita valutaria internazionale U.s.a.
1990: 1 Usd = 1.268,50 Lit.
2010: 1 Usd = 1.352,37 Lit.
con crescita del 6.66% pari allo 0.333 % annuo per il venntennio
Inghilterra
1990: 1 Gbp = 2.054,00 Lit.
2010: 1 Gbp = 2.183,31 Lit
con crescita del 6.29% pari allo 0,31 % annuo per il venntennio
Svizzera
1990: 1 Chf = 816,95 Lit.
2010: 1 Chf = 1.305,52 Lit
con crescita del 59.80% pari allo 2,99 % annuo per il venntennio
Spagna
1990: 1 Esp = 11,54 Lit. 2010: 1 Esp = 11,62 Lit praticamente paritetica
Francia
1990: 1 Frf = 219,40 Lit.
2010: 1 Frf = 295,18 Lit
con crescita del 34,50% pari allo 1,725 % annuo per il venntennio (P.S.
COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Germania
1990: 1 Dem = 750,12 Lit.
2010: 1 Dem = 989,99 Lit
con crescita del 31,97% pari allo 1,598 % annuo per il venntennio (P.S.
COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?) Austria
1990: 1 Ats = 106,58 Lit.
2010: 1 Ats = 140,61 Lit
con crescita del 31,93% pari allo 1,596 % annuo per il venntennio
(P.S. : COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Russia
1990: 1 Rub = 33,74 Lit.
2010: 1 Rub = 44,77 Lit
con crescita del 32,69% pari allo 1,63 % annuo per il venntennio
(P.S.: COME HA FATTO? NON SIAMO TUTTI E DUE NELL'EURO?)
Svezia
1990: 1 Sek = 205,07 Lit.
2010: 1 Sek = 188,19 Lit
con decrescita del 8.23% pari allo 0,004 % annuo per il venntennio
Brasile
1996: 1 Brl = 1621.42 Lit.
2010: 1 Brl = 775,22 Lit
con decrescita del 52.18% pari allo 3,26 % annuo per il quattordicennio
Cina
1996: 1 Cny= 189,50 Lit.
2010: 1 Cny = 198,01 Lit.
con crescita del 4.49% pari allo 0.28 % annuo per il quattordicennio
Delazioni sulla governance internazionale
Banche, moneta, potere di emissione, capitalismo finanziario ovvero “Monetarismo”.
“Il culmine del potere nel mondo di oggi sta nel potere di emissione del pag. 1! 26 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman denaro.
Se tale potere venisse democratizzato e focalizzato in una direzione che tenga conto dei problemi sociali ed ecologici allora potrebbe ancora esserci la speranza di salvare il mondo”
Thomas H. Greco, Jr.
“I disordini non avranno mai fine, non avremo mai una sana amministrazione della cosa pubblica, se non acquisteremo una nozione precisa e netta della natura e della funzione del denaro.”
Ezra Pound
“L’attività bancaria fu fecondata con l’ingiustizia e nacque nel peccato.
I banchieri posseggono il mondo.
Se glielo toglierete via lasciando loro il potere di creare denaro, con un colpo di penna creeranno abbastanza depositi per ricomprarselo.
Toglieteglielo via in qualunque modo e tutti i grandi patrimoni come il mio scompariranno, ed è necessario che scompaiano affinché questo diventi un mondo migliore in cui vivere.
Ma se preferite restare schiavi dei banchieri e pagare voi stessi il costo della vostra stessa schiavitù, lasciate che continuino a creare denaro.”
Sir Josiah Stamp, Direttore della Banca d’Inghilterra negli anni venti, considerato a quel tempo il secondo uomo più ricco di tutta l’Inghilterra.
“Tutte le perplessità confusioni, e afflizioni in America sorgono non tanto dai difetti della Costituzione, né dalla mancanza d’onore o di virtù quanto dall’assoluta ignoranza della natura della moneta, del credito, e della circolazione.”
John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America
“Davamo a questo popolo il maggior beneficio che abbia mai avuto: la sua propria carta [moneta] per pagare i propri debiti.”
John Adams, Padre Fondatore degli Stati Uniti d’America
Art. 1, Sezione 8. pp. 5 della Costituzione degli Stati Uniti d’America:
Il congresso avrà diritto di batter moneta, e di determinarne il valore (delle unità), e di f issare i criteri dei pesi e delle misure.
Firmato George Washington, presidente e deputato della Virginia (17 settembre 1787)
“Oggi il nome «democrazia» è rimasto alle usurocrazie, o alle daneistocrazie, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro.”
Ezra Pound (1933)
“Discutere dei governi delle così dette democrazie: Inghilterra, Francia, Stati Uniti, è una semplice perdita di tempo, sino a che non si distingue
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman tra teoria e fatto.
Questi tre paesi sono controllati dagli usurai, sono usurocrazie o dinastocrazie, ed è perfettamente inutile di parlarne come se fossero controllati e governati dai loro popoli o dai delegati che rappresentano i loro popoli, o nell’interesse dei loro popoli.”
Ezra Pound (1933)
“L’usuraio distruggerà ogni ordine sociale, ogni decenza, ogni bellezza.”
Ezra Pound (1933)
“Il denaro non rappresenta altro che una nuova forma di schiavitù impersonale, al posto dell’antica schiavitù personale.”
Lev Tolstoj
“Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche.”
TATANKA IOTANKA (Toro Seduto)
“Il ricco domina sul povero e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.”
La Bibbia
- Antico Testamento – Proverbi, cap. 22, versetto 7
“La storia testimonia che i cambiavalute hanno usato ogni sorta di inganno, macchinazione, frode e violenza possibile al fine di mantenere il controllo sui governi per gestire il denaro e la sua emissione.”
President James Madison
“Voi siete un covo di vipere e ladri e io intendo sconfiggervi, e per il Padreterno, vi sconfiggerò.
Se il Congresso ha la prerogativa di emissione di moneta cartacea, ciò gli é stato dato per venir usato dallo stesso e non per essere delegato a individui o corporazioni..”
Andrew Jackson al Congresso degli Stati Uniti d’America (1829)
“Le banche hanno provocato più danni alla religione, alla moralità, alla tranquillità, alla prosperità e anche alla ricchezza della nazione rispetto al bene che possono aver fatto finora o che mai faranno.”
John Adams, Presidente degli Stati Uniti d’America (1819)
“Oltre a questi obiettivi pragmatici, i poteri del capitalismo finanziario avevano un altro scopo più ampio, nientemeno che di creare un sistema
mondiale di controllo finanziario, in mani private, capace di dominare il sistema politico di ciascun paese e l’economia del mondo nel suo insieme.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Questo sistema doveva essere controllato in un modo feudalista da parte delle banche centrali del mondo che agiscono di concerto, attraverso accordi segreti cui si arrivava durante frequenti incontri e conferenze private.
L’apice del sistema sarebbe stata la Bank for International Settlements [BIS] di Basilea, in Svizzera, una banca privata di proprietà e sotto il controllo delle banche centrali mondiali, esse stesse corporazioni private.
Ogni banca centrale cercava di dominare il proprio governo tramite la sua capacità di controllare i prestiti al Tesoro, di manipolare i tassi di cambio della valuta estera, di influire sul livello delle attività economiche nazionali e di fare pressioni sui politici compiacenti tramite successive ricompense economiche nel mondo degli affari.”
Citation from Tragedy and Hope – A History of the World in Our Time, by Carroll Quigley, GSG Associates, California 1966.
“I nostri nemici su questo pianeta, sono meno di dodici persone.
Sono i membri della Banca d’Inghilterra e di altri più alti circuiti
finanziari.
Essi posseggono le catene di giornali ed essi sono, come se non bastasse, in tutte le istituzioni che si occupano di salute mentale che sono sorte nel mondo.
(...) E questi, apparentemente, hanno deciso in un momento lontano del passato, una particolare strategia.
Avendo il controllo della riserva aurifera del pianeta, sono entrati in un programma per portare ogni governo alla bancarotta e sotto al loro dominio, cosicché nessun governo sarebbe stato capace di iniziative politiche senza il loro appoggio”
Ron Lafayette Hubbard, ex ufficiale dei servizi segreti della Marina USA, fondatore di Scientology – settembre 1967
“Io ho due grossi nemici: l’esercito del Sud di fronte a me e le società finanziarie in retroguardia.
Dei due, quello in retroguardia è il mio peggior nemico... Prevedo l’avvicinarsi di una crisi che mi snerverà e mi farà tremare per la sicurezza della mia patria.
Al termine della guerra, le grandi imprese saranno elevate al trono, ne seguirà un’era di corruzione nei posti più influenti, le forze più ricche del paese si sforzeranno di prolungare il proprio regno facendo leva sui pregiudizi della gente, finché la ricchezza sarà concentrata in poche mani e la Repubblica sarà distrutta.
In questo momento, sento ancora più ansietà di prima per la sicurezza del mio paese, nonostante mi trovi nel mezzo di una guerra.”
Abraham Lincoln
“Il capitale deve proteggersi in ogni modo possibile con alleanze e
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman legislazione.
I debiti devono essere riscossi, le obbligazioni e i contratti ipotecari devono esser conclusi in anticipo e il più rapidamente possibile.
Quando, mediante processi giuridici, le persone comuni perderanno le proprie case, diventeranno sempre più docili e saranno tenute a freno con più facilità attraverso il braccio forte del governo al potere, azionato da una forza centrale di ricchezza sotto il controllo di finanzieri di primo piano.
Questa verità è ben conosciuta tra i nostri uomini di spicco, adesso impegnati nel costituire un imperialismo del Capitale che governi il mondo.Dividendo gli elettori attraverso il sistema dei partiti politici, possiamo fare spendere le loro energie per lottare su questioni insignificanti.
Di conseguenza, con un’azione prudente abbiamo la possibilità di assicurarci quello che è stato pianificato così bene e portato a termine con tanto successo.”
USA Banker’s Magazine (Rivista dei banchieri americani), 25 Agosto 1924
“Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti.
Essi hanno di già messo in piedi un’aristocrazia facoltosa che ha attaccato il Governo con disprezzo.
Il potere di emissione deve essere tolto via dalle banche e restituito al popolo, al quale esso appartiene propriamente.”
Thomas Jefferson
“Se gli Americani consentiranno mai a banche privati di emettere il proprio denaro, prima con l’inflazione e poi con la deflazione, le banche
e le grandi imprese che ne cresceranno attorno, priveranno la gente delle loro proprietà finché i loro figli si sveglieranno senza tetto nel continente conquistato dai loro padri. “
Thomas Jefferson (1776) “Potrete ingannare tutti per un pò.
Potrete ingannare qualcuno per sempre. Ma non potrete ingannare tutti per sempre.”
Abramo Lincoln
“Nelle Colonie, emettiamo la nostra moneta cartacea.
Si chiama ‘Cartamoneta provvisoria coloniale’.
La emettiamo nelle giuste proporzioni per produrre merci e farle passare facilmente dai produttori ai consumatori.
In questo modo, creando noi stessi il nostro denaro cartaceo, ne
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
controlliamo il potere d’acquisto e non abbiamo interessi da pagare a nessuno.Vedete, un Governo legittimo può sia spendere che prestare
denaro in circolazione, mentre le banche possono soltanto prestare cifre considerevoli attraverso i loro biglietti di banca promissori, per cui questi biglietti non si possono né dare né spendere se non per una piccola frazione di quelli che servirebbero alla gente.
Di conseguenza, quando i vostri banchieri in Inghilterra mettono denaro in circolazione, c’è sempre un debito fondamentale da restituire e un’usura da pagare.
Il risultato è che c’è sempre troppo poco credito in circolazione per dare ai lavoratori una piena occupazione.
Non si hanno affatto troppi lavoratori, ma piuttosto pochi soldi in circolazione, e quelli che circolano portano con sé un peso senza fine di un debito impagabile e usura.”
Benjamin Franklin, Autobiografia, (1763)
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità. La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.”
Abraham Lincoln, Presidente degli Stati Uniti d’America, morto assassinato
“Se questa malefica strategia finanziaria, che ha le sue origini nel nord America, perdurerà fino a mettere radici, allora il Governo fornirà il proprio denaro senza alcun costo.
Estinguerà i propri debiti e rimarrà senza alcun debito.
Avrà tutto il denaro necessario per portare avanti il proprio commercio.
Diventerà prospero senza precedenti nella storia mondiale.
Le menti e le ricchezze di tutti i paesi andranno nel nord America.
Questo paese deve essere distrutto o distruggerà ogni monarchia sulla faccia della terra.”
The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, citazione apparsa sul London Times nell’anno 1865, riferendosi alla pratica di emissione dei Green Backs di Abraham Lincoln
“Il grande debito che i nostri amici, i capitalisti dell’Europa, faranno in modo di far sortire da questa guerra, verrà adoperato per manipolare la circolazione (monetaria).
Noi non possiamo permettere che i biglietti statali [Greenbacks] circolino perché non possiamo regolarli.”
The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862
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“Lo schiavismo sarà probabilmente abolito dalle forze in guerra e la
proprietà di schiavi verrà totalmente abrogata.
Io e i miei amici europei siamo a favorevoli a questo: che la schiavitù si limiti al possesso del lavoro e che si trasferisca nell’interesse del lavoratore, nel frattempo il progetto europeo guidato dall’Inghilterra consisterà nel controllare il lavoro attraverso il controllo sui salari.
Il vasto debito che i capitalisti vedranno costituirsi su di esso dalle guerre, deve essere usato come mezzo per controllare il volume del denaro.
Per portare a termine questo obiettivo bisogna usare le obbligazioni ipotecarie come punto di partenza fondamentale del sistema bancario.
Stiamo aspettando che il Segretario del Tesoro faccia tale raccomandazione al congresso.
Non consentirà ai Greenback, come vengono chiamati, di circolare come denaro in nessun caso, dal momento che non possiamo controllarlo.
Ma possiamo controllare le obbligazioni statali e attraverso di esse le emissioni bancarie.”
The Hazard Circular, rivista della Banca d’Inghilterra, anno 1862
“Il Governo dovrà creare, emettere e far circolare tutta la valuta e il credito necessario a soddisfare il potere di spesa del Governo e il potere d’acquisto dei consumatori.
(...) Il privilegio del Governo della creazione e dell’emissione del denaro è la sua più grande opportunità creativa.
Attraverso l’adozione di tali principi, il desiderio lungamente sentito di usare un mezzo di pagamento uniforme sarà soddisfatto.
Il finanziamento di tutte le imprese pubbliche, il mantenimento di un governo stabile e di un progresso ordinato, e la conduzione del Tesoro diventerà una questione di pratica amministrativa.
Il popolo potrà e sarà rifornito con una valuta sicura quanto il proprio governo.
Il denaro cesserà di essere padrone e diventerà servitore dell’umanità. La Democrazia si ergerà al di sopra del potere monetario.”
Abraham Lincoln, documento del Senato degli Stati Uniti d’America numero 23, Pagina 91, anno 1865
“Chiunque controlli la massa monetaria in qualsiasi paese è il padrone assoluto dell’intera industria e del commercio.”
James A. Garfield, Presidente degli Stati Uniti d’America “La morte di Lincoln fu un disastro.
Ho paura che i banchieri stranieri con la loro astuzia e i loro contorti
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inganni otterranno il controllo su tutte le sovrabbondanti ricchezze dell’America e useranno il proprio potere per corrompere in modo sistematico la civiltà moderna.
Essi non esiterebbero a far piombare l’intera cristianità nella guerra e nel caos per farsì che l’intero pianeta diventi loro eredità.”
Lincoln.Otto Von Bismarck, commemorando l’assassinio di Abraham
“Nel nostro tempo è ormai evidente che la ricchezza e un immenso potere sono stati concentrati nelle mani di pochi uomini.
Questo potere diventa particolarmente irresistibile se esercitato da coloro che controllano e comandano la moneta, poichè costoro sono anche in grado di gestire il credito e di decidere a chi deve essere assegnato.
In questo modo forniscono il sangue vitale all’intero corpo dell’economia.
Loro hanno potere sull’intimo del sistema produttivo, così che nessuno può azzardare un respiro contro la loro volontà.
Papa Pio XI, Quadragesimus Annus 106-9, 1931
“Quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi e non i capi del governo controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve...
Il denaro non ha madrepatria e i finanzieri non hanno patriottismo né decenza; il loro unico obiettivo è il profitto.”
Napoleone Bonaparte, 1815
“La terra, nel suo stato naturale e incolto era, e sempre dovrebbe continuare ad essere, proprietà comune della razza umana.
Non appena la terra viene coltivata, il valore del miglioramento, e solo quello senza il terreno su cui giace, è da considerare proprietà individuale.
Ciascun proprietario di terreni coltivati deve corrispondere alla comunità un affitto ..a tutte le persone, ricche o povere..
perché questo soggiace all’eredità naturale che, come di diritto, spetta ad ogni uomo, al di sopra della proprietà che egli possa aver creato o ereditato da quelli che l’hanno fatta.”
Thomas Paine 1796, p. 611; 612-613
“È un bene che gli abitanti della nazione non capiscano abbastanza il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo facessero, credo che ci sarebbe una rivoluzione prima di domattina.”
Henry Ford
“Chi non s’intende di economia non capisce affatto la storia.”
Ezra Pound
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
“In qualsiasi società che abbia superato lo stato selvaggio il monopolio
fondamentale è il monopolio del denaro.” Ezra Pound
“La moneta non è valida se è titolo a qualche cosa di non consegnabile.” Silvio Gesell, Ordine Naturale dell’Economia.
“La storia americana del ventesimo secolo ha registrato gli sbalorditivi risultati dei banchieri centrali della Federal Reserve.
Primo, lo scoppio della prima guerra mondiale, che è stata resa possible dai fondi disponibili dalla banca centrale degli Stati Uniti.
Secondo, la recessione agricola del 1920.
Terzo, il venerdì nero del crollo di Wall Street.
dell’ottobre del 1929 e l’insorgere della Grande depressione.
Quarto, la seconda guerra mondiale, quinto la conversione del patrimonio degli stati uniti e dei propri cittadini da beni reali a cartacei dal 1945 fino a oggi trasformando l’America vittoriosa e la più prospera potenza del 1945 al più grande paese debitore del mondo nel 1990.
Oggi questa nazione si trova in rovina economica, devastata e destituita, quasi nelle stesse tremende difficoltà in cui la Germania e il Giappone si ritrovarono nel 1945.
Gli Americani agiranno per ricostruire la nostra nazione così come fecero la Germania e il Giappone quando dovettero fa fronte alle stesse condizioni in cui ci troviamo oggi di fronte —o continueremo ad essere schiavizzati dal sistema babilonese della moneta-debito che ci fu imposto dal Federal Reserve Act nel 1913, e completare la nostra totale distruzione? Questa è la sola domanda alla quale dobbiamo rispondere, e non ci resta molto tempo per farlo.”
Eustace Mullins
“...i Rothschild hanno conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari...”
Frederic Morton TASSE E DEBITO PUBBLICO
“La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere benefici.
Le guerre devono essere dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti, sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere.”
Amschel Mayer Rothschild (1773)
“Il fatto che un risparmio nazionale si presenti come profitto privato, non scandalizza per niente l’economia borghese, poiché il profitto in genere è comunque appropriazione di lavoro nazionale.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
C’è forse qualche cosa di più pazzesco dell’esempio offertoci dalla Banca d’Inghilterra per il periodo 1797-1817? Mentre le sue banconote hanno
credito unicamente per il fatto di essere garantite dallo Stato, essa si fa pagare dallo Stato e quindi dal pubblico, nella forma di interessi sui prestiti, per il potere che lo Stato le conferisce di convertire questi stessi biglietti di carta in denaro e darli poi in prestito allo Stato?”
K. Marx, Il Capitale, Ed. Riuniti, 1974 – VIII ed. Cap. 33 pag. 635
“Io mi rifiuto di pagare le tasse il cui impiego ritengo destinato a scopi ingiusti e immorali.”
Henry David Thoreau
“Le guerre sono concepite per creare debito.”
Ezra Pound
LIBERTA’ D’INFORMAZIONE E
MANIPOLAZIONE DEL POTERE
“Bisogna capire che tutta la moda letteraria e tutto il sistema giornalistico controllato dall’usurocrazia mondiale è indirizzato a mantenere l’ignoranza pubblica del sistema usurocratico e dei suoi meccanismi.”
Ezra Pound, 1933
“Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.”
George Orwell
“Nel tempo della cleptocrazia occidentale, dire la verità è un atto sconsiderato.”
Marco Saba, parafrasando George Orwell
“Se un popolo si aspetta di poter essere libero restando ignorante, spera in qualcosa che non è mai stato e che mai sarà”
President Thomas Jefferson
“Noi siamo così grati al Washington Post, al New York Times, al Time Magazine e alle altre pubblicazioni i cui direttori hanno partecipato alle nostre riunioni rispettando le loro promesse di discrezione per almeno 40 anni.
Per noi sarebbe stato impossibile sviluppare il nostro progetto per il mondo se fossimo stati soggetti alla brillante luce della pubblicità.”
David Rockefeller, founder and member of the CFR and the TC, at Bilderberger Global Strategy mtg, 1991.
Clinton attended.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
“Beware the leader who bangs the drums of war in order to whip the citizenry into a patriotic fervor, for patriotism is indeed a double-edged sword.
It both emboldens the blood, just it narrows the mind.
And when the drums of war have reached a fever pitch and the blood boils with hate and the mind has closed, the leader will have no need in seizing the rights of the citizenry.
Rather, the citizenry, infused with fear and blinded by partiotism, will offer up all of their rights unto the leader and gladly so.
How do I know? For this is what I have done.
And I am Caesar.” Julius Caesar
AFORISMI SULL’UMANITA’
“Il materialismo e la moralità stanno in relazione inversa –quando uno cresce l’altra diminuisce”
Mahatma Gandhi
“I migliori scienziati non sono quelli che conoscono la maggior parte delle informazioni; ma coloro che sanno ciò che stanno cercando.”
Noam Chomsky
“L’incompetenza si manifesta con l’uso di troppe parole.”
Ezra Pound
“Non c’è alcuna crisi energetica, solo una crisi di ignoranza.”
Buckminster Fuller SCIENZA E SOCIETA’
“La scienza non è nient’altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità.”
Nikola Tesla
“Mi piacerebbe credere che le persone abbiano un istinto per la libertà, che vogliano veramente avere il controllo delle proprie circostanze.
Che non amino essere tiranneggiate, ricevere ordini, essere oppresse, ecc.
e che desiderino avere l’opportunità di fare cose sensate come un lavoro costruttivo in condizioni che possano controllare, o magari controllare insieme ad altri.”
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Noam Chomsky
“Qualche volta la gente inciampa nella verità.
La maggior parte però si rialza subito e se ne va come se niente fosse” Winston Churchill
“Sono un contadino che ha fatto per hobby il professore d’università.” Giacinto Auriti
“...nel nuovo mondo ognuno metterà a disposizione di tutti la sua esperienza e le sue idee, e gli altri lo ricompenseranno liberamente per questo...”
La profezia di Celestino
“Schiavo è chi aspetta qualcuno che venga a liberarlo.”
Ezra Pound
“Un popolo che non s’indebita fa rabbia agli usurai”
Ezra Pound
“L’attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari.
La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto” Maurice Allais, Nobel per l’Economia nel 1988
“... Pochi comprenderanno questo sistema (assegni e credito), coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo per fa soldi, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi.”
Lettera spedita da un membro della famiglia Rothschild alla Ditta Kleheimer, Morton e Vandergould di New York in data 26 giugno 1863
“Oggi la nostra moneta nasce di proprietà della banca che la emette prestandocela.
Noi vogliamo che nasca di proprietà dei cittadini e che sia accreditata ad ognuno come reddito di cittadinanza.
Per scrivere questa frase che è valida per tutte le monete in circolazione sono occorsi 36 anni di studi universitari (tesi di laurea, convegni ecc.) presso l’ateneo di giurisprudenza di Teramo e “La Sapienza” di Roma.
Poiché democrazia significa sovranità politica popolare, il popolo deve avere anche la sovranità monetaria che di quella politica è parte costitutiva ed essenziale in un sistema di democrazia vera o integrale in cui la moneta va dichiarata, a
Il Manifesto del partito comunista
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2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
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La prima edizione del libro, in lingua tedesca.
Author (s)
Karl Marx e Friedrich Engels
Paese
Germania
Lingua
In origine tedesca, in seguito in molti altri. Genere (s)
Teoria politica, Sociologia
Data di pubblicazione
21 Feb 1848
Marxismo
Il Manifesto del partito comunista , originariamente intitolato Manifesto del Partito Comunista ( tedesco : Manifest der Kommunistischen Partei ) è un breve libro scritto dal 1848 il tedesco marxista politico teorici Karl Marx e Friedrich Engels . Da allora è stato riconosciuto come uno dei manoscritti più influenti politici del mondo. [ 1 ] commissionato dalla Lega dei Comunisti , ha gettato le finalità della Lega e il programma. Essa presenta un approccio analitico alla lotta di classe (storica e presente) ed i problemi del capitalismo, piuttosto che una previsione di forme future potenzialità del comunismo. [ 2 ]
Il libro contiene Marx ed Engels 'teorie marxiste sulla natura della società e della politica, che nelle loro stesse parole, "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe." [ 3 ] E 'anche funzioni brevemente le loro idee su come la società capitalista del tempo sarebbe poi sostituito dal socialismo , e poi alla fine del comunismo.
Paternità
Friedrich Engels è stata spesso attribuita a comporre le prime bozze, che ha portato il Manifesto del partito comunista . Nel luglio del 1847, Engels è stato eletto nella Lega comunista, dove è stato assegnato a redigere un catechismo. Questo divenne il Progetto di una confessione di fede comunista. Il progetto conteneva quasi due dozzine di domande che hanno contribuito a esprimere le idee di entrambi Engels e Karl Marx in quel momento. Nel mese di ottobre 1847, Engels, compose il suo secondo
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
progetto per la Lega dei comunisti dal titolo I principi del comunismo. Il testo rimasto inedito fino al 1914, nonostante la sua base per Il Manifesto.
Da Engels bozze Marx ha potuto scrivere, una volta commissionato dalla Lega dei comunisti, Il Manifesto del partito comunista, dove ha combinato di più delle sue idee con bozze di Engels e del lavoro, La condizione della classe operaia in Inghilterra. [ 4 ]
Sebbene i nomi di entrambi Engels e Karl Marx appaiono sul frontespizio accanto alla "assunzione persistente di joint-autore", Engels, nell'introduzione prefazione all'edizione 1883 tedesca del Manifesto, ha detto che il Manifesto è "essenzialmente di Marx lavoro" e che "il pensiero di base ... appartiene solo ed esclusivamente a Marx." [ 5 ]
Engels ha scritto dopo la morte di Marx,
"Non posso negare che sia prima che durante la mia collaborazione quarant'anni 'con Marx ho avuto una certa quota indipendente nel gettare le fondamenta della teoria, ma la maggior parte dei suoi principi guida fondamentali appartengono a Marx .... Marx era un genio , noi altri erano nella migliore delle ipotesi talento Senza di lui la teoria non sarebbe di gran lunga quello che è oggi è dunque porta giustamente il suo nome "... [ 6 ]
Nonostante la modestia di Engels in queste due citazioni, in realtà ha fatto i maggiori contributi al Manifesto, a partire con il suggerimento di abbandonare "la forma di un catechismo e di diritto che il comunistaManifesto ". Inoltre, Marx, Engels entrato in Bruxelles per la redazione del Manifesto. Non ci sono prove di ciò che il suo contributo alla stesura finale sono state, ma il Manifesto reca l'impronta di stile di scrittura più retorico di Marx. Tuttavia, sembra chiaro che Engels contributi giustificare la comparsa del suo nome sul frontespizio, dopo Marx. [ 7 ]
Storia testuale
Il Manifesto del partito comunista è stato pubblicato la prima volta (in tedesco) a Londra da un gruppo di rifugiati politici tedeschi nel 1848. E 'stato anche serializzato a circa lo stesso tempo in un giornale di lingua tedesca di Londra, il londinese di Deutsche Zeitung . [ 8 ] La prima traduzione in inglese è stato prodotto da Helen Macfarlane nel 1850, e il libro fu pubblicato la prima volta negli Stati Uniti da Stephen Pearl Andrews . [ 9 ] Il Manifesto ha attraversato un certo numero di edizioni 1872-1890; notevoli nuove prefazioni sono state scritte da Marx ed Engels per il 1872 edizione tedesca, del 1882 edizione russa, il 1883 edizione francese, e il 1888 edizione inglese. Questa edizione, tradotto da Samuel Moore con l'aiuto di Engels, è stato il testo più comuni inglese dal.
Tuttavia, alcune edizioni recenti inglese, come Phil Gasper ha annotato "road map" ( Libri Haymarket , 2006), hanno utilizzato un testo leggermente modificato in risposta alle critiche della traduzione Moore
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fatta da Draper Hal nel suo 1994 storia del Manifesto , Il avventure del
"Manifesto Comunista" (Centro per la Storia socialista, 1994). Contenuto
Il Manifesto è diviso in un'introduzione, tre sezioni sostanziali e una conclusione.
Introduzione
Il breve preambolo al testo principale del Manifesto di Marx ed Engels coinvolge brevemente commentando il timore che essi ritengono i
governi europei possesso del comunismo, e offre anche un po 'a corto di consigli su come i comunisti europea dovrebbe procedere a promuovere la loro causa . Mentre si apre il testo:
Uno spettro si aggira per l'Europa-lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa sono entrati in una santa alleanza per esorcizzare questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e tedeschi di polizia-spie.
Dov'è il partito di opposizione che non è stato denunciato come comunista dai suoi avversari al potere? Dov'è il partito di opposizione che non ha gettato indietro il rimprovero di branding del comunismo, contro i partiti d'opposizione più avanzate, come pure contro i suoi avversari reazionari? [ 10 ]
Proseguendo da questo, hanno continuato a dichiarare che "E 'ora che i comunisti dovrebbero apertamente, di fronte al mondo intero, pubblicare le loro opinioni, i loro scopi, le loro tendenze, e rispondere a questa favola dello spettro del comunismo con un manifesto del partito stesso. " [ 11 ]
I borghesi e proletari
Il primo capitolo del Manifesto ", borghesi e proletari", esamina la concezione marxista della storia, descrivendo come:
La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classe.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi, stettero sempre in contrasto tra loro, sostennero una ininterrotta, ora nascosta, ora lotta aperta, una lotta che ogni tempo finito, o con una trasformazione rivoluzionaria della società in generale, o nella comune rovina delle classi in lotta. [ 12 ]
La sezione continua a sostenere che la lotta di classe nel capitalismo è tra coloro che possiedono i mezzi di produzione, la classe dirigente o
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
borghesi , e quelli che lavorano per un salario, la classe operaia e
proletaria .
La borghesia, ovunque essa ha il sopravvento, ha messo fine a tutte le feudali, patriarcali, idilliche. E '... ha lasciato sussistere altro legame tra uomo e uomo che il nudo interesse, il crudele "pagamento in contanti" ... per lo sfruttamento, velato da illusioni religiose e politiche, ha sostituito nudo, senza vergogna, diretto, brutale sfruttamento ... Rivoluzionando costante della produzione, disturbo ininterrotto di tutte le condizioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese da tutte quelle precedenti ... Tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria, tutto ciò che è sacro viene profanato, e l'uomo è finalmente costretto a fronteggiare sobriamente, le sue reali condizioni di vita, ei suoi rapporti con il suo genere.
Tuttavia:
La condizione essenziale per l'esistenza e dominio della classe borghese è l'accumulazione di ricchezza in mani private, la formazione e l'aumento di capitale, la condizione essenziale del capitale è lavoro salariato. Lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza tra i lavoratori.
Questa sezione spiega inoltre che i proletari alla fine ascesa al potere attraverso la lotta di classe: la borghesia sfrutta costantemente il proletariato per il suo lavoro manuale e salari a basso costo, in ultima analisi, di creare profitto per la borghesia, il proletariato ascesa al potere attraverso la rivoluzione contro la borghesia, come sommosse o la creazione di sindacati. Gli stati Manifesto del partito comunista che, mentre c'è ancora la lotta di classe tra la società, il capitalismo sarà rovesciato dal proletariato solo per ricominciare in un prossimo futuro, in ultima analisi il comunismo è la chiave per la classe di uguaglianza tra i cittadini d'Europa.
II. Dei Proletari e dei comunisti
La seconda sezione, "Proletari e comunisti", inizia a delineare il rapporto tra comunisti consapevole al resto della classe operaia:
▪ "I comunisti non formano un partito separato differenza di altri partiti della classe operaia".
▪ "Non hanno interessi distinti da quelli del proletariato nel suo complesso."
▪ "Non impostare alcun principio settario propria, con cui modellare il movimento proletario".
▪ "I comunisti si distinguono dagli altri partiti della classe operaia da questo solo: 1. Nel lotte nazionali dei proletari dei diversi paesi, fanno notare e portare in primo piano gli interessi comuni di tutto il proletariato, indipendentemente da tutte le nazionalità 2.. Nelle varie fasi di sviluppo che la lotta della classe operaia contro la borghesia deve
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
passare, sempre e ovunque rappresentare gli interessi del movimento nel
suo complesso. "
Si va avanti per difendere il comunismo da varie obiezioni, come ad esempio l'affermazione che i comunisti avvocato " amore libero ", e la pretesa che la gente non si esibirà lavoro in una società comunista perché non hanno alcun incentivo a lavorare.
La sezione si conclude delineando una serie di richieste a breve termine:
1. Abolizione della proprietà fondiaria e l'applicazione di tutte le rendite di terreni per finalità pubbliche.
2. Un pesante progressiva sul reddito o laureato.
3. Abolizione del diritto di eredità .
4. Confisca dei beni di tutti gli emigrati e ribelli .
5. La centralizzazione del credito nelle mani dello Stato ,
per mezzo di una banca nazionale con lo Stato di capitale e di un monopolio esclusivo.
6. La centralizzazione dei mezzi di comunicazione e di trasporto nelle mani dello Stato.
7. Estensione delle fabbriche e strumenti di produzione di proprietà dello Stato, la messa in coltivazione di rifiuti-terre , e il miglioramento del suolo generalmente secondo un piano comune .
8. Pari responsabilità di tutti al lavoro. Stabilimento industriale di eserciti , specialmente per l'agricoltura.
9. Combinazione di agricoltura con la produzione delle industrie ; graduale abolizione della distinzione tra città e campagna, da una più equa distribuzione della popolazione sul territorio.
10. L'istruzione gratuita per tutti i bambini nelle scuole pubbliche . Abolizione del lavoro in fabbrica dei bambini nella sua forma attuale. Combinazione di formazione con la produzione industriale. [ 13 ]
L'attuazione di tali politiche, secondo gli autori creduto, essere un precursore del apolidi e società senza classi .
Uno si occupa passaggio particolarmente controversa con questo periodo di transizione:
Quando, nel corso dello sviluppo, [ 14 ] differenze di classe sono scomparsi, e tutta la produzione si è concentrata nelle mani di una associazione vasta di tutta la nazione, il potere pubblico perderà il suo carattere politico. Il potere politico propriamente detto, è solo il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato nel corso della sua lotta contro la borghesia è costretta, dalla forza di cose, di organizzare se stessa come classe, se, per mezzo di una rivoluzione, si rende la classe dirigente, e, come tale, spazza via con la forza il vecchi rapporti di produzione, allora sarà, insieme a queste condizioni, hanno spazzato via le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe e delle classi in generale, e quindi hanno
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman abolito la propria supremazia come classe.
E 'questa concezione della transizione dal socialismo al comunismo, che molti critici del Manifesto , soprattutto durante e dopo l'era sovietica, hanno evidenziato. Gli anarchici, liberali e conservatori hanno chiesto come un'organizzazione come la potrebbe mai stato rivoluzionario (come Engels messo altrove) "appassito".
In una controversia relativa, poi marxisti fare una separazione tra "socialismo", una società governata dai lavoratori, e "comunismo", una società senza classi. Engels scrive poco e Marx scrisse meno sugli aspetti specifici della transizione al comunismo, così l'autenticità di questa distinzione rimane un oggetto di controversia.
III. Letteratura socialista e comunista
La terza sezione, "Letteratura socialista e comunista," il comunismo si distingue dalle altre dottrine socialiste prevalenti al momento del Manifesto è stato scritto. Mentre il grado di rimprovero di Marx ed Engels verso prospettive rivale varia, tutti sono alla fine licenziati per aver sostenuto il riformismo e non riconoscere il ruolo preminente della classe operaia. In parte a causa della critica di Marx, la maggior parte delle ideologie specifiche descritte in questa sezione è diventato politicamente irrilevante per la fine del XIX secolo.
IV. Posizione dei comunisti in relazione con l'vari partiti di opposizione
La sezione conclusiva "posizione dei comunisti in relazione con l'vari partiti di opposizione,", discute brevemente la posizione comunista lotte
in paesi specifici nella metà del XIX secolo, come la Francia, Svizzera, Polonia e Germania, e dichiara che la Germania " è alla vigilia di una rivoluzione borghese ", e prevede una rivoluzione mondiale che si aggiungeranno. Si conclude poi con una dichiarazione di sostegno per le altre rivoluzioni comuniste e un invito ad agire:
In breve, i comunisti ovunque sostenere ogni movimento rivoluzionario contro l'ordine sociale esistente e politico delle cose.
I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e obiettivi. Essi dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti solo con il rovesciamento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Che le classi dominanti tremino ad una rivoluzione comunista . I proletari non hanno nulla da perdere se non le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare.
Operai di tutti i paesi, unitevi!
-Marx e Engels, Manifesto del Partito Comunista
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman La successiva accoglienza
Un certo numero di scrittori del ventunesimo secolo, hanno commentato il Manifesto del partito comunista 'con rilevanza discontinua. L? accademico John Raines, scrivendo nel 2002, ha osservato che
"Ai nostri giorni questa rivoluzione capitalistica ha raggiunto gli angoli più remoti della terra. Lo strumento di denaro ha prodotto il miracolo del nuovo mercato globale e il centro commerciale onnipresente”.
Leggi il Manifesto del partito comunista , . scritto più di 150 anni fa, e scoprirete che Marx aveva previsto tutto " [ 15 ] Scrivendo nel 2003, il marxista inglese Chris Harman ha descritto il lavoro, affermando che:
C'è ancora una qualità compulsiva alla sua prosa come si fornisce una visione dopo visione nella società in cui viviamo, da dove viene e dove la
sua intenzione di andare. E' ancora in grado di spiegare, come gli economisti principali e i sociologi non possono, il mondo di oggi afflitto da guerre ricorrenti e ripetute crisi economiche, della fame di centinaia di milioni di persone da un lato, e alla "sovrapproduzione" dall'altro. Ci sono passaggi che potrebbero provenire da scritti più recenti di globalizzazione.
La costante pertinenza delle teorie marxiste che si trovano all'interno del testo è stata sostenuta anche dal marxismo accademico: Alex Callinicos , direttore del socialismo internazionale , che ha affermato che "Questo è davvero un manifesto per il 21 ° secolo."
La scala mobile è un concetto geniale
Chiunque pensa che sia sparita si sbaglia.
Essa è necessaria per la legge monetaristica e dovrà essere sempre presente in qualsiasi economia sana.
Si muove con movimento occulto
l'inflazione in realtà non esiste perché il valore del denaro viene sempre ad aggiornarsi
Il guadagno immobiliare non esiste.
Perché quando devi vendere l'immobile prendi sempre quello che ti da il mercato
La parità aurea o i minimi di garanzia non hanno quindi ragione di esistere perché tanto il valore del denaro viene sempre ad aggiornarsi
Gli aumenti dei prezzi avvengono solo in funzione dell'adeguamento del
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman valore del denaro.
Esiste solo un aggiornamento del valore dei soldi per pagare gli interessi bancari ed edili.
Quindi il valore del denaro è costantemente fittizio e subisce un aggiornamento compensativo automatico d'uso per compensare i conti bancari e i conti edili.
Chi vuole soldi veri e veri valori fa film grandiosi, sistemi di truffa grandiosi, sistemi di intrattenimento grandiosi, sistemi di pensione o di risparmio o assicurazione grandiosi.
I sistemi grandiosi richiedono sempre grandiosi fondi di investimento che vengono sempre pagati da tutti gli aderenti al fondo
Per mettere in pista un film grandioso o un sistema per fare soldi grandioso ci vuole un appoggio sociale e politico grandioso.
La fiducia la ottieni solo se una comunità di seguaci della tua iniziativa o idea decide di darti fiducia e continuare a seguirti.
Scenografie grandiose servono a suscitare la convinzione nei seguaci di essere di fronte ad un fenomeno di grande dimensione davanti al quale inchinarsi per soggezione
Una società deprecabile e depravata
Aumento delle spese in beni futili incontrollate, viaggi frequenti in luoghi turistici, assalto costante a ristoranti e pizzerie la sera, shopping femminile del futile in aumento, erano già avvisaglie di una diminuzione delle regole del buon vivere, sano ed economico che i componenti di una famiglia sana avrebbero dovuto avere.
E’ vero, c’era chi diceva : io non posso e resto a casa. Ma erano solo una minoranza e il grosso errore da parte dei governanti fu che queste avvisaglie vennero interpretate come un segno del benessere: “se spendono vuol dire che i soldi girano e quindi si lamentano ma poi riempiono locali e zone turistiche” fu un luogo comune di costante pronuncia da parte di tante persone, come tutti noi penso avessimo sentito.
Successivamente le cose peggiorarono: giovani allo sbando, sempre ubriachi, o drogati, schiavi della discoteca, cronaca di violenze giovanili e
di coppia, scuole e università con fenomeni di Baronismo, o sfrutttamento sessuale reciproco tra professori e studenti, Tabaccai invasi da vecchiette che giocano al lotto, nascita dei locali per scommesse, inserimento del poker online, giochi e scommesse su internet furono sicuri indici della perdita del controllo sotto il profilo morale della popolazione che anziché dimostrare entusiasmo e fiducia nelle istituzioni, era diventata schiava di alcol, droghe e illusione della scommessa. Qui i governi del momento errarono pienamente a
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
liberalizzare il vizio del gioco, poiché pateticamente anti - pedagogico, socialmente parlando. Se vuoi tirar su una popolazione di gente sana non
devi fargli vivere la cultura dell’illusione, bensì devi orientarla in una cultura dello sviluppo delle idee e dei giochi costruttivi della genialità, e non della demenza come fanno i giochi di azzardo. L’unica giustificazione presa dai governi di allora fu che, presi come furono dopo l’entrata nell’euro, a lavorare per mantenere i conti a posto, non avrebbero mai potuto rinunciare ad un gettito formidabile come quello provvisto da Lottomatica e Sisal e C.
In seguito le cose peggiorarono ancora: Gli effetti dell’euro stavano provocando il fallimento di storiche compagnie aeree, multinazionali, case automobilistiche, banche enormi, e l’effetto che ne derivò fu il credit crunch, la crisi del credito, e la crisi del debito. La gente si vide revocare affidamenti storici, revocare stipule di mutuo per case appena promesse in compravendita, e la crisi toccò un pilastro fondamentale di tutte le economie: il tessile e l’edilizia.
Da allora, ci fu l’aumento incessante dei furti, delle violenze, delle rapine, delle agressioni, delle truffe, dei raggiri, ma anche dei vandalismi e dei danneggiamenti alla proprietà privata, vennero all’ordine del giorno episodi di violenza macabra o psicologica tali che fu impossibile questa volta non cogliere il segnale chiaro di un elevatissimo indice di sofferenza sociale.
Purtroppo, come si sa, quando tutto va male, non si ottengono che effetti a catena in tutti i settori e le inefficienze del settore, sanitario, giustizia, ambiente e servizi, cominciarono ad aumentare a dismisura. Medici che non guadagnavano abbastanza, Giudici e Avvocati a cui non interessava più dare ragione a chi ce l’aveva, bensì a ricavare il massimo da ogni caso, gestori della nettezza urbana che lasciavano intere città come Napoli nel caos della sporcizia, Guardie forestali che non riuscivano mai a prevenire gli incendi dolosi durante tutte le estati recenti, come mai in passato era successo, servizi di trasporto pubblici e al cittadino nel caos, erano tutti segnali di una società, impaurita per gli effetti della crisi, demotivata e disorganizzata.
A seguire vennero gli episodi di scandalo sessuale, sessistico e prostitutivi. Le strade delle città erano invase da lucciole pluri razziali, che gli effetti della globalizzazione avevano fatto entrare n tutti i paesi mediante l’immigrazione clandestina. Non solo, ma mentre nelle strade si riversavano ragazze mediamente brutte, esisteva una vera e propria selezione organizzata di quelle belle da destinarsi nei bunga bunga, nei nights, e nei locali alla moda. Le tv erano invase di donne nude anche durante gli orari di fascia protetta e nessun criterio di pudore o decenza pubblica erano ormai più rispettati, oltre che nei teatri, neanche nei media di massa come tv e radio. Così assistendo, i genitori pensarono che fosse inopportuno opporsi a questa nuova moda del libertinismo e per non essere impopolari con i propri figli, lasciavano questi ultimo liberi di seguire le tracce modali insegnate dai media. Anche perché se avessero provato a fare opposizione si sarebbero trovati di fronte la forza distruttrice e violenta inaudita dei nuovi giovani, di cui parleremo altrove. Chi non sa poi che i night italiani fossero frequentati non solo di ragazze
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
estere ma anche di ragazze italiane di altre città meridionali che per pagarsi gli studi andavano a lavorare di notte all’insaputa dei propri genitori, è bene che ravveda le proprie conoscenze.
Perché i Cinesi saranno sempre vincenti
Lavorare diciotto ore al giorno, sette giorni su sette, non avere contributi da versare, pagare le tasse al minimo, non ammalarsi mai, non andare mai al ristorante, ed infine non morire mai senza mai avere costi di funerale e sepoltura, è la ricetta schiacciante che fa dei Cinesi lavoratori immigrati un popolo vincente.
Perché noi Europei non riusciamo ad avere così tanta produttività? E’ evidente: l’industria del divertimento ci spinge ad uscire la sera per andare a consumare un pò di soldi, andiamo volentieri al ristorante, per noi poi il sabato e la domenica sono sacri, e in questi giorni non si potrebbe lavorare secondo la nostra cultura sindacale e religiosa prevalente, ci piace andare al pronto soccorso per ogni minimo disturbo nostro o dei nostri cari.
Per quanto riguarda contributi e tasse siamo riusciti a far arrivare il nostro governo a propinarci un’imposizione del 32 per cento per I.N:P:S:
e dal 42 al 142 per IRPEF; IRES; IRAP, facendogli battere il record del maggior gettito fiscale mai incassato da uno stato europeo, quando ci sposiamo o ce ne andiamo, usiamo circondarci di molta cerimonialità e molte persone al seguito, ed è appunto per questo che la nostra produttività risulta addirittura pessima in confronto a quella dei Cinesi.
Cosa fare
Esportare innanzitutto il nostro diritto del lavoro in Cina
Già Grillo aveva comicamente proposto questa soluzione, ma conseguentemente allo stile espressivo, nessuno ne aveva valutato il giusto peso. Approfondendo l’argomento risultò che tale proposta sia stata valutata anche da Accenture, e data dalla medesima come soluzione per la governance mondiale. Prendere i nostri esponenti sindacali migliori, e mandarli in missione in Cina per un anno, per aprire degli uffici permanenti, delle scuole ove organizzare conferenze e dibattiti sul diritto del lavoro, sarebbe stata una realtà praticabile, solo se fatta in armonia di tempi e luoghi, e con la dovuta silenziosità. Il vantaggio che ne sarebbe derivato sarebbe stato quello di avere finalmente la popolazione Cinese consapevole dei suoi diritti e pertanto preparata a chiederli al proprio governo, che difronte agli osservatori internazionali non avrebbe potuto evitare di concederli per ulteriore lungo tempo.
Mantenere i giovani cervelli in Italia
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman Visto su internet
Arginare “la fuga dei cervelli” onde evitare un progressivo impoverimento umano del Nord Italia, ed evitare anche “la fuga di Terroni” del Sud Italia deve essere, oggi più che mai, un obiettivo prioritario di tutti gli attori dello Sviluppo: dal Governo alle Istituzioni Locali, dalle associazioni di categoria del commercio, dell'industria e dell'artigianato agli Istituti di Credito, dalle Università ai Centri di Competenza e per il Trasferimento Tecnologico.
Cosa faremmo infatti senza i giovani “Cervelli Italiani”? Probabilmente sarebbe la fine del futuro italiano.
E senza i “Terroni”?
Probabilmente sarebbe un bel risparmio sociale per l’Italia. E ancora, senza i “Cervelli Terroni”?
A questo punto avremmo eliminato mafia, camorra e ndrangheta dall’Italia.
A mio avviso, uno dei modi in cui è possibile cercare di trattenere i migliori giovani formati dalle nostre Università è quello di agevolare il
loro inserimento nel mondo del lavoro costruendo un raccordo ampio e costante tra i giovani laureandi e laureati e gli enti (pubblici e privati) che intendono investire sulle persone con alta formazione.
A tal proposito vorrei in questa sede portare all'attenzione dei lettori un'esperienza che nell'ultimo anno ha permesso al Comune di Napoli di far giungere un gruppo di giovani ad un discreto risultato.
Il Comune di Napoli ha aderito al Progetto Fixo (Formazione e Innovazione per l’Occupazione), che promosso e sostenuto dal ministero del Lavoro, ha coinvolto le principali Università Italiane, imprese private ed enti pubblici, sviluppando e promuovendo attraverso formazione “sul campo” la collocazione sul mercato del lavoro dei giovani laureati.
Nel 2009 sessantacinque giovani, selezionati dalle università con criteri oggettivi e trasparenti, hanno svolto un tirocinio formativo della durata di sei mesi negli uffici, nei servizi e nelle municipalità del Comune di Napoli ed alla fine di questo percorso il bilancio delle loro competenze è stato presentato ad oltre 20 aziende private che hanno preso parte al Primo Career Day organizzato dal Comune di Napoli che si è tenuto presso la Camera di Commercio di Napoli. Il risultato? Ventotto di questi giovani sono stati assunti e oggi lavorano regolarmente e con buon rendimento. Ventotto su sessantacinque, il 43%, un risultato significativo per un Career Day che generalmente porta all'assunzione del 10% dei giovani che vi partecipano.
La spiegazione che ci siamo dati raccogliendo le testimonianze dei ragazzi e delle aziende è semplice: i giovani neolaureati che hanno fatto esperienza presso la nostra amministrazione, già dotati di buone competenze di base hanno maturato la capacità di fare da “mediatori culturali” tra il mondo delle imprese e quello delle istituzioni locali. Sono
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
cioè entrati nelle aziende a colmare un vuoto presente in molte di esse, la mancanza di una figura capace di leggere il funzionamento delle amministrazioni locali e che possa fare in modo che la propria impresa si interfacci con loro.
Naturalmente è vero anche il contrario. Il personale degli Enti Pubblici sta progressivamente invecchiando e dunque ammodernare la macchina amministrativa grazie all’inserimento di nuove e meritevoli leve provenienti direttamente dal mondo universitario è una necessità per non rimanere indietro rispetto al mondo imprenditoriale.
La positiva esperienza di FixO che si è conclusa a giugno del 2009 ha indotto il Comune di Napoli ad attivare in questi giorni, autonomamente, con propri fondi, altri 25 tirocini.
L'obiettivo è di dare ogni anno questa importante occasione ai cento migliori laureati delle nostre Università.
Certo è una goccia nel mare, ma è un esempio concreto di formazione “sul campo” orientata all'occupazione; occupazione vera e non assistenzialismo, perché basata sulle effettive esigenze delle imprese e degli Enti Pubblici.
Soluzioni per l’economia sociale
Decimare le aliquote e gli interessi Produrrebbe
A - Lotta aell’Evasione
Fiscale
Contributiva Ambientale Civile Sanzionatoria
B - Soluzione della Crisi
Debitoria Economica Patrimoniale Monetaria Deficitaria
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2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
Per fare questo serve
Alta informatizzazione
Alta riduzione del costo pubblico
Creazione di posti di lavoro alternativi Abolizione del modello economico Keinesiano Evitazione del modello Rossveltiano
Agire sulle leve della manovra
Economia e diritto
Modello matematico di politica economica
E’ da tempo disponibile su internet un modello economico che illustra come varia il Pil italiano per effetto delle manovre di politica economica (fiscale e monetaria) del governo.
Chiunque può provare ad usarlo e vederne i risultati.
Leggiamo e sentiamo spesso parlare di manovre pubbliche o di interventi di politica economica da parte del governo. Sappiamo che queste politiche producono delle conseguenze sul nostro sistema economico e sono ideate e poste in essere proprio allo scopo di raggiungere i grandi obiettivi di sistema: crescita del Pil, ovvero del reddito nazionale, diminuzione della disoccupazione e contenimento dell’inflazione (crescita dei prezzi).
Ma nello specifico, cioè da un punto di vista strettamente numerico, come influiscono le decisioni di politica economica sulle importanti variabili del sistema economico? Per esempio un intervento di politica fiscale come modifica le principali grandezze economiche del paese?
Un aumento della spesa pubblica aumenta il reddito nazionale (Pil) o lo diminuisce? E di quanto?
La riduzione delle tasse che colpiscono i redditi degli italiani che effetto produce? E un’iniezione di liquidità monetaria nel sistema bancario, ad opera delle autorità pubbliche, a quali scenari conduce?
Sono tutte domande che possono trovare una risposta grazie al modello economico liberamente scaricabile in questa pagina.
(http://www.studiamo.it/studiamo-file/Modello economico 6.xls)
Ci si può quindi divertire a cambiare i valori del modello legati agli strumenti di politica economica: spesa pubblica (G), aliquota fiscale (t) e quantità di moneta offerta (M). Ciò allo scopo di analizzare le conseguenze che le modifiche hanno sul:
• • •
Pil nazionale
livello generale dei prezzi (P) e quindi sull’inflazione disavanzo del bilancio pubblico
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Il modello è costruito sulla base della nota teoria IS-LM, ampiamente studiata ed utilizzata nei corsi di economia politica. Il grafico IS-LM ha il vantaggio di trovare il reddito di un paese ponendo in equilibrio simultaneamente il mercato dei beni e quello della moneta.
Dall’uguaglianza dei valori di equilibrio dei due mercati si ricava un’equazione conosciuta come domanda aggregata. E’ proprio tale retta della domanda aggregata la prima indicazione fornita dal modello economico, insieme al punto su di essa espressivo del Pil nazionale di equilibrio.
Inoltre, mediante l’inserimento del tasso di disoccupazione del sistema, il modello mostra anche il livello di produzione nazionale corrispondente al reddito di pieno impiego, evidenziando quindi il gap di Pil da colmare per raggiungere la piena occupazione delle risorse.
Variando le variabili di politica economica (G, t e M) è anche possibile elaborare una nuova domanda aggregata ed un nuovo punto di equilibrio sulla stessa, rappresentativi della nuova situazione economica così come modificatasi per effetto dell’intervento pubblico nel sistema.
Ricordiamo che la politica economica si concretizza sostanzialmente in due importanti strumenti a disposizione del governo:
• la politica fiscale, con la quale si cerca di raggiungere gli obiettivi di reddito, di inflazione e di disavanzo programmati attraverso modifiche dell’aliquota fiscale sui redditi (t) e/o del livello di spesa pubblica (G)
• la politica monetaria, con la quale si cerca di realizzare soprattutto il contenimento dei prezzi e quindi dell’inflazione variando la quantità di moneta offerta (M)
Scendendo nel dettaglio, l’equazione IS-LM utilizzata per il modello economico è questa:
Y* = a + e + g + G + [(M/P)(d + n)]/h
1 – b(1 – t) + m + (d + n)(k/h) dove
a
b
livello dei consumi autonomo, cioè indipendente dal reddito propensione al consumo rispetto al reddito
t
pressione fiscale)
aliquota fiscale sui redditi (in altre parole è il livello della
e livello di investimento autonomo, cioè indipendente dal tasso di interesse
d propensione agli investimenti rispetto al tasso di interesse g livello delle esportazioni nette (export – import) autonomo
m propensione alle esportazioni nette rispetto al reddito
n propensione alle esportazioni nette rispetto al tasso di interesse
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
k h
G
M euro)
propensione a detenere moneta rispetto al reddito propensione a detenere moneta rispetto al tasso di interesse
ammontare della spesa pubblica dello Stato (in miliardi di euro) offerta di moneta da parte delle autorità monetarie (in miliardi di
livello generale dei prezzi (da non inserire perché calcolato
P
automaticamente dal modello)
Y* reddito di equilibrio (o Pil, calcolato anch’esso automaticamente)
Inoltre servirà, ai fini del funzionamento del modello, l’inserimento dei seguenti dati:
td tasso di disoccupazione del sistema
i tasso di interesse generale (p.es. quello dei BOT a 1 anno oppure il tasso BCE)
Nel modello matematico
(presente alla pagina http://www.studiamo.it/studiamo-file/Modello economico 6(1).xls),
i precedenti dati numerici sono già inseriti, ma si possono liberamente cambiare in modo da configurare una diversa domanda aggregata di partenza.
I valori proposti sono in parte tratti dalle informazioni ufficiali di fonte ISTAT ed in parte scopiazzati dai vari libri di testo di economia politica. Hanno però il pregio di fornire un reddito (Pil) di equilibrio coincidente con quello attuale (inizio anno 2008) del nostro paese.
I suddetti parametri vanno inseriti nel primo foglio di lavoro del file excel, quello denominato “Dati economici e finanziari” (di colore azzurro).
Le celle di inserimento sono quelle di colore azzurro.
Si otterranno così i valori dei prezzi (P), del reddito di equilibrio (Y*) e del disavanzo pubblico (D).
Nello stesso foglio vanno anche inserite, se si vuole, le variazioni ad uno o più dei valori influenzanti la politica economica (G, t e M) per determinare una seconda retta di domanda aggregata, espressiva del nuovo scenario economico di sistema.
Anche in questo caso i dati sono già proposti, ma possono essere cambiati a piacimento.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
I valori inseriti (ma modificabili) evidenziano quella che sembra essere la recente politica economica del governo Berlusconi: giù le spese
pubbliche (G) e contenimento/riduzione delle imposte (t). Per la moneta (M) si è adottata la regola di politica monetaria della BCE (Banca Centrale Europea), per la quale l’offerta di liquidità deve aumentare di circa il 3/4% all’anno.
Una volta inseriti i dati è possibile vedere il grafico dello scenario economico di sistema andando al foglio di lavoro excel denominato “Grafico Domanda aggregata” (di colore rosso).
L’andamento del disavanzo pubblico conseguente le scelte di politica fiscale sono mostrate nel terzo foglio di lavoro del file excel: “Dinamica disavanzo pubblico (di colore verde).
Ricordiamo che le celle di inserimento sono quelle di colore azzurro.
Si raccomanda di non procedere a grosse variazioni dei parametri indicati (sia di sistema che riferiti alla politica economica) per non rendere inservibili i grafici. D’altro canto le variazioni apportate devono essere di entità verosimile e fintanto che tale circostanza viene rispettata il grafico dovrebbe rimanere “leggibile”.
Come sempre dichiariamo che abbiamo messo il nostro massimo impegno nella creazione del modello offerto gratuitamente a tutti i navigatori, tuttavia il suo fine resta pur sempre didattico e pertanto ci esoneriamo da qualsiasi responsabilità per gli eventuali danni derivanti dal suo uso.
CLASSIFCA DEI PRINCIPALI PIL MONDIALI 2010
paese pil in G€
usa russia taiwan
hong kong giappone
corea israele india
gran bretagna Svizzera
svezia spagna
14596
1996
529
267
5513
892 7201 157
1618 1971 370 437 962
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serbia 105 romania 253 polonia 664
olanda 628
italia 1583 germania 3069 francia 2289
Danimarca 262 belgio 401 austria 314
cina 4221 canada 1320 brasile 1154
australia 832 46403
10673
Pedagogia sociale
In Italia, gli ultimi anni hanno visto un rapido proliferare di trattati per lo più sintetici, di Pedagogia Sociale e tutti rimandano alla prima formulazione della locuzione in lingua tedesca a fine dell’Ottocento, e ad ascendenti antichi, in particolare al pensiero Greco Classico.
In campo pedagogico, come d’altronde in larga parte delle Scienze Sociali, non si dispone di un apparato lessicale consolidato e comune a tutti gli studiosi e gli operatori.
Un importante contributo in tal senso è venuto dalla recente pubblicazione dell’Enciclopedia pedagogica (2). Ad avviso dello stesso Mauro Laeng, questo è già un’espressione di quella che diventerà una “teoria Standard in Pedagogia”(3).
In quella sede, era contenuta una prima voce curata da Salvatore Colonna: questi definiva la Pedagogia Sociale come “Lo studio dell’educazione come fatto sociale, nelle sue origini, nelle sue condizioni, nei suoi processi e nei suoi esiti.”(4) relativamente alle mille relazioni tra l’individuo-educando e il suo gruppo sociale, consapevoli o inconsapevoli che siano state la presenza e l’influenza di quelle relazioni sociali”.
A suo avviso, l’origine recente della disciplina andrebbe ascritta all’insegnante e pedagogista prussiano Friedrich Adolph Wilhelm
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Diesterweg (1790 – 1866) (5), seguace delle teoria del pedagogista romantico Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827) (6). Essa ha poi
ricevuto un impulso decisivo, nel 1899, anno di pubblicazione da parte di Paul Natorp (1854-1924) del saggioSozialpädagogik. Questa può considerarsi la data di fondazione come disciplina autonoma nell’ambito delle discipline pedagogiche: è stato da allora che le teorie sociologiche di Émile Durkheim (1858-1917), anche grazie ai contributi filosofici di Wilhelm Dilthey (1833-1911), sono entrate a far parte integrante degli Input per l’elaborazione pedagogica.
I due studiosi tedeschi sono, ovviamente, menzionati da vari autori di manuali d’oggi; ma, per lo più, non essi vanno oltre la semplice menzione.
Tra gli autori recenti, viene messo in evidenza il contributo di John Dewey (1859 – 1952), sul quale, sui cui allievi e seguaci, e sulle cui teorie e proposte avremo modo di tornare più volte.
Ma viene anche messo largamente in evidenza come le origini della Pedagogia Sociale, pur mancando sia il termine “pedagogia” che l’aggettivazione, risalgano alla Grecia Antica, alla πόλις, oovdro pòlis o città – stato e all’educazione ambientale dell’uomo e del cittadino, ed in particolare a Platone (427 – 347 a. C.).
Peraltro, in quell’enciclopedia vi era anche la voce “Società educante” scritta da Mario Mencarelli (7), uno dei precursori della disciplina fin dagli anni ’70: il rimando più essenziale è ad un’altra voce scritta dallo stesso Mencarelli, “Educazione permanente”(8), considerandosi la prospettiva strettamente connessa con un’educazione che riguardi tutta l’esistenza umana.
Più recentemente, Domenico Izzo ha definito la Pedagogia Sociale come la “disciplina che ha per oggetto il valore educativo dell’agire sociale”(9).
Va notato, peraltro, che la recente Enciclopedia delle Scienze Sociali (10) non riporta la voce “pedagogia” o simili, pur riportando la voce
“Educazione”(11). In realtà, l’autore parla anche di Pedagogia; va tenuto presente che non in tutte le lingue esiste l’equivalente di “Pedagogia” distinto dall’equivalente di “educazione”.
Piero Bertolini, in un’altra opera fondamentale di consultazione per chiunque si occupi di Pedagogia e relative professionalità, presenta una
posizione aggiornata, insistendo sulla distinzione dalla materia sociologica pur nella evidente contiguità: “Secondo una sua concezione più antica ma tuttora pienamente valida, l'espressione pedagogia sociale indicava soltanto la sottolineatura dell'importanza che nella problematica educativa hanno le determinazioni sociali di essa: importanza che per alcuni giustifica una perfetta coincidenza tra la pedagogia e la pedagogia sociale in quanto quest'ultima assorbe la prima. [...] È di questi ultimi anni una concezione per la quale la pedagogia sociale si precisa in quanto fa dei fenomeni sociali (dal tema dell'emarginazione a quello delle nuove povertà; da quello del rapporto mezzi di comunicazione di massa/ formazione dell'individuo a quello della mafia, ecc.) il suo specifico oggetto di indagine.”(12).
Pedagogia sociale nell’Italia degli anni Sessanta
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Studi di Pedagogia con specifico riferimento alla dimensione sociale, a volte anche riportanti specificamente la dizione “pedagogia sociale”, si sono intensificati in Italia a partire dagli anni ’60 e ‘70, anche se non mancano alcuni contributi significativi nel decennio precedente.
Tra questi vanno segnalati Aldo Agazzi, Giuseppe Flores d’Arcais, Mario Mencarelli, Gaetano Santomauro (13), come pedagogisti di ispirazione cattolica; e Giovanni Maria Bertin, Lamberto Borghi, Raffaele Laporta, Aldo Visalberghi (14) come pedagogisti di ispirazione laica: si tratta dei pedagogisti più autorevoli e prestigiosi del periodo, a testimoniare l’attenzione del meglio della Pedagogia italiana per questa dimensione della riflessione pedagogica che andava facendosi sempre più evidente nella sua necessità di indagine e quindi anche nella specificità di campo di studio e d’esercizio all’interno del sapere pedagogico.
E’ stato sensibile in entrambi gli schieramenti, e soprattutto nel secondo, l’influenza di John Dewey.
Tra coloro che seguitarono il discorso nei decenni seguenti, riprendendolo da una prospettiva più ampia, segnaliamo Luisa Santelli Beccegato (15), Antonino Mangano (16) e, come si è detto, Mario Mencarelli con le sue ricerche sull’educazione permanente (17).
Le dottrine pedagogico-sociali moderne
Negli ultimissimi anni, si è avuta la pubblicazione di una serie di trattati specificamente dedicati alla Pedagogia Sociale.
Alcuni di essi ci faranno da riferimento costante per il corso. Al termine di questa lezione, comunque, daremo una bibliografia più ampia
Secondo Giuditta Alessandrini “L’aggettivo “sociale” che accompagna la parola “pedagogia” indica che l’oggetto della “riflessione disciplinare” è la società nella sua interezza, come le sue dinamiche, i suoi paradossi e le sue tensioni irrisolte. [...] non tanto la società in quanto tale ma le interazioni tra il tema della ”educabilità” dell’individuo e le dimensioni che caratterizzano il “sociale”. [...] Possiamo dunque provvisoriamente definire questa disciplina come lo studio dell’educazione come fatto sociale, nelle sue origini, nelle sue condizioni, nei suoi processi e nei suoi esiti.”(18)
E’ interessante anche il discorso che viene condotto in proposito da Sergio Tramma (19).
Egli premette che “All’interno della Pedagogia generale, “luogo teoretico dell’agire educativo”, che si configura sempre più come pedagogia del
corso della vita, si assiste a un progressivo delinearsi di aree e problematiche specifiche che si presentano come addensanti di riflessione in perenne movimento, non separabili da confini netti, più che come comparti separati da cui possono derivare riduzioni disciplinari indipendenti le une dalle altre.
E’ stato importante, per esempio, il caso della pedagogia speciale in passato e, più recentemente per quanto riguarda il nostro Paese, della “pedagogia interculturale”.
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Su questa base, egli lascia emergere implicitamente una sorta di pre- definizione, o di una condizione che è parte di una possibile definizione
implicita, osservando che “Oggi, è necessario accentuare la riflessione rispetto alla socializzazione extrascolastica in tutta la sua svariata fenomenologia, ma la ripresa d’interesse nei confronti dell’extrascolastico e dell’extrafamiliare non garantisce di per sé la possibilità di delineare con precisione degli specifici ambiti di riflessione. L’ambito della pedagogia sociale non gode di univoca interpretazione per quanto attiene la def inizione del campo di ricerca e dei settori di intervento.”(20).
Luisa Santelli Beccegato, dopo aver preso in rassegna taluni contributi immediatamente precedenti, e premesso che “risulta evidente come al centro dell’attenzione ci sia sempre il rapporto tra esigenze educative e dinamiche sociali”(21), ha riproposto in anni vicini una sua definizione già resa in un’opera precedente: “Progettazione critica-teorica e pratico- operativa delle dimensioni sociali dell’educazione [e] analisi scientifica dei processi e dei modelli educativi coinvolti nel sistema sociale.”(22).
Un saldo riferimento filosofico, ed anzi un richiamo ad una possibile origine filosofica della Pedagogia Sociale, informa anche la recente opera di Anita Gramigna (23). Dopo aver premesso, con tutte le riserve, che “l’elemento della militanza forse rappresenta il momento discriminante di questa disciplina nei confronti delle altre scienze dell’educazione”, essa osserva che “di conseguenza lo statuto ha a che vedere con queste complesse relazioni interdisciplinari, ma anche con lo sfondo sociale sul quale si colloca il fenomeno educativo”.
L’attenzione per l’Autrice va sulle opzioni metodologiche che divengono specifiche di questa scienza pedagogica: “Un possibile orizzonte epistemologico della Pedagogia Sociale ci viene dall’epistemologia della complessità. [....] una prospettiva pedagogico-sociale prevede strutturalmente una metodologia sistemico – relazionale” che supera le prospettive di annichilazione della Pedagogia Nella Filosofia che erano presenti in talune concezioni del passato non remoto, in particolare nel Neo-idealismo di Benedetto Croce (1866 – 1952) e soprattutto di Giovanni Gentile (1875 – 1944), che ha dominato la cultura italiana nel periodo tra le due Guerre Mondiali e ha tenuto lontana la cultura italiana dalle evoluzioni cui andava incontro nel frattempo la Pedagogia internazionale.Pragmatismo-Strumentalismo
Come abbiamo già osservato, tutti coloro che trattano comunque di Pedagogia Sociale si trovano nella necessità di dare un rilievo notevole, tra gli autori dell’ultimo secolo o poco più, a John Dewey: anche quegli autori che non seguono teorie filosofiche o pedagogiche che, in loro stesse, potrebbe essere definite pragmatiste per diversi motivi.
Il primo motivo sta nel fatto che la teoria filosofica e metodologica pragmatista, e quella pedagogica di Dewey che si chiama più propriamente “Strumentalismo”, sono state a fondamento per quel grande fenomeno di innovazione che ha avuto luogo in Occidente nei primi decenni del secolo XX, e che va sotto il nome di “Attivismo pedagogico”, e per certi aspetti anche di “Movimento delle scuole nuove”(24).
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
I tre piani sperimentali e l’Educazione
Progressiva
Negli USA, in particolare, ne deriveranno parecchi ordini di ricerca ed innovazione, tra i quali spiccano tre “piani” o progetti sperimentali che hanno avuto una rilevanza storica particolare:
• Il Metodo dei progetti (William Heard Kilpatrick, 1871 – 1965), che tendeva ad integrare a scuola le due esigenze di socialità e di individualizzazione mediante la stesura per ciascun allievo di un proprio piano di lavoro scelto liberamente, per lavorare a progetti di contenuto trasversale rispetto alle tradizionali ripartizioni in materie d’insegnamento, assieme a tutta la scolaresca: progetti di apprendimento, progetti di produzione, progetti di utilizzazione, progetti di ricerca.
• Il Piano Dalton (Helen Parkhurst, 1887 – 1954) che affida a ciascun alunno la responsabilità del proprio sapere mediante la stipula di un contratto con gli insegnanti delle varie materie che comporta un certo numero (venti) di unità lavorative all’anno, secondo previsioni che comportano un controllo individuale ed uno collettivo. Il rischio di un eccessivo individualismo è correttomi mediante la previsione di ulteriori attività in comuni, associative, di squadra, di gruppo.
• Il Piano di Winnetka (Carleton Wolsesy Washburne, 1889 – 1968) prevedeva scelte di materie prevalentemente di scienze sociali, da trattarsi in unità di lavoro tra loro collegate. Sono previsti quaderni di lavoro e quaderni di autocontrollo, e solo dopo viene il controllo dell’insegnante. Anche qui sono previste attività di socializzazione per temperare l’individualizzazione: con la differenza che si trattava di attività facenti parte del programma scolastico e non integrative
Lo schema delle tre sperimentazioni certamente sintetico e carente, e non rende un’immagine adeguata della grande varietà innovativa che le
ha caratterizzate. Tuttavia, è possibile coglierne alcuni aspetti comuni, che gettano luce sia sulla teoria pragmatista – strumentalista che sulla potente corrente di rinnovamento della Pedagogia scolastica nei primi del Novecento tra gli USA e alcuni stati dell’Europa Occidentale: un equilibrio tra attenzione per il soggetto e socialità, il superamento delle compartimentazioni del sapere in materie e discipline, una flessibilità di tempi e di metodi temperata da una previsione di obiettivi riscontrabili e controllabili, l’integrazione di attività diverse, la partecipazione democratica dell’alunno alle decisioni, e via elencando.
Questa proposta educativa, soprattutto negli scritti di Wasburne, prendeva in nome di “Educazione progressiva”. Così è stata resa nota anche in Italia al grande pubblico solo nel secondo dopoguerra, come del resto il Pragmatismo, lo Strumentalismo e lo stesso Attivismo.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Il secondo motivo del particolare interesse che riveste per noi la teoria pragmatista-strumentalista sta nel fatto che essa costituisce oggi la teoria
di riferimento per le professionalità sociali ed educati, soprattutto nella sua riformulazione come “Neo-pragmatismo”, cui esso è andato incontro degli ultimi decenni.
Specialmente in questo contesto, l’educazione è intesa sempre come atto sociale in senso stretto: tanto, che quando ad esempio si dice “io educo
X” od “egli educa X”, sia in contesto familiare che in contesto scolastico che in qualunque altro contesto, si deve sempre intendere l’impersonale “si educa X”, oppure la prima persona plurale all’inglese “noi educhiamo X” (cioè “We educate someone”). E’ sempre la società che educa, anche quando si esprime nel contesto familiare che è un contesto sociale.
L’approccio personalista
Un riferimento saldo alla matrice pragmatista è comune a gran parte della Pedagogia laica che si è sviluppata in Italia nel secondo dopoguerra, ma non è stato estraneo alla Pedagogia di ispirazione cattolica.
Viceversa, la Pedagogia cattolica ha avuto un’ispirazione saldamente rifacentesi al Personalismo (25), anche se ad esso vanno facendo un’ispirazione crescente anche i pedagogisti laici.
“Persona” ed “individuo” in Pedagogia
« Persona » è un termine « tecnico » fondamentale, in Pedagogia come nelle Scienze della Cultura. Esso viene spesso contrapposto all’altro termine tecnico, individuo: e la contrapposizione è corretta come l’alternativa è esclusiva dal punto di vista metodologico.
Il termine individuo designa un elemento di un dominio (insieme, popolazione, campione, ...) sul quale si possono effettuare considerazioni operazionali globali e statistiche; l’individuo, in quanto tale indifferenziato, privo di qualunque altra caratteristica peculiare che non sia l’appartenenza a tale dominio, e a tale dominio non reca altro che ciò che è statisticamente e operazionalmente rilevabile: Mentre invece il termine persona designa un soggetto preciso, differenziato, irripetibile, che fa caso a sé senza che questo precluda alcunché sul piano della riconducibilità a casi e teorie generali.
Rivolgersi alla persona significa, tra l’altro, intendere l’uomo come soggetto di storia e di cultura, come sede di valori (i quali non vanno quindi considerati come estrinseci), e come nodo di comunicazione interpersonale complessa. Come scriveva Emmanuel Mounier (1905-1950), “Il personalismo si distingue rigorosamente
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman dall’individualismo, e sottolinea l’inserimento collettivo e cosmico della
persona.”(26).
L’origine e gli sviluppi del termine « Persona »
L’origine del termine è latina, e certi equivoci fin troppo semplicistici nel merito non sono gran che fondati neppure in un discorso puramente etimologico (27). Esso è entrato nella Filosofia e nelle discipline dell’uomo nel secolo scorso: ha avuto un successo maggiore nell’ambito della Filosofia e della Pedagogia cattoliche, ma da tempo è all’attenzione di pedagogisti laici: e del resto, Mounier stesso ne individuava le radici in Socrate, Kant, Leibniz, Pascal. D’altra parte, il neo criticista Charles Renouvier (1815-1903) faceva ricorso a Kant in una difficile mediazione di contributi differenti, che spaziavano dallo Spiritualismo all’Illuminismo.
Il concetto di persona non è antico, e può anche considerarsi un’interpretazione molto traslata il volerlo leggere in taluni concetti greco-classici: l’identificazione con l’ipostasi è successiva. Furono le controversie teologiche dei primi secoli della Chiesa a consentirne l’impiego filosofico sul quale si inserisce oggi quello attuale come termine tecnico pedagogico. E’ di intuibile attualità la definizione di Giovanni Damasceno (675-750 circa), secondo la quale “persona [πρόσωπόν pròsopòn] è ciò che, esprimendo sé stesso per mezzo delle sue operazioni e proprietà, porge di sé una manifestazione che lo distingue dagli altri della sua stessa natura.” (1)
In certi momenti la contrapposizione terminologica persona-individuo in Pedagogia può essersi ammantata di mentite spoglie ideologiche: ma un simile groviglio di equivoci non sembra avere fondamento scientifico.
Anche un cattolico od uno spiritualista possono tranquillamente impiegare correttamente e rigorosamente il termine individuo quando affrontino problemi pedagogici (o psicologici, sociologici, antropologici, ...) di carattere globale relativi alle popolazioni. Ad esempio in certe ricerche di quella che si chiama “Psicologia sperimentale”(28). Oppure, nei discorsi sulle teorie dell’evoluzione, i quali hanno senso scientifico solo se vengono fatti in termini di specie, i cui elementi si chiamano appunto individui. Tutto ciò non ha alcunché da pregiudicare al fatto che questi individui siano anche, ed essenzialmente, qualche cosa di più: solo che questo “di più” non può emergere in tali contesti di studio.
Viceversa, si può capire che l’impiego esclusivo del termine individuo possa essere anche una scorciatoia per discorsi che tendano o al privilegio di un singolo in quanto tale (e che non si qualifica per la sua valorialità e per la sua relazionalità) o ad uno sciogliersi ed annichilirsi
1 Equivalente in greco a « Maschera »(n.d.r.)
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
del singolo uomo entro entità superiori, come le classi sociali o lo stato etico: in contesti, ad esempio, liberisti od Hegeliani. Rimane poi da vedere se qualche cosa possa rimanere di una simile visione dell’uomo (29) che abbia del “senso”(30) pedagogico al giorno d’oggi.
“Persona” è termine tecnico?
Il termine “persona”, che in greco significa « maschera », è da considerarsi « termine tecnico » della Pedagogia Generale come della Pedagogia Sociale, ad indicare il soggetto come portatore di valori, di dignità, di irriducibilità in sé, e come soggetto culturale, relazionale, politico, sociale. A questo secondo aspetto dobbiamo richiamare l’attenzione in modo particolare. 2
Come opportunamente cita Giuditta Alessandrini, “Il fanciullo è un soggetto non una res societatis o una res ecclesiae, ma non è neppure un soggetto puro o un soggetto isolato. Inserito in collettività, egli si forma per mezzo di esse in esse...”(31).
Anche in questo contesto, che è differente per molti versi da quello che si richiama comunque al Pragmatismo, potremmo dunque affermare che tutta la Pedagogia è Pedagogia Sociale.
L’estendersi dell’educazione istituzionalizzata (ovvero, una ragione in più)
Una parte dell’educazione che si è fatta sempre più rilevante negli ultimi secoli è quella che la società stessa intende istituzionalizzare: è a questo fine che essa ha istituito la scuola, indipendentemente dal fatto se essa è costruita e gestita dallo stato (cioè dall’organizzazione della società) oppure no. La scuola, soprattutto nella visione pragmatista – strumentalista, è educazione istituzionalizzata: è quella parte dell’educazione che la società istituzionalizza.
Si comprende che, rispetto al tempo nel quale i Pragmatisti fondarono la loro teoria filosofica, sociologica e pedagogica (fine ‘800), sono state
fondate e si sono diffuse anche altre istituzioni sociali con funzioni educative, oltre alla scuola: si pensi, solo per portare gli esempi più immediatamente evidenti:
• agli Asili Nido o, più semplicemente, ai “Nidi” e alle altre istituzioni educative per l’infanzia;
• ai centri estivi o pomeridiani, od istituzioni analoghe, per le età dello sviluppo;
• alla formazione professionale continua;
• ai vari centri per gli anziani;
e via esponendo un elenco che si fa sempre più lungo.
2 N.d.r.
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Fin qui, dunque, tutta l’educazione è considerata sociale dal punto di vista pedagogico, e quindi non vi è modo di distinguere una Pedagogia
Sociale (una riflessione sull’educazione da riferirsi in qualche modo organicamente ad un contesto sociale) da una Pedagogia generale (una riflessione sull’educazione).
Un possibile approccio specifico alla Pedagogia Sociale
Presentazione
Quanto abbiamo incontrato finora contribuisce fattivamente a rispondere alla domanda, in sé complessa, di che cosa sia la Pedagogia Sociale.
Tuttavia, ancora non ci consente di delineare con sufficiente nitidezza lo specifico della Pedagogia Sociale, la quale anzi, finora, abbiamo visto come rischi di sciogliersi all’interno della Pedagogia Generale, potendosi predicare all’una tutto quanto si può predicare all’altra.
Quella che segue è solo una metafora, nient’altro. E’ un po’ come nella teoria degli insiemi: si tratterebbe di un sottoinsieme, e questo potrebbe anche andare, ma dai contorni a volte assai labili.
Vedremo più avanti come le demarcazioni tra saperi vadano operata per metodi, piuttosto che non per oggetti di studio. Così è per la distinzione tra il sapere “scientifico”, ad esempio, e quello che scientifico non è; o per il sapere (propriamente) tecnico, o per il sapere filosofico, o per quello letterario, o per quello scientifico formale (logico e matematico), e via elencando. E’ il metodo secondo il quale si esercita in ciascun campo la creatività umana a consentire le demarcazioni, e di conseguenza le attribuzioni a ciascun campo del sapere umano le sue specifiche prerogative.
Qui, però, si tratta di operare qualcos’altro, essenzialmente differente: si tratta di introdurre una distinzione all’interno di un sapere complessivo, quello pedagogico.
La Pedagogia Sociale fa parte delle Scienze Pedagogiche. Noi la studiamo come una delle scienze che costituiscono la cultura per una futura categoria di professionisti. Siamo più, quindi, nelle distinzioni tra l’Ingegnere Chimico, e l’Ingegnere Civile (o Meccanico, od Elettronico, ...) che non alle distinzioni tra un Ingegnere Chimico, un Fisico-Chimico, un Chimico Industriale. un Chimico Farmaceutico, un Chimico – Tecnologo Farmaceutico.
Ciò che dobbiamo fare è, di conseguenza, presupporre una sostanziale comunanza di metodi, e semmai individuare uno specifico campo di
indagine, di riflessione, di speculazione, di esercizio professionale, per la Pedagogia Sociale (o del Pedagogista Sociale, se si preferisce) rispetto ad altre Scienze Pedagogiche (ad altri Pedagogisti).
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La Pedagogia Sociale: verso le specificità
Una demarcazione di campo
Tutto ciò premesso, è possibile operare un distinzione di principio, che pure può non avere dei contorni altrettanto netti all’atto pratico.
E’ necessario, a tal fine, operare una distinzione tra le sedi di educazione, tra i luoghi nei quali si educa, appunto.
Si tratta di osservare, prima di tutto, che
• vi sono delle sedi che sono istituzionalizzate per l’educazione, come la scuola complessivamente intesa ed appunto i Nidi e le altre istituzioni educative per l’infanzia, i centri estivi o pomeridiani per le età dello sviluppo, la formazione professionale continua, i centri per gli anziani, e via elencando; Il che significa che vi è una Pedagogia Istituzionale, che è Pedagogia della Scuola, della Formazione Professionale, delle Istituzioni Educative per l’Infanzia, e d’altro analogo:
• e vi sono delle sedi che, pur avendo una valenza e una funzione educativa essenziale e magari irrinunciabile, non sono istituzionalizzate in quanto educative ma sono educative in quanto sociali e relazionali, come la famiglia, o i centri di aggregazione sociale, anche informali. Il che significa che vi è una Pedagogia Sociale, che è Pedagogia della Famiglia, dell’Associazionismo, dello Sport, del Lavoro e via elencando
Appartengono a questo secondo gruppo tutte le istituzioni che hanno funzioni essenzialmente familiari, come ad esempio i convitti o le comunità d’accoglienza, terapeutiche e per soggetti necessitanti di aiuto particolare (ad esempio perché oggetto di violenza reale o possibile, oppure per indigenza o deficit fisici o psichici), e tutte le sedi ed istituzioni che hanno funzioni essenzialmente socio – ambientali, come ad esempio i centri sociali e civici, l’associazionismo, i sodalizi culturali, lo Sport variamente organizzato e praticato, e via elencando.
L’inapplicabilità del termine “extra-scuola” e derivati...
Precisiamo fin d’ora la nostra scelta determinata di non impiegare il termine “extra-scuola” od “extra scuola” e derivati, che pure si trovava
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nella letteratura pedagogica di alcuni anni fa, e fa segnare qualche
persistenza ancor oggi.
Abbiamo ragioni di considerarlo obsoleto e inapplicabile alla realtà attuale: né per quanto riguarda le sedi educative istituzionalizzate in quanto tali che non siano “scuola” propriamente detta (che è parte della lettera a.), né per quanto riguarda le sedi educative in quanto sociali e relazionali (di cui alla lettera b.).
Quel termine composto aveva invece un senso quando l’istituzionalizzazione dell’educazione stava solo o quasi solo nella scuola, ed anche quasi tutte le competenze pedagogiche finivano per essere applicate alla scuola.
Ciò premesso, e seguendo anche gli orientamenti che sembrano emergere dai diversi autori, osserviamo come dalla distinzione testé operata (che è chiara ed univoca) discende la possibilità di parlare della Pedagogia Sociale evitando fin dal principio discorsi scontati in quanto generici, e senza rinviare alla fin fine alla definizione stessa della Pedagogia Generale, o alla gran parte dei suoi contenuti.
... e la successione ad esso
La Pedagogia Sociale prende l’eredità di ciò che poteva essere la Pedagogia Generale riferita allo specifico dei problemi dell’extra-scuola in altri tempi: tempi che non sono lontani cronologicamente. Ma costituisce un dominio enormemente più ampio e dalle prospettive di ampliamento enormi e fertilissime.
In un cero senso, e in una prima istanza, si potrebbe dire che essa è la continuazione di una Pedagogia esplicata su tale composito campo dio studio, di ricerca e di esercizio. Tuttavia, piuttosto che non la continuazione, la Pedagogia Sociale per noi ne è ne è l’erede e il prosecutore. Un successore, che ha portato a dimensioni nuove ed enormemente superiori la portata.
La Pedagogia Sociale, rispetto alla Pedagogia scolastica, è raffrontabile più Alessandro Magno rispetto al padre Filippo, che non al successore di un qualsiasi re in una dinastia; più alla repubblica di Roma Antica rispetto alla Roma dei sette Re. O, se si preferisce, più alla Costituzione Italiana rispetto allo Statuto Albertino, più al Commonwealth Britannico rispetto all’Impero Britannico, più alla CEE rispetto al MEC, più al PC rispetto ai regoli calcolatori, alle tavole dei logaritmi, alle calcolatrici meccaniche.
Vediamo, quindi, di tirare le somme, in chiusura di queste due lezioni preliminari: una chiusura che ci deve dare una chiara delineazione di come tratteremo la Pedagogia Sociale in questo corso.
Intenderemo in questo corso per “Pedagogia Sociale” quella disciplina o scienza pedagogica, o quella parte della Pedagogia Generale, che si occupa dell’educazione non istituzionalizzata in quanto tale.
In altre parole, la Pedagogia Sociale avrà sede per noi in tutti quei luoghi che sono educativi in quanto sociali, e non viceversa: la famiglia e, prima, la coppia; le aggregazioni sociali; e quelle entità che prendono variamente il luogo in tutto od in parte dell’una o delle altre.
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Si capisce che non tutti accettano questa suddivisione: vedremo più avanti come, ad esempio, Giuditta Alessandrini consideri il proprium
della Pedagogia Sociale proprio la Formazione (32). Ovviamente, rimane da vedere all’interno del mondo della formazione quanto sia, a sua volta, istituzionalizzato come educazione, e quanto no: il che permetterebbe di applicare la nostra distinzione anche in questo ambito.
Ciò. tra gli altri, è diventato un “grande tema” di evidente rilevanza. Rimarrebbe il problema del definire la Pedagogia: non tanto come definizione generale, per la quale rimandiamo al programma di altri corsi; bensì della Pedagogia come campo d’esercizio professionale, come base e terreno di espletamento di specifiche professionalità, le quali sono a loro volta di interesse sociale, e di interesse per la Pedagogia Sociale così come l’abbiamo testé delineata.
Lo stesso Tramma esordisce nel suo trattato specifico proprio cercando di definire l’educazione e la Pedagogia (33). Diciamo che abbiamo una differenziazione da operare rispetto al presupporre la delineazione dell’educazione come prassi e la Pedagogia come teoria (secondo qualcuno, sarebbe impiegabile addirittura il termine filosofico, “teoretica”) per la definizione da lui data.
La differenziazione, l’integrazione, necessaria, è resa evidente proprio dall’emergere delle professioni di cultura pedagogica. Lo vedremo più avanti: qui basterà anticipare che, per noi, è necessario presupporre un terzo piano, di mediazione reciproca e nei due versi tra il piano della teoria e il piano della Prassi, come piano d’esercizio per le professioni di cultura pedagogica più elevate. Si tratta del piano che chiameremo “piano dell’applicatività”.
Il discorso richiederà in altra sede un approfondimento tematico, in ordine all’applicatività, all’esercizio professionale, alla casistica e a tutto quanto può rendere il senso della Pedagogia Sociale in termini di professione (34).
Si tratta di un campo di studio aperto, e in rapida evoluzione.
NOTE
(1) Segnaliamo fin d’ora, a titolo di esempio, alcuni termini “tecnici” dei quali daremo delle definizioni precise: “persona”, “problema”, famiglia “nucleare”, “rispettabilità”, “branco”, “moderno”. Questo sia perché presso altri autori vi possono essere impieghi ed accezioni diverse, sia perché gli stessi termini hanno un significato diverso nel linguaggio comune.
(2) In 6 volumi diretta da Mauro Laeng (Editrice La Scuola, Brescia 1989-1994). Più un volume di Appendice A-Z 2003.
(3) Egli ha avanzato una proposta in tal senso al XXI Congresso Nazionale dell’Associazione Pedagogica italiana (Padova, 5-7 dicembre 1996), che è l’Associazione culturale che raggruppa pedagogisti accademici, pedagogisti scolastici di tutti i gradi di scuola e pedagogisti del cosiddetto
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“extra-scuola” (cfr. “Bollettino dell’As.Pe.I.” fasc. 97/98, pag. 4, ottobre 1996 – marzo 1997). Qualche elemento in tal senso si trova nel suo scritto “Teoria pedagogica standard e personalismo” in Spirito e forma di una nuova Paideia (Agorà edizioni, La Spezia 1999), pag. 243 – 249.
(4) VI volume (1994), colonne 10 798 – 10 807.
(5) La voce che riguarda questo autore, poco noto in Italia, e nel II volume dell’opera citata (1992), alle colonne 3 823 – 3 827. Ne è autore Werner Sacher.
(6) A “Giovanni Enrico Pestalozzi e le origini della scuola elementare”
dedicato il Capitolo Secondo del volume 3 di Filosof ia e Pedagogia dalle
origini ad oggi di Giovanni Reale, Dario Antiseri e Mauro Laeng (Editrice 22
La Scuola, Brescia 2002 ), pag. 33 – 44. che contiene anche qualche ulteriore riferimento alla Pedagogia svizzera e ad altre istituzioni
educative.
(7) Enciclopedia pedagogica, citata, colonne 10 831 – 10 836.
(8) Opera citata, V volume (1992), colonne 8 932 – 8 941.
(9) Appendice A-Z dell’opera citata, colonne 1 121 – 1 122.
(10) In VII Volumi; Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991-1998. Non c’è neppure, ad esempio, la voce “Formazione”.
(11) Volume III (1993), pag. 448-461. L’autore è lo svedese Torsten Husen. Si tratta del coautore, assieme a Neville Postlethwaite, di The international Enciclopedia of Education in 10 volumi (Pergamon Press, Oxford 1986).
(12) Voce “Pedagogia sociale” in Dizionario di Pedagogia e Scienze dell’Educazione (Zanichelli, Bologna 1996), pag. 416 – 417.
(13) Autori Vari: Educazione e società nel mondo contemporaneo (La Scuola, Brescia 1965). Aldo Agazzi: Problematiche attuali della Pedagogia e lineamenti di pedagogia sociale (La Scuola, Brescia 1968). Gaetano Santomauro: Pedagogia in situazione (La Scuola, Brescia 1967).
(14) Giovanni Maria Bertin: Educazione alla socialità (Armando Armando editore, Roma 1964). Lamberto Borghi: Pedagogia e sviluppo sociale (La Nuova Italia, Scandicci – FI 1962); Scuola e comunità (La Nuova Italia, Scandicci – FI 1964). Raffaele Laporta: Educazione e libertà in una società in progresso (La Nuova Italia, Scandicci – FI 1965). In questa nota, come nella precedente, si tratta, ovviamente, di opere altamente rappresentative di un panorama assai più ricco ed articolato.
(15) Il diritto all’educazione (La Scuola, Brescia 1975). Pedagogia sociale e ricerca interdisciplinare (Editrice La Scuola, Brescia 1979).
(16) Problemi e prospettive della pedagogia sociale (Bulzoni, Roma 1989) (17) Lineamenti storici e teorici dell’educazione permanente (Studium,
Roma 1976).
(18) Pedagogia sociale (Carocci editore, Roma 2003), pag. 17-18. Si
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comprende che queste righe vanno lette entro il contesto più ampio di un approccio ancora problematico, aperto, di ricerca, relativo ad una disciplina comunque in forte divenire.
(19) Pedagogia sociale (Angelo Guerini & Associati, Milano 1999), particolarmente al § 1.4 “La pedagogia sociale come scoperta, invenzione, organizzazione”, pag. 22 – 28. Rimandi diretti di qualche interesse nello specifico vi sono all’opera di Anna Maria Mariani Educazione informale tra adulti (Edizioni UNICOPLI, Milano 1998), e al fondamentale manuale a cura di Riccardo MassaIstituzioni di Pedagogia e Scienze dell’Educazione (Gius. Laterza & Figli, Roma-Bari 2000), al quale faremo riferimento più volte e a vario titolo. Altre opere vengono richiamate o citate nello stesso paragrafo, per cui si rimanda alla ricca bibliografia specifica per approfondimenti.
(20) Opera citata, pagine 22 – 23. Anche queste brevi righe vanno lette nel contesto di un discorso più ampio.
(21) Pedagogia Sociale (Editrice La Scuola, Brescia 2001), pag. 13.
(22) Ibidem. Tratta dal testo della stessa Autrice Pedagogia sociale e ricerca interdisciplinare, citata, pagina 19. Si noti la data di questo primo testo: a quei tempi, la normativa accademica non prevedeva neppure un raggruppamento scientifico-disciplinare che richiamasse nella sua denominazione la Pedagogia Sociale.
(23) Manuale di Pedagogia Sociale (Armando Armando editore, Roma 2003).
(24) A “Lo strumentalismo di John Dewey” è dedicato il capitolo quindicesimo di Filosofia e Pedagogia dalle origini ad oggi, citata, volume 3, pag. 347 – 359. Gli sviluppi novecenteschi, come allievi di Dewey e Educazione Progressiva, come Attivismo pedagogico, come Scuole Nuove e ad altri titoli vanno ricercati nella Parte quindicesima “L’educazione oggi” che va da pagina 631 alla fine del volume (pag. 805), per non dire delle parti terminali, sinottiche, bibliografiche e d’appendice a vario titolo.
(25) A “Il Personalismo è dedicato il capitolo venticinquesimo del volume 3 di Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi (editrice La Scuola,
1 22
Brescia, 1985 , edizione ampliata e aggiornata 2002 ) di Giovanni Reale e Dario Antiseri, pag. 567 – 580. Una trattazione più specifica è alle pagine 495 – 504 del volume 3 di Filosofia e Pedagogia dalle origini ad oggi, citata.
(26) Nota aggiunta al Vocabulaire technique et critique de la Philosophie a cura di André Lalande (Alcan, Paris 1926); edizione italiana: Dizionario
3
critico di f ilosof ia (ISEDI, Milano 1980 ), pag. 631.
(27) Il termine, nella sua origine etrusca φερσυ fersu, designa primariamente la maschera dell’attore, già essa comunque regolata suoi caratteri che l’attore doveva rappresentare con essa. Tuttavia, le accezioni metonimiche, traslate e derivate che riguardano carattere e
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personalità, parti e ruoli, gradi stati e condizioni, e quant’altro di analogo, erano già chiaramente presenti e ben documentate ancora nell’età classica.
(28) Questa Pedagogia è certamente empirica, ma non necessariamente sperimentale: la dizione è metodologica.
(29) Questo tipo di “visioni” che non vengono prima dell’esperienza, ma che possono anche essere frutto di esperienza, si designano con il
termine tecnico “Anschauungen”, plurale diAnschauung. Una tale visione dell’uomo, cioè dell’essere uomo, dell’umanità, si chiama, con termine composto, Menschheitanschauung.
(30) Anche in questo caso, piuttosto che non di “senso”, si parla di “Sinn”, che è termine tecnico avente un significato non esattamente sovrapponibile a quello della sua traduzione italiana più comune.
(31) Pedagogia sociale, citata, pag. 31. La citazione è tratta dall’opera di Mounier in edizione italiana Il personalismo (AVE, Roma 1964), a pagina 162.
(32) § 1.5, pag. 29 – 30.
(33) § 1.1 “La necessità di una definizione”, opera citata, pag. 8 – 11.
(34) Per chi volesse averne un’idea fin d’ora, suggeriamo di consultare innanzitutto il citato volume Pedagogia della vita quotidiana, nella cui parte III, di gran lunga la più cospicua (pag. 171 – 369), viene trattata una ampia e dettagliata casistica centrata su problemi di famiglia, coppia Partnership, genitorialità. Il discorso prosegue, per ora, ne Il Pedagogista 2007 e ne Un Pedagogista nel poliambulatorio – Casi clinici (Aracne, Roma 2007 e 2008).
Letture consigliate
• Giuditta Alessandrini: Pedagogia sociale. Carocci editore, Roma 2003.
• Piero Bertolini, La responsabilità educativa, Segnalibro, Torino 1996.
• Franco Blezza: Pedagogia della vita quotidiana. Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2001.
• Franco Blezza: La Pedagogia sociale – Che cos’è, di che cosa si occupa, quali strumenti impiega. Liguori, Napoli 2010 seconda edizione riveduta.
• John Dewey: Democrazia ed educazione: La Nuova Italia, Scandicci-FI 1949. Nuova edizione italiana, con il commento di Alberto Granese, 1992. Edizione originale: Democracy and Education
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman (1916).
• Remo Fornaca: Storia della Pedagogia (La Nuova Italia, Scandicci-FI 1991). In particolare il capitolo VII, § 1 (pag. 211 – 216) e § 6 (pag. 225 – 227).
• Anita Gramigna: Manuale di Pedagogia Sociale. Armando Armando editore, Roma 2003.
• Maria Luisa Iavarone, Vincenzo Sarracino, Maura Striano (a cura di): Questioni di pedagogia sociale. Franco Angeli, Milano 2000.
• Emmanuel Mounier: Il personalismo (A.V.E., Roma 1964). Edizione originale Le personnalisme (1903).
• Giovanni Reale, Dario Antiseri, Mauro Laeng Filosof ia e Pedagogia dalle origini ad oggi volume 3 (Editrice La Scuola, Brescia
1 14
1986 2000 ), capitoli quattordicesimo ”Il Pragmatismo” (pag. 336 – 346), quindicesimo “Lo strumentalismo di John Dewey” (pag. 347-360) e venticinquesimo “Il personalismo” (pag. 495 – 504). Più la parte quindicesima “L’educazione oggi”, passim.
• Luisa Santelli Beccegato, Pedagogia sociale. Editrice La Scuola, Brescia 2001.
• Vincenzo Sarracino, Maura Striano (a cura di): La pedagogia sociale - Prospettive di indagine. ETS, Pisa 2001.
• Maura Striano: Introduzione alla pedagogia sociale. Laterza, Roma-Bari 2004.
• Sergio Tramma: Pedagogia sociale. Angelo Guerini & Associati, Milano 1999.
• Renzo Tassi: Itinerari pedagogici del Novecento. Zanichelli, Bologna 1991. In particolare pag. 287 – 336.
• Claudio Volpi: Crisi dell’educazione e pedagogia sociale. Lisciani e Zampetti, Teramo 1978.
Tratto da un inedito regolarmente depositato.
Per approfondimenti e sviluppi, vedi La pedagogia sociale di Franco Blezza (Liguori, Napoli 2010). Per le applicazioni professionali, si vedano le opere citate al termine.
Copyright Franco Blezza 2009. Non riproducibile senza esplicita autorizzazione dell’autore.
Testi di Franco Blezza
• Blezza Franco, La pedagogia sociale. Che cos'è, di che cosa si occupa, quali strumenti impiega, 2005, Liguori (versione aggiornata è qui: www.liguori.it/schedanew.asp?isbn=3813)
• Blezza Franco, Pedagogia della prevenzione, 2009, Centro Scientifico
pag. 1! 69 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia @DonErman
• Blezza Franco, Un pedagogista nel poliambulatorio. Casi
clinici, 2008, Aracne
• Blezza Franco, Educazione XXI secolo, 2007, Pellegrini
• Blezza Franco, Il pedagogista 2007. Una professione dalla storia antica e dalla necessità sociale attuale, 2007, Aracne
• Blezza Franco, Il professionista dell'educazione scolastica, 2006, Pellegrini
• Blezza Franco, Studiamo l'educazione oggi. La pedagogia generale del nuovo evo, 2005, Osanna Edizioni
• Blezza Franco, Pedagogia della vita quotidiana, 2001, Pellegrini
• Blezza Franco, Un'introduzione allo studio dell'educazione, 1996, Osanna Edizioni
Testi sulla Pedagogia sociale
• Bruno Francesco, Pedagogia sociale. Vol. 1: Storia, identità, prospettive, 2009, Pensa Multimedia
• Bruno Francesco, Pedagogia sociale. Vol. 2: Epistemologia, campo e metodologia, 2009, Pensa Multimedia
• Bruno Francesco, Temi di pedagogia sociale, 2009, Pensa Multimedia
• Pollo Mario, Manuale di pedagogia sociale, 2004, Franco Angeli
• Striano Maura, Introduzione alla pedagogia sociale, 2004, Laterza
• Gramigna Anita, Manuale di pedagogia sociale. Scenari del presente e azione educativa, 2003, Armando Editore
• Lineamenti di pedagogia sociale, 2005, Liguori
• Nuove questioni di pedagogia sociale, 2004, Franco
Angeli
• Colonna Vilasi Antonella, Pedagogia sociale. Scritti di pedagogia sociale contemporanea, 2010, Pensa Editore
• Rinaldi Walter, Pedagogia generale e sociale. Temi introduttivi, 2009, Apogeo
• Cambi Franco, Certini Rossella, Nesta Romina, Dimensioni della pedagogia sociale, 2010, Carocci
• Formazione e interpretazione. Itinerari ermeneutici nella pedagogia sociale, 2004, Franco Angeli
• Cima Rosanna, Incontri possibili. Mediazione culturale e pedagogia sociale, 2009, Carocci
pag. 1! 70 - di 2! 21 Le ragioni di una disfatta ignorata
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• Città laboratorio dei giovani. Politiche giovanili come
esperienza di pedagogia sociale, 2007, Città Aperta
• Alonzo Vincenzo, La pedagogia sociale e della famiglia oggi. Analisi, problemi e prospettive, 2009, Mondostudio
• De Santis M. Gabriella, Convivere nell'integrazione. Temi di pedagogia sociale, familiare e interculturale, 2008, Mondostudio
• Ulivieri Riccardo, Introduzione alla pedagogia sociale, 2006, Il Segnalibro
• Calaprice Muschitiello Silvana, Pedagogia generale e pedagogia sociale. Nuove sfide per l'educazione e la formazione, 2005, Laterza Giuseppe Edizioni
• La pedagogia sociale. Prospettive di indagine, 2004, ETS
• Alessandrini Giuditta, Pedagogia sociale, 2003, Carocci
• Gramigna Anita, Righetti Marco, Multimedialità e società complessa. Questioni e problemi di pedagogia sociale, 2001, Franco Angeli
CLUEB • Izzo Domenico, Manuale di pedagogia sociale, 2000,
• Tramma Sergio, Pedagogia sociale, 1999, Guerini e Associati
Classifica debiti dei principali paesi
PAESE DEBITO SU PIL IN % PIL IN T€ D E B MONETARIO EFFETTIVO STIMATO IN T€
I T O
Giappone 225,80 Saint Kitts e Nevis
5513,00 12.448,35
Libano 150,70 Zimbabwe Grecia 144,00 Islanda 123,80 Giamaica Italia 118,10 Singapore Belgio 98,00 Irlanda 94,20 Sudan 94,20
185,00 1,00 1,85 24,00 36,17
149,00 9,00 193,00 277,92
10,00 12,38 123,20 9,00 1583,00 1.869,52 102,40 179,00 401,00 392,98 178,00 167,68 38,00 35,80
13,41
11,09 183,30
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Sri Lanka Francia 83,50
Portogallo Egitto 80,50 Belize 80,00 Ungheria Germania Nicaragua Israele 77,00 Colombia Giordania Regno Unito Ghana 67,50 Malta 67,00 Austria 66,50 Costa d'Avorio Paesi Bassi Croazia61,00 Norvegia India 59,60 Filippine Uruguay Mauritius Malawi 58,00 Bhutan 57,80 El Salvador Albania 54,90 Marocco Kenya 54,10 Stati Uniti Cipro 52,40 Vietnam Spagna 50,00
32,95 98,18
86,70 38,00
2289,00 1.911,32
83,20 118,00
238,00 191,59
1,00 0,80
79,60 203,00
78,80 3069,00
78,00 7,00
157,00 120,89
72,30 183,00
69,90 19,00
68,50 1971,00
39,00 26,33
1,00 0,67
314,00 208,81
63,80 22,00
62,20 1311,00
71,00 43,31
60,20 241,00
1618,00 964,33
58,70 159,00
58,70 27,00
58,30 9,00
5,00 2,90
1,00 0,58
55,40 17,00
22,00 12,08
54,10 82,00
28,00 15,15
52,90 14596,00 7.721,28 1,00 0,52
52,30 1,00 0,52 962,00 481,00
161,59 2.418,37 5,46
132,31 13,28 1.350,14
14,04 815,44
145,08
93,33 15,85 5,25
9,42 44,36
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Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
Panamá Costa Rica
49,50 23,00 49,30 22,00 49,10 422,00 48,50 401,00 11,00 5,26 664,00 315,40
11,39 10,85 207,20 194,49
71,00 33,51
75,14 147,34 82,45
0,44
1,00 0,42 100,60 149,85
85,86 0,08 0,38 276,34 43,04 99,25
19,72
10,00 3,37
10,30 3,38
Argentina
Turchia
Malesia47,80
Polonia 47,50
Emirati Arabi
Tunisia 47,20
Brasile 46,80
Aruba 46,30
Colombia
Thailandia
Pakistan
Bolivia 44,00
Seychelles
Svezia 43,20
Canada 43,00
Repubblica Dominicana 41,50
Uniti 47,20 53,00 25,02 1154,00 540,07 0,50 0,23 46,10 163,00 45,90 321,00 45,30 182,00 18,00 7,92 43,90 1,00 437,00 188,78 1320,00 567,60
Finlandia
Svizzera
Yemen 39,60
Danimarca
Bangladesh
Montenegro
Messico
Slovacchia
Sudafrica
Cuba 34,80
Gabon 34,70
Slovenia
Papua Nuova Guinea 33,70 Taiwan 33,50 529,00 177,22 Repubblica Ceca 32,80
41,40 243,00 40,50 370,00 478,00 189,29 38,50 223,00 38,20 0,20 38,00 1,00 37,70 733,00 37,10 116,00 35,70 278,00 25,00 8,70 3,00 1,04 34,00 58,00
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Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
Guatemala Lettonia
32,70 35,00 32,50 44,00 32,40 17,00 91,00 29,39 27,00 8,56 11,00 3,47 105,00 32,87 31,30 11,00 30,10 71,00 411,00 123,30 29,80 463,00 29,30 103,00 28,00 892,00
11,45 14,30 5,51
3,44 21,37
137,97 30,18
249,76 22,00 5,87
2,61 5,70
3,16 4,32
13,79 65,37
8,08 50,60
36,28
1,34 154,75
48,33 1,61
Macedonia
Siria 32,30
Etiopia 31,70
Zambia 31,50
Serbia 31,30
Moldavia
Bahrain
Ucraina30,00
Indonesia
Nuova Zelanda
Corea del Sud
Trinidad e Tobago 26,70
Perù 26,10 Mozambico Tanzania Honduras Paraguay Senegal24,00 Lituania Arabia Saudita Ecuador Romania
Iran 19,40 Venezuela Uganda 19,30 Namibia Australia Cina 18,20 Hong Kong Botswana Nigeria 17,80
109,00 28,45 26,10 10,00 24,80 23,00 24,30 13,00 24,00 18,00 1,00 0,24 20,90 66,00 20,30 322,00 20,20 40,00 20,00 253,00 617,00 119,70 19,40 187,00 31,00 5,98 19,10 7,00 18,60 832,00 4221,00 768,22 18,10 267,00 17,90 9,00 6,00 1,07
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Le ragioni di una disfatta ignorata
2050 Fuga dall’Italia
@DonErman
Angola 16,80 20,00 Gibilterra 15,70 Bulgaria 14,70 Lussemburgo 14,50 Camerun 14,30 Kazakistan 14,00 Uzbekistan 11,70
3,36
1,00 0,16
86,00 12,64 1,00 0,15 28,00 4,00 164,00 22,96 73,00 8,54 17,33
14,31 3,74 2,18 14,20
Algeria
Cile
Kuwait
Estonia
Qatar
Russia
Libia
Wallis e Futuna Azerbaigian
Oman 2,80 Guinea Equatoriale
10,70 162,00 9,00 159,00 8,30 45,00 7,50 29,00 7,10 200,00
6,90 6,50
1996,00 137,72 94,00 6,11
1,10 DEBITO TOTALE DEGLI STATI
7,00 0,08
38.329,00
5,60
4,60
38,00 1,06
PIL TOTALE DEGLI STATI
DEBITO MEDIO SU PIL MEDIO
AZIENDA ITALIANA FL0,166666666666667
Apologia tribale
57.700,13 66,428% 1200 200
1,00 0,06 92,00 4,23
Rieducare alla famiglia creatrice del patrimonio, del matrimonio o dell’unione di fatto
Salomone: 19,14 La casa e il patrimonio si ereditano dai Padri.
La prima, unica, basilare cellula sociale ove l’individuo si confronta con il proprio compagno o compagna, è quella della famiglia.
Qui l’individuo crea e vive lo spazio dell’espressione dei propri
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman sentimenti e del proprio amore verso il proprio partner o la propria
compagna.
Il dialogo che nasce quotidianamente riempie i vuoti e risolve i dubbi dei componenti, per prendere le migliori decisioni che riguardano la propria vita e la propria economia domestica.
Presto il futuro della famiglia avviene come per incanto: l’annuncio di una nascita o la decisione di un’adozione solo la meta che i componenti quasi sempre vogliono raggiungere.
In una società complessa e mistificata come l’attuale i dialoghi sono più difficili rispetto al passato per via delle innumerevoli incertezze che la Governance internazionale ha regalato ai sudditi del pianeta attraverso l’abominio del monetarismo.
Noi ricordiamo i nostri genitori e magari i nostri nonni con i quali siamo cresciuti, abbiamo imparato, abbiamo appreso e abbiamo sbagliato maturando un “senso positivo” della Vita, e scoprendo come l’unità familiare sia riposta in una semplice, amabile parola: “dono”, puro piacere di donare tutto se stesso agli altri e ricevere in cambio un gesto innocente d’amore da coloro che ci stanno intorno.
L’amore familiare è un delicato “abbraccio di cuori” tra lo sguardo carico di luce d’una madre che allatta ed il figlio che riceve dono dalla sua prima donna, è la flebile carezza di un genitore, il dolce tocco di un fratello o di una sorella che rincuora la nostra originaria innocenza mentre ci godiamo la stagione più fresca dell’adolescenza: l’“età della spensieratezza”, in cui abbandonarsi incuranti alle spalle dei genitori.
La Famiglia è il primo sguardo rivolto al mondo sconosciuto dei sentimenti, fiume in piena da cui lasciarsi inerti trascinare.
Per anni non abbiamo avuto altra guida che la Famiglia che ci ha istruito, ci ha aiutato a trascrivere correttamente i giorni nel nostro diario, Nostra madre, nostro padre, non sono stati semplici personaggi del passato bensì i veri e prorpi protagonisti, le sole figure guida che ci abbiano incoraggiato, rimproverato, spiegato, corretto, consigliato, perché noi diventassimo buoni gestori della nostra vita.Crescita sociale e civile
Giunti alla soglia della maturità, sei tu, ormai cresciuto, a stringere l’una tua mano all’altra per darti il coraggio di superare gli ostacoli che ti si frapporranno lungo il cammino degli anni, avendo in mente quei materni, paterni consigli che sono stati per te “Scuola di Vita”.
Più s’avvicina il tempo in cui non avrai più posto nella Famiglia dove per lungo tempo si sono festeggiati i tuoi natali, più stringente cresce in te il “bisogno” di credere che l’avventura non possa qui concludersi: può sbocciare ancora una volta il “fiore della Famiglia”, la gemma d’una nuova unione di cui tu non sia più il frutto bensì il “seme”, un nuovo nucleo familiare in cui soddisfare il tuo bisogno d’affetto.
E’ lungo questo “percorso di coscienza” che ci rendiamo consapevoli di una immutabile verità: nell’itinere del nostro vivere, non si prospetta altra meta che il levarsi superbo di un nuovo sole: l’alba d’una nuova unione, l’unione tra l’uomo generoso che sa donare di sé anima e corpo e la
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
donna che sa guardare fin nel profondo degli occhi il proprio uomo e pronunciare per l’ennesima volta, senza timore, accompagnata da un interminabile “sospiro interiore”, due uniche, umili ma inconfondibili parole: “ti amo”.
Ora nasce e cresce irrefrenabile il “bisogno d’amare”, una spinta pungente, pressante che ha origine dall’organo vitale banalmente chiamato “cuore” ma che altro non è che la sede naturale del vero “Amore”.
Amare non è mera passione, abbandono corporale al puro piacere, attrazione fisica: l’amore tra due persone nasce dall’amicizia, dallo stare insieme, dall’indagare l’altro fin nel profondo, dallo spogliarlo con gli occhi del cuore dall’esteriore veste corporale per scoprirne le bellezze nascoste. E questo amore non può che suggellarsi in un’unione coniugale in cui gli amanti non abbiano alcun timore a proclamare, davanti alla soglia d’un altare, l’“eternità” del loro stare insieme: indissolubile relazione, reciproca donazione, abbandono al fascino di un “destino comune”!
Amarsi, legarsi nel vincolo della Famiglia, non significa “incatenare” le proprie libertà né “spersonalizzarsi” né, tantomeno, perdere la propria identità, bensì maturare, “incontrarsi senza rinnegarsi”, unione di spirito ed anima per giungere ad una comprensione più profonda di sé. E’ così che il vivere insieme, lo stringere un legame affettivo, consente all’uomo di godere della sola libertà a cui potere aspirare: la libertà di “essere” per se stessi e per gli altri!
L’uomo che vede ampliarsi l’orizzonte del proprio vivere in quello della propria donna, dei propri figli, della Famiglia, è l’uomo che si è reso “libero” dai propri limiti, guardando al di là, superando i confini di se stesso.
Al di fuori della Famiglia non si è che mendicanti, nomadi nel “deserto degli istinti”, senza orientamento né orizzonti verso cui mirare, in uno stato consapevole o incosciente di isolamento e solitudine che la Società di per sé non è in grado di compensare, perché questa trova senso e vigore proprio nella Famiglia: unità indissolubile, fondante, pietra miliare di ogni salda costruzione sociale.
La Società altro non è che una “sovrastruttura della Famiglia”, una volta di pietre destinata a collassare, a crollare su di sé se venisse rimossa anche una sola pietra su cui regge, se venisse meno la “centralità della Famiglia”, non potendo sostenere il peso di un uomo privo d’ogni riferimento.
La Famiglia “eleva” l’uomo. Si fonda su un rapporto naturale fra i sessi ma dà a tale unione un carattere “etico”, spirituale, in quanto favorisce una stabile relazione che si esplica nella procreazione e nell’educazione dei figli: l’uomo appaga così, nel senso d’amore per una donna, per i propri figli, quella necessità di sentirsi “essenziale” per qualcuno, una “pedina vitale” nel gioco della Vita.
In Famiglia si instaurano le giuste condizioni per cui due persone possano vivere liberamente il proprio amore e la propria sessualità, eternandoli con il frutto maturo dei propri figli: dall’armonia dei rapporti
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
familiari i figli stessi trarranno il bisogno, un giorno, di costituirsi parte d’una nuova Famiglia, portatori degli stessi principi e valori che i loro
genitori, se consapevoli dell’impegnativo compito di educazione a cui sono stati chiamati, avranno saputo radicare nelle loro coscienze: il rispetto per gli altri e per le diversità, la solidarietà, la generosità, il senso di giustizia, l’amore per le cose frutto d’un dono, e, sopra di tutto, l’“amore per la Vita”.
E’ così che i figli diverranno nuovi cittadini, membri attivi e vitali della Società: una Società che cresce al crescere della Famiglia, valorizzando l’importante funzione sociale ed il ruolo strategico svolto dalla stessa nel processo di crescita e formazione delle nuove generazioni.
La Famiglia acquista un ruolo centrale perché il processo di integrazione sociale del bambino e della bambina è segnato in gran parte dai primi legami affettivi vissuti in Famiglia, proprio per la specificità delle funzioni e delle competenze che la Famiglia assolve nel delicato passaggio dei bambini dalla dipendenza all’autonomia, dalla “casa” al “gruppo” alla “Società”, rafforzandone l’identità e la stabilità affettiva.
La Famiglia, indirettamente, diviene parte attiva di un orientamento culturale che tende a sviluppare il loro senso critico e a promuovere valori quali la condivisione o il rispetto delle diversità: è nella Famiglia che si creano le “fondamenta etiche” dell’edificio culturale di ogni bambino e bambina, ed è l’esempio di vita del proprio contesto familiare che avrà molta più presa sulla loro sensibilità di quanto non possano avere, negli anni, tanti “insegnamenti”.
Famiglie o convenienze amorali?
Eppure assistiamo, oggi, ad una generale perdita delle motivazioni e delle funzioni genitoriali, tale da rendere più problematico il compito educativo delle Famiglie.
Ciò non può addebitarsi alla molteplicità di forme familiari diffuse rispetto al passato: le convivenze civili (unioni di fatto, fino all’estremo delle unioni omosessuali), tangibili esempi di una Società in trasformazione, non rappresentano in sé necessariamente una degenerazione dei valori della Famiglia. La crescente affermazione di nuovi stili di vita familiare non deve fare paura se non è accompagnata dalla “relativizzazione” dei valori del sentimento e/o dello stare insieme.
Scegliere la convivenza, rifiutare di vivere l’esperienza di costruirsi una Famiglia nel senso “tradizionale” del termine (ossia come “Società
naturale fondata sul matrimonio” –religioso o civile-, secondo l’art. 29 della Costituzione italiana), non significa affatto disprezzare la Famiglia quando, alla base di essa, vi è comunque una solida scelta affettiva, una relazione sentimentalmente valida, un rapporto di amore e rispetto: questa sarebbe una scelta degradante se (e solo se) il rifiuto del matrimonio nascondesse la volontà di allontanarsi da ogni preciso “orizzonte etico” e comportasse una carenza d’ideali e l’incapacità di tramandare alle nuove generazioni dei modelli di unione non instabili e precari.
Ogni Famiglia, tradizionale o non convenzionale, riassume un valore in sé
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se stimola alla “responsabilizzazione”, non abdica alla assunzione delle proprie responsabilità, non rinuncia al coraggio delle proprie azioni, a
sapere convivere e condividere con gli altri esperienze sempre nuove: l’unione coniugale diviene, così, il modo con cui proiettare un modello di pace, equilibrio, serenità, “sana convivenza” nel più vasto scenario della comunità civile di cui si è parte.
Il matrimonio non va intesa come un’istituzione nell’accezione più formale o burocratica del termine: è una “scelta di vita”, un vincolo umano ed affettivo che unisce moglie e marito, un genitore con i propri figli. Perciò la Famiglia, benché trovi nobilissima espressione nelle unioni matrimoniali, non deve necessariamente ridursi ad esse ma può allargarsi a ricomprendere nuove forme di unione affettiva aventi in comune una base imprescindibile: l’Amore e la volontà di spendersi giorno per giorno per costruire una solida relazione.
Famiglia, in una parola, è “crescere”: crescere insieme, superare incomprensioni, affrontare con responsabilità i problemi, risolvere comuni difficoltà, nella certezza che solo uniti si possono affrontare le sfide della Vita.
Ancor di più in un Paese in cui incombe un processo di invecchiamento della popolazione, dovuto alla riduzione della natalità causata da un lato all'affermarsi dell'“individualismo” esasperato ed edonistico di una Società moderna che si impone sempre più come “atomistica” dall’altro alle ristrettezze economiche che hanno impoverito le Famiglie, si richiede di aprire la strada ad un orizzonte culturale che difenda e riconosca ogni forma di Famiglia quale “soggetto protagonista” delle scelte di crescita e di sviluppo della nostra Società, avente un ruolo primario, il che comporta, pragmaticamente:
1- un lavoro educativo straordinario delle Famiglie
2- uno sforzo formativo in più per la Scuola e la classe docente
3- una maggiora apertura e lungimiranza della Comunità Cattolica (delle Comunità religiose in genere) nel riconoscere un ruolo anche alle “nuove Famiglie”
4- un impegno maggiore della Politica:
a. nel prender atto dell’esistenza di nuove forme di relazione consolidatesi, che meritano un’attenzione normativa (il che vuol dire più “diritti e tutele”)
b. nell’accompagnare tale conquista civile con un serio impegno economico strutturale a sostegno dei giovani che intendano costruire una Famiglia e delle Famiglie già costituitesi che vogliano avere nuovi figli o garantire opportunità migliori ai figli già nati.
E’ nell’orizzonte della Famiglia che ognuno di noi trova il suo spazio, il giusto equilibrio, la pienezza di sé.
Riscopriamo insieme cosa significa e cosa ha significato per ognuno di noi la Famiglia: solo in questo modo capiremo che la Famiglia potrà dirsi “superata” solo nel momento in cui sarà l’uomo stesso ad apparire come
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qualcosa di inutile, anch’egli “superato”.
Bibliografia
Author Gaspare Serra
(rivisitazione di un elaborato scritto vincitore, nel maggio 2003, del Concorso “Famiglia e Libertà”, promosso dal Movimento per la vita di Partinico)
http://spaziolibero.blogattivo.com
Sviluppare agricoltura ed energia
Le vere ricchezze di un paese
Per millenni, l'agricoltura è stata il motore economico e il fulcro stesso della civiltà. La situazione è radicalmente cambiata negli ultimi secoli che hanno portato gradualmente l’agricoltura a diventare un'appendice un po' arretrata del mondo industriale. I prodotti agricoli sono oggi criticamente dipendenti dai combustibili fossili e dall'energia che se ne ricava per tutta una serie di esigenze che includono fertilizzanti, trasporto, refrigerazione, eccetera. Tuttavia, con i recenti aumenti dei prezzi dei combustibili e con le preoccupazioni crescenti riguardo alla loro disponibilità a lungo termine, si pone il problema di come gestire le necessità di energia del mondo agricolo mantenendo l'attuale produzione e il concetto stesso di mondo rurale. Si pone, ovvero, sempre di più la questione "sostenibilità."
Una possibile risposta è già stata data con il concetto di "agricoltura biologica" Tuttavia, sono possibili anche altre strategie complementari per sostenere l’agricoltura che si basano sulle energie rinnovabili. Le energie rinnovabili possono fornire energia per le attività agricole e, allo stesso tempo essere considerate un prodotto agricolo esse stesse, fornendo reddito per il mondo rurale. In questo senso, la produzione di energia elettrica da aree agricole rappresenta una nuova forma di agricoltura ("agri-energia") che si inserisce comunque nel concetto storico generale di "agricoltura" in termini socioeconomici, ovvero la produzione di beni economici su aree rurali che vengono poi esportati nelle città.
Il presente articolo espone il concetto di "agri-energia," ovvero la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico o altro) su terreni agricoli,
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Energia e agricoltura
Per millenni, l’economia umana è stata basata quasi esclusivamente sulle risorse agricole. Le cose sono radicalmente cambiate negli ultimi due
secoli, circa, quando il fulcro dell’economia si è spostato su un altro tipo di risorse: i combustibili fossili; prima il carbone e poi il petrolio e il gas naturale. La differenza fra un economia basata sull’agricoltura e un economia basata su risorse minerarie non è tanto una questione tecnologica quanto economica.
E’ noto che la curva di produzione di una risorsa minerale non riciclabile ha una forma “a campana,” [1-5] ovvero comincia con una fase di espansione, passa attraverso un picco (detto, a volte, “picco di Hubbert”) e poi declina fino a raggiungere zero. Questo comportamento è dovuto alla combinazione di fattori tecnologici e economici. In particolare, il graduale esaurimento delle risorse “facili” costringe gli operatori a investimenti sempre crescenti per accedere a risorse sempre più costose. A lungo andare, gli investimenti non sono più sostenibili e la produzione crolla.
In contrasto, l’andamento della produzione agricola ha, almeno in principio, la forma di una “s”. Ovvero, la produzione è basata sull’energia solare che non è esauribile e pertanto si stabilizza su un valore costante una volta che tutta la superficie disponibile è stata sfruttata. L’energia solare non è la sola risorsa necessaria per l’agricoltura; sono necessari anche humus e acqua. Queste due risorse sono anch’esse, in linea di principio, rinnovabile, ma a lungo andare possono risul tare un fattore limitante quando sono usate male (6,7). Tuttavia, è perlomeno una possibilità fisica per le società agricole il raggiungere uno stato stabile.
La figura seguente illustra le differenti caratteristiche dei due tipi di curve di produzione:
Nel breve termine, l’apparente abbondanza della produzione mineraria fa si che questa appaia preferibile all’approccio agricolo. A lungo andare, tuttavia, la ricchezza che deriva dalle risorse minerarie si rivela effimera. Molto dell’attuale dibattito sull’esaurimento dei combustibili fossili è centrato sulla data esatta del picco di produzione, che alcuni vedono entro il primo decennio del ventunesimo secolo (1-4) mentre altri lo post pongono a qualche decennio più tardi. Ma qualche decennio più o meno non fa grande differenza, come illustrato nella figura seguente illustra. Il picco per i combustibili fossili è diagrammato in scala nella figura secondo le proiezioni dell’associazione ASPO (www.peakoil.net)
Una soluzione spesso proposta per rimediare all’esaurimento dei combustibili fossili consiste nel sostituirle con altri combustibili fossili o comunque con altre risorse minerarie. Questo equivale a saltare da una curva a campana all’altra, sempre sperando che la nostra ingegnosità accoppiata con una buone dose di fortuna ci faccia trovare una nuova risorsa al momento giusto. Questo è stato possibile diverse volte nel passato, ma non è detto che sia sempre possibile. Esistono, è vero, delle risorse minerarie talmente abbondanti (p. es. la fusione dell’idrogeno) da
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poterle considerare infinite in pratica in confronto alle necessità prevedibili degli esseri umani, ma non è detto che la fusione nucleare si riveli tecnicamente e, soprattutto, economicamente possibile entro i tempi previsti per l’esaurimento dei combustibili fossili.
In questo lavoro, esamineremo un approccio diverso al problema, ovvero la possibilità di sostituire le risorse minerali con risorse di tipo agricolo. Esamineremo come sia possibile abbandonare la curva a campana dei combustibili fossili per rimpiazzarli con la produzione costante di risorse energetiche dall’agricoltura. Questo approccio viene chiamato qui “agri- energia.”
Secondo questo concetto, l’energia, e in particolare l’energia elettrica da fonti rinnovabili, viene considerata come un prodotto agricolo del tutto
equivalente ai tradizionali prodotti agricoli: fibre, derrate e simili. In questa visione, l’infrastruttura esistente per il trasporto di energia elettrica dalle centrali nelle città alle zone agricole viene utilizzata per trasportare nelle città l’energia elettrica prodotta nelle zone agricole. E’ una concezione che, in termini economici, ricalca quello che l’agricoltura ha fatto nei passati millenni: ovvero trasportare e vendere i prodotti agricoli nelle città. Inoltre, l’agricoltura che produce energia elettrica non richiede irrigazione ne fertilizzanti, non produce erosione o salinizzazione del terreno e perciò può essere utilizzata in aree marginali o inutilizzabili per l’agricoltura tradizionale.
Oltre a essere un supporto per l’agricoltura, questa strategia fornisce una logica economica agli impianti di energia rinnovabile che fino ad ora è mancata. Le rinnovabili sono state proposte come soluzioni per regioni remote o isolate, dove possono competere in termini di costi con i fossili, oppure come impianti su larga scala da collocarsi nei deserti equatoriali. Tuttavia, l’idea delle rinnovabili per aree isolate mostra forti limiti e i grandi impianti nei deserti non si concretizzano a causa degli enormi investimenti necessari. Inserendo la produzione di energia rinnovabile nell’ambito dell’agricoltura – come è già stato fatto in Danimarca e in Germania – otteniamo invece la possibilità di dare inizio a uno sviluppo che parte su piccola scala ma che ha un enorme potenzialità di espandersi fino a livelli significativi per la sostituzione delle energie fossili.
Ovviamente, la possibilità di utilizzare l’energia rinnovabile su grande scala in terreni agricoli dipende alcuni fattori critici, in particolare:
1. Cura del territorio: E’ possibile produrre abbastanza energia sui terreni agricoli senza competere con l’agricoltura tradizionale per il terreno da usarsi per la produzione alimentare?
2. Costo: Anche se considerata come un prodotto agricolo, l’energia elettrica da rinnovabili non risulterebbe comunque troppo costosa?
3. Opinione pubblica. E’ possibile che l’opinione pubblica accetti di destinare frazioni relativamente ampie di terreno agricolo per impianti per l’energia rinnovabile?
Vedremo nel seguito che la risposta a queste tre domande è, in principio, positiva e che il concetto di “agri-energia” ha un enorme potenziale sia
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per il sostegno all’agricoltura e al mondo rurale, sia per l’introduzione
delle energie rinnovabili nel mondo.
Cura del territorio
L’agricoltura è un esempio di tecnologia “solare diretta” nel senso che utilizza direttamente il flusso di energia solare che arriva sulla superficie terrestre. La biomassa prodotta dall’agricoltura può essere vista come una forma di energia che può essere utilizzata per sostenere il metabolismo umano oppure bruciata per fornire calore, trazione e energia elettrica. Altri metodi diretti recentemente sviluppati per trasformare l’energia solare in energia utilizzabile (in questo caso, energia elettrica) sono le celle fotovoltaiche e gli impianti solari a concentrazione (detti anche di tipo “solare termodinamico”). Esistono anche metodi che possiamo definire come “indiretti”, ovvero tutti quei metodi che sfruttano l’effetto di riscaldamento dell’energia solare sull’atmosfera o sugli oceani; fra questi l’energia eolica, idraulica e tutti i metodi basati sul moto ondoso o sulle correnti marine. Esistono anche tecnologie considerate rinnovabili che non sono basate sull’energia solare, per esempio l’energia geotermica o delle maree. Questi metodi potranno dare un importante contributo energetico nel futuro, ma non saranno considerati in questa sede.
Le necessità energetiche del genere umano nel futuro dipenderanno da fattori quali la popolazione e lo stile di vita. Qui non ci addentriamo nelle proiezioni di quello che potrebbe essere l’andamento della curva della popolazione umana nell’arco dei prossimi decenni. Ci limitiamo a notare che la maggioranza delle proiezioni indicano che l’ esplosione della popolazione osservata negli ultimi decenni potrebbe arrestarsi verso la metà del secolo ventunesimo su livelli non drammaticamente superiori a quelli attuali. La condizione di stabilizzazione della popolazione è essenziale per qualsiasi tentativo di sviluppare scenari che non finiscano in una tragedia planetaria. Questi dati sulla popolazione, per quanto incerti, indicano che la stabilizzazione potrebbe avvenire senza la necessità di interventi drastici oppure di guerre e di epidemie (senza peraltro escludere eventi del genere).
Possiamo dunque considerare la produzione attuale di energia come un “ordine di grandezza” ragionevole per una stima delle future necessità energetiche. Il parametro di produzione da considerare è quello denominato “Consumo totale finale” (TFC) che è, al momento attuale, 8.4x107GWh/anno (20). Questo valore non include la richiesta metabolica umana, che è comunque inferiore di oltre un fattore 10: 5x106 GWh/anno (21). La frazione del TFC in forma di energia elettrica è circa 1x107 GWh/anno. Gli stati che fanno parte dell’organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (OCSE) utilizzano il 53.5% dell’energia totale prodotta (20) con una popolazione che rappresenta il 17% del totale mondiale.
La quantità di energia solare che raggiunge la terra è di 1x1012 GWh/anno (16), un valore oltre 10.000 volte superiore al valore attuale del TFC. La frazione di questa energia che raggiunge la superficie continentale è circa
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3x1011 GWh/anno. In aggiunta a questi valori, possiamo stimare l’energia del vento generata dall’irradiazione solare come circa il 2% dell’energia
solare totale che arriva sulla terra, vale a dire circa 2x1010 GWh/anno (16). L’energia associata con il movimento globale delle acque sul pianeta è molto difficile da stimare ma è comunque un ammontare molto grande in confronto al TFC umano.
Questi dati sono elencati nella tavola seguente, insieme con altri due dati per comparazione: l’ammontare totale di biomassa prodotto ogni anno sul pianeta, circa 2x1011 tonnellate/anno, o 1x109 GWh/anno (21) e la richiesta metabolica umana totale (21).
Tipo di Energia
GWh/anno:
Richesta metabolica umana totale
Potenza elettrica mondiale generata
Totale consumo f inale di energia (TFC)
Ammontare totale di biomassa prodotta
Energia solare che arriva sulla superf icie emersa 2x1011 Energia solare che arriva sulla superf icie totale 1x1012
Tab. 1
La quantità di energia solare che arriva sulla terra è, evidentemente, molto abbondante rispetto alle necessità umane. La questione è se è possibile sfruttarla. La maggior parte delle tecnologie rinnovabili (fotovoltaico e energia eolica) trasformano l’energia solare in energia elettrica e pertanto possono essere utilizzate direttamente per rimpiazzare l’energia elettrica prodotta oggi in gran parte dai combustibili fossili. In generale, le rinnovabili possono anche essere utilizzate per produrre tutti gli altri tipi di energia in uso (trazione e calore), anche se la produzione di combustibile per la trazione non può essere ottenuta direttamente a partire da energia elettrica. Questa produzione richiederà o di partire dalla biomassa oppure utilizzare l’idrogeno, quest’ultima non ancora disponibile a livello commerciale. Nella pratica, per comparare i vari tipi di energia si può semplicemente assume che tutta l’energia prodotta sarà in forma di energia elettrica oppure che la si possa trasformare in energia elettrica (vedi per es ref. 15).
A partire da queste considerazioni, è possibile calcolare la frazione di
5x106 1x107 8x107 1x109
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area necessaria per generare energia mediante tecnologie rinnovabili. La radiazione solare in aree popolate del pianeta va da un minimo di ca. 900
kWh/m2/anno (p. Es. Europa del Nord) fino a valori dell’ordine di 2200 kWh/m2/anno nelle regioni subtropicali. Un valore medio approssimato si può prendere come circa 1500 kWh/m2/anno, oppure 1200 kWh/m2/ anno per le regioni OCSE.
I pannelli fotovoltaici commerciali hanno oggi un efficienza normalmente superiore al 10%. Sistemi sperimentali e sistemi a concentrazione hanno efficienze anche molto migliori. L’efficienza con la quale questi sistemi producono energia per l’utente finale con un’efficienza intorno al 5%-10%. In latitudini di media irradiazione (1200 kWh/m2/anno) l’utente finale può ricevere circa 60-120kWh/m2/anno. Come ordine di grandezza, il valore medio di 100 kWh/m2/anno si può considerare come ragionevole.
Nel caso delle tecnologie indirette, non si pò parlare di uso di area come nel caso del fotovoltaico. Le turbine eoliche devono essere distribuite a una certa distanza l’una dall’altra, ma la maggior parte del terreno occupato rimane disponibile per l’agricoltura. L’ “impronta” di una turbina eolica, ovvero l’area fisicamente occupata può essere stimata come circa un fattore circa 100 volte minore di quella utilizzata da pannelli fotovoltaici della stessa potenza.
Infine, la biomassa è relativamente inefficiente come tecnologia di conversione della radiazione solare. Il limite superiore dell’efficienza della fotosintesi è stimato come 6% da Tiezzi (21) e come 4.5% da Patzek (22). Nella pratica, l’efficienza di conversione delle piante è molto minore. Dai dati della tabella 1 si può calcolare che l’ “efficienza planetaria” della conversione è circa 0.1%. In certi casi, come per esempio per le foreste tropicali, alcuni studi riportano efficienze superiori all’1% (23) ma le coltivazioni umane hanno valori molto minori e spesso hanno bisogno di considerevoli apporti di energia fossile nella forma di fertilizzanti. Tenendo presente che l’energia solare trasformata in biomassa deve essere ulteriormente trasformata in energia elettrica per mezzo di una macchina termica, l’efficienza globale si può prendere come circa lo 0.1%.
Un ulteriore elemento da considerare è il “ritorno energetico” (Energy Payback Ratio, EPR) di una tecnologia rinnovabile, ovvero il rapporto fra la quantità di energia prodotta dall’impianto durante la sua vita utile e la quantità necessaria per costruirlo e manutenzionarlo. L’argomento è complesso e non verrà affrontato qui in dettaglio, basti dire che secondo i dati di letteratura (25-28) tutte le tecnologie rinnovabili hanno valori abbondantemente positivi del parametro EPR con l’eccezione di certi tipi di biomasse (p. Es. Etanolo, ref. 29) per i quali il valore, anche se positivo, è troppo basso per poter considerare la produzione conveniente dal punto di vista energetico.
L’ultimo parametro importante da considerare è la necessità di immagazzinare l’energia prodotta dagli impianti rinnovabili, che è spesso intermittente e difficilmente prevedibile. Al momento attuale, l’energia prodotta viene accomodata dalla rete di produzione generale che,
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secondo l’esperienza danese, riesce a gestirla fino a valori del 20% o anche superiori. Tuttavia, per una diffusione su larga scala delle
rinnovabili, sarà necessario utilizzare tecnologie di immagazzinamento. Esistono molti metodi di questo tipo, la maggior parte ancora allo stadio di ricerca e sviluppo. Per gli scopi della presente discussione, non è necessario entrare nei dettagli di questo soggetto dato che questi impianti non richiederanno comunque vaste aree.
Sulla base di questi dati, è possibile stimare l’area necessaria per i vari tipi di tecnologie per produrre un certo ammontare di energia.
Tecnologia
Efficienza di conversione (rapporto fra energia solare incidente e energia elettrica prodotta) Energia prodotta per area fisicamente occupata
per un’irradiazione solare di 1200 kWh/m2/anno (kWh/m2/year) Biomassa ~ 0.1% ~1
Solare diretto (fortovoltaico) 5%-10% ~ 100
Solare indiretto (eolico) n.a. ~ 10000 (solo in aree adatte)
I valori ottenuti possono essere utilizzati per stimare l’area necessaria per generare quantità di energia comparabili all’uso attuale. Secondo i dati disponibili (17, 18 e 29), l’area utilizzata per l’agricoltura sul pianeta e di circa 50 milioni di Km2. A partire da questo dato possiamo stimare quale frazione di questo territorio sarebbe necessaria per produrre 1) il valore attuale dell’energia elettrica prodotta e 2) il valore totale dell’energia consumata (TFC).
Area necessaria, percentuale del totale utilizzato per la produzione alimentare (50x106 Km2 )
Tecnologia Obiettivo 1
Energia equivalente all’attuale produzione mondiale di energia elettrica (1x107GWh/year)
Energia equivalente all’attuale TFC mondiale (8x107 GWh/year)
Tab 5
BIOMASSA 21% >100%
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SOLARE DIRETTO (Fotovoltaico o altro 0,20%
SOLARE INDIRETTO (eolico o altro) 0,00%
1,50% 0,03%
Questi valori sono, evidentemente, solo degli ordini di grandezza, ma
indicano comunque come la frazione di territorio necessaria per generare queste grandi quantità di energia sia nel complesso molto piccola rispetto all’uso del territorio per la produzione alimentare. Questo risultato è in accordo con altre stime riportate nella letteratura (e.g. 8-16). L’impatto dell’energia rinnovabile su larga scala sarebbe dunque molto inferiore a quello, per esempio, della degradazione del suolo causata dall’agricoltura intensiva e probabilmente anche inferiore alla frazione di area utilizzata oggi per strutture permanenti (30, 31). Si può notare anche come l’energia rinnovabile potrebbe produrre molto di più dell’attuale produzione da fossili senza peraltro richiedere frazioni di area tali da danneggiare la produzione alimentare.
Ritorno dell’investimento energetico
Stime dei costi dell’energia che un impianto da costruirsi potrà produrre sono comuni nella letteratura (p.es. refs. 8, 10). La procedura usata in queste stime consiste nel partire dalla vita totale stimata dell’impianto e tener conto 1) dei costi di costruzione e di manutenzione, 2) del costo del capitale impiegato e 3) (quando il caso) del costo del combustibile. Spesso, questo calcolo viene utilizzato per determinare un “tempo di ritorno economico” che è il tempo necessario per l’impianto per produrre un reddito pari al capitale investito. Al di là di questo tempo, l’impianto comincerà a produrre profitti. Secondo questi calcoli, gli impianti tradizionali a combustibili fossili producono normalmente dei ritorni economici più rapidi di quelli rinnovabili e – pertanto – sono ritenuti preferibili.
Nella pratica, questo tipo di valutazione può rivelarsi completamente sbagliato, specialmente a lungo termine. Per ottenere il tempo di ritorno economico, bisogna fare due assunzioni su come certe quantità varieranno nel futuro: una è a proposito dei tassi di sconto e del tasso di inflazione, l’altra è a proposito dei prezzi dei combustibili fossili. In entrambi i casi, siamo di fronte a enormi incertezze, specialmente per tempi che si stimano come dell’ordine dei 20-30 anni e anche superiori. I tassi di sconto e di inflazione hanno enormemente oscillato negli ultimi decenni. Mancano modelli realistici per stimare come i prezzi dei fossili potrebbero variare in funzione del progressivo esaurimento, ma ben pochi scommetterebbero sulla loro diminuzione!
Nella pratica, non possiamo sapere che cosa succederà ai mercati finanziari e ai prezzi delle risorse fra venti-trent’anni quindi tutti questi conti hanno un valore predittivo poco superiore a quello che si potrebbe ottenere leggendo il futuro nei fondi del caffè o per mezzo dell’oroscopo del Barbanera. Viceversa, possiamo ottenere dei dati utili esaminando il ritorno dell’impianto in termini energetici, piuttosto che monetari. L’energia è una grandezza fisica ed è (per fortuna) indipendente dalle
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follie dei mercati. Secondo tutti i dati disponibili, lungo il tempo di vita di un impianto rinnovabile si otterrà un ritorno energetico positivo in tempi
che vanno dai 2-3 anni (eolico) ai 5-10 anni (fotovoltaico) (15, 25-28). Dato che l’energia ha un valore economico, possiamo concludere che il ritorno economico dell’impianto non potrà altro che essere positivo a lungo termine. Quindi, le energie rinnovabili producono sempre un ritorno positivo del capitale investito. In aggiunta, si tratta di un ritorno sicuro: l’energia è la risorsa di base della società e si può sostenere con buona certezza che il mercato dell’energia offrirà sempre buoni ritorni economici.
Dato questo fatto, il problema diventa come attirare le risorse finanziarie necessarie per le energie rinnovabili. Nel mercato finanziario, le attività
sulle quali è possibile investire sono molto diversificate, come è ovvio che sia in qualsiasi mercato. Alcuni investimenti sono rischiosi e a breve termine, altri sono più sicuri e a lungo termine. L’investimento nell’energia rinnovabile si posiziona chiaramente come un investimento sicuro che da redditi a lungo termine. La preferenza per investimenti sicuri, seppure a lungo termine, è tipica del mondo agricolo. L’agricoltura non ha mai generato i rapidi ritorni economici che sono tipici – per esempio – dell’industria dei semiconduttori; tuttavia è anche chiaro che non possiamo mangiare il silicio. Il punto di vista agricolo e quello industriale sono, in effetti, diversi nelle loro premesse di fondo. Nel paradigma industriale, il capitale è fornito da investitori che si chiedono “come posso massimizzare la resa del capitale che posseggo?” L’agricoltore si chiede, invece, “Come posso massimizzare la resa della terra che posseggo?” Una volta che uno si pone questa domanda, la risposta è ovvia: la resa di un terreno si massimizza producendoci sopra dei prodotti. Può essere grano, vino o legname: quello che gli agricoltori hanno fatto nei millenni del passato. L’idea di produrre energia elettrica sul terreno (agri-energia) aggiunge semplicemente un ulteriore elemento di resa al terreno. Dunque, c’è una logica nell’investire nella produzione di “energia agricola”. E’ un investimento più lento, ma nettamente più sicuro di qualsiasi investimento in borsa o nel mercato dei futures.
Per il momento, non sembra che gli investitori abbiamo capito qual’è il vero potenziale del concetto di agri-energia. Molto di quello che si legge sulle varie riviste economiche e finanziarie (p. Es. 32) sembra considerare l’energia rinnovabile come un giocattolo per hippy degli anni ’70. A questo ha contribuito una certa ideologia che è stata appiccicata al concetto di energia rinnovabile, che viene spesso definita come “soft” (morbida) in contrasto con l’energia prodotta dai combustibili fossili che in qualche modo sarebbe “hard” (dura). Non è chiaro come l’utente possa sapere se l’energia elettrica che usa per il televisore o per la lavatrice sia da considerarsi “dura” o “morbida”; in ogni caso questo tipo di ragionamenti non sembrano avere molto successo con gli investitori istituzionali che pensano in termini di ritorni finanziari piuttosto che in termini di auto-realizzazione olistica.
Sembrerebbe, dunque, che l’energia rinnovabile sia stata posizionata in modo completamente sbagliato come prodotto sul quale investire. Su questo punto, il concetto di agri-energia può essere estremamente utile per riposizionare il concetto nel quadro di un’attività economica,
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l’agricoltura, che è nota per essere solida, affidabile e efficace a lungo termine. Abbondanti risorse finanziarie potrebbero essere messe a
disposizione per questo concetto una volta che diventasse noto e accettato da tutti. Queste risorse potrebbero arrivare sia dai capitali attualmente investiti in altre risorse, oppure da fondi attualmente diretti al sostegno dell’agricoltura convenzionale. Per esempio, i fondi per il programma di “Sviluppo Rurale” dell’Unione Europea nel periodo 2000-2006 ammontano a circa 50 miliardi di Euro. Di questi fondi, niente è previsto per la produzione di energia rinnovabile nel mondo rurale. Il documento che descrive il programma (33) non contiene neanche la parola “energia”; nonostante il fatto che nel documento ci sia una figura che mostra mulini a vento dell’ ‘800. Anche qui, il concetto che l’agricoltura tradizionale e il mondo rurale potrebbero trovare una sorgente di supporto mediante le energie rinnovabili potrebbe aprire canali di finanziamento finora non utilizzati per questo tipo di energie.
Ecologia energetica
In generale, sembrerebbe che l’opinione pubblica sia quasi sempre favorevole al concetto di energia rinnovabile in termini generali (vedi per
esempio il sondaggio di opinione riportato in 36). Tuttavia, quando si tratta di portare l’idea nella pratica e mettersi a costruire degli impianti, le cose possono cambiare radicalmente. Negli ultimi tempi, si è visto prendere forma un nettissimo movimento di opinione contro le energie rinnovabili. L’energia eolica viene opposta come visualmente “devastante” e viene accusata di fare strage di uccelli (vedi p.es.37). Gli impianti mini - idro sono accusati di uccidere i pesci (8) e il fotovoltaico di usare troppo spazio (p. Es. 39)
Sostanzialmente, questi atteggiamenti negativi si possono ridurre a due percezioni di fondo:
1. Le energie rinnovabili sono percepite come poco efficienti, ovvero non sono considerate come delle sorgenti di energia serie. Questo concetto porta all’opinione correlata che le risorse disponibili sarebbero spese meglio in misure per la conservazione energetica
Le energie rinnovabili sono viste come inquinanti, non nello stesso senso dei combustibili fossili, ma comunque inquinanti in termini visuali, di rumore, di danni all’ambiente, eccetera.
Queste due opinioni sono strettamente correlate fra loro. Certamente, il pubblico sarebbe molto più disposto ad accettare il rumore e la vista degli impianti rinnovabili se fosse veramente convinto che sono una seria alternativa ai combustibili fossili. Su questo punto, evidentemente la divulgazione del concetto è stata ancora insufficiente e l’ideologia “new age” associata alle rinnovabili le ha evidentemente danneggiate in termini di immagine.
Inoltre, l’emergenza di atteggiamenti negativi riguardo alle rinnovabili è spesso correlata a errori di tipo politico. Le comunità locali spesso si
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sentono invase dai produttori con le loro gigantesche torri eoliche. La gente ritiene, spesso correttamente, che il valore delle loro proprietà verrà ridotto dalla presenza nelle vicinanze di grandi e visibili impianti energetici.
Qui, il paradigma della “agri-energia” può avere un effetto positivo nel cambiare i termini del problema. Se l’energia rinnovabile è vista come un tipo di agricoltura, le torri eoliche e i pannelli fotovoltaici cessano di essere visti come giocattoli per hippy o macchine ammazza-uccelli, ma parte di un’attività economica ben nota e considerata positivamente. In particolare, l’impatto visuale dell’energia rinnovabile viene a essere molto ridotta se considerata in termini relativi all’impatto visuale dell’agricoltura stessa.
Agri energia
Il paradigma “agri-energetico” qui presentato è parte di una visione ben nota e accettata dell’agricoltura. E’ un concetto che va oltre la comune proposte che le rinnovabili dovrebbero trovare il loro sbocco iniziale in zone isolate o nei deserti equatoriali. Si tratta, viceversa, di operare secondo il modello agricolo tradizionale che vuole che i beni prodotti sui terreni agricoli vengano trasportati e venduti nelle città. Nel caso dell’ “agri-energia” il prodotto è energia elettrica da trasportarsi mediante la griglia esistente.
Secondo queste linee, l’energia rinnovabile è in grado di svilupparsi a velocità impressionante. Durante il decennio 1990-2000 la produzione di energia eolica nei paesi OCSE è aumentata al tasso medio del 22.4% all’anno, mentre quella da fotovoltaico del 28.9% (8, 35). Secondo i dati BP (34) la crescita dell’energia eolica a livello mondiale è stata del 29% dal 2001 al 2002, con la frazione di energia elettrica prodotta globalmente che è aumentata di quattro volte dal 1996 al 2002, per raggiungere il valore dello 0.4% del totale. In confronti, il tasso di crescita più alto osservato per la produzione di petrolio greggio è stato del 7% annuo dal 1930 al 1970 (1).
A un tasso di crescita del 20% annuo, partendo dallo 0.5% del totale, in 30 anni le rinnovabili potrebbero arrivare a produrre energia equivalente all’ammontare prodotto oggi dai combustibili fossili. Questa è, ovviamente, solo una stima di ordine di grandezza, ma mostra come le rinnovabili hanno il potenziale di rimpiazzare i combustibili fossili in tempi comparabili ai tempi stimati per il loro esaurimento. Non solo, ma hanno anche il potenziale di fornire un sostegno al mondo rurale che è oggi assolutamente necessario per mantenere in vita una tradizione e una cultura che tende a sparire.
Bibliografia Agri energetica
Ugo Bardi author Ugo Bardi
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman Dipartimento di Chimica, Università di Firenze
Polo Scientifico di Sesto Fiorentino,Via della Lastruccia 3, Sesto Fiorentino (Fi), Italy
ASPO (Association for the Study of Peak Oil), www.peakoil.net Bardi@unifi.it
Questo documento è una versione modificata dell’articolo pubblicato nei proceedings della conferenza “Renewables 2004” Evora, Portogallo. Appare on line a www.aspoitalia.net
Association for the Study of Peak Oil (ASPO) 2004, www.oilpeak.net
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Espropriare le scommesse per pareggiare il costo previdenziale
Naturalmente qui i proprietari di lottomatica e di sisal mi vorranno male. Ma anche gli amici iscritti alla Consob non dovrebbero fare eccezione alla regola perché anche loro, in realtà, non fanno altro che inventare scommesse tutto il giorno.
Ma in un paese dove la formula mafiosa previdenziale è ormai ineliminabile poiché culturalmente assimilata dalle masse, ed anzi divenuta ormai vera e propria droga sociale, rimane il problema di come pagare questa droga. Se infatti la gente ormai tira avanti nel proprio lavoro pur sfiduciati verso il lavoro stesso e le istituzioni, è perché punta il traguardo del pensionamento. E quando questo traguardo viene spostato improvvisamente dal governo un po più in là, diciamo di dieci anni.
E’ vero, c’era chi diceva : io non posso e resto a casa. Ma erano solo una minoranza e BV NM, ,4
La super classe dei managers
Alta classe sociale dei manager
Il manager deve appartenere necessariamente ad una delle prime classi sociali, in quanto classe trainante ed essenziale per l’economia di un paese.
Attenzione ponderata corre d’obbligo per definire chi e coloro appartenga alla classe del manager.
Manager non è solo capitano d’industria generica, di multinazionale, di azienda con molti dipendenti.
Manager è anche, se pur più in piccolo, il professionista che realizza un’opera, l’impresario che la esegue, il fornitore che la rifornisce
puntualmente, l’artigiano che ne crea le parti artistiche, decorative, e protettive, ed infine il privato stesso, costruttore in proprio, che ne cura l’avanzare dei lavori e ne sorveglia la corretta esecuzione.
Manager è anche il contadino che gestisce la propria fattoria e la porta alla produzione annuale.
Manager è anche il pastore e l’allevatore che cura le bestie e produce lana, latte e formaggio.
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Manager è chiunque, crei, curi, esegua e commercializzi una produzione
propria od altrui promuovendola su un sito internet.
Non conta la dimensione del suo operato, un manager è sempre un manager, ed è necessario alla società qualunque sia la sua dimensione, ed è abominevole voler eliminare i piccoli manager.
Per queste originarie ragioni, l’ordinamento italiano, come quello dei paesi occidentali, attribuisce alla funzione manageriale autonomia e discrezionalità operativa nella scelta della migliore strategia di governo dell’impresa.
Naturalmente, per il mercato borsistico, solo i grandi managers internazionali contano per riferire ai portatori di interessi interni ed esterni quali ad esempio i detentori delle stock options.
Per questa classe di managers è giusto analizzare dal punto di vista del diritto quelli che siano gli aspetti relativi all’etica di comportamento dei managers e alla loro maggiore responsabilità verso gli azionisti.
Non solo, quando i managers di aziende private quali ad esempio, piccole, medie o grandi imprese produttive o commerciali, ma anche
agenzie di rating, banche e finanziarie, ed anche enti pubblici come comuni e provincie, regioni e apparati statali, ministeri ed authorities si avvalgono di famose società di consulenza esterna, anch’esse rette e condotte da managers della consulenza ovvero “superconsulenti” del manager, allora ci si potrebbe porre il quesito: ma chi controlla questi i controllori della gestione globale? Una risposta avviene immediata: i più ricchi, ovvero le banche.
Ecco che con il controllo del rating globale le banche addivengono al controllo di fatto dell’intero sistema economico mondiale.
Consulenti e managers
Si istituisce l’autorità manageriale sotto il segno dell’indipendenza di giudizio nelle scelte di governo dell’impresa così come viene sancito dall’articolo 2380-bis del Codice Civile, secondo comma: “la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”. Alcune delle osservazioni immediatamente ascrivibili a tale norma potrebbero essere le seguenti:
Tale norma codifica un principio di autorità, di autonomia e indipendenza di giudizio che attribuisce agli amministratori, in via esclusiva, il potere di assumere le decisioni sulla conduzione dell’impresa ai fini del compimento dell’oggetto sociale, senza che vi sia alcuna interferenza da parte dell’assemblea degli azionisti nella sfera del potere gestorio.
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La volontà del legislatore di attribuire al management una sfera di non interferenza da condizionamenti esterni viene ribadita dall’art. 2409 septiesdecies che al primo comma recita: “La gestione dell’impresa spetta esclusivamente al consiglio di amministrazione”.
Ne consegue che gli articoli 2380-bis e 2409 septidecies del Codice Civile disegnano artificialmente uno spazio di discrezionalità che consente a chi dirige un’impresa di agire in piena libertà rispetto alla pretesa potenziale di chiunque (azionisti, dipendenti, fornitori) di interferire nella conduzione dell’azienda. Tali norme stabiliscono una linea di demarcazione fra tutti gli stakeholder, proprietà compresa, e il controllo.
La linea che istituisce uno spazio artificiale – un’area di libertà negativa in cui il manager è libero di decidere autonomamente la migliore strategia per perseguire l’oggetto sociale, senza subire né il condizionamento proprietario, né, tantomeno, quello degli altri stakeholder.
Un arbiter super partes, che ha la responsabilità di agire per il conseguimento delle finalità sociali, ma, nello stesso tempo, tale obbligo è vincolato ad una condizione di autonomia decisionale nella scelta di conduzione dell’impresa. Il dato giuridico conferma, dunque, che la discrezionalità manageriale è un dovere della professione e tale dovere è istituito con delle norme e, quindi, perciò stesso, pienamente legittimato ad operare.
Il diritto societario, dunque, per quanto attiene le grandi società, anche in forza della separazione dei compiti fra proprietà e controllo, legittima la discrezionalità manageriale e attribuisce, di conseguenza, al management l’iniziativa autonoma e i poteri decisionali su tutte le più importanti materie di governo dell’impresa (politiche salariali e previdenziali, distribuzione dei dividendi, occupazione, impiego delle risorse delle imprese, sistema di premi e punizioni, promozioni, trasferimenti, scelta dell’informazione da riportare all’assemblea degli azionisti).
In altre parole, il dovere di amministrare un’impresa per il raggiungimento dello scopo sociale implica il potere (esclusivo) di decidere in assoluta libertà. Ora, il potere di agire in piena libertà si accompagna all’obbligo della responsabilità, del rendere conto agli altri di ciò che si fa in piena autonomia e indipendenza di giudizio. Un carattere distintivo della professione manageriale, quindi, è esercizio di libertà e di autonomia, che è derivata dall’esclusività del compito di gestire l’impresa, secondo il dettato degli articoli citati del Codice Civile. Se i manager non avessero la possibilità di scegliere, non ci sarebbe neanche un dovere o una regola da osservare, ma soprattutto non potrebbero essere ritenuti responsabili per le scelte operate nella sfera del governo dell’impresa.
Agire in autonomia
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L’indipendenza dei managers implica, di conseguenza, l’impossibilità da parte degli amministratori di sgravarsi delle proprie responsabilità per le
decisioni assunte da loro stessi. Infatti, lo stesso codice attribuisce al management dell’impresa la responsabilità per i reati commessi per gli atti compiuti dagli stessi, come le false comunicazioni sociali, l’indebita ripartizione degli emolumenti, l’insider trading, l’aggiotaggio e tutti gli altri.
Il potere di decidere senza subire interferenze, è strettamente vincolato al dovere di responsabilità e quindi, di conseguenza, gli amministratori sono responsabili verso la società come persona giuridica, e in secondo luogo rispondono dei danni procurati ai creditori sociali, ai singoli soci o a terzi in genere. A tale riguardo, il diritto societario prevede che, nei confronti della società, i manager devono agire con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e rispondere (responsabilità contrattuale) per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto, anche senza una specifica prova della loro colpa nell’avere determinato il danno, ma solo per non avere fatto quanto potevano per evitarlo o per attenuarne le conseguenze dannose.
Nel caso dei creditori, dei soci e di altri soggetti terzi, la norma societaria prevede una sanzione di responsabilità dell’amministratore ma il provvedimento sanzionatorio è subordinato alla produzione della prova da parte dell’azionista ricorrente, il quale deve dimostrare che la decisione dell’amministratore (probatio diabolica) era lesiva dell’interesse sociale generale, irrazionale, adottata in presenza di un conflitto di interessi, illegale, fraudolenta o, infine, priva di “business purpose”.
In Italia, la questione della responsabilità manageriale, negli ultimi anni, è stata oggetto dell’attenzione del legislatore che ha adottato
provvedimenti, sia in termini normativi con il varo del D. lgs. 8 giugno 2001, n.231 che disciplina la responsabilità delle imprese per gli illeciti amministrativi commessi dai dirigenti per loro conto, sia in termini di Corporate Governance con la riforma del diritto societario varata con il D.lgs. 17 gennaio 2003 n.6 che ha ridisegnato l’organizzazione interna delle società per azioni italiane. In questa sede, il legislatore ha previsto che le imprese possono adottare un modello dualistico che, oltre ai manager esecutivi, istituisce la figura dei manager indipendenti (consiglio di sorveglianza) che hanno l’onere di controllare l’operato dei primi ai fini di prevenire reati di abuso manageriale.
In nessun caso, comunque tali provvedimenti hanno modificato il dettato degli artt.2380-bis e 2409, anzi la riforma del diritto societario, a differenza di quanto stabiliva l’ordinamento precedente, ha ampliato l’autonomia manageriale dall’azionariato, posto che:
lo statuto delle società per azioni non può riservare alcun atto di gestione all’assemblea;
gli amministratori non possono sottoporre ala stessa, neppure per un eventuale parere, atti di gestione.
Si può affermare, pertanto, che la riforma ha privilegiato una gestione non certo democratica dell’impresa, posto che ha allontanato gli azionisti
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dalla gestione, ma questo significa che il legislatore ritiene fondamentale l’autonomia decisionale dei manager pur mantenendo inalterato il divieto
assoluto per gli amministratori, a perseguire interessi diversi da quelli dei soci. Di conseguenza, la libertà negativa, ovvero l’area di non interferenza in cui il manager è padrone ed ha il pieno controllo, gli consente di operare scelte di conduzione d’impresa in assoluta indipendenza, senza che questo, tuttavia, comporti in termini di risultato finale, una modificazione dei fini dell’impresa.
De iure, il manager, dunque, ha il diritto a essere lasciato libero di agire, ma indipendentemente dalla sua personale adesione a una tavola di valori o a un’altra (stockholder value o stakeholder value), egli ha un dovere fiduciario verso gli azionisti, posto che il diritto societario italiano non consente di costituire una società per azioni per uno scopo diverso o dalla realizzazione di un utile da distribuire agli azionisti.
La libertà manageriale va quindi utilizzata sempre per il fine della remunerazione dei capitali investiti dai proprietari.
Per tale ragione, deve essere considerata nulla una clausola statutaria che stabilisce una partecipazione agli utili da parte dei dipendenti, dei fornitori, dei clienti e della comunità locale. Invece, non può essere considerata nulla la clausola che obbliga gli amministratori, nel rispetto dei vincoli di economicità di gestione, ad adottare scelte di conduzione dell’impresa per il perseguimento del massimo del profitto per i soci, ma solo se questi atti di governo non sono pregiudizievoli per gli interessi degli stakeholder.
Ad esempio, un manager non può danneggiare i consumatori immettendo nel mercato prodotti di scarsa qualità, ovvero senza osservare le norme in materia di igiene e di standard merceologici, al fine di diminuire i costi di gestione e quindi, così facendo, aumentare la redditività dell’impresa. Il problema dell’opportunismo
Come si può vedere, la discrezionalità manageriale implica un’indipendenza del giudizio nella conduzione d’impresa, riconosciuta dall’ordinamento giuridico in ragione dell’alto grado di complessità della funzione che si traduce in uno status di particolare ed esteso potere decisionale.
Tale potere, tuttavia, secondo alcuni può essere esercitato dai manager in modo opportunistico a scapito degli interessi della proprietà e degli altri stakeholder.
Se non vi sono dubbi sul fatto che la libertà sia connaturata alla funzione manageriale, non è così evidente che l’esercizio di tale libertà sia anche un presupposto o un fondamento per la moralità dell’agire.
E in effetti, piuttosto, sembrerebbe proprio il contrario e cioè che la libertà del manager può mettere in serio pericolo tutte le componenti aventi un interesse nell’impresa, con un conseguente effetto negativo sul piano della moralità.
L’invocazione, che viene da più parti, ad una maggiore capacità della legge di frenare l’opportunismo manageriale, è direttamente connessa
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all’assunto secondo il quale l’agire manageriale, in forza di questa libertà decisionale, può innescare problematiche di ordine sociale e morale che, per la loro rilevanza, non possono che essere ridimensionate verso una restrizione della libertà.
Ebbene, finora, il problema dell’opportunismo è stato visto sotto questo profilo e cioè come effetto della libertà decisionale e quindi dell’autorità del manager. E in effetti, secondo un’affermata letteratura di teoria dell’impresa e di legislazione, l’abuso manageriale è una conseguenza, un portato inevitabile, della discrezionalità manageriale.
Di conseguenza, gli sforzi sono stati rivolti alla ricerca di soluzioni per controllare al massimo grado possibile il potere dei manager.
In letteratura il problema dell’opportunismo manageriale è stato sollevato, negli anni trenta del secolo scorso, dall’indagine di A.Bearle e G.C. Means sulle 200 grandi corporation americane nella quale gli autori hanno sostenuto la tesi che il decadimento morale del management d’impresa non è altro che il frutto di un potere eccessivo (discrezionalità) dei dirigenti, derivante dalla separazione fra la proprietà e il controllo, determinatasi in seguito alla nascita delle società per azioni, che si è tradotto in una perdita di controllo degli azionisti sui consiglieri di amministrazione e sui manager tecnici.
Questa tesi, storicamente, costituisce il paradigma del capitalismo manageriale secondo il quale, nelle grandi società, ad esercitare il potere
sono una casta di tecnocrati (manager e consiglieri di amministrazione), che tiene il controllo nelle proprie mani fino al punto di mettere in pericolo il dettato della massimizzazione del profitto per gli azionisti, per perseguire obiettivi di status, di potere o di denaro a titolo personale.
L’indagine dà l’avvio ad una serie di studi, ricompresi nel filone managerialista, che successivamente portano alla formulazione della teoria dell’agenzia che definisce compiutamente il problema dell’abuso manageriale già prospettato nell’indagine di Bearle e Means.
L’alveo in cui si muove la agency theory è quello della “Contractual theory of the firm”, ovvero la teoria secondo la quale l’impresa è un fascio o un nesso di contratti – nexus of contracts.
La teoria dell’agenzia afferma, infatti, che vi è una relazione contrattuale, un rapporto di agenzia, tra il principal (il complesso degli azionisti) e l’agent (il manager).
Il principal per perseguire il proprio fine di massimizzare il valore dei propri averi, ha bisogno di avvalersi dell’opera dell’agent, il quale però non ha lo stesso interesse del principal, in quanto il manager ha anch’egli un interesse personale nell’impresa, ma questo interesse si pone come opposto e divergente rispetto a quello della proprietà.
L’interesse personale del manager, definito come “il problema d’agenzia”, determina anche dei costi che sono proporzionali all’ampiezza della delega e all’incapacità del principal di controllare l’operato dell’agent.
Tali costi di agenzia derivano, dunque, dalla divergenza d’interessi tra proprietà e controllo, e consistono nell’impegnare risorse economiche
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman dell’impresa per il monitoraggio del comportamento dell’agent, detti
“costi di controllo”.
Poi vi sono dei costi che derivano dall’attività dell’agent volti a dimostrare che il suo comportamento non è opportunistico, detti “costi di rassicurazione”.
Infine, vi sono altri costi residuali che non rientrano nelle due categorie precedenti derivanti da altri tipi di conflitto. Il problema dell’abuso delle
informazioni derivante dall’asimmetria informativa che si istituisce in forza della separazione tra proprietà e controllo è, oltre alla divergenza d’interessi, la seconda causa che determina l’insorgere dei costi di agenzia.
A tale riguardo la teoria dell’agenzia, sostiene che la posizione di potere di cui gode il manager, pone questo in una condizione di azzardo morale che è dato dalla possibilità che ha il manager (agent) di abusare moralmente del proprio ruolo, sfruttando la mancanza di informazioni del principal.
L’insorgenza morale in questo caso è data dal fatto che il manager, proprio perché dispone di una quota di informazione rilevante, può agire in modo opportunistico nei confronti dei titolari dell’impresa che, invece, siccome non possiedono adeguate informazioni, subiscono l’abuso di autorità manageriale.
Proprio per questo i contributi della teoria dell’agenzia sono stati mirati a trovare delle soluzioni per far collimare gli interessi dei manager a quelli dei proprietari, attraverso la messa in opera di sistemi di allineamento delle funzioni obiettivo di principal e agent, di cui i piani di stock options sono il tipico esempio. Il problema posto dalla teoria dell’agenzia è strettamente collegato al tema degli assetti proprietari, posto che dalla struttura proprietaria dipende la capacità operativa ed effettiva degli azionisti di controllare l’operato degli amministratori. All’aumento della separazione tra proprietà e controllo, corrisponde un proporzionale aumento di costi di agenzia.
Così nelle società a capitale diffuso, nelle quali è alta la separazione, secondo la tesi di Bearle e Means, i costi di agenzia risulteranno molto alti, di contro, nelle società a struttura proprietaria chiusa o ristretta, nelle quali gli azionisti riescono facilmente a tenere sotto controllo i dirigenti, i costi di agenzia sono molto bassi.
Il legame tra società e Impresa
Occorre dire che il diritto societario dei paesi occidentali riconosce validità alla teoria dell’agenzia e indirettamente anche alla tesi managerialista espressa dalla posizione storica di Bearle e Means, ritenendo che esiste u problema di agenzia, vale a dire un interesse
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
personale del management, che contrasta con l’interesse proprietario e che deriva dalla possibilità di abusare della sua posizione di autonomia per scopi opportunistici, sfruttando la carenza o la mancanza di informazioni della proprietà.
La conferma di tale riconoscimento è la legittimazione per via giuridica, dell’uso dei sistemi di allineamento di funzione obiettivo tra la proprietà e il management, vale a dire i piani di stock options.
Se ammettiamo quanto sopra possiamo derivarne le seguenti asserzioni:
il diritto societario attribuisce al manager una discrezionalità operativa nella conduzione dell’impresa consistente in uno spazio di non interferenza, di libertà negativa, in forza del quale egli può decidere autonomamente sulle materie oggetto del governo dell’organizzazione, come previste dagli artt. 2380-bis e 2409 septiesdecies del Codice Civile.
dal momento che, secondo la teoria dell’agenzia, tale discrezionalità può essere utilizzata dal manager per scopi opportunistici e autointeressati, è legittimo e moralmente giustificato attribuire ai manager delle compensazioni aggiuntive consistenti in stock options al fine di far collimare gli interessi degli azionisti con quelli dei manager.
Così accade che il diritto societario, riconoscendo validità alla teoria dell’agenzia, legittimi l’uso delle stock options in quanto questi incentivi mirano a far coincidere perfettamente l’interesse della proprietà con quello degli azionisti, limitando o annullando il potenziale opportunismo manageriale.
La giustificazione di tale legittimazione, quindi, non è specificamente economica, cioè relativa al diritto di ciascuno a guadagnare il massimo possibile dalla propria attività lavorativa nel rispetto delle leggi, ma precisamente morale, in quanto si ritiene che i piani di stock options, allineando le funzioni obiettivo degli azionisti e dei manager, diventano un antidoto, un vaccino che serve ad eliminare la divergenza di interessi tra la proprietà e il management, togliendo le spinte motivazionali all’opportunismo e all’avidità personale dei manager.
Costoro, secondo tale visione, senza tale barriera di protezione potrebbero tradire il compito di creare valore per gli azionisti, utilizzando la loro posizione e quindi il potere decisionale per scopi auto interessati.
Obbiettività manageriale
Il legislatore, integrando in norme le conclusioni della teoria dell’agenzia e indirettamente della tesi di Bearle e Means, riconosce una giustificazione di ordine morale all’incentivo, allo scopo di far collimare gli interessi della proprietà con quelli del management.
Secondo il diritto societario inoltre, il manager ha il compito esclusivo
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(vedi artt. 2380-bis e 2409 septidecies) di gestire l’impresa autonomamente (discrezionalità operativa) senza subire l’interferenza di altre componenti.
In primo luogo, tale discrezionalità prevista dagli articoli citati del Codice Civile, ma anche del Codice di Autodisciplina delle società quotate, di fatto, tuttavia, si misura con la reale, non legale, tenuta dell’area di libertà negativa in termini di permeabilità.
In altre parole, l’istituzione di uno spazio di libertà negativa legalmente stabilito (discrezionalità operativa), non si traduce, ipso facto, in reale facoltà di giudizio indipendente, in forza della quale il manager può svolgere il suo compito senza subire interferenze, anche se, legalmente potrebbe, anzi dovrebbe.
In realtà, la discrezionalità, seppur istituita in via di diritto, viene sistematicamente annullata o limitata di fatto, da forme di intromissione e di interferenza, altrettanto legali, che producono gravi distorsioni della funzione manageriale. Per tale ragione ritengo che l’avere integrato le conclusioni della teoria dell’agenzia nell’ordinamento societario, abbia dato luogo ad un cedimento delle norme sul piano morale, dato che persiste una contraddizione tra l’istanza della discrezionalità e quella dell’allineamento delle funzioni obiettivo tra proprietà e management.
Da una parte, il legislatore esige il compito esclusivo del governo dell’impresa in regime di non interferenza, tanto che ascrive le
corrispondenti responsabilità ai manager opportunisti nei riguardi di tutte le componenti e li declina in reati; dall’altra, la non interferenza viene annullata da un’altra norma che, per supposte ragioni morali, tende ad allineare gli interessi proprietari con quelli del management, attraverso gli incentivi economici.
A tale riguardo, ritengo impossibile e impensabile che il manager possa agire liberamente nelle scelte di governo dell’impresa se le sue scelte sono informate e dirette ad accrescere il valore dei titoli di cui è in possesso per il mezzo delle stock options.
Ogni volta che quel manager dovrà adottare decisioni e operare delle scelte, il suo agire sarà condizionato inesorabilmente dal calcolo circa il possibile esito di quell’atto per ciò che lo riguarda e, prima di ogni altra considerazione, ai fini della la sua convenienza personale.
Di conseguenza, nella decisione e nella scelta operata, interverrà un elemento di condizionamento che preclude la possibilità legale di agire in piena discrezionalità.
Tale incoerenza che permane sul piano della ratio legale, sarebbe tuttavia giustificata se l’area di non interferenza fosse sacrificata effettivamente per uno scopo morale.
Purtroppo, anche da un punto di vista morale, la saldatura di interessi tra proprietà e management, procurata a mezzo di incentivo economico, non si può giustificare moralmente per almeno due ragioni:
l’incentivo mette in scacco la libertà che è condizione essenziale di ogni agire morale e B) l’incentivo non agisce come una limitazione
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman dell’opportunismo manageriale, anzi lo istiga.
L’incentivo mette in scacco la libertà che è condizione essenziale di ogni agire morale Non si dà nessuna etica senza libertà, pertanto non possiamo aspettarci comportamenti etici dai manager d’impresa che liberi non sono, anche se è possibile l’accadere di un comportamento opportunistico in virtù della libertà. Se la libertà, dunque, è una condizione essenziale dell’agire morale, non è così evidente che vi sia una relazione di causa - effetto fra la libertà dell’agire e la moralità della decisione.
Berlin considera la libertà come la condizione essenziale dell’uomo, al di là da ogni applicazione in sede economica o etica, di teoria del mercato o di filosofia morale. Egli dice:
“Senza un minimo di libertà ogni scelta è esclusa e perciò non c’è possibilità di restare umani nel senso che attribuiamo a questa parola, ma può essere necessario mettere limiti alla libertà per fare spazio al benessere collettivo, per sfamare gli affamati, per vestire gli ignudi, per dare un alloggio ai senza tetto, per consentire agli altri di essere liberi, per non ostacolare la giustizia e l’equità”
Ma se la libertà per Berlin è costitutiva dell’essere umano, questo non significa che della libertà si possa fare un uso illimitato quando, per il suo esercizio, si mettono in pericolo i diritti essenziali delle persone.
Quindi il limite alla libertà è dato dalla legge che deve tracciare la linea oltre la quale, la libertà arreca danno a ciò che è giusto e punire giustamente coloro che oltrepassano quella linea.
Coerentemente con questo assunto, Berlin, infatti, pensa che:
“libertà ed uguaglianza sono tra gli scopi primari perseguiti per secoli dagli esseri umani; ma libertà totale per i lupi significa la morte per gli agnelli; una totale libertà dei potenti e dei capaci, non è compatibile col diritto che anche i deboli o i meno capaci hanno a una vita decente”.
La libertà totale è un pericolo per i deboli e i bisognosi, ma anche una libertà limitata, usata per commettere abusi contro la proprietà o gli stakeholder, può dare adito ad insorgenze morali nella sfera d’azione del management.
E’ un rischio senza alternative e bisogna correrlo. Senza la libertà l’agire non è etico, anche se per causa di una libertà male utilizzata, l’agire morale non è affatto scontato. E allora delle due l’una. O scelgo la libertà e potrò aspettarmi una modificazione dei comportamenti nel senso della moralità, oppure dovrò rinunciare alla libertà e con questa anche alla possibilità di avere comportamenti etici.
L’area della discrezionalità è istituita dalla legge e, pertanto, il manager, per assicurarsi uno spazio di autodeterminazione, non dovrebbe fare altro che respingere ogni intromissione da parte di altri in forza di una norma che gli riconosce una libertà “da”, nei confronti di tutte le altre componenti dell’impresa. Ma se il manager decide di non proteggere questa area di libertà dalle ingerenze esterne, la norma legale non considera ciò un reato e dunque non prevede alcuna sanzione o altro
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman tipo di provvedimento.
Questo significa che il manager ha la facoltà di avvalersi della libertà negativa nei confronti del resto del mondo, ma nel caso in cui dovesse rinunciare a tale facoltà e quindi rinunciare alla discrezionalità, il suo comportamento, comunque, non avrebbe alcuna rilevanza legale.
Così stando le cose, la perdita di discrezionalità non pone in essere questioni legali, ma certamente pone problemi morali di grande importanza.
Se la libertà di scelta viene completamente sacrificata alle ragioni di una parte e quindi se la discrezionalità viene perduta, i comportamenti che ne deriveranno non potranno essere conformi ad alcun principio morale, ma saranno piegati al soddisfacimento di interessi particolari che nel nostro caso fanno capo, per un verso, alla pretesa proprietaria di far collimare l’agire manageriale al paradigma della creazione di valore per gli azionisti, per un altro verso alla pretesa del manager di trarre profitto dalla quotazione delle azioni della società delle quali è in possesso per via delle stock options.
Detto altrimenti, se il manager è condizionato o influenzato per interesse, non può agire discrezionalmente e pertanto non può adottare neanche alcun comportamento di tipo morale.
Di contro, se il manager è indipendente da interessi particolari, compreso i suoi, l’area di discrezionalità prevista dall’art.2380-bis del C.C., è protetta e quindi agibile sul piano morale.
L’agire morale implica la volontarietà, ma questa volontarietà non può operare se non si è nelle condizioni per deliberare autonomamente.
Aristotele, nel libro terzo dell’Etica Nicomachea, ci dà un’analisi puntigliosa della questione, affermando che
“ la forza vizia la volontarietà dell’azione perché ciò che si può definire come volontario, è ciò il cui principio è in chi agisce”
Quindi ciò che ci costringe ad agire in un modo piuttosto che in un altro o che restringe il campo delle possibili alternative che potremmo seguire, influenza o annulla la nostra decisione, che non è più volontaria, cioè libera. Una volontà obbligata a scegliere qualcosa è in totale opposizione alla volontà di chi, se non fosse circoscritta o annullata, potrebbe scegliere di produrre corsi di azione più aderenti ai propri ideali pratici.
Su questo solco ancora Aristotele, parlando della deliberazione (proairesis), sostiene che
“ noi deliberiamo sulle cose che dipendono da noi e che sono realizzabili, ovvero non impossibili in quanto non possiamo scegliere per esempio di essere immortali, ma possiamo scegliere su tutto quello che dipende dalla nostra conoscenza e cioè che si genera per nostra causa“.
Gli incentivi annullano la moralità delle decisioni che si potrebbero generare da un manager libero che trova in se stesso, come la legge stabilisce, il principio del suo agire.
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Peraltro, una discrezionalità formale o legale, se non è resa effettiva dall’indipendenza del manager da interessi particolari, semplicemente si svuota di ogni contenuto e quindi, de facto, non è utilizzabile, con la conseguenza di vanificare i benefici per cui era stata pensata e istituita.
Per completezza, è d’uopo dire che le armi attraverso le quali la proprietà invade la sfera di libertà negativa, di cui legalmente dovrebbe godere il manager per condizionarne le scelte, non sono solo le stock options. Gli incentivi possono essere utilizzati singolarmente, ovvero alternati a seconda delle situazioni con altre forme di interferenza tra le quali si possono annoverare misure di incentivazione come le stock grants o i benefits non monetari (regali, viaggi, cure termali ecc.); o forme di tipo punitivo: declassamento, takeover, licenziamento.
Altresì, a monte di queste forme, riveste una grande importanza anche la modalità con la quale si procede generalmente all’elezione degli amministratori.
Come spesso succede nelle assemblee, il management di un’impresa è scelto ed eletto dal gruppo di controllo azionario, attraverso il sistema
delle deleghe. In questi casi, vi sono rischi più che fondati che il manager sia in balìa degli investitori e dei gruppi di controllo per quanto attiene alle scelte di dirigenza dell’impresa. In tale condizione, il gruppo d’interesse opera la scelta di eleggere al vertice di un’impresa un amministratore o un dirigente tecnico fedele che “dipende da” e che dunque, perciò stesso, non è “libero da”.
Tale visione delle cose è confermata da una notevole quantità di casi nei quali i manager, pur avendo la possibilità di operare in condizioni di libertà negativa nella sfera della discrezionalità, per obbedienza o per interesse, conformano le loro scelte ai desideri della cordata proprietaria, del patto di sindacato, cioè del gruppo di interesse che è in grado di eleggerlo come amministratore, o di blandirlo con cospicui incentivi, ma anche, al limite, di licenziarlo.
La libertà negativa in questo caso non si genera a causa di una mancanza di indipendenza del manager dall’interesse del gruppo elettore, che ha
sempre la possibilità di condizionarlo nella sua azione di direzione dell’impresa, con la conseguenza che in questa condizione non si costituisce un’area di libertà negativa perché, o per paura della punizione o per interesse personale, il dirigente subisce l’interferenza del dante causa della sua elezione.
Accade così che l’azione del manager viene intrappolata dalle pressioni che si presentano sotto forma di minacce e nel contempo di cospicui incentivi, di conseguenza, il movente che produce la decisione è pertanto imperativamente subordinato o alla volontà di neutralizzare le minacce o a quella di fruire al massimo grado degli incentivi e in entrambi i casi, comunque, in osservanza del diktat proprietario.
Il manager, in questo contesto, non è più un essere autonomo e indipendente, libero di scegliere e di decidere le strategie di governo dell’impresa, posto che la volontà proprietaria non si limita a valutare l’impegno e la capacità del manager per raggiungere il fine della
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
remunerazione del capitale, ma si estrinseca in una serrata pressione in itinere che atrofizza le scelte di governo dell’impresa, trasformando il dirigente d’impresa in un mero esecutore delle richieste che vengono dalla proprietà.
A questo punto, il risultato è che il manager non è più nelle condizioni di agire liberamente e questo significa che la sua decisione non è altro che la meccanica esecuzione di un atto che è stato voluto e deciso da altri. Le conseguenze di questo, sul piano morale, sono evidenti:
“senza libertà non è possibile una scelta morale”.
La volontà di far collimare gli interessi proprietari con quelli del management, secondo lo schema della teoria dell’agenzia, preclude la libertà ai manager che, per ciò stesso, di conseguenza, non possono agire moralmente, ma neanche legalmente giacché il dettato del Codice Civile che attribuisce in via esclusiva il compito di governo dell’impresa al management rimane lettera morta. Premiare i risultati
Negli ultimi anni Le stock options sono state offerte in quantità tali da diventare la principale voce dei compensi dei manager.
Non ci sono precedenti infatti in tutta la storia del capitalismo occidentale sulle enormi quantità di risorse che la proprietà ha messo in campo per governare l’impresa agendo con la sola leva dell’incentivo. Inoltre, se si considera che durante gli anni ‘90 il corso delle azioni è aumentato di 4-6 volte e in alcuni casi di 20-30 volte, si comprende come il meccanismo delle opzioni sulle azioni sia stato un possente incentivo per ottenere dai manager il perseguimento di strategie societarie concentrate sulla massimizzazione del valore delle azioni. Con questo sistema il compenso dei manager è stato legato al valore delle azioni fino ad arrivare all’assurdo che lo stipendio di un manager, in alcuni casi estremi, è di 1000 volte superiore al salario medio dei lavoratori al di sotto del livello di quadro.
Le ragioni che sottendono alla scelta della proprietà di offrire incentivi ai dirigenti, attengono all’esigenza di fidelizzare i comportamenti del management alla causa della creazione di valore per gli azionisti, ma ciò evidentemente, presume, come sostiene la teoria dell’agenzia, che il management, per ragioni di opportunismo, potrebbe adottare comportamenti auto - interessati e o divergenti, e che dunque non è “naturalmente” vocato a quella causa.
Il rimedio al problema, ossia l’enorme diffusione delle pratiche di incentivazione dello sforzo di direzione dell’impresa, dimostra che la proprietà riconosce l’esistenza di uno spazio di discrezionalità manageriale che genera indipendenza dall’interesse proprietario che va controllato o attraverso la punizione o attraverso l’incentivo.
Ciò che accade invece è che i manager hanno tutto l’interesse a fare crescere il valore delle azioni della società di cui possiedono i diritti di opzione, ma questo dato pone questioni etiche che confliggono decisamente con le intenzioni del legislatore italiano e della teoria dell’agenzia.
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
Pur di far crescere le azioni, infatti, i manager, in molti casi, hanno addirittura portato al fallimento le imprese dopo avere accumulato pesanti perdite e avere prodotto, a causa degli effetti reputazionali, enormi perdite di valore dei titoli.
Oppure le hanno costrette ad attuare programmi di licenziamento e di delocalizzazione della produzione.
Si pone dunque un problema morale di sicurezza e di tutela degli interessi degli azionisti e degli stakeholder, in quanto le esternalità sociali direttamente ascrivibili ai comportamenti opportunistici dei manager incentivati, hanno prodotto distruzione di valore economico e costi pubblici di grandi dimensioni e di devastante impatto, come si può facilmente evincere da recenti studi.
L’incentivo economico, se nelle intenzioni del legislatore che assume come valide le conclusioni della teoria dell’agenzia, doveva allineare le funzioni obiettivo della proprietà e del management, producendo un risultato sul piano morale, di fatto mostra la sua pericolosa inefficacia non solo nei confronti delle componenti non proprietarie, ma soprattutto, smentendo in ciò la teoria dell’agenzia, nei confronti della proprietà, posto che istiga il manager ad adottare pratiche di governo che mettono in pericolo gli interessi legittimi degli stessi azionisti.
Quindi l’annullamento dell’area di libertà manageriale per mezzo d’incentivo, di fatto, non può essere giustificata moralmente perché non
è a garanzia del patto di fedeltà tra la proprietà e il management, bensì è causa di una saldatura tra potere e denaro che muove contro gli interessi degli stessi azionisti e che quindi, moralmente non è giustificabile.Amoralità della coercizione
La giustificazione che offre la tesi di Bearle e Means ripresa dalla teoria dell’agenzia in ordine al problema morale dell’abuso di autorità manageriale, consiste nell’asserire che vi è una relazione causale tra posizione ricoperta dal manager e insorgenza morale.
Per cui è il potere (la posizione) del manager a consentirgli di abusare della carenza informativa del principal (gli azionisti) e così di produrre atti di gestione dell’impresa che non avrebbero potuto essere effettuati se non avesse ricoperto quella posizione.
Tale spiegazione, tuttavia, non dà ragione del perché si debba porre necessariamente una relazione diretta tra potere e cedimento morale.
Il potere di agire in modo opportunistico implica di per sé che il manager debba sporcarsi le mani?
A ben vedere non c’è alcuna ragione, non gratuita, del perché il manager debba agire opportunisticamente se il potere non è funzionale all’interesse.
Non è in discussione il fatto che tra chi gestisce il potere e chi ne subisce gli effetti, vi sia asimmetria informativa. E in effetti chi governa l’impresa dispone di una quota maggiore di informazione rilevante ai fini economici rispetto a chi ha messo i capitali, ma questo non basta a spiegare il motivo per cui, da uno squilibrio informativo, si debba
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In realtà, a mio giudizio, il problema morale che insorge non è dato dalla condizione di privilegio gerarchico e quindi dalla posizione, ma dalla forza che distorce la funzione di quella posizione, piegandola ad un interesse.
E’ vero che il valore di mercato delle azioni subisce variazioni in alto o in basso non solo per i cosiddetti “capricci” del mercato e quindi della
valutazione fatta sui titoli dal mercato stesso, ma anche per effetto delle decisioni che gli amministratori delle società hanno adottato in virtù della loro posizione, secondo lo schema del capitalismo manageriale, ma ciò non è sufficiente per inferire che gli stessi abbiano potuto effettuare operazioni moralmente eccepibili solo perché si trovavano nelle condizioni per farlo (la posizione).
Non è per nulla inconcepibile un manager apicale che adotta decisioni eque nei confronti di tutti gli azionisti, agendo in piena diligenza così come previsto dal codice, senza pregiudicare in alcun modo l’interesse dell’azionariato.
Quindi l’insorgenza morale non è data dalla posizione in cui si trova l’amministratore, ovvero dalla sua autorità che gli consente di disporre di informazioni rilevanti, ma dal fatto che questi ha un interesse preciso ad utilizzarle a proprio vantaggio o a vantaggio di coloro ai quali è legato (patto elettorale), e di condizionare l’esito delle transazioni, relegando l’azionista a cui non è legato, o il “resto del mondo” in una posizione di svantaggio.
In altri termini, il manager agisce in modo immorale e illegale perché lui stesso ha un interesse per farlo, e questo interesse è generato dal possesso di stock options o di altre forme compensative, cioè di incentivi, o per fedeltà al dante causa della sua nomina.
Questo significa che l’azzardo morale non si pone per il fatto di avere utilizzato nella transazione dei titoli la sua posizione di potere, ma per avere abusato di quella posizione in vista di un interesse suo o della cordata di cui è espressione all’interno del board of directors.
Se la discrezionalità operativa è stata manomessa da un interesse, perciò stesso la funzione dirigente è stata distorta e la distorsione non è dovuta alla divergenza di interessi o all’asimmetria informativa, quanto piuttosto alla mancanza di libertà negativa. Di conseguenza, la scelta del manager, in forza del possesso di stock options, non corrisponde all’esigenza morale perché viene appiattita sull’interesse personale.
Come si può vedere, il problema in questione mette in luce che il cedimento morale del management non è dovuto all’eccesso di discrezionalità, ma al contrario ad un deficit di libertà negativa, di non interferenza, cioè di indipendenza ed esclusività nella conduzione d’impresa in quanto è l’interesse personale, e specificatamente patrimoniale, che istiga all’utilizzo dell’asimmetria informativa per scopi opportunistici e quindi moralmente deprecabili. In particolare, la decisione del manager produce un corso di azione immorale a causa della dipendenza da un interesse patrimoniale che non fa parte della
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funzione dirigente, ma che viene artatamente generato e costituito in
forza dell’incentivo.
D’altra parte non si vede per quale ragione un manager dovrebbe commettere abusi, mettendo a rischio il proprio lavoro, l’integrità personale e la propria reputazione se non avesse un preciso interesse.
E dunque, il gioco di prestigio sui titoli non è esercizio di potere manageriale sic et sempliciter; sarebbe così se quel potere fosse
esercitato in piena libertà, ma di fatto la volontà che informa l’agire manageriale nei casi in cui è incentivato, è una volontà coatta dall’interesse di tipo patrimoniale che abdica al ruolo dirigenziale e si appiattisce alla logica di creazione del valore delle azioni di cui si è indirettamente proprietari, in virtù del possesso di diritti sui titoli dell’impresa.
In tale situazione, il manager non fa il suo dovere e quindi, non corrisponde al compito per cui è stato nominato, ovvero non dirige l’impresa in piena discrezionalità per il perseguimento dell’oggetto sociale.
Lo scopo del management è quello di creare valore e cioè profitti per gli azionisti, non per se stesso. Quindi il profitto personale del dirigente non può essere indicato tra i doveri e gli scopi della funzione dirigente che, invece, è quella di allocare le risorse dell’impresa per remunerare i capitali investiti, integrando i valori e le istanze che promanano dai rapporti con gli stakeholder e con l’ambiente secondo il dettato del green paper dell’Unione Europea.Il neo pseudo capitalismo
Le moderne architetture delle plance di comando, attraverso la pratica dell’incentivo son ben lungi dal produrre quella saldatura di interessi attesi dalla proprietà verso il management ed anzi, perviene ad una trasformazione della figura manageriale in un tipo di capitano di fatto irresponsabile, che spesso mette in pericolo gli assets degli stessi interessi proprietari.
L’incentivo anzi, tradendo l’intento per cui era stato erogato, acuisce la divergenza con gli interessi proprietari, procurando una trasformazione
della figura manageriale in un tipo di gestore agevolato, che mette in moto azioni spesso potenzialmente lesive degli interessi di tutti i portatori interni ed esterni, ma soprattutto della proprietà.
Quindi l’incentivo è il pericolo fondamentale per il rispetto dei diritti- pretesa delle componenti dell’impresa.
Il manager ha ricevuto autorità dalla proprietà, quale funzione delegata per condurre l’impresa e conseguire lo scopo di massimizzare la remunerazione degli investimenti conferiti in conto capitale. Di conseguenza, secondo la teoria dell’agenzia, lo stesso manager non può perseguire altri scopi che non rientrano nel dettato della delega.
Il manager, tuttavia, può utilizzare la sua autorità per raggiungere scopi non collimanti con quelli della proprietà e che, di fatto, sono in conflitto con la delega. L’autorità del management nel governo dell’impresa può, infatti, deflettere o divergere dall’interesse proprietario in quanto tale
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scopo non appartiene direttamente alla funzione manageriale che, per interesse personale, può sfruttare a proprio vantaggio l’asimmetria
informativa che si istituisce a causa della divisione dei compiti fra proprietà e controllo, con effetti di riduzione dei margini di surplus dovuto agli azionisti.
Come si vede, esiste una contrapposizione tra le pretese del management e quelle della proprietà, indipendentemente dal fatto che il management
è incentivato, e questa contrapposizione è data dalla naturale e strutturale presenza di un self interest uguale e contrario tra le due componenti.
Quindi è pacifico che fra le due componenti ci sono interessi in competizione e contrastanti facenti capo a valori e a pretese opposte,
tanto che la proprietà si muove per regolare e disciplinare i comportamenti dei manager attraverso le pratiche punitive, ma per lo più nella stragrande maggioranza dei casi, attraverso l’incentivo. In effetti, la modalità di invasione dell’area di non interferenza, attraverso il mezzo dell’incentivo, è quella che rispetto alle altre è la più diffusa perché non produce resistenze da parte dei destinatari. Non è pensabile un’azione di resistenza da parte del manager all’invasione dell’area attraverso l’incentivo, per le stesse ragioni per le quali sarebbe giustificabile in caso di punizione. In effetti l’incentivo, a differenza della punizione, si presenta sotto le forme attraenti di un bene, ammannito e gratuito, verso il quale il manager non ha motivo di assumere atteggiamenti difensivi per evitarlo, anzi cerca di ottenerne il massimo possibile. In tale mancata resistenza però, si consuma la caduta morale del manager che rinuncia alla sfera di libertà negativa in nome del guadagno personale. Nel caso dell’incentivo, quindi, il disegno della proprietà è quello di creare una perfetta coincidenza di fini tra le pretese di remunerazione del capitale e l’agire interessato del manager. Ma il risultato finale di un tale proponimento non è affatto scontato, anzi in molti casi, rispetto alle attese, è il perfetto contrario e ciò perché quella comunanza di interessi che si voleva creare ad hoc, dato che naturalmente o strutturalmente non esiste, non può neanche essere artatamente costruita attraverso una promessa di un guadagno, posto che l’averlo fatto ha prodotto un corto circuito nel sistema che ha messo in pericolo i fini dell’impresa e cioè la creazione di valore per gli azionisti. In questo contesto, insorge così il problema morale di proteggere la proprietà, dalla creatività avventuristica dei manager incentivati.
Se la proprietà offre incentivi al management allo scopo di avvicinare al proprio un interesse divergente, il risultato che si ottiene non è la convergenza dei due interessi, ma una trasformazione della funzione manageriale in una tipologia proprietaria che presenta alcune caratteristiche comuni a quella propriamente intesa (chi possiede i mezzi di produzione) in quanto mira come la prima al guadagno, ma che ha scopi differenti da quella, in quanto il fine dell’impresa inteso come creazione di valore per gli azionisti non viene perseguito in sé, ma solo funzionalmente e subordinatamente al proprio interesse, fino a mettere a rischiolastessaesistenzadell’impresa. Lacausadiquestocortocircuito è in capo agli incentivi che trasformano il potere manageriale costituito dalla sfera di non interferenza proprio della funzione dirigente, in un
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potere che viene esercitato in vista di un interesse proprietario di tipo patrimoniale, posto che riguarda solo il guadagno monetario e le utilità,
giacché per il resto questo potere non ha sufficienti ragioni per difendere il valore dell’impresa come tale e quindi subordina questo valore che appartiene ai molti stakeholder (dipendenti, fornitori, collettività) e stockholder (azionisti) al valore che così diventa soverchiante: l’utilità personale.
L’incentivo trasforma la figura manageriale in un proprietario, con un interesse uguale a quello proprietario: il guadagno, ma non alla stessa maniera in quanto il manager incentivato, pur avendo un interesse per il guadagno, non ha alcun interesse per la sorte dell’impresa, infatti, molte società sono state portate al fallimento mentre i manager percepivano compensi altissimi.
Al riguardo, secondo Guido Rossi, le stock options hanno alimentato l’epidemica moltiplicazione dei casi di conflitto d’interesse tra i dirigenti e tutti gli altri stakeholder, proprietà compresa tanto da sostenere che “Il caso più vistoso di conflitto di interesse è quello delle stock options, ovvero l’assegnazione come compenso ad amministratori e dirigenti di diritti di opzione sulle azioni della società in cui lavorano che possono essere vendute a scadenza.
Ora se l’interesse sociale dipende dalla quotazione in borsa - più la quotazione aumenta, attraverso manipolazioni di ogni tipo, più si tutela
l’interesse della società – salvo poi a vendere in proprio le azioni quando queste hanno raggiunto il massimo valore, magari subito prima del fallimento. Il diritto non può fare nulla e ancora più complicato è il discorso nelle società piramidali”.
Il risultato di questa dinamica è che la proprietà dell’impresa, se offre incentivi ai manager, toglie ad essi il potere di decidere in senso morale sulla conduzione dell’impresa scambiando questo potere con una promessa di guadagno.
Il corso d’azione che si genera, tuttavia, smentisce il disegno originario di fidelizzare il comportamento manageriale all’interesse proprietario.
Infatti, se il potere manageriale viene disciplinato con promesse di guadagno, tale potere si ribalta contro chi pensava di usarlo a suo vantaggio, vanificando il disegno di chi elargisce incentivi e così conta di disporre del potere manageriale per allinearlo alla causa proprietaria.
Infatti, i manager che non sono naturalmente “vocati” al dettato della massimizzazione del profitto per gli azionisti, quando sono istigati a farlo attraverso l’incentivo, creano un vulnus nel sistema perché mettono in atto comportamenti che vanno nella direzione opposta a quella voluta dalla proprietà, approfittando della posizione privilegiata che occupano nell’impresa. Non è un caso che le aziende americane, alle quali è stata fatta una completa radiografia dei bilanci da parte della magistratura, sono quelle in cui sono state messe in luce gravi irregolarità contabili che coinvolgono direttamente i top manager che percepivano enormi compensi.
L’indagine si è concentrata sulle aziende che sono passate sotto le
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istruttorie della S.E.C. (la Consob statunitense), del Dipartimento della Giustizia e di altre agenzie statali, e che hanno superato il miliardo di
dollari di capitalizzazione di mercato nel 2001: Adelphia, AOL Time Warner, Bristol Myers Squibb, CMS Energy, Duke Energy, Dynegy, El Paso, Enron, Global Crossing, Halliburton, Hanover Compressor, Homestore, Kmart, Lucent Technologies, Mirant, Network Associates, Peregrine Systems, PNC Financial Services, Reliant Energy, Qwest, Tyco, WorldCom, e Xerox.
I risultati confermano che l'operato di top manager e amministratori delegati - i CEO (Chief Executives Officier) - è stato mirato ad innalzare i livelli di guadagno personale fino al 70% in più, rispetto agli anni precedenti dal 1999 al 2001. Se nel 1982 il rapporto tra lo stipendio degli executives e quello dei lavoratori era di 41 a 1, le più recenti analisi registrano un gap dieci volte superiore. Per un dollaro guadagnato da un impiegato di livello quadro, il suo top manager ne percepisce 411.
A fronte di questo dato, mentre collettivamente i C.E.O. di queste società hanno intascato 1,4 miliardi di dollari nei tre anni, i piccoli azionisti, in
proprio o attraverso i fondi comuni, hanno accumulato perdite anch’esse molto oltre la media. Tra il primo gennaio del 2000 e il 21 luglio del 2002, infatti, i ricercatori hanno calcolato che il valore delle azioni è precipitato di 530 miliardi, circa il 73% del loro valore.
Nella stessa indagine sugli eccessi dei top manager americani, risulta che ancora più tremendo è stato l’effetto dei cedimenti etici dei manager sui dipendenti: dal gennaio 2001 i licenziati delle 23 ditte messe sotto indagine sono stati 162 mila.
Come si può vedere, l’irresponsabilità manageriale, sul fronte opposto, si riflette anche sugli interessi degli stakeholder, i quali sono fortemente
dipendenti dalle scelte manageriali, ma diametralmente opposte a quelle.
Nella valutazione di questi dati, la questione che
presente lavoro, è l’analisi e la comprensione
perdita di libertà negativa per mezzo di incentivo e la perdita di moralità nell’agire, determinato dall’avidità manageriale nella conduzione d’impresa.
La soluzione del problema non consiste nell’annullamento dell’interesse personale del manager, quanto, piuttosto, nel mantenere tale interesse separato da quello della proprietà, posto che l’averlo artatamente unito ha causato danni a quest’ultima.
Quindi la separazione delle sfere del potere e dell’interesse è la migliore cura che l’impresa possa fare per affrancarsi dall’opportunismo manageriale, che agisce sotto l’effetto “dopante” del meccanismo dell’incentivo che gli viene offerto dalla proprietà. In questa meccanica dazione, si coglie perfettamente una trasformazione dialettica della tesi nel suo contrario.
Ragion per cui, non è l’autonomia - l’autorità - il potere e quindi la discrezionalità in sé a produrre la debacle morale e sociale dei manager negli scandali delle grandi corporation a cui abbiamo assistito negli ultimi
accampano pretese
interessa, ai fini del della relazione tra la
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anni, ma è piuttosto il mix fra questa autorità e l’uso sconsiderato delle pratiche di incentivo da parte della proprietà per fidelizzare il
management al paradigma della creazione di valore per gli azionisti, che ha trasformato tutta una classe di dirigenti in classe proprietaria irresponsabile.
Per un altro verso, il nesso tra la remunerazione incentivante dei manager e i risultati aziendali è una pura illusione che contrasta con la realtà delle
cose, dal momento che una maggiorazione esponenziale dei compensi agli amministratori negli ultimi anni non ha portato ad una maggiore creazione di valore per gli azionisti, ma nella maggioranza dei casi ha messo in serio pericolo la solidità finanziaria delle società o addirittura ne ha provocato la fine.
Come già detto, la teoria dell’agenzia, in via teorica, assume che le stock options e le stock grants siano solo un mezzo per allineare gli interessi dei manager a quelli degli azionisti e quindi per creare una coincidenza di interessi fra la parte proprietaria dell’impresa e chi detiene le leve di comando della stessa.
Nella realtà però, come i dati ci dimostrano, succede che gli incentivi diventano innanzitutto delle sovracompensazioni che istigano i manager a gonfiare il più possibile il corso delle azioni, quindi a occultare perdite o a far apparire profitti inesistenti, anche con la complicità a pagamento degli analisi e dei revisori contabili, proprio perché egli possa realizzare la promessa di guadagno legata al valore delle azioni.
Ma anche in caso di perdite rilevanti di valore delle azioni, i top manager hanno la possibilità di lucrare abbassando liberamente il prezzo delle azioni e operando di conseguenza operazioni di acquisto e vendita delle stesse, in vista dei propri guadagni e non per gli interessi generali dell’impresa.
Su questo solco, il giudizio dei senatori americani sullo scandalo Enron non lascia dubbi:
“Il consiglio di amministrazione di Enron non è riuscito a proteggere gli azionisti e ha contribuito al collasso della settima più grande public
company degli stati uniti permettendo che Enron adottasse contabilità azzardate e scorrette, realizzasse operazioni inadeguate in palese conflitto di interesse su importanti attività rimaste occulte alle scritture sociali versando altresì compensi eccessivi ad amministratori e dirigenti. Il consiglio ha infine deliberatamente ignorato qualunque prova, a danno degli azionisti, dei dipendenti e di tutti coloro che erano in rapporto con la Enron”
Nello stesso rapporto del senato americano si dice che il consiglio di amministrazione deliberando compensi smodati per loro stessi e per i manager esecutivi (265 milioni di dollari nel 2000), hanno compromesso i dividendi degli azionisti ed hanno consentito al C.E.O. Kenneth Lay, di ottenere 140 milioni di dollari di compenso di cui 123 milioni in stock options, mentre la Enron era in già in crisi finanziaria.
Le stock options, dunque, hanno spinto i manager a comportarsi in modo contrario al disegno per cui quegli incentivi erano stati creati. E cioè
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hanno stimolato la “creatività” manageriale ad adottare comportamenti discutibili o illegali per gonfiare artificialmente il valore dei titoli e quindi
i loro compensi. Per realizzare tali propositi essi hanno dovuto offrire consulenze ben pagate alle società di revisione e agli analisti di bilancio che invece di accertare e certificare la correttezza dei bilanci, hanno chiuso gli occhi sui buchi provocati dalla volontà manageriale di coprire le difficoltà contabili. Un caso emblematico è quello della Arthur Andersen, la società di revisione più gloriosa del mondo, che ha certificato come “corretti” comportamenti manageriali lesivi nei confronti degli azionisti ed ha consentito loro di continuare a lucrare sui compensi. Al momento, dopo lo scandalo, detta società è sul banco degli imputati insieme ai manager di Enron. A questo si aggiunge la risposta del mercato al cedimento etico della Arthur Andersen che dopo la diffusione della notizia sulla sua complicità negli scandali, viene cancellata dalla Borsa prima ancora che il magistrato possa muoverle causa e ciò in ragione di una sanzione da parte degli investitori. Per inciso, in questo caso, c’è stata una sanzione reputazionale del mercato così drastica perché, evidentemente, l’investitore ha ritenuto che la violazione della Arthur Andersen della norma di trasparenza e di verità sui bilanci per coprire i trucchi dei manager di Enron e poi di Worldcom, sia stata imperdonabile.
Dopo i grandi scandali negli Stati Uniti, molte imprese hanno preso decisioni che confermano l’inadeguatezza e la pericolosità delle stock options come strumento di fidelizzazione dei manager agli interessi proprietari.Libertà negativa
L’agire morale nella sfera dell’agire manageriale è osservabile solo se si protegge lo spazio di libertà negativa istituito, ma non protetto, dal
Codice Civile. Il dovere manageriale è quello di agire in regime di libertà negativa, e quindi, coerentemente con le norme societarie, in piena discrezionalità e indipendenza da interessi particolari. Ma se l’agire manageriale, secondo la tesi della libertà negativa, deve essere un agire in regime di libertà e indipendenza, ogni interferenza a mezzo incentivo nei confronti di questo dovere produce una distorsione della funzione dirigente che diventa parte interessata al guadagno. Questa distorsione che diventa elemento portante dell’apparato motivazionale dell’agire del manager che concentra e finalizza ogni atto per remunerare i titoli di cui è proprietario. Di conseguenza, come ho spiegato, il manager mette in pericolo il possesso dei mezzi di produzione della proprietà poiché agisce con interesse uguale e contrario a quello proprietario: la remunerazione del capitale posseduto, un interesse di ordine patrimoniale derivante dal possesso di titoli o di diritti sugli stessi. A questo punto, l’insorgenza morale paventata nell’indagine di Bearle e Means e poi ripresa dall’agency theory, ha una spiegazione razionale non nell’eccesso di discrezionalità manageriale, ma, al contrario, in una privazione di discrezionalità che viene manomessa dall’invasione dell’interesse monetario nella sfera di amministrazione dell’impresa. Si può affermare, dunque, che l’incentivo economico opera una trasformazione dell’agire manageriale che, in assenza di discrezionalità e indipendenza da interessi di parte, diventa un agire di tipo patrimoniale, snaturando completamente la funzione dirigente che ha l’unico scopo di
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perseguire il fine sociale dell’impresa. Inoltre, l’agire nella condizione di manager-proprietari, esclude la possibilità di agire eticamente per gli
stakeholder, posto che l’appiattimento alla causa del guadagno personale non può che considerare in sub-ordine le istanze connesse con i diritti e i valori delle altre componenti nel senso della responsabilità sociale delle imprese. Ne consegue che se il problema morale è l’opportunismo del management, occorrerebbe eliminare le cause che lo producono e cioè gli incentivi che peraltro, come abbiamo visto, sono abnormi. Purtroppo la legge finora ha considerato valide le conclusioni della teoria dell’agenzia e di conseguenza non ha vietato ai manager di percepire incentivi, ma questo ha comportato la mancata protezione dell’area di libertà negativa che si istituisce con gli artt.2380-bis e 2409 septiesdecies del Codice Civile. Ragion per cui il problema potrebbe essere risolto in via di autoregolazione e cioè di etica degli affari. L’opportunismo manageriale, secondo la tesi della libertà negativa, pertanto è causato dalla stessa proprietà che, attraverso l’incentivo, mette in scacco lo spazio della discrezionalità manageriale in cambio di una promessa di guadagno, giacché questa produce un svuotamento, di fatto, dell’area di non interferenza generantesi dal dettato del Codice Civile che attribuisce il compito della gestione della società, esclusivamente alla dirigenza.
Se i manager agissero infatti in un’area di libertà negativa protetta dall’ingerenza dell’incentivo, verrebbe meno anche l’interesse monetario
di costoro e quindi non potrebbero mettere in pericolo gli interessi proprietari. Di contro, i manager incentivati per ogni atto di gestione dell’impresa dovranno operare una valutazione di convenienza personale connessa al possesso di incentivi.
Così ogni volta che dovranno decidere e operare delle scelte, non potranno fare a meno di chiedersi se quella scelta è conveniente per loro oppure no. Concordemente con tale assunto, Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat negli anni ‘80 e ’90, sostiene che:
”le stock options non sono uno strumento valido, non hanno funzionato, nè in Italia nè altrove e addirittura possono essere considerate tra le cause della crisi del capitalismo”.
E ancora
“ Il mio atteggiamento è sempre stato critico tant’è che non ho mai voluto accettare stock options nei miei 25 anni di lavoro in Fiat. Ho sempre considerato che avendo in quel momento un gran potere non potevo farmi suggestionare nelle decisioni dalle stock options. A volte nella vita di un’azienda si devono prendere decisioni che hanno effetto nel medio- lungo periodo mentre e opzioni sono più spesso legate a piani industriali di breve periodo. In questo modo si finisce per snaturare la vita della società.
Penso che sia più giusto dare un riconoscimento al lavoro del management sotto altre forme”.
La distorsione della figura manageriale sta proprio in questo divenire parte interessata al guadagno, cioè una specie di proprietà. I manager non sono proprietari e non devono esserlo, ma quando vengono
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incentivati dalla proprietà con le stock options, vengono istigati ad agire come se lo fossero. Purtroppo il management, agendo con la stessa
spinta motivazionale della proprietà, si pone in concorrenza a questa e ciò accade perché l’incentivo trasforma la figura manageriale in un particolare tipo di proprietà che ha un interesse uguale e contrario a quello proprietario. Di conseguenza, la dimensione del potere o della discrezionalità dei dirigenti non essendo disgiunta dall’interesse personale, crea un mix di interesse e potere che produce un vulnus prima di tutto sui diritti-pretesa della stessa proprietà. Se invece, il potere fosse separato dall’interesse, si creerebbe una zona di libertà negativa, prevista già dagli artt.2380-bis e 2409 septiesdecies, che ha come risultato tangibile una distanza tra la funzione dirigente e l’interesse proprietario, la quale si tradurrebbe in una protezione degli interessi proprietari dalle bieche pratiche opportunistiche del management, ma soprattutto in un aumento del valore economico dell’impresa. A tale proposito Peter Wallison, Senior Fellow dell’America Enterprise Institute, così scrive in un recentissimo articolo:
“The corporate form developed because, by centralizing authority to use capital in a board of directors, distinct from the shareholders, it promoted the creation of economic value”.
La tesi di Wallison è che l’impresa si è sviluppata ed ha creato valore economico perché ha centralizzato l’autorità di governo dell’impresa e le
scelte, sull’impiego del capitale sociale in un consiglio di amministrazione, distinto dall’assemblea dei soci. Il fondamento della posizione che vede nella libertà negativa il presupposto e la conditio sine qua non per migliorare l’agire morale dei manager d’impresa, sta proprio nella separazione delle sfere dell’interesse e del potere. Se la proprietà tiene chiusa la borsa degli incentivi e offre al manager una retribuzione congrua al ruolo e alle responsabilità, senza ulteriori forme di compensazione dello sforzo, mette al sicuro anche la sua sfera di libertà negativa e cioè l’area di non interferenza che si genera dal diritto di proprietà e cioè dalla libertà di non subire interferenza da parte di un management opportunista e autointeressato sulle giuste pretese degli azionisti alla remunerazione del capitale investito.
Stando così le cose, ne consegue che la discrezionalità e dunque il potere dei manager costituiscono un reale pericolo per gli interessi proprietari solo se sono intrecciati all’interesse personale dei dirigenti attraverso la pratica dell’incentivo. S
e invece separiamo la sfera del comando o del potere o della discrezionalità, dalla sfera dell’interesse abbiamo che la discrezionalità (libertà negativa) non solo non costituisce un’emergenza morale, ma al contrario, rendendo effettiva la separazione netta tra il management e la proprietà sul piano degli interessi, si pone come l’unica garanzia possibile di moralità dell’agire manageriale sia verso la proprietà, sia verso il “resto del mondo”.
Da un canto l’agire dei manager infatti, come già mostrato, non confligge con l’interesse della proprietà alla remunerazione degli investimenti. Da un altro canto, la libertà manageriale ha una qualità morale, quale garante
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delle pretese valoriali di tutte le parti in campo (stakeholder), proprio perché non è legata all’interesse proprietario, ma è mossa solo dal dovere
di perseguire l’oggetto sociale, il che mette il manager in condizioni di potere svolgere un ruolo di equilibrio e di mediazione per la considerazione equa di tutti gli interessi in campo.
In sostanza, la libertà dall’interesse economico del manager produce risultati morali sia per la proprietà sia per gli stakeholder in quanto
fornisce alla figura manageriale uno spazio di operatività, una zona di arbitralità, per trovare una mediazione tra l’istanza proprietaria e quella del “resto del mondo”. A tale riguardo ritengo che solo un manager libero da interferenze possa esprimere un dovere fiduciario verso la totalità della società e non solo verso gli azionisti, se riteniamo che gli interessi degli stakeholder abbiano diritto ad una qualche cittadinanza all’interno dell’impresa. In proposito, vedrei con favore la promozione di studi e ricerche per tentare un approccio normativo alla teoria degli stakeholder basato sulla libertà negativa.
Epilogo
La crisi mondiale del sistema capitalistico fondato sulla dominanza monetaria, ci conferma e ci dimostra l’unica vera legge dell’economia, che resta ineluttabile, e inconfutabile: un sistema speculativo, sanzionistico, iper fiscale, espropriativo, ma principalmente basato sulla remunerazione abnorme del montante monetario dato in prestito anziché messo a disposizione istantaneamente per ogni progetto di attività economica lecito, opportuno ed approvabile d’ufficio, produce necessità di aumentare i volumi della speculazione a dismisura, sino ad inventare sempre nuovi sistemi di scommesse borsistiche, valutarie e cripto numerarie, la cui remunerazione crescente non farà che impoverire maggiormente l’intero sistema economico, ecologico con massima penalizzazione della considerazione umanistica dell’individuo.
La fissazione di un sistema di rito minimo universale per ogni individuo, è il punto di partenza per togliere le persone dai problemi di stress, maltrattamento familiare, e crisi lavorative, e impoverimento inevitabile della qualità della vita complessiva.
Il sistema economico così supportato per legge, vedrà la fine della necessità dei conflitti mondiali, generati dalle esigenze speculative energetiche e alimentari degli stati.
L’unico metro di equivalenza economica dei valori numerari o valutari di scambio, sarà unicamente il costo di lavoro equivalente a produrre
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman prestazioni e prodotti, secondo parametri di qualità e sicurezza standard,
nella completa tutela dei diritti del lavoratore.
Le vecchie parametrizzazioni valutarie con beni di riferimento come l’oro, dovranno essere sostituite ed ampliate con molteplici beni specifici i cui prezzi saranno calcolati secondo un equo compenso al lavoro di produzione di un determinato bene.
Strumenti espropriativi altamente speculativi anche se formalmente a favore dello Stato o del pubblico, dovranno essere completamente aboliti, proprio per eliminare abusi e soprusi verso singoli individui, ingiustamente attaccati, formalmente in modo collettivo, ma sostanzialmente solo da funzionari pubblici di singoli apparati, per favorire gli ambienti professionali legali, commerciali, i tribunali e le case d’asta, tutti spalleggiati dai sistemi bancari privati, che sottraendo ad esempio beni immobiliari al decimo del lavoro, non fanno che alterare il mercato immobiliare sottostante di riferimento, facendo oscillare pericolosamente l’intero patrimonio nazionale, a sfavore nazionale e a favore della speculazione estera.
Il territorio di una nazione storica, appartiene per legge naturale ai discendenti storici di tale nazione, che ne devono essere riconosciuti
sovrani primari, secondo la costituzione adottata, e, solo secondariamente unità economiche valutabili dai sistemi borsistici internazionali.
Mai e poi mai un sistema borsistico di riferimento potrà valere sullo jus soli, e sullo jus sanguinis e sullo jus creditorum di una nazione.
Qualsiasi determinazione o direttiva anche legislativa federale, che preveda qualunque azione contraria al suddetto principio è nulla, e tali devono essere dichiarate pertanto tutte le legislazioni poste in contraddizione del suddetto principio.
Note
1 Organizazione domestica = Economia
2 Normanni = “non uomini”, “neque vir”, “neither man”
3 Frase citata da Giovenale (Satire): “populi duas tantum res anxius optat: panem et circenses”
4 che era stato in precedenza distribuito in abbondanza dalle banche stesse,
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5 La ricerca di verità è solo ansia di giudizio e quindi legittima e quindi senza alcuna necessità di difesa, e i valori sono grandezze soggettive, e quindi indeterminabili a priori, e quindi senza necessità di difesa perché indeterminabili a priori.
6 Vs Bossi & C.
7 Nell’epopea del terrore mediatico, monetaristico, lobbistico.
8 Giovani, rispondete voi...
9 Bagny, Ma non ti pare di essere un pochino narci?
10 Bagny, non usi Google?
11 Certo, lascia che studino gli altri che poi vengono a raccontarti tutto..
12 Col papa tedesco la Chiesa finalmente studiava Nietzche
13 Se lo chiedi ad un tossico dopo la serata forse non ti risponderà.. Prova con un Geometra..
14 E’ solo il problema di ogni giudice. L’unica verità è che non puoi giudicare puoi solo comprendere.15 Certo è l’autore che la ha fatta.
16 Si chiama interpretazione forse? O capacità critica della realtà? Lo chiediamo a Sgarbi?
17 Quella classica certo, non certo quella scientifica
.18 I valori morali sono i valori dell’abitudine individuale e siccome ciascuno ha la sua, non può pretendersi una elezione al valore obbligatorio a cui assurgere
.19 Confutazione dialettica: In questa accezione la “logica” non può mai comprendere una imposizione esterna senza motivazione, ma sempre e semplicemente un conseguenza ad una precedente azione fisica, umanistica, sociologica, politica, legislativa, e comportamentale umana.20 Questa è la tua più grande saggezza
21 Non vorrai confondere i valori morali con le mode consumistiche degli oggetti che corredano la vita di ognuno?
22 ??
23 Allora forse non sei convinto? No che non esiste
24 Bagny, cosa vuoi fare vuoi uscire dall’argomento della moda ed entrare nell’argomento del diritto naturale o per caso vuoi imporre le uniformi cinesi a tutti?
25 Bravo Hegel
26 Non ti sembra che geni filosofici e politici come >Platone e Aristotele invece non la pensassero esattamente com eHegel? Non lo deduci dai testi immensamente liberi e spirituali che ci hanno tramandato?
27 Ma guarda che devi andare su internet, perchè le ben più antiche religioni orientali e medio orientali, hanno sempre affermato la spiritualità dell’individuo come fonte della propria libertà e autocontrollo.
28 Gli Etruschi e qualsiasi altra civiltà primordiale hanno esercitato il loro misticismo come espressione spirituale.
29 E’ forse una novità?
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman 30 Forse un po’ tardi?
31 Quindi qui sostieni che un uomo è un bene della società e quindi deve tenersi a disposizione di essa, come recita la “nostra”, .. (“nostra?”).. Costituzione...
32 Il compito della Chiesa non è di esortare il singolo ritrattosi nel privato ad esporsi al suicidio, bensì semmai di indagare quali sono i fatti sociali che lo hanno portato a questo e di combattere questa nuova fenomenologia sociale che si sta diffondendo a macchia d’olio, curandone le cause e non eliminandone gli effetti, proprio per la dichiaratamente assunta e confermata missione di difesa degli individui più deboli...
33 La Chiesa se volesse veramente conquistare un numero maggiore di credenti e seguaci, dovrebbe piantarla di proferire l’ineluttabilità del destino, bensì aiutare i cittadini prendendo fattivamente le difese delle parti deboli, indifese, non rappresentate, istruendo opportunamente il capo della giustizia italiana delle disfunzioni di quest’ultima, verso le parti non ben rappresentate in giudizio.
34 Ma sopratutto in tutti i gradi di giudizio, davanti ai tribunali, quando nella giuria non esiste un giudice del suo stesso rango sociale.
35 Siamo tutti convinti che Cristo abbia incaricato voi di fare qualcosa per dimostrarci che i deboli siano difesi in terra, senza attendere necessariamente la loro beatitudine paradisiaca post mortem. La Chiesa attiva nella società, è la chiesa che aiuta tangibilmente la società, non solo con la parola di conforto o con la mensa del povero, ma con la promozione dell’avviamento al lavoro e all’equità sociale.
36 Anche in questo caso però si potrebbe obiettare che non si vede il perché del timore della Chiesa della perdita di fedeli, in caso di autodeterminazione di un popolo che, se Religioso e Cristiano Cattolico, non per questo dovrebbe rinunciare automaticamente a professare l apropria fede..
37 Il default è un termine usato impropriamente perché ha letteralmente un significato contrario a ciò che normalmente si vuole intendere con questo termine, infatti i vocabolari lo traducono come “difetto” mentre è un termine che è stato coniato dagli informatici per definire un “valore sicuramente funzionante” cioè che “toglie il difetto”
38 Il denaro è l’attuale principale mezzo di scambio, ma in mancanza di esso sono stati inventati, swap, bond, repos, etc..
39 Vedasi Appendice elenco test nucleari mondiali
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2050 Fuga dall’Italia @DonErman
« Non si può cogliere un fiore, Senza disturbare una stella »
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Ignoto
2050 Fuga dall’Italia @DonErman Ermanno Faccio è un cittadino di origini semplici che ha vissuto per sessant’anni nello stesso posto: Cinisello. La sua prima famiglia, quella d'origine è stata un’esperienza di collaborazione tra genitori e figli, come non se ne vedono più tanto facilmente. Come nelle migliori storie della vita, egli ha attraversato periodi di successo, e periodi di complicazione, in cui bisogna affrontare i problemi di petto. La sua formazione culturale è multietnica, sia in qualità di abitante di uno storico comune di immigrazione, sia perché ha avuto la fortuna di viaggiare in 45 paesi. La sua formazione post diploma tecnico, è essenzialmente universitaria autodidattica, e ha spaziato in seguito in molti campi del sapere umanistico e tecnico. Nella sua seconda famiglia, egli ha vissuto un epoca naturalistica umanistica meravigliosa. Nella sua terza famiglia, egli ha vissuto un rapporto mentale molto intenso con una donna molto abile con le menti delle persone. Questo sua prima pubblicazione è una semplice raccolta di dati politici ed economici, con considerazioni personali, con cui l'autore vuole indicare dei percorsi utili per un’attenta analisi strategica, risolutiva della deriva globale che stiamo vivendo.
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